When It All Started
Il bicolore rimase ancora per alcuni minuti fermo lì, seduto sul pavimento, davanti al comodino che fungeva da altare, altare funebre, come se restare inginocchiato a terra potesse riportare lui indietro.
Quanti anni erano passati...? Due, come minimo. O forse tre. Comunque troppi.
Ma a pensarci, cos'era un giorno, un mese, un anno, ora che ogni secondo della sua vita era identico al precedente e sarebbe stato identico al successivo...?
Cos'era un'intera esistenza, se non aveva nessuno a cui dedicarla?
Se era solo, più solo di quanto fosse mai stato?
La sua vita, pseudo vita, era sempre stata racchiusa da una selva di rose, rose rosse e bianche, un bosco folto, forte abbastanza da resistere all'inverno e alla siccità, rigoglioso e vivace, magnifico visto dall'esterno; il punto era solo che, appunto, tutti si limitavano a guardare all'esterno, senza pensare che le rose erano talmente spinose che facevano male, facevano sanguinare, tagliavano, ferivano, ferivano perfino lui stesso.
E lui, lui si era sempre impegnato a nascondere le spine dietro ai petali, nella vaga speranza che le persone non le vedessero, che fossero ingenue abbastanza da non notarle, misericordiose abbastanza da ignorarle, buone abbastanza da accettarle.
Ogni rosa ha le sue spine, d'altronde, anche se cerca disperatamente di nasconderle.
Esistono ancora, dietro l'ombra delle corolle: chiunque si fosse addentrato nel suo bosco di rose ne era uscito talmente martoriato che ne aveva per sempre chiuso la porta, arresosi alla certezza che fosse impenetrabile.
Un impenetrabile bosco di solitudine, che lo ingabbiava e lo imprigionava, incatenandolo nel suo nucleo, mettendo a tacere le parole che cercavano di uscirgli dalla gola, sviluppandosi attorno a lui fino a soffocarlo, con quei petali bianchi come la neve e rossi come il sangue, bianchi come il ghiaccio e rossi come il fuoco.
Un bosco talmente impenetrabile che neppure lui riusciva a conoscerlo del tutto, e ogni porta sbattuta in faccia rendeva quelle rose più forti e rigogliose, ogni rifiuto faceva stringere le loro fronde attorno al collo di un normale ragazzino.
Era cresciuto nella certezza di dover essere perfetto, nella certezza che solo i perfetti vengono accettati e acclamati, nella certezza che solo i numeri uno valgono qualcosa, e quella certezza lo aveva corroso ogni giorno di più, perché era altrettanto radicata in lui la certezza che non ne sarebbe mai stato all'altezza.
Aveva vissuto ogni ora della sua vita in un'infinita rincorsa del se stesso immacolato che tutti volevano, fin quando non era crollato, distrutto, convinto che nessuno l'avrebbe mai aiutato, che avrebbe dovuto farcela da solo.
In quel momento, una mano si era posata sulla sua spalla.
«———❄️——🔥———»
Il secondo anno alla U.A. era stato uno tra i peggiori della sua intera vita.
Proprio quando sembrava andare tutto bene, quando il diventare un "vero eroe" sembrava un obbiettivo così vicino, i nervi che aveva tenuto saldi da sempre, erano crollati, lasciandolo vulnerabile, come un pulcino appena nato, spaventato dal mondo, e i suoi compagni non se n'erano neppure accorti.
La vita andava avanti, anche senza di lui, la vita lo aveva lasciato indietro, e non aveva alcuna intenzione di recuperarlo.
Il senso di solitudine, che da sempre gli stringeva il collo, impaziente di soffocarlo, si era acuito, era diventato uno spillo che gli punzecchiava la gola e il petto, e che voleva squarciare la pelle, spezzare le ossa, smembrare la carne.
Il mondo lo ignorava, i suoi amici, i suoi fratelli, suo padre, potevano tranquillamente continuare a vivere, con o senza Shouto Todoroki.
Era diventato... troppo, semplicemente troppo da sopportare, sentirsi il peso del mondo addosso, le aspettative di tutti sulle spalle.
Perché nessuno sembrava curarsi di lui?
Perché nessuno veniva ad aiutarlo?
Perché nessuno voleva essere il suo eroe...?
Se la società degli heroes era così perfetta e funzionale, perché nessuno faceva caso alla piccola tragedia di un ragazzino che cadeva in pezzi?
Perché era il figlio dell'eroe numero uno eppure nella sua famiglia, l'unico che aveva raccolto i frammenti del suo cuore dimezzato, lo aveva aiutato a rimetterli insieme, gli aveva teso la mano e gli aveva detto che andava tutto bene, era stato il primogenito, il fratello perduto, il figlio rinnegato?
Perché, in una società di eroi, l'unico che aveva avuto il buon cuore di sorridergli era stato un villain?
I nervi erano andati, ma quella situazione stava facendo traballare qualcosa di ben più importante: le sue certezze.
Shouto Todoroki non era più sicuro di nulla, ormai: né del fatto che potesse davvero riuscire a diventare un eroe, né del fatto che quella degli eroi fosse davvero la sponda giusta su cui combattere.
