Hammer of the dark - part three
Leòmhann non aveva impiegato molto tempo a percorrere il tragitto che lo separava dalla sua meta: si trattava di pochi chilometri, in una situazione normale lo stregone avrebbe ovviato con l'utilizzo della magia ma le restrizioni politiche e la natura stessa di quell'area negavano questa possibilità. Dopo la prima anomalia, come aveva detto la gran maestra Bljana, l'intera area era caduta come sotto un opprimente cappa, solo i maghi più esperti potevano addentrarsi oltre il perimetro con una speranza di far rientro. Il perimetro, lo stesso che Leòmhann si apprestava a varcare. Prima di giungere a Grom, aveva passato il suo tempo ad ammirare il paesaggio, le guardie che lo accompagnavano spesso non erano molto loquaci e i lunghi percorsi a dorso di un cavallo, mandato avanti al piccolo trotto, potevano sembrare lunghi e quasi interminabili. La natura, con cui l'irlandese possedeva una forte empatia, era la sua unica e silenziosa compagna di viaggio. Da quando lui e il suo seguito avevano lasciato l'opulenta capitale imperiale, Leòmhann aveva passato buona parte del suo tempo a scarabocchiare su un suo vecchio taccuino: la copertina, di un marroncino molto chiaro, era sgualcita e malmessa; su di essa dovevano essere presenti, origine, delle scritte ma sembra che il tempo non sia stato molto generoso con ciò che era riportato. Al contrario il grifone, finemente miniato, svettava fiero sul retro, a simboleggiare la casata di cui lo stregone faceva parte. A dispetto però del passare del tempo le pagine erano ancora ben messe, la carta ingiallita emanava lo stesso odore che potremmo sentire in una vecchia soffitta, ma i disegni e le annotazioni riportate erano ancora perfettamente leggibili.
Il primo disegno durante il viaggio da Vienna ai Balcani furono le verdi e ridenti colline, appena fuori dalla capitale imperiale. Nonostante l'ombra della guerra incombesse su tutta la nazione lì si continuava la propria vita quotidiana, un quadro sicuramente felice rispetto alla situazione del fronte. Il cuore, attanagliato dalle preoccupazioni, dello stregone poté rilassarsi in quei giorni di marcia che lo avrebbero condotto a Grom. Quando il plotone di scorta si mosse da Vienna si accingeva a imbrunire, i raggi caldi ma stanchi del tramonto si riflettevano sui vasti campi e sulle acque del Danubio che, tagliando a metà la grande capitale, proseguiva verso ovest in direzione delle terre d'Ungheria. Il gruppo abbandonò quelle ridenti e fertili zone puntando a sud, verso la cittadella di Graz in Stiria. La grande piana del Danubio e le sue produttive campagne avevano lasciato il posto alle alte montagne. Ora il percorso si diramava per le vie dei boschi, sentieri tracciati dove la natura era stata clemente, permettendo un varco che collegasse quelle zone impervie alle altre città dell'impero. Leòmhann avrebbe potuto passare giorni a rimembrare tutti i dettagli di quei posti, che tanto gli ricordavano la sua casa natale, l'Irlanda... ma quando varcò con un singolo passo il perimetro di confine alla mente sopraggiunse solo una sensazione di grande sconforto: le belle colline viennesi e i grandi campi dorati che arricchivano il panorama, intrecciati con l'acqua cristallina del fiume che, come un mitologico serpente, si insinuava nelle terre imperiali e permetteva a pesci, rane, adulti e bambini di bagnarsi nelle sue fresche viscere... tutto questo era solo un ricordo sepolto nella memoria di alcune settimane prima.
