When It Rains, It Pours
Dedicata ad Alex e Percy, che bellissimi sono, come il mare ed il cielo che giù, sempre più giù, dove gli occhi superano l'orizzonte e scivolano nell'ignoto, si incontrano e mescolano.
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Avete presente i tipici diluvi settembrini che gravano sull'aria e sui cuori, epitaffi di quell'estate di cui si ha già nostalgia? Quando sembra che l'inferno sia salito in terra e stia scatenando la sua furia su noi poveri esseri umani e il luogo dove viviamo?
Io ero certa che l'inferno non salisse in terra; non era possibile. La terra è un posto troppo bello, nessuno, nemmeno Madre Natura, oserebbe mai porre una singola particella infernale su di essa. Se qualcuno conoscesse la me di un altro tempo ed un altro giorno, forse quella me gli direbbe che non è proprio vero. Fatto sta che io amavo la pioggia.
Il cielo, nero e burrascoso, tuonava e gorgogliava; lampi di luce viola e fulmini azzurri squarciavano l'oscurità. La pioggia cadeva fitta, scrosciando giù dai possenti nuvoloni che oscuravano il cielo. I soli suoni che si udivano erano il suo continuo scrosciare e i rombi dei tuoni.
Ed io osservavo, estasiata, il cielo scaricare sulla città che mai chiude occhi la sua ira, in religioso silenzio, con i gomiti poggiati sul davanzale della finestra e le labbra dischiuse in un'espressione d'ammirazione totale.
Con gli occhi persi nel cielo e l'immaginazione che mi tramutava in goccia d'acqua, tornai bambina, quando tutto era una magia ed il mondo il paese delle meraviglie. C'era solo una differenza, sottile come la carta, che definiva il cambiamento avvenuto a quella bambina.
Da piccola avevo paura dei tuoni, dei fulmini e dei temporali. M'incutevano terrore allo stato puro. Avevo l'assurda paura di venir fulminata, come se stando in piedi sotto un temporale avessi messo il dito nella presa elettrica. Mi ci vedevo già, con i capelli ritti in capo come i personaggi dei cartoni animati. I rombi che strappavano il suono parevano stravolgermi i timpani, tonandomi fra le tempie piccine di bambina, come le urla di un'anima costretta in gabbia.
Avevo compreso di temere la mia stessa natura.
Io ero il fulmine. Ero il tuono, la pioggia e lo squarcio del cielo. Dentro di me ribolliva in continuazione la furia del temporale; al tempo stesso la quiete del cielo azzurro risiedeva in me e giaceva nei miei sorrisi. La bellezza del tramonto e la tenerezza dell'alba erano racchiuse al mio interno. Di mani, di tocco, di dita, ero le cento sfumature del cielo nei suoi momenti di gloria. Guardami negli occhi, dicevo, e troverai te stesso nello specchio del firmamento. Ero la luce del giorno e la notte nera, costellata di diamanti.
Energia elettrica pura: questo scorreva nelle mie vene. Il mio sangue aveva il colore dei fulmini, un fluido crepitante di viola ed azzurro e blu e grigio. I miei occhi racchiudevano la tempesta. Sfiorami, la mia pelle d'alabastro, e fatti avvolgere dal pizzico dell'energia. Io ero il cielo. Possedevo la potenza del tuono e la delicatezza delle nuvole. Il mio cuore batteva al ritmo dei fulmini che colpivano la terra.
Lui invece, era il mare. Meraviglioso, profondo, spumeggiante, trasparente, mutabile. Poteva esser calmo e silente, così come poteva trasformarsi nell'incubo di ogni uomo. A guardarlo, gli occhi forse straripavano di meraviglia, a scivolar giù eran lacrime salmastre e tiepide. Il sole gli baciava le linee, i tratti, i disegni, e ciò che vedevi erano le gocce di luce increspate sulla superficie. Nascondeva in sé le carezze ed i tumulti delle onde e delle correnti, il suo tocco era la morbidezza della schiuma.
Lui era il placido suono dell'acqua sulla battigia e la potenza della tempesta. La sua anima aveva i mille colori delle barriere coralline e il suo sguardo la profondità degli abissi inesplorati. Posargli gli occhi addosso era un'avventura: quanti lati vedi, quanti, il paesaggio pare sempre lo stesso ma il suono cambia sempre, il colore cambia a seconda di dove si guarda. In certe sue parti, anfratti nella roccia scavati dall'acqua, non toccavo il fondo ma restavo a galla nella consapevolezza che nel buio di quei fondali nulla di pericoloso c'era.
Lui era l'oceano. Possedeva la forza e la bellezza delle acque salate. Il suo cuore batteva al ritmo delle onde.
Insieme, creavamo la bellezza espressa nella sua più pura e semplice forma. Eravamo il cielo e il mare che si mescolavano, divenendo una cosa sola. Eravamo il sole che si riflette nelle acque e crea giochi di luce dai cento colori, lo scintillio dell'acqua al mattino. Eravamo i concentrici cerchi che dalla goccia prendono vita e l'incontro dei venti che increspano la superficie. Eravamo il dolce suono dello zampillare e dello scorrere, il ticchettio della pioggia sul mare.