Lui... lui non voleva diventare qualcuno che non si accorgeva di un ragazzo che crollava, lui non voleva diventare qualcuno che non era capace di essere empatico, lui non voleva diventare qualcuno che non riusciva a comprendere chi aveva davanti...
«———❄️——🔥———»
Il terzo anno laggiù, era stato di gran lunga il peggiore.
La sua caduta libera in quell'abisso infinito e oscuro continuava imperterrita, ma aveva perso l'unica cosa che lo tratteneva.
L'esercitazione sul campo, da svolgere fianco a fianco con i pro, in vista della licenza definitiva, consisteva in un attacco frontale alla Lega dei Villain: la missione era stata un successo, grazie a loro si era finalmente riusciti a mettere la parola "fine" agli ideali corrotti dei seguaci di All for One.
Loro, i cadetti, nonostante avessero combattuto in seconda linea, erano stati essenziali per la riuscita del piano: così, mentre a loro lasciavano da sconfiggere i più scarsi e potenzialmente meno pericolosi, i pro si infiltravano direttamene all'interno dell'Unione, in modo da colpire coloro che coordinavano il tutto.
La strategia in effetti era... rozza, ma funzionale, a quanto pareva.
Un altro compito che gli eroi avevano lasciato ai ragazzi era quello di prestare il primo soccorso ai feriti più gravi: nonostante fossero Villain, avevano spiegato i professori, il diritto alla vita è inviolabile, e tutti meritano una seconda possibilità.
Altrimenti non saremmo eroi.
Shouto era stato uno dei pochi che aveva resistito all'eccitazione, e aveva svolto quel suo ultimo dovere impegnandosi: i suoi compagni, tutti, nessuno escluso, erano su di giri come non erano mai stati, dato che il giorno dopo sarebbero diventati a tutti gli effetti eroi.
Che poi, eroi, chi mai sarebbero potuti diventare...
Lui non era neanche più sicuro di volerlo essere.
Per quale motivo aveva continuato ad andare avanti, in quei tre anni, se lo chiedeva ogni giorno. Cosa l'aveva spinto ad alzarsi ogni mattina e andare a scuola, per diventare un eroe. Cos'era un eroe, anzi cos'era che faceva un eroe, la licenza? Il numero di rapine sventate? La quantità di criminali sbattuti in carcere? A cosa servivano gli eroi, se nessuno si preoccupava delle tragedie che si svolgevano nascoste nei bassifondi delle anime, e che corrompevano un cuore fino ad allora sincero? Quelli che la società rigettava come protesi difettose, in putrefazione, i "Villain", non erano altro che eroi spezzati, eroi spezzati che nessuno si era preso la briga di aggiustare.
Le rovine della base nemica erano sufficientemente carbonizzate da dar fastidio a lui, anche con quell'unicità: si aggirava arrancando nella cenere, con gli scarponi bianchi che affondavano fin oltre le caviglie, alla ricerca di feriti ancora in vita, anche se era piuttosto sicuro che non ce ne fossero.
L'ultimo ritrovamento e, di conseguenza, salvataggio, era stato effettuato ormai quasi un quarto d'ora prima da Midoriya, nei confronti della bionda schizzata che li braccava sin dal ritiro nei boschi della prima.
Shouto era rimasto solo, in mezzo ai resti bruciati di ideali che avevano arso nei cuori di persone vere: il silenzio della solitudine, a cui ormai era abituato, lo aveva avvolto come un sudario, mettendo a tacere i dubbi che gli squarciavano l'anima con la loro immensità.
In quel silenzio, l'abisso che cercava di attirarlo nelle sue profondità lo carpiva con i suoi tentacoli neri, e al ragazzo andava bene così; lo preferiva di gran lunga al baccano dei suoi compagni, così eccitati per la licenza.
Avrebbe dovuto andarsene, però.
Sarebbe dovuto andare ad accertarsi dello stato di salute di suo fratello... forse.
Shouto riponeva in lui una fiducia illimitata e quasi cieca, fiducia in lui, nel suo potere e nelle sue capacità, più di quanta riponesse in chiunque altro, compreso se stesso.
Aveva la certezza matematica che suo fratello fosse sopravvissuto.
Aveva sospirato e si era voltato verso l'uscita, affondando praticamente nella cenere; il crepuscolo arancione si indovinava dal corridoio bruciato, la luce alla fine del tunnel, la speranza che, dopo tanta gente sbattuta in cella, dopo tante idee stroncate, il mondo potesse migliorare almeno un po'.
Shouto si sentiva stranamente malinconico, per questo non aveva fatto troppo caso al sommesso gemito che gli aveva risuonato nelle orecchie; erano solo le voci nella sua testa, si era detto, talmente tante volte che se ne era convinto.
Anche quando la voce spezzata si era ripetuta, e anche quando si era fatta sentire sentire una terza volta.