Come raccontato da Yelena lì la natura era morta, sciupata da una forza nefasta che ne aveva rubato la vitalità; gli alberi, se così si ha l'ardire di chiamarli, erano come cadaveri nudi e smunti, degli scheletri neri e fragili a monito dei folli che intrecciavano quel percorso. Le foglie e i frutti che un tempo adornavano quella porzione di boscaglia ora giacevano inermi sul terreno, sotto forma di un velo di cenere fine ma pesante, così ancorata a quel luogo da non essere lavata nemmeno dalle antiche forze elementali dell'acqua e del vento. L'ecatombe di quel luogo era la personificazione stessa dello sconforto, della solitudine, della decadenza che il male crea quando si insinua nei viventi; Lo stregone da rossi capelli rimembrò per un istante i grandi pascoli che aveva scorto appena fuori Graz, una mandria di bovini portata a pascolare nei pressi del Mur, un affluente del grande Danubio, così come le grandi mandrie di pecore dal folto pelo che aveva notato pascolare alla base dei monti dinarici. Ora quando alzava gli occhi non scorgeva alcun animale, bensì i loro scheletri... lasciati a sporgere dal terreno, come un ultimo tentativo di risorgere dalle tenebre in cui il bosco era sprofondato. Il mago scosse la testa chiudendo per un singolo istante gli occhi, era entrato lì da pochi istanti ma di già uno strano impulso si faceva strada nella sua mente, era come un sussurro... qualcosa che andrebbe descritto come un lamento, un nero lamento che riecheggiava nel vento, unico testimone non macchiato dalla corruzione. Strinse denti e pugni incurvandosi leggermente in avanti, se l'impulso della culla divina era in grado di far vacillare uno stregone come lui significava che la situazione, già critica, era peggiorata rapidamente. Il pugno destro venne stretto maggiormente e sul dorso della mano iniziò a fiammeggiare qualcosa, calda e splendente era l'intricata runa attivata dal maestro delle arti mistiche, la luce dorata avvolse il suo corpo disegnando un alone, una patina luminosa sui suoi abiti; il sussurro nero andò a sfumare man mano riportando tutto alla calma, la runa trasmise a Leòmhann un senso calma e pace lenendo il blando attacco psichico.
Non poteva lasciare che altro tempo passasse, anzi si meravigliò come una tale condizione non avesse già allarmato la guardia della culla, non potevano non essere stati colpiti allo stesso modo di Leòmhann... perché nessuno ancora aveva provato a inviare un rapporto dettagliato quantomeno a castel Grom, se proprio non si voleva avvisare la capitale imperiale. Ma fu proprio in questo istante che, nella mente dell'irlandese, si delineò un'idea sulla possibile sorte dei maghi posti lì, a vegliare sul luogo maledetto. Su di loro si diceva che da qualche tempo intrattenevano rapporti minimi con i propri colleghi e che in genere evitavano di presentarsi alle chiamate eteriche dei loro superiori... come se nell'ultimo periodo fosse successo qualcosa al gruppo, un qualcosa che stava limitando la loro possibilità, o forse la loro volontà, di mettersi in contatto con il mondo fuori dal perimetro. Leòmhann sapeva di non poter escludere quella possibilità, i maghi guardiani potevano essere impazziti, morti o nel peggiore degli scenari corrotti dal nemico, possibili pedine da usare contro di lui. Alzò il capo scrutando il cielo completamente coperto da nuvole nere come la notte stessa, forse nemmeno le stelle volevano lasciare che la propria luce fosse intrappolata in quell'inferno silenzioso.
"Mia signora Badb, madre di ogni corvo, regina delle ombre, dea delle ombre che danzano nelle notte, protettrice degli audaci guerrieri che in battaglia cercano la vittoria e cadono fra le mille lance della battaglia. Tu che vegli sugli avventurieri della notte, sugli uomini che trascendono gli umani limiti con le arti magiche. Fornisci a questo tuo umile discepolo la forza, per sostenere il peso dei giorni che verranno e proteggilo con l'abbraccio delle tue ali nere; regina del campo di battaglia, sposa del Dagda ancora una volta affido a te la tela del mio fato, così come feci più di tre secoli or sono, e guida la mia mano... cosicché la lancia cremisi possa fendere il male che attanaglia queste terre. La lancia cremisi, la lancia fulmine che dal mare venne forgiata e da eroi brandita. Io ti invoco, lancia che non sbaglia mai un colpo... giungi da me benedetta dalla dea!"