Quando i nostri sguardi s'incontravano era come la luce all'orizzonte. Quanti, quanti colori sbocciavano ad ogni contatto, il mondo pareva così piccolo da potermi stare in tasca. Lo sfiorarsi era la delicatezza della brezza marina e della pioggerellina fina fina. Ogni sorriso era il sapore di pioggia ed il sapore di sale sulla bocca.
Lui era parte di me, come il sole che si tuffa nel mare al tramonto. Ed io parte di lui, come il riflesso argenteo della luna sulle acque.
Separarci era impossibile. Riuscireste anche solo a pensare di creare una distanza tra il cielo e il mare?
La linea dell'orizzonte sembra sempre così distante, irraggiungibile. Noi avevamo superato tale linea ed ora il verde del mare turbinava nell'azzurro e il grigio del cielo, in una danza immortale di sfumature, perché al mondo non esistono colori numerabili e se volessi elencarvi tutti quelli che creavamo avrei bisogno di innumerabili vite per riuscirci.
«Vuoi uscire?» mi chiese, poggiando il mento sopra la mia spalla. Un fulmine viola squarciò il cielo nero. I tetti della città brillarono come tanti piccoli incendi sui quali cadevano, gelide, le lacrime del cielo.
Mi conosceva bene come il mare conosce ogni singolo centimetro del cielo. Sono compagni dall'inizio dei tempi e lo saranno per l'eternità. Sono due elementi così diversi che sembra impossibile che si amino. Ma in realtà si sono generati dalla stessa bellezza, la stessa dalla quale nasciamo noi. Dicevano che siamo figli delle stelle. Lo sapevate? Siamo costituiti della stessa loro materia. Mare e Cielo sono nati dalle stelle, come noi. Siamo molti più simili di quanto si potrebbe immaginare.
Annuii. Lui posò le labbra sulla mia guancia, vi scoccò un fugace bacio e si allontanò. A diffondersi sotto la mia pelle v'era il solletico del contatto con la sabbia. Infilai le scarpe e corsi fuori dalla sua camera alla velocità del fulmine. Sapevo mi avrebbe seguito senza indugio.
Ci avevano detto in diverse occasioni che eravamo dei pazzi, totalmente folli. Noi ci avevamo fatto l'abitudine. Non che ci importasse: la pazzia è l'energia stessa della vita.
La palazzina dove viveva aveva un cortiletto interno, di forma quadrata, con al centro una piccola vasca che fungeva da moderno impluvium. Ma da quel cortile non si vedeva il cielo. Era solo un quadrato lontano. Le alte mura ostacolavano la mia vista di tempesta, facendomi sentire soffocata e rinchiusa.
Corsi fuori dal condominio, varcando il grande portone in legno, intarsiato di ghirigori che parevan oro. Il portiere, che nella sua uniforme rabbrividiva per il freddo umido, mi squadrò come se fossi una reietta.
Le gocce d'acqua mi punsero fredde la pelle. Nel giro di un minuto i miei vestiti eran zuppi, i capelli incollati al capo. Risi, piroettando su me stessa con le braccia spalancate. Al cielo dissi, con aria di sfida: «Allora? Questo è tutto quello che sai fare?»
Non sentivo il freddo, mi importava ben poco di prendermi un raffreddore. Ero lì, in quel momento, ed era questo ciò che contava. Quello che sarebbe accaduto dopo era solo una sfocata visione, qualcosa che avrei affrontato quando sarebbe divenuto presente.
Lo sentii ridere sotto la pioggia. Rivolse il viso al cielo, lasciando che le gocce giocassero a rincorrersi su ed intorno ad esso. Nei suoi occhi verdi come il mare il grigio del temporale si mescolava alle acque.
Il presente era lì, nitido e certo. Con lui, vivevo il mio presente, senza preoccuparmi di cosa sarebbe successo in seguito. Ogni giorno era così.
La pioggia portò via con sé ogni sentimento negativo, ogni preoccupazione ed ogni paranoia. Le lasciai carta bianca nel lavare la mia anima, sapendo che ne avrebbe avuto estrema cura. Con le mani rivolte al cielo ridevo, ridevo e ridevo. I tuoni illuminavano il cielo e i loro rombi scuotevano il suono. I fulmini saettavano tra le nubi; tutta la loro energia la incanalai e la feci esplodere in me.
Ballammo, saltammo, giocammo sotto la pioggia, con la nostra città intorno che viveva ed andava avanti. Non faceva freddo, con il suo corpo vicino al mio. Il suo sorriso era ciò che avrei voluto vedere per il resto dei miei giorni.
Una piroetta di qua, un saltello di là. Una risata, un abbraccio, un bacio che sapeva di pioggia. Guardandoci da fuori, avrebbero detto che eravamo bambini nel corpo di ventenni. Resta bambino, per sempre.
Eravamo al culmine delle nostre vite. Ci sentivamo potenti, invincibili, immortali, e forse lo eravamo. Tutta la vita ancora da vivere sembrava esser svanita. La vita era lì, ballava sotto la pioggia con noi. La stavamo vivendo. Avremmo vissuto così per sempre. Avevamo in pugno il mondo intero e potevamo fare tutto, bastava chiudere gli occhi ed immaginarlo. Ed eccolo, tutto era a nostra disposizione. Noi eravamo i proprietari delle nostre vite: nessuno ci avrebbe mai detto cosa fare.
"Eravamo come dèi all'alba del mondo, e la nostra felicità era così abbagliante che non potevamo vedere altro che noi."
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