House of Chernobog

[Impero ottomano, presente]

Le grida della semidea ormai si perdevano al vento, Leòmhann aveva assunto nuovamente sembianze corvine spiccando il volo, Grom ormai si andava allontanando sempre più man mano che le leste ali nere dello stregone sbattevano vigorose nel cielo.
La pioggia avesse terminato di infrangersi potente su quelle terre: le nubi restavano imponenti fissate lì come scudi, atti a bloccare la visione del cielo stellato il quale non poteva più riflettere i propri raggi sull'interminabile foresta sottostante.
Dopo aver sostato per altri pochissimi istanti lì, nei cieli oscuri, lo stregone scese di quota dirigendosi verso uno dei tanti alti alberi di pino.
I suoi unghioni neri affondarono con sicurezza e fermezza nel legno fradicio di un ramo dell'albero.
Gracchiò qualcosa nella lingua delle bestie prima di voltarsi, zampettando agilmente sul ramo, verso ciò che si era lasciato alle spalle.
La distesa di alti alberi si diradava gradualmente man mano che la distanza dalla fortezza diminuiva: l'ampia zona boschiva lasciava spazio ai ceppi tagliati dei pini abbattuti, dove un tempo regnava il bosco ora vi era una piccola zona sterrata per permettere lo spostamento della guarnigione interna e di eventuali rinforzi.
Tutte le torce del castello erano state accese e un gran trambusto sembrava affliggere le sue vaste sale, la vista dei corvi è ottima ma la distanza si rivelava proibitiva.
Leòmhann potè scorgere da quel ramo solitario solo le sagome dei guardiani di Grom camminare freneticamente sulle mura di esterne della fortificazione.
Ma ciò che con gli occhi non può essere percepito diventa chiaro dinanzi alla percezione magica, lo stregone irlandese poteva ben vedere come, i motivi della preoccupazione dei guardiani, fossero da ricercare nell'ira della figlia di Perun.
Yelena, la quale si trovava nelle vicinanze, fu la prima ad accorrere da Nevitha, nel tentativo di sedare la sua ira e a ruota tutti i suoi adepti e le guardie avevano fatto capolino nello vasto spiazzo verde.
Il corvo gracchiò qualcosa voltandosi nuovamente, le cose a castel Grom si andavano via via calmando perciò ora tutte le sue attenzioni dovevano concentrarsi sul vero motivo della sua visita.
La zona della manifestazione dell'anomalia dei Balcani era stata rinominata "la faglia".
Essa era una denominazione piuttosto comune nel mondo magico, generalmente i maghi intendono con quel termine uno squarcio, di variabile gravità, tra la nostra realtà e un altro mondo.
Erano manifestazioni piuttosto comuni, praticamente ne avvenivano a livello giornaliero in tutto il pianeta.
Spiriti, essenze, demoni e altre creature dalle origini più disparate, o anche gli stessi maghi in cerca di potere e conoscenza, aprivano questi portali verso nuove frontiere, ma nel più dei casi esse non sono altro che piccoli portali destinati a una breve esistenza.
L'associazione mondiale dei maghi le aveva classificate su una scala ben precisa, influenzata però da diversi fattori.
La classificazione delle faglie, considerate come una variante specifica delle anomalie dell'etere, doveva essere giudicata in base all'intensità del disturbo, alla stabilità del varco e alla tipologia di energia che aveva dato origine al suddetto.
Alla base di questa classificazione vi erano le "tane dei vermi" chiamate così quasi per ironizzare sulla loro natura poco preoccupante.
Al contrario sul vertice si trovavano le "culle degli dei", questa definizione era dovuta al caso più eclatante in merito a un evento di tale livello.
Non si era ancora certi di poter decretare che la natura dell'anomalia corrispondesse a quella di una faglia ma tutto il concilio europeo aveva bisogno di risposte, e la scuola slava non poteva permettersi di far innervosire i piani alti del mondo magico.
Se non fossero riusciti a risalire alla reale natura di quell'evento con molta probabilità gli stregoni austriaci avrebbero iniziato a muovere insinuazioni al congresso.
Il rapporto tra la magia austriaca e quella slava erano tesi da tempi immemori, inoltre l'influenza ottomana non faceva che peggiorare le cose.
Gli austriaci, supportati dai vari regni tedeschi, avevano più volte avanzato pretese sulle libertà della scuola slava.
Ritenevano che una tale indipendenza nei confronti dell'imperatore fosse inaccettabile, tutte le decine di ordini nati nei Balcani non erano posti sotto il controllo imperiale e nei fatti nessuno poteva sapere cosa accadesse al loro interno.
La situazione arrivò a un limite critico durante il trasferimento di uno delle più importanti congreghe proprio lì a castel Grom.
Darko Biljana riuscì a ottenere dal sultano Ahmed I, detto il fortunato, l'indipendenza del castello dal suo impero in cambio di alcune formule magiche conosciute solo dagli stregoni serbi.
Il trattato di Belgrado prevedeva che l'impero ottomano cedesse quella piccola area allo stesso Darko, trasformandola in un possedimento provato e indipendente dello stesso gran maestro.
Questa manovra suscitò le ire di Ferdinando II d'Asburgo, arciduca d'Austria e sovrano del sacro romano impero, il quale si aspettava che il sultano cedesse l'area direttamente all'impero e non a un singolo mago.
I motivi dietro alle lagnanze imperiali però erano ben diversi da una semplice volontà di allargare i propri confini, dopotutto si stava pur sempre parlando di un piccolo avamposto nel grande schema delle cose, per di più tagliato dal resto dell'impero a causa della sua natura di enclave.
Ciò che davvero fece infuriare il regnante furono i motivi che portarono il gran maestro Darko a scegliere Grom come nuova casa dell'ordine.
Insieme a tutti gli stregoni e apprendisti venne portata al castello anche la semidea Nevitha, in custodia dello stesso Darko, il mago era ben consapevole che lasciarla in mano agli imperiali non fosse un'idea saggia e lungimirante.
Il gran maestro temeva, a ben modo di vedere, che si finisse nel tentare di tramutare il potere della figlia di Perun in un'arma.
Tutt'oggi i propositi di Darko Biljana proseguivano immutati, portati avanti dalla sua discente, Yelena Biljana.
Così per mantenere intatta l'indipendenza dei propri ordini magici, e soprattutto proprio del castello, gli slavi scelsero di classificarla come una faglia di origine divina, caratterizzata da un'ampia dispersione di residuato.
Quest'ultima caratteristica, nonostante avesse messo in allarme tutti i maghi d'Europa, non fu riscontrata nei rilievi sul campo gettando ombre e dubbi sul lavoro degli stregoni locali.
Tutto ciò fino ad alcune settimane prima, quando le truppe filo austriache di Zakareth Bauglir rinvennero nelle zone limitrofe della faglia i segni tangibili di una contaminazione d'energia mistica.

