Hammer of the dark - part five


La terra, ormai provata dalle esalazioni provenienti dai cupi reami inferiori, collassò definitivamente su se stessa. La grande voragine si espanse in un istante, inghiottendo tutto ciò che trovava lungo il suo "cammino"... se tale possiamo definirlo. Quello che rimaneva della vita, che un tempo permeava quel luogo, fu definitivamente fatto scomparire nelle viscere del mondo: la cenere fu la prima a cadere a fiocchi nella cavità, dalla quale lingue di fuoco risalivano pian piano, ciò che un tempo era cosa bella... animali, piante, le stesse emozioni, ora erano null'altro che una tetra nevicata sul giaciglio del maligno. Quando anche gli ultimi alberi furono inghiottiti dalla voracità della culla, quest'ultima si arrestò; un tremore crescente pervase tutta l'area, lì dove il male non era riuscito a corrompere la natura si potevano scorgere uccelli in fuga verso il nord, per quanto potessero essere sicure le terre imperiali... nessuna creatura poteva ritenersi al sicuro, scappare avrebbe solamente rallentato la propria fine. Il terreno si placò per alcuni istanti, a Castel Grom si scrutava con apprensione verso le terre dove vi era custodita la culla. Nonostante non fosse trapelato nulla, l'ordine ben sapeva delle reali condizioni della spedizione dei maghi guardiani. Alcune settimane precedenti all'arrivo del mago irlandese nei Balcani, forse proprio durante il congresso di Berlino, una missiva era stata recata a Grom da parte dello stesso Cherbourg, palava di come le rilevazioni attorno alla frattura non fossero più ottimali: a quanto riferiva il piromante da alcune settimane a quella parte la zona era investita da un'intensa attività eterea, proveniente sia dalla culla che dall'esterno del perimetro; la lettera parlava di strane figure ammantate che si aggiravano nei pressi della palizzata o scrutavano i maghi da dietro gli alberi scheletriti.

Kresmir sosteneva che le anomalie fossero iniziate con l'apparizione di questa inquietante figura, le descrizioni contenute nella lettera erano frammentarie e alquanto imprecise, Cherbourg stesso non parlò mai di una vera figura nella sua lettera ma più di un riflesso, un'ombra che si muove furtiva fra ciò che rimaneva del bosco. La presenza era caratterizzata da un vestito lacero recante un cappuccio, il quale era accuratamente posizionato sul capo a nascondere il volto, già ampiamente nascosto dal favore del tenebre. Quello che risaltava dello spettro erano i suoi occhi, fulgidi e luminosi ma che lo stesso Cherbourg descrive come una luce mortifera, capace di portare via la vita dai mortali per dare inizio a qualcos'altro. L'oscurità non permetteva il recupero di altri dati ma, come scritto in una nota nella missiva, l'ultima volta che la videro non era ancora calata la notte, la luce permise di ampliare i dettagli in possesso dai maghi. Il volto per loro fu ancora un enigma, ma appurarono come fosse anormalmente alta, molto più di un uomo adulto e i buona salute, dotata di lunghi capelli bianchi che forse potevano ricondurre a una natura femminile.

[Campo base, alcune settimane prima]

"... e questo è l'ultimo, il resto lo conserveremo fino all'arrivo delle nuove scorte. Sempre che mano di ferro non voglia lasciarci qui a farci gelare il culo..."