Alla quarta, lui si era girato, di nuovo, verso i resti carbonizzati del locale: un dubbio logorante stava iniziando a corrodergli l'anima, un terrore cieco e irrazionale, anche se sapeva bene che lui non poteva essere lì.
Non poteva.
Vero...?
Aveva acceso un piccolo fuoco per farsi un minimo di luce, mentre ribaltava macerie ridotte in pezzi e spazzava via la cenere bianca: a ogni asse di legno che spostava, l'ansia nel suo cuore aumentava, a dismisura, e più cercava di convincersi che quel gemito se lo era immaginato, più sentiva la possibilità del contrario mettere radici in lui e crescere, crescere, crescere fino a soffocarlo.
Lui era troppo forte per farsi sconfiggere dagli eroi.
Lui non si sarebbe mai fatto piegare.
Il mondo albergava sulle spalle del bicolore ormai da tempo, tanto che ormai si era abituato, o almeno lo pensava: quando scorse tra la polvere una mano ustionata, il peso di quel fardello raddoppiò, spingendolo in basso, facendolo sprofondare nell'abisso che lo tentava, senza speranza.
Aveva sentito le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi, anche se sembravano più spilli che semplici gocce d'acqua.
"Tu... Tu non puoi farmi questo..."
Non sentiva nulla, era vuoto, svuotato, un automa, anche mentre continuava a disseppellire il corpo martoriato ed esangue di suo fratello maggiore.
L'unica cosa che provava era un devastante desiderio che fosse tutto un sogno, un incubo, qualcosa da cui si sarebbe presto svegliato nel suo letto, spaventato a morte.
E invece no.
Shouto aveva sentito il proprio respiro farsi più veloce e più pesante, il cuore battere più veloce, quasi come se potesse compensare l'assenza di quegli elementi nel corpo di suo fratello.
Le lacrime avevano iniziato a rigargli le guance, senza lasciargli neppure l'illusione che sarebbe andata bene, da quel punto in poi.
"Tu... tu non puoi farmi questo..." aveva mormorato, guardando mestamente a terra. "Non puoi farmi questo!!!"
Aveva stretto il suo corpo come se avesse potuto riportarlo in vita, tra i singhiozzi, mentre piangeva, piangeva davvero per la prima volta da quando aveva cinque anni.
"Ti prego... Touya-nii... non andare via...!"
«———❄️——🔥———»
Suo fratello era stato l'unico che c'era sempre stato per lui, e l'unico giorno in cui aveva avuto bisogno del suo aiuto, Shouto era arrivato troppo tardi.
Troppo tardi.
Quelle due semplici parole risuonavano all'interno della sue mente dimezzata.
Rimbombavano come una tetra e malinconica campana a morto.
Se solo non avesse ignorato quegli ultimi gemiti, lui sarebbe stato ancora vivo.
Touya era morto, per colpa sua...
...No, non era vero.
Touya era morto per colpa degli eroi che avevano attaccato l'Unione, Touya era morto per colpa dei suoi compagni, che erano stati troppo focalizzati su quella maledetta licenza per notare che ancora respirava, Touya era morto per colpa di Midoriya che aveva deciso di salvare quella maledetta bionda invece di lui.
Le lacrime che aveva pianto quel giorno erano state la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: qualcosa dentro di lui si era spezzato, non si sarebbe mai più riaggiustato.
Quella fiammella azzurra, l'unica cosa che lo preservava dalla caduta libera nel baratro che lo perseguitava, si era spenta, e ora a lui non rimaneva che precipitare, senza più speranza di redenzione.
Shouto Todoroki si era asciugato le lacrime; nei suoi occhi adesso, non c'era che rancore, odio verso qualsiasi cosa non fosse una crudele vendetta.
«———❄️——🔥———»
Da allora, quanto tempo era trascorso...?
Tre anni, sì, tre anni esatti da quel maledetto diciotto gennaio.
E ogni volta che passavano trecentosessantacinque giorni, lui commemorava suo fratello ucciso dagli eroi e il vecchio se stesso.
Così debole e ingenuo.
Ancora inginocchiato davanti al piccolo e semplice altare, il ragazzo, anzi l'uomo, dai capelli bicolori, sospirò, chiudendo gli occhi eterocromi.
"Mi manchi, fratellone."
Dopo l'omicidio di suo fratello, lui aveva perso tutto, tutto ciò che lo spingeva ad aggrapparsi alla vita, tutto ciò che lo incoraggiava ad andare avanti, tutto ciò che lo teneva ancorato a quel nome e quel cognome, Shouto Todoroki.
Era diventato uno spettro, null'altro che uno spettro, uno spirito col corpo ma senza anima, senza nome, senza cuore, senza nulla.
"Shinigami", avevano iniziato a chiamarlo, si era sparsa la voce in città che nessuno sopravviveva al suo odio omicida.
Aveva radunato attorno a sé numerosi sottoposti, alle sue complete dipendenze, accomunati da un bieco disgusto verso la società, terrorizzati dal suo potere incontrastabile, sulla falsariga della lega a cui era appartenuto Touya, la stessa che aveva debellato il giorno della missione con i pro.
Gli eroi avevano messo loro gli occhi addosso ormai da molto.
La luce bluastra della candela accesa gli bruciava le palpebre, e rendeva l'oscurità tiepida e invitante: un letto profondo e comodo in cui crogiolarsi, tra il dolore, il rimorso, la nostalgia e l'odio.
Perché nonostante fossero passati tre anni dalla morte di Touya, la ferita era ancora aperta, e ancora sanguinava.
Il bosco di rose bianche e rosse che cresceva dentro di lui diventava sempre più fitto, e le spine ogni giorno rendevano quella ferita più grande e profonda, impedendole di rimarginarsi.
Non sarebbe mai guarita, mai, neppure dopo la vendetta che inseguiva da tempo.
Ma forse, quel giorno l'avrebbe finalmente ottenuta.
«———❄️——🔥———»
Come previsto, gli eroi attaccarono frontalmente il quartier generale, forti della superiorità numerica e delle competenze in materia di combattimento.
Il bicolore impartì semplici e severi comandi, ordinando ai membri della Nuova Lega di disporsi secondo uno schema "a scrematura", in modo da mandare i meno capaci, in massa, a battere gli eroi più scarsi, mentre gruppi sempre meno numerosi di gente più competente combattevano gli Hero più potenti.
In modo da lasciare che Deku, il Simbolo della Pace, fosse l'unico ad arrivare al duello con lo Shinigami.
Il bicolore sentiva i rumori delle lotte, dalla stanza in cui attendeva il suo aguzzino, sentiva il sangue ribollirgli nelle vene al pensiero della tanto agognata vendetta, sentiva la voglia di combattere che lo pervadeva, la voglia di sentirsi sulle mani il sangue, il sangue di colui che impersonava le stesse speranze della società, e dimostrare così che ciò che è creduto eterno non è che un bocciolo effimero e fragile, alle dipendenze del primo soffio di vento che potrebbe sradicarlo.
Il rumore di passi si faceva sempre più forte e vicino, una corsa sconnessa ma ostinata, la corsa di qualcuno che è consapevole della propria debolezza ma non si arrende.
Il bicolore avrebbe riconosciuto quell'andatura tra mille: Midoriya Izuku, sussurrò leccandosi le labbra, appoggiato con le braccia incrociate contro il muro.
Attese freddamente che l'eroe sfondasse la porta con un calcio: gli occhi verdi brillanti di determinazione, circondato da saette smeraldine, in una soffusa luce biancastra, il glorioso Simbolo della Pace, il nuovo All Might, colui che sarebbe stato capace di salvare tutti.
Lo stesso che, tre anni prima, non aveva salvato Touya.
Il bicolore sorrise nell'ombra: be', se Deku era il Nuovo All Might, lui sarebbe stato il nuovo All for One.
Sbarrò la porta con un imponente muro di gelido ghiaccio prima che potessero entrare il biondo e la castana.
Com'era che anche quei due, avevano passato la schiera di Villain che aveva lasciato a fermare tutti gli Hero coll'unica eccezione di Deku?
I suoi sottoposti l'avrebbero pagata cara... ma per ora, l'unico che doveva pagarla, e su cui poteva concentrare completamente le proprie attenzioni, era il dannato assassino che aveva davanti.
Assassino...? Detto da lui. Non era per nulla credibile. Come si era ridotto male, tanto vuoto da non poter neppure più insultare qualcuno.
Un sorriso amaro si fece strada sulle labbra del bicolore, mentre lui alzava la testa: contemplò un velo di tristezza che calava sulle vivaci iridi verdi dell'eroe.
"Shouto Todoroki." mormorò Deku, mettendosi in posizione d'attacco.
Come se avesse lasciato a lui l'opportunità di attaccare per primo.
Il villain, se così poteva definirsi, storse il naso, disgustato. Quel nome non gli apparteneva più. A dir tutta la verità, non gli era mai appartenuto. Non era mai stato suo.
"Shouto Todoroki, che nome vuoto e privo di significato." ribatté, assottigliando gli occhi blu e grigi. "Così chiami un fantasma, Deku. Un fantoccio, come te."
Silenzioso e veloce, un sottile filo di fuoco rosso andò a limitare il perimetro della stanza, divampando sulle pareti, imprigionando i due in una luminosa e infernale gabbia di calore bollente.
Due prigionieri in una gabbia d'oro.
Un angelo e un demone in una prigione celeste, nello scontro eterno che andava avanti da sempre, bene contro male, bianco contro nero, innocenza contro peccato.
Il fuoco non sciolse la parete di ghiaccio che bloccava la porta: per quale motivo Deku non l'aveva distrutta prima, così da permettere agli altri due eroi di aiutarlo...?
"Todoroki, io non..."
Prima che potesse continuare la frase, il bicolore lo immobilizzò nel ghiaccio.
Si aspettava che l'eroe lo distruggere, semplicemente schioccando le dita, invece no.
Perché diavolo non contrattaccava, o almeno si difendeva?
"Morrai." disse, fermo e deciso come la Morte stessa.
Deku strinse i denti, anche se gli risultava difficile smettere di batterli per il freddo: "Todoroki..."
"Morrai." ripeté il villain.
L'eroe saltò, liberandosi dai cristalli che gli bloccavano le caviglie, ma non fece in tempo neppure ad atterrare che il suo avversario si era voltato e lo aveva accolto con una vampata di fiamme; queste avvolsero l'eroe e lo spinsero con la loro potenza contro la parete, anch'essa infuocata.
Il calore bruciacchiò il costume verde di Deku, mentre la botta contro il muro lo fece tossire.
Un'appuntita lama di ghiaccio si avvicinò pericolosamente al suo collo, ma non fece in tempo ad arrivare sulla pelle: venne distrutta pochi secondi prima.
Deku, temporaneamente libero, tornò a terra, si acquattò e, con le gambe, si diede la spinta, in modo da arrivare addosso all'altro, che colpì con una ginocchiata sullo stomaco; il bicolore gli afferrò il polso con la mano sinistra, bruciando il costume, ustionando la pelle dell'eroe e scagliandolo di nuovo verso il muro.
L'Hero gridò, mentre il villain lo guardò disgustato: era accucciato a terra, si stringeva la mano bruciata e serrava i denti.
"Tutto qua ciò che sai fare?" chiese con fare sarcastico il bicolore, scrutando il nemico. "Sarai mica rimasto l'incapace che lasciai tempo fa...?"
L'eroe si mosse tanto velocemente che, sotto il punto di vista dell'avversario, ci fu solo una saetta verde e, poi, la sorda e confusa sensazione del dolore, di un forte pugno sul naso.
Il bicolore cadde a terra, frastornato, e si asciugò il sangue dal viso; tentò di alzarsi, solo per scoprire che l'eroe lo aveva bloccato sul pavimento, tenendogli il ginocchio sulla gola.
Chissà quanto potente credeva di essere, per fermarlo in quel modo patetico.
"Credi che non me ne sia accorto?" iniziò Deku, con un dolce sorriso amaro sulla labbra. "La strategia che stai sfruttando... È la stessa che utilizzammo il giorno dell'esame finale, in terza."
La sua voce era piena di tristezza e nostalgia, e di speranza.
Lui lo conosceva, quel tipo di speranza, che qualcuno non fosse del tutto perduto.
La stessa che aveva perso tre anni prima.
Proprio per colpa sua.
"Il giorno in cui voi eroi uccideste mio fratello." ribatté acido.
All'espressione confusa dell'hero, l'altro rispose con un sorriso spezzato: esattamente come pensava, non riusciva neppure a ricordarlo.
La vita di un essere umano valeva tanto poco ai suoi occhi.
"Dabi." aggiunse, a denti stretti. "Se solo tutti non avessero avuto per la testa solo quella maledetta licenza, sarebbe ancora vivo. Se solo tu avessi salvato lui, invece di quella ragazza bionda, sarebbe ancora vivo."
Dabi, il criminale delle fiamme blu.
Dichiarato morto il diciotto gennaio di tre anni prima, per soffocamento, sotto la cenere, dopo l'agguato degli eroi all'allora famigerata Lega dei Villain.
La cosa che era rimasta nascosta ai mass media, però, era che "Dabi" era in realtà il falso nome di Touya Todoroki: All Might glielo aveva svelato in quanto suo successore, in modo che lui potesse fare ricerche per conto suo.
Shouto, in quell'attacco, aveva perso suo fratello maggiore.
Anche per colpa mia, realizzò Deku: dopo che aveva messo al sicuro la bionda, si era diretto di nuovo alle macerie dell'edificio, per un ultimo controllo, ma si era fatto distrarre dai suoi compagni, festanti per successo e per la licenza.
Se solo fosse stato più diligente, magari il fratello di Shouto non sarebbe morto.
In parte, la colpa della sua morte, e quindi della corruzione dell'amico, ricadeva anche sulle spalle dell'eroe.
Un eroe che salva tutti, mormorò tra sé e sé, e non è stato capace di aiutare il suo migliore amico...
Il villain approfittò dello stato di sorpresa, in cui l'altro si stava crogiolando troppo a lungo, per tirargli un pugno, che venne prontamente schivato, ma lo costrinse ad alzarsi: pochi secondi dopo, i due erano di nuovo in piedi l'uno di fronte all'altro.
L'uno con il viso sporco di sangue, l'altro con il polso bruciato.
"Todoroki... questo non sei tu... torna quello che eri prima..." mormorò tristemente Deku.
Lui non aveva mai perso la speranza, il suo migliore amico non poteva essere del tutto corrotto, non era possibile. Non sarebbe riuscito a sopportare il contrario, mai.
Todoroki, per sua natura, sarebbe sempre stato l'eroe con un lato oscuro, oppure il criminale misericordioso: non sarebbe riuscito a essere completamente buono né cattivo, e andava benissimo così, al mondo non esistevano solo bianco e nero, c'era anche il grigio. Su questo Deku voleva far leva, perché se, durante la scuola, Todoroki si era dimostrato un eroe controverso, da Villain avrebbe dovuto esserlo altrettanto.
Voleva disperatamente riparare al torto che aveva commesso all'amico, anni prima: il rimorso lo aveva tormentato, perché lui sapeva che, se Todoroki era finito in quel modo, la colpa era anche sua.
Che razza di amico aveva dimostrato di essere, senza neppure accorgersi che il ragazzo dalla doppia unicità crollava in pezzi?
Deku avrebbe risolto tutto, tutto quanto, e gli avrebbe finalmente chiesto perdono.
L'eroe tese la mano e sorrise speranzoso, incoraggiando il compagno ad afferrarla.
Ti aiuterò, diceva quel sorriso, non è tutto perduto, e anche lo fosse, ti aiuterei a ritrovarlo...
Il bicolore lo guardò con odio.
Quella mano tesa... buffo, gli veniva offerto aiuto ora che non se ne faceva più nulla, ora che era incorreggibile, irrecuperabile, irredimibile, ora che le sue rose gli avevano prosciugato il cuore, soffocandolo con le loro spine; mentre quando ne aveva avuto più bisogno... quando avrebbero potuto davvero aiutarlo, non l'avevano fatto.
Durante quegli ultimi due anni di scuola, aveva pregato ogni sera che una mano si tendesse, e invece no.
Quella mano non si era tesa per lui, non si era tesa neppure per Touya.
Il bicolore sentì una folle risata di scherno risalirgli su per la gola, dal profondo del suo essere: "Quello che ero prima...?! E che cos'ero prima, sentiamo? Una persona normale? Un eroe...? Prima ero solo una marionetta, la sagoma del ragazzo ideale, da riempire di circostanze e diligenza, e invece ora guardami...!! Guardami!! Non sono un fantoccio, non sono il ragazzo perfetto, non sono alle dipendenze di mio padre, non sono alle dipendenze degli eroi, della società, non sono alle dipendenze di nessuno!! Le scelte che faccio sono sempre più sbagliate ma sono mie!!" esclamò, ridendo.
Una sola lacrima gli rigò la guancia, mentre il suo sorriso spezzato si allargava: non si era mai sentito meglio, e non si era mai sentito peggio. Le due cose si compensavano a vicenda, dandogli la sensazione di essere nient'altro che vuoto.
"Su una sola cosa hai ragione, Deku: questo non è Todoroki Shouto. Todoroki Shouto è morto tre anni fa, insieme a suo fratello, ed è morto per colpa vostra, che non l'avete trattenuto dal lato dei vivi...!" terminò.
Da destra cristalli di ghiaccio, da sinistra lingue di fuoco aggredirono il giovane eroe, che si limitò a saltare, per poi atterrare dietro alle spalle dell'avversario e attaccarlo con un semplice calcio: troppo veloce perché il bicolore riuscisse a proteggersi, lo spedì a terra, a pancia in giù, dove venne bloccato.
L'eroe gli teneva un piede sulla schiena; fece calare l'altro sul braccio destro del nemico, spezzandogli con un colpo secco le ossa.
Il bicolore trattenne uno straziante urlo di dolore, lanciò al suo aguzzino un folle sguardo pieno d'odio, ma Deku disse semplicemente: "Perdonami, Todoroki, perdonami per tutto quanto... Io non voglio ucciderti."
"Codardo..." gemé il diretto interessato.
Le scuse non servivano più a nulla ormai.
Deku rimase fermo, limitandosi a tenere l'altro bloccato a terra: si sentiva in colpa anche solo a fare quello, sapendo quanto la vita aveva fatto soffrire il suo attuale avversario, senza che lui meritasse nulla, nulla di ciò che gli accadeva.
Sulle prime, l'eroe non se se accorse, capì solo quando era troppo tardi: lame di ghiaccio, tanto sottili da non essere state notate, si cristallizzavano attorno alle sue caviglie, bloccandole a terra, incollandole al pavimento, anch'esso coperto di nevischio, così da creare attorno a lui una gelida prigione su misura, un guscio che gli dava la sensazione di essere più una bara, una fredda tomba, che sembrava risucchiargli le energie rimaste, che sembrava volerlo cancellare completamente dalla faccia della terra, come punizione per i suoi peccati.
La distrusse, ma quella andò a ricrearsi, ancora, ancora e ancora, ostinata, e non si limitava a tornare com'era prima, ma cresceva, diventava più fredda, più spessa e arrivava più in alto, tanto che, dopo poco, Deku si arrese e rimase fermo, a battere i denti.
Lui, in fondo, un po' se lo meritava, se la meritava la vendetta di Todoroki, doveva ammetterlo e subire le conseguenze di ciò che aveva fatto, o meglio che non aveva fatto.
I sottili cristalli appuntiti avevano ridotto a brandelli il suo costume, arrivando a incidere superficiali tagli sanguinanti sulla sua pelle, mentre la sensazione di freddo diventava più insostenibile a ogni secondo che passava.
Un'altra onda di ghiaccio lo sbatté violentemente contro il muro, togliendogli il fiato: il bicolore si alzò e si trascinò davanti al nemico.
Sul suo braccio sinistro divamparono le fiamme, che si diressero senza esitazione verso il busto dell'eroe, libero dal ghiaccio.
Il contrasto tra i due elementi opposti era, sulla pelle di Deku, una sensazione tanto intensa da poter rispondere senza problemi al nome di dolore, dolore devastante, più di quanto credesse possibile dal semplice accostamento di gelo e calore: il fuoco gli bruciacchiò i capelli verdi, lasciandolo senza più forze.
"Codardo..." mormorò con voce spezzata il villain, barcollando. "Solo un braccio rotto, non è da te... Non dovresti aver pietà per che non ricambia..."
Aveva sempre mal sopportato la troppa misericordia che Deku mostrava in certi casi, perfino per gli insetti.
Lui non voleva essere trattato con misericordia, non da un eroe, non quando quel suo maledetto bosco di rose era stato tanto spietato.
"Non uccido gli eroi." ribatté fermo Deku.
"Non sono un eroe!!" gridò il bicolore, infuriato. Il fuoco lo avvolse come un mantello accecante, riflettendosi nei suoi occhi pieni di odio livido. "Guardami!! Ti sembro un eroe? Sono uno spettro, un criminale, un assassino, sono quanto di più opposto a un eroe possa esistere!!"
Tossì, tossì sangue, che andò a macchiare il pavimento di rosso: il sapore che gli invase la bocca era dolce e aspro allo stesso tempo.
"Devo dimostrartelo...?" chiese, ironico. "Basterà che io soffochi le tue urla di dolore, di paura, di tormento, così che nessuno le ascolti, anzi che nessuno le senta... proprio come faceste voi con mio fratello...? Basterà che io rubi il battito del tuo cuore, così pieno di speranza? Basterà che io ti strappi il respiro?"
Il bicolore ignorò il dolore bruciante che inondò il braccio rotto, per brandire contro il nemico una lama di fuoco dorato. Forse quell'arma avrebbe dovuto ardere come la sua anima, invece... no. Davvero, non sentiva assolutamente nulla, a parte la consapevolezza di essere colpevole agli occhi di tutti, dal primo all'ultimo.
La vista di Deku sconfitto gli rammentò vagamente il se stesso di prima, debole, ma anche sfocati ricordi che avrebbe volentieri cacciato indietro: i suoi... amici...? Se così poteva definirli. Patetico, in tre anni non aveva mai neppure pensato a loro, e invece allora...
Il bicolore strinse i denti e chiuse gli occhi, lasciando che una lacrima ne scivolasse giù, alimentando il fuoco fino a bruciare la sua stessa pelle, crogiolandosi tristemente in quel dolore così familiare e accogliente.
L'ultimo colpo.
Il colpo di grazia.
Deku, tossì, bloccato tra il ghiaccio e le fiamme: la stanza iniziava a riempirsi di fumo, e respirare diventava difficoltoso, anche perché i suoi polmoni erano ingabbiati nel nevischio, atrofizzati. Anche se il villain non l'avesse attaccato, sarebbe morto presto comunque. Asfissiato.
Sorrise tristemente. Cosa gli era saltato in mente, ad affrontare da solo lo Shinigami? Era sempre stato un gradino più in basso a lui, sin da quando lo aveva conosciuto; cosa sperava di fare, con quello scontro? Cosa sperava di riparare? Non c'era più nulla, implorare perdono non sarebbe più bastato. L'eroe dovette ammettere che si era fatto accecare dall'affetto che provava per il suo vecchio amico, che era stato davvero un idiota, a non comprendere la strategia dell'altro e mettersi fuori gioco da solo, sprecando le forze a distruggere la prigione di ghiaccio, sottovalutando la capacità che il villain aveva anche nel padroneggiare il fuoco.
Il suo corpo era intorpidito, immobile, come la sua mente, dalla sensazione delle spine ghiacciate che gli graffiavano il collo, il petto, le braccia, le gambe, ma anche il cuore e l'anima.
Quel freddo e quel caldo gli stavano dando alla testa, ma mentre la vista gli si annebbiava, la visione del suo migliore amico, colui che ancora considerava il migliore amico, nonostante fosse spezzato... aveva vinto.
Lui aveva vinto, finalmente, aveva vinto quella che considerava la battaglia più importante della sua vita grigia e arrugginita.
Lo avrebbe ucciso, avrebbe ucciso Deku, il Simbolo della Pace, avrebbe messo a tacere il mondo, avrebbe dimostrato che la pace non c'è, non esiste, non finché nessuno fa caso alle piccole tragedie di ogni giorno che stroncano le speranze di qualcuno, alle paroline che, a forza di sentirsele dire, spezzano una persona.
Il fuoco dell'inferno divampava sulla sua pelle talmente bollente da sembrare gelido, corrodeva il suo corpo, e con esso ciò che restava della sua anima corrotta.
Talmente oscuro e maestoso, nella sua regalità, che sembrava quasi un angelo, un angelo giustiziere, circondato dal glorioso fuoco del paradiso.
Deku non riuscì a fare a meno di pensare una cosa.
Sul viso lentigginoso dell'eroe apparve un gentile sorriso malinconico, probabilmente l'ultimo. Con la poca aria gelida che gli rimaneva nei polmoni, riuscì a sussurrare: "Alla fine hai capito che è il tuo potere, Todoroki..."
«———❄️——🔥———»
Quelle parole.
Gli avevano strappato il respiro, come se noi suoi polmoni non ci fosse più spazio per l'aria, troppo pieni di fumo e follie, petali e spine di rose che lo soffocavano.
Come se il fuoco avesse consumato tutto l'ossigeno, lasciando da respirare solamente nebbia tossica e radioattiva, che distruggeva il suo corpo dall'interno, incurante di tutto quanto.
L'avevano fatto sentire come se fosse lui quello ibernato, ma non nel ghiaccio, bensì nella sua magnifica gabbia di fiori.
Le rose si strinsero attorno al suo collo, tagliando la pelle, facendo stillare gocce di sangue come piccoli rubini, e lui sentiva di annegare nel suo stesso sangue, nelle sue lacrime trattenute, sentiva di voler sparire, per cancellare tutti gli errori che aveva commesso.
Quei fiori magnifici erano come un cappio stretto al suo collo, che gli impediva di parlare, di gridare, di implorare aiuto, di chiedere perdono.
La diga dietro a cui arginava se stesso era piena di crepe, lo era sempre stata, debole, come lui, che era stanco di vivere rincorrendo qualcosa per andare avanti.
Il bicolore sgranò gli spenti occhi eterocromi, si trovò impietrito, senza speranze com'era da anni, solo, perduto nel suo abisso oscuro.
Era fuggito da coloro che lo ritenevano la vuota marionetta di un ragazzo perfetto, ed ora si era ridotto perfino più inutile e trascurabile di un rifiuto all'angolo della strada, che nessuno avrebbe notato.
La fiamma blu che lo aveva fatto uscire dall'ombra si era spenta, e lui si era smarrito tra i più bui meandri del suo bosco di rose rosse e bianche, con un solo motivo che lo spingeva a mettere un passo davanti all'altro, un solo motivo che gli dava l'illusione di star lottando per qualcosa.
Avanti.
Uccidilo.
L'ultimo colpo.
Il colpo di grazia.
Avanti.
La tua vendetta.
La giustizia per Touya.
Che aspetti, idiota?
Perché esiti?!
«———❄️——🔥———»
Già, perché esitava?
Che cosa diavolo gli stava passando per la testa?
Erano solo parole, nient'altro che mere parole, non avevano il potere di far nulla, assolutamente nulla che lui non volesse.
Anche se, in un angolino remoto della sua mente, sapeva che non era così.
Nient'altro che mere parole potevano uccidere un'anima, potevano trasformare qualcuno, da leggero come le nuvole, a pesante come cemento, potevano gravare sulle spalle di chi le aveva pronunciate fino a trascinarlo lentamente verso la follia.
Nient'altro che mere parole sarebbero state capaci di trattenerlo dal lato di vivi, invece di farlo sprofondare nella corruzione.
Nient'altro che mere parole sarebbero state capaci di salvarlo.
Nient'altro che quelle mere parole erano state capaci di farlo ritrovare, cinque anni prima, al torneo.
È il tuo potere, Todoroki.
Aveva... aveva perso se stesso, allora.
E quelle parole erano state il suo faro, la luce che era riuscita a riportarlo a casa, la mappa che aveva seguito per ritrovare Shouto Todoroki, attraverso la selva di rose che era cresciuta attorno a lui.
Quelle parole avevano fatto crollare malamente le certezze che aveva avuto fino a quel momento, salde da dieci anni.
Ora si era perso, di nuovo.
E quelle parole erano state, di nuovo, ciò che lo aveva condotto all'origine.
Le sue certezze stavano barcollando, un'altra volta, dopo tre anni in cui erano state ferree.
Maledetto, maledetto Midoriya...
Midoriya, era stato il suo angelo custode.
Non lo aveva mai abbandonato, anche se aveva contemplato la sua miseria, lo aveva guidato fino a un posto sicuro, tenendo lontani i mostri che lo perseguitavano e che non aspettavano altro che sorprenderlo solo nell'oscurità, per sbranarlo.
Il bicolore non comprese subito ciò che era accaduto.
Vide solo il ghiaccio che imprigionava Deku sciogliersi lentamente, come se stesse piangendo, vide l'eroe che scattava in avanti, ancora parzialmente bloccato, tendeva la mano, sentì che urlava, con le lacrime agli occhi: "No!"
La sensazione che il suo cuore battesse a rilento, sempre più debole, come il suo fuoco, che andava spegnendosi, come aveva fatto, prima di lui, quello di Touya.
Poi il dolore sordo e improvviso di una lama che gli penetrava nel fianco, che gli mozzava il fiato.
Non riuscì neppure a urlare, si limitò a cadere a terra, e rimanere agonizzante lì, come un verme, mentre le lacrime tornavano a rigargli le