La preghiere di Leòmhann fu accolta senza esitazioni, per la prima volta da mesi un ventò si alzò su quelle lande cineree. Una brezza che veniva da luoghi lontani infrangendo le normali leggi spaziali... la brezza della terre delle ombre spirò per alcuni istanti avvolgendo, prima Leòmhann e poi solo il suo braccio destro con le piume nere, come lo stesso vento apparse dal nulla. Gli occhi dello stregone, già ambrati e luminosi, brillarono nell'oscurità rischiarando la desertica foresta. Li chiuse stringendo ci colpa la mano, che strinse attorno all'asta, calda e pulsante di potere, della lancia. Il vento si diradò così com'era apparso riportando il silenzio.
Per tutto il cammino di Leòmhann la boscaglia aveva mantenuto gli stessi connotati, rendendo il suo attraversamento estremamente disorientante: ogni guscio vuoto d'albero era uguale al precedente e nessuna traccia si scorgeva sul manto polveroso del posto, nessuno doveva aver camminato lì e ciò non faceva che peggiorare le convinzioni del mago, non rinvenire alcuna traccia degli altri stregoni, nonostante teoricamente si stesse avvicinando al punto di massima intensità dell'anomalia, era alquanto strano e preoccupante. Le rune lo proteggevano dal male che si insidiava tutto attorno e la gae bolg avrebbe conciato per le feste qualsiasi creatura, così coraggiosa da attaccarlo. Avanzò ancora nella speranze che sopraggiungesse un indizio, una pista... il campo base dei maghi guardiani doveva trovarsi, almeno secondo ciò che la gran maestra Yelena gli aveva riferito, a poco più di seicento piedi dalla sua attuale posizione. A quanto diceva Yelena, dopo circa venti minuti di percorso a piedi dopo aver varcato il confine si sarebbe dovuto intravedere un secondo perimetro: una palizzata rudimentale a delimitare il campo base, alta poco più di tre metri e con un solo punto di accesso. Fu somma la sorpresa dello stregone di verde vestito quando, dopo aver superato l'ennesimo albero, vide la fortificazione perimetrale ancora integra. I grandi tronchi, acuminati alla punta, erano piazzati per avvolgere tutto il campo base, del quale Leòmhann poteva scorgere la cima dell'edificio principale. Leòmhann sorrise lievemente cercando di non lasciarsi andare a gioie insperate, ancora nessuno si era presentato ad accoglierlo, nonostante dovevano già averlo notato. Accelerò il passo cercando di tenere la guardia alta, affiancò la linee di fusti muovendosi verso destra, in direzione del portale d'ingresso. Ogni tronco della linea difensiva aveva intagliato su di esso un simbolo preciso, tre quadrati intersecati che a loro volta venivano interconnessi a due ellissi. L'irlandese aveva già visto quel simbolo più volte, qualsiasi mago, guaritore, strega e stregone dei Balcani recava quel simbolo, lo stemma del dio supremo Svarog, il dio del metallo e signore del pantheon slavo. Si narrava che la sua autorità fosse così potente sulle creature dell'area che il solo simbolo sarebbe bastato per allontanare ogni creatura, venendo impiegato in ogni ambito. Non era raro vedere infanti con al collo un ciondolo recante quel simbolo oppure una spilla legata alle loro vesti, per proteggerli da malanni e creature malefiche. Le culture rurali del luogo temono gli spiriti e le creature che abitano queste terre e vedono nei simboli legati ai grandi dei un buon deterrente. L'interminabile fila di tronchi conficcati nel terreno ebbe termine, un grosso portale alto poco più di tutta la fortificazione e fatto interamente di ferro incantato, come lo chiamano i locali, si ergeva. La sua superficie era perfettamente lisce e fredda, come avvertì Leòmhann appena vi posò la mano, a eccezione del centro della grande lastra priva di aperture. In quel punto figurava un grande e pesante sigillo recante il simbolo già visto in precedenza, quest'ultimo prese a brillare al primo tocco di Leòmhann.
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