"Non morti."

Ciò che prima era un corvo appollaiato su un ramo ora aveva mutato nuovamente aspettato, Leòmhann aveva ripreso le fattezze umane, in un tempo descrivibile come un battito di ciglia.
Gli artigli piantati nel legno ora erano tornati a essere calzature pregiate di color marrone chiaro, sulle quali lo stregone stava abilmente in equilibrio su quel robusto ramo.

"Ci son voluti mesi, ma finalmente abbiamo la prova concreta di una contaminazione.
La scelta di sigillare l'area in una bolla non è stata poi così inutile, avevamo visto giusto al riguardo di questa cosa."

Lo stregone affinò lo sguardo fino a farlo diventare tagliente, cercando di scorgere con quei suoi occhi gialli qualcosa aldilà dell'intricato muro di foglie di pino ma la sua vista non gli fu molto d'aiuto.
Con fare lievemente innervosito portò una mano al volto stringendolo lievemente.
Nelle settimane che avevano preceduto l'arrivo di Leòmhann a Grom le spedizioni nei pressi della faglia erano proseguite, così come le rilevazioni dei maghi posti a sorvegliarne le immediate vicinanze.
Era stato detto come le pulsazioni che disturbavano il flusso di etere avessero ripreso a manifestarsi insieme ad altri segnali.
Negli ultimi giorni i mistici segnalavano l'improvviso decadimento della vita animale e vegetale nella zona, la quale ora era facilmente distinguibile a causa della morte degli alberi, e la formazione di strane crepe nella terra, dalle quali maleodoranti olezzi fuoruscivano.
A Vienna fu intimato allo stregone irlandese, nonostante si stesse recando lì proprio per questo motivo come detto al congresso di Berlino, di non avvicinarsi più del dovuto alla faglia, denominata "La casa di Chernobog", per questioni di sicurezza maggiore.
Zakareth stesso aveva consigliato a Leòmhann di lasciare che gli eventi facessero il proprio corso, intervenendo solo dopo aver ottenuto una comprensione dettagliata della situazione.
Il fatto che qualcosa stesse ribollendo sotto quelle terre era praticamente condiviso da tutti, ma nessuno avrebbe tollerato la perdita di uno stregone capace come Fergus Leòmhann.

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