Disse il vecchio Cherbourg alzando il capo verso il cielo uggioso, volgendo alla foschia una grossa risata fragorosa, in sintonia con la sua voce roca e profonda. Aveva passato buona parte del pomeriggio a trasportare legna e paglia su e giù nel campo base, mentre i ben più giovani Goran e Mladen tagliavano i grossi ceppi in pezzi più piccoli. Nonostante l'età il vecchio aveva compiuto un lavoro davvero certosino: nei due giorni precedenti aveva frugato per tutta il casolare in cerca di alcuni materiali, aveva fatto richieste come della stoffa, bottoni, pezzi d'indumenti laceri e tutto ciò che potesse servire alla costruzione di un feticcio, una grande bambola. Dopo aver ribaltato da cima a fondo le grandi casse, portate due settimane prima da Grom, aveva costruito il suo artefatto. Una bambola alta quasi quaranta centimetri, il suo interno era una massa informe di stoffa a brandelli, paglia, frammenti di legno e pezzi di pergamena; il tutto stretto con un panno e dei pezzi di corda tagliata, tutti fecero notare al gallese come quella cosa non ricordasse per nulla una figura, anche quantomeno, umanoide ma lui non diede peso a queste dichiarazioni. Prese quattro pezzi di legno e senza troppe pretese infilzò il sacco in quattro punti, mimando i quattro arti. A completare l'opera andarono due bottoni, posizionati sul "volto" del feticcio al quale Cherbourg non si preoccupò neanche di dare un'espressione. La bambola, finalmente completata, fu infilzata da parte a parte con una staffa in metallo e posizionata su una piccola altura poco distante dal casolare. Il barbuto poi aveva chiesto ai più giovani di tagliare qualche ceppo di legno dalle riserve e di prendere un pò di paglia per la preparazione della pira.

"A gelare qui signor Cherbourg? Non credo proprio che a Grom abbiano di queste idee, la gran maestra Bljana ci avrebbe mandato qui senza accertarsi se le scorte fossero sufficienti? Per quel poco che le ho potuto parlare mi è sembrata molto accorta nelle sue scelte, dopotutto non è al posto di comando per caso... o mi sbaglio signor Cherbourg?"

Goran era il suo nome, Goran e null'altro. La sua famiglia era nativa di un piccolo villaggio a pochi giorni di viaggio dalla Grecia, un paese tranquillo e di costante quotidianità. Lì immerso fra le montagne e i tanti boschi che pullulano in quelle zone. Quasi una macchia di umanità nel bel mezzo della natura. A differenza di molte altre cittadine, borghi e paesini lì nessuno si era ribellato al dominio ottomano, consci anche del fatto che quel posto non fosse effettivamente presente in nessuna mappa delle truppe del sultano, gli imperiali si fecero vedere una singola volta a riscuotere una tassa e dall'ora Vijiw, tale era il nome del posto derivante da un'antica leggenda secondo la quale un drago dormiente avrebbe come dimora una grotta nelle vicinanze, non aveva avuto più alcun disturbo. Quasi un'isola felice nel contesto bellicoso dell'Europa del tempo: mentre in Francia il vento di rivolta iniziava a spirare, così come era accaduto già oltreoceano, lì i venti portavano solo l'odore del pane appena sfornato che inebriava la narici di tutti i passanti o odori meno nobili, come quello del letame delle pecore portate a pascolare nella radura poco distante. Intorno ai primi di ottobre del 1786 Vijiw venne completamente distrutto per cause ignote, le poche carte che lo riportavano posero un segno rosso sulla sua ubicazione. La notizia della distruzione del villaggio arrivarono solamente uno o due giorni dopo la sua reale caduta, il resoconto parlava di due soldati che, recatisi lì dopo alcune segnalazioni di strani fenomeni avvenuti sulle montagne, avrebbero trovato ogni singola costruzione smembrata, abbattuta o parzialmente demolita. Non vi erano segni di lotta, sangue, impronte o qualunque altro indizio facesse intendere un evento violento. Al contrario le strade erano perfettamente in ordine, sporcate semplicemente dai frammenti delle abitazioni, così come le stalle e gli allevamenti. Sembrava che a pagarne le conseguenze fossero stati solo le abitazioni e gli abitanti, nessuno di loro fu mai ritrovato così come tutti gli effetti personali, praticamente scomparsi nel nulla. Dopo una rapida indagine i due rinvennero solo una casa ancora intatta, con porte e finestre sbarrate con assi di legno, rimosse le protezioni si misero a esplorare l'edificio, nel soggiorno dello stesso furono rinvenuti otto neonati nelle loro culle, posizionati al centro di uno strano simbolo geometrico inciso sulle assi del pavimento. Nessuno si fece molte domande e il governo imperiale archiviò il caso semplicemente come le sfortunate conseguenze di una calamità naturale, i bambini furono mandati a Belgrado presso l'orfanatrofio gestito da tale Krimhild Von Baumann, nobile prussiana trasferitasi decenni prima nelle terre dei serbi.

Il singolare evento però non passò totalmente inosservato, Yelena Bljana, che già era al corrente di strani eventi accaduti a sud di Castel Grom, fece pressioni affinché gli orfani di Vijiw fossero portati alla fortezza dell'ordine, per poterci vedere chiaro nella questione, ma alla donna fu risposto come i fanciulli fossero già stati reclamati da un uomo. Nonostante l'alta posizione della donna non riuscì a estorcere alla Von Baumannn l'identità dell'uomo, però le venne riferito come l'ignoto avesse scelto sei degli otto neonati, lasciando lì a Belgrado solo due neonati: Goran e Vseslav. L'ordine dei Bljana si fece carico dell'adozione dei neonati, decidendo per loro un destino come membri dello stesso. Vseslav fu portato a Grom, mentre Goran fu lasciato a Belgrado seguito da un emissario della gran maestra.

Vent'anni erano passati da quel giorno quando ella aveva deciso di dare una svolta alla vita di quei due bambini, Goran non aveva completato gli studi presso l'accademia di arti magiche a Belgrado, nonostante gli ottimi risultati conseguiti, decidendo di intraprendere una carriera militare rifiutando l'invito di diventare una delle guardie del forte dei Bjlana. Un anno di gavetta tra incarichi non esattamente gloriosi e compiti al limite del noioso, molti gli avrebbero risposto che questa è la dura vita dei maghi militari di rango inferiore. Nessun onore o gloria nella guerra, solo tanto fango negli occhi, la magia è un'arte nobile ma non lo stesso si può dire della guerra per quanto quest'ultima affascini gli uomini ancor di più della prima secondo alcuni. La svolta arrivò quando venne affidato come apprendista a Zlatomir Veres, nativo dell'Istria ma noto maggiormente in Ungheria per le sue attività da stregone mercenario. Neanche un mese di servigi presso il mago che alla porta della dimora di Veres venne recata una missiva, parlava di un urgente riunione da tenersi a Grom a cui erano stati invitati una cerchia ristretta di padroni dell'etere. Goran fu gettato nel turbine degli eventi che portarono i maghi alla culla.

Aveva sì vent'anni, ma non sembrava dimostrarli in verità: la prima volta che Veres aveva presentato il ragazzo al resto della spedizione essi lo ammonirono sul fatto che portasse un quindicenne inesperto in un incarico così pericoloso. Lui, preso da un moto d'orgoglio, rispose a tono dicendo come non avesse solo quindici anni ma ben venti e che l'esperienza di certo non gli mancava e ciò gli valse un colpo alla nuca da parte del suo maestro che lo rimise subito in riga, suscitando l'ilarità degli altri stregoni. Cherbourg soprattutto rise di quel ragazzo sbarbatello e dai disordinati capelli biondi, che di ciocca in ciocca ricadevano sulla sua fronte. Ma rise ancor di più dopo la sua ultima affermazione, sapeva che l'esperienza del ragazzo fosse limitata ma confidava nel suo buon senso.

"Ragazzo pensi veramente che ai piani alti interessi della nostra salute in quanto tale? Veres non ti ha detto nulla, lui dovrebbe ben capirle certe cose... decenni di campagne mercenarie, sa bene quanto le promesse valgano realmente, a mano di ferro interessa solamente che quello schifo lì in fondo rimanga chiuso per sempre, poi per quanto le riguarda potremmo anche crepare. Per il freddo Goran... se proprio dovessimo finire le scorte potrei sempre darti fuoco, ci riscalderesti per un po'."

Il mago lo guardò con la sua solita espressione ambigua, il ragazzo si stupiva sempre di come l'uomo riuscisse a essere sempre imperscrutabile nelle sue dichiarazioni, impossibile da capire quando parlasse seriamente e quando scherzasse. Goran si grattò una guancia deglutendo subito dopo, velocemente portò le mani sui fianchi guardando la pira che stava lentamente venendo avvolta delle fiamme grazie ai poteri di Kresmir.

"Signor Cherbourg, quindi questo feticcio dovrebbe rappresentare quella cosa che vediamo ogni notte. Come ha detto che si chiama? Morani?"

Chiese quasi ingenuamente il giovane suscitando le ire dello stregone: con forza Cherbourg tirò con le sue stesse mani un po' della sua folta barba ritrovandosela tra le dita.

"Il suo nome è Morana! Cosa ti hanno insegnato a quell'accademia? Come si coltivano gli ortaggi oppure quando il parruccone di turno parlava tu eri nel tuo fottuto mondo dei sogni Goran? Morana, si Morana... Lo spettro che vediamo ogni notte è una sua emanazione, su questo ne sono certo... assolutamente cert..."

L'anziano mago non riuscì a terminare il suo discorso, venendo interrotto da un finto colpo di tosse proveniente dalle sue spalle, il barbuto si voltò di scatto chiedendosi chi osasse interrompere così bruscamente il suo breve racconto.

"Goran non credere a tutto ciò che Cherbourg sostiene, noi siamo maghi... coloro che padroneggiano l'etere, di certo non possiamo comportarci come i superstiziosi del popolino. Quello che si aggira qui intorno non è altro che uno spirito dei boschi, reso più vivido dalla frattura. Non puoi sapere quanto sangue sia stato versato in questo bosco, una montagna di cadaveri che potrebbero eguagliare l'altezza della montagna più alta di Serbia. Carissimo Cherbourg non sarà qualche anomalia nel flusso di etere a farmi credere che addirittura una dea si aggiri attorno a questo campo base. Morana la grande traditrice ormai è solo un ricordo, lei e il suo oscuro maestro sono solo un ricordo perso nelle memorie del tempo, il potente Svarog ha cancellato quelle creature oscure da questo mondo. Però... se vuole continuare le tradizioni dei contadini... faccia pure, è adulto e non le devo fare da balia, stesso dicasi per Goran."

Sofia Conjar nata a Venezia da genitori serbi, seconda più alta in grado tra i maghi guardiani posti a guardia della faglia, in attività da oltre quarant'anni... almeno gli anni dichiarati all'associazione magica europea. Nessuno era a conoscenza della sua precisa data di nascita ma ciò certamente, qualsiasi età avesse, portava benissimo quegli anni che aveva sulle spalle. Era alta poco meno dello stesso Goran, il quale non spiccava per essere propriamente un gigante, dal fisico esile ma non sciupato, come si poteva evincere dal bel viso incorniciato dai lunghi capelli corvini, che andavano in contrasto con gli occhi cerulei screziati da venature violacee. Indossava la tunica comune a tutti i guardiani, lunga fino alle caviglie e d'un rosso vivo, completamente adornata da simboli antichi e mistici atti a propiziare i rituali dei maghi guardiani. La donna era dotata di una parlantina per nulla male e nel tempo trascorso lì se n'erano tutti accorti, da quelle labbra sottili e affilati erano fuoriusciti fiumi di parole che allietavano la monotonia delle notti tranquille. Cherbourg nel vederla imprecò leggermente tra sé e sé, facendo uscire da quei denti giallognoli solo qualche sillaba, al contrario Goran fu abbastanza felice di vedere la Conjar, sicuramente una visione migliore del vecchio mago deturpato in volto.

"Saluti Lady Conjar, avete già completato il rituale giornalier..."

Nuovamente il discorso fu interrotto, stavolta dallo stesso Cherbourg che zittì il ragazzo tirando un pestone in terra sollevando qualche scintilla che si era distaccata dal feticcio in fiamme.

"Cascamorto di un Goran, non appena arriva la bella strega della città galleggiante molli la tua attenzione verso di me e ti concentri su altro? Certo che Veres deve avere una grossa pazienza per tenere un essere come te al suo fianco, ci manca solo che tu vada dietro i discorsi della Conjar... quando avrà la falce di Morana puntata alla gola la vorrò vedere... a tenere quel sorriso beffardo. Proprio perché siamo maghi dovremmo attuare questi rituali, per la barba di Perun vogliamo farci sorpassare da qualche villico? L'incanto che ho lanciato su questo feticcio ci farà dormire sogni pienamente tranquilli... alla faccia dell'inutile tradizione di campagna. Poi dimmi... cosa credi che i Bljana nascondano lì sotto?"

[Campo base, presente]

"Avevo ragione Conjar... avevo ragione..."

Mormorò Cherbourg, in un tono così impercettibile da essere udito da Leòmhann semplicemente come un bisbiglio confuso nel caos generato dalla vampata di tenebra. La colonna di fuoco nero aveva raggiunto il suo picco massimo, sfiorando le nubi stesse quasi come se volesse cercare una via per gli alti cieli, ma lì di celeste non v'era nulla. Quando l'enorme massa fiammeggiante ricadde interamente nella voragine scomparendo nuovamente nelle viscere del mondo, un nuovo verso venne udito... stavolta più chiaro del precedente ma non per questo meno tetro o disturbante. Leòmhann fu per un istante pietrificato da un senso di estrama inquietudine e sconforto, un singolo istante nel quale la sua testa gli consigliò di scappare da quel posto maledetto e di lasciare l'oscurità in arrivo ai guardiani di Grom. La stessa identica sensazione di vuoto e paura si espanse a macchia d'olio giungendo addirittura oltre i confini imperiali: a Grom l'ordine fu gelato da quel verso che penetrò nell'anima di tuti sviscerando i peggiori ricordi delle vite di ogni singola persona, come un crudele cercatore di sofferenza, Yelena portò le mani al volto sgranando gli occhi... egli si era destato. Mentre solo un'imprecazione si levò dalle labbra deturpate della semi dea, malediceva Chernobog e la sua progenie oscura. Poi da lì in tutta Europa, da Berlino a Roma fino a Londra... i maghi sentirono il peso del potere del dio, che gravava sui loro corpi come un macigno di nera disperazione... nemmeno gli estranei al mondo magico furono risparmiati dal suo potere, la disperazione incolse tutti per un singolo momento senza fare alcuna distinzione, ogni singolo essere vivente avvertì il risveglio del male antico.

Poi fu silenzio... un ultimo momento di silenzio e quiete. La terra fu lacerata e violata dal suo interno da ciò che stava emergendo, con stupore l'irlandese osservò il terreno stesso innalzarsi e gonfiarsi come se qualcosa dalle profondità stesse premendo per fuoriuscire, ciò che si vide per primo fu una gigantesca testa: i suoi occhi erano grandi e rossi, dotati di una pupilla simile a quella di un rettile ma diversa da tutto ciò che in natura è presente. Quei fari scarlatti incrociarono lo sguardo dello stregone solo per qualche frazione di secondo prima di proseguire il proprio volo verso l'alto. Il cranio era munito di corna appuntite poste sul capo come per formare una sorta di corona dai bagliori rossastri, così come il resto della sua coriacea pelle compresa la mandibola, irti di denti spessi e affilati come spade. Ciò che seguì non era ben descrivibile, il corpo era un'immensa massa scura praticamente impercettibile nel buio della notte se non fosse stato per le venature rossastre e violacea che gli percorrevano il corpo. Le sue titaniche spalle davano alla luce due ali capaci di oscurare il giorno stesso e le speranze degli uomini, a terminare l'abominio gli arti possenti e artigliati, muniti su tutta la loro lunghezza di bitorzoli e spuntoni così come lunga coda d'ebano, che per ultima fece la comparsa come una frusta dalle proporzioni colossali.

"Badb abbia clemenza della mia anima..."

Esclamò incredulo Leòmhann, alla vista del dio risorto. Nessun libro avrebbe potuto descrivere nella sua interezza le sensazioni che un mortale possa provare dinanzi una simile entità, nonostante la potenza di Leòmhann egli era completamente impreparato di fronte al signore delle tenebre. In quel momento nella mente di Leòmhann scivolò sinuoso un pensiero alquanto terribile... nessun mago avrebbe mai potuto respingere del demone divino. Ciò è verità o è dettato solo dall'influsso della creatura sull'etere che muove il mondo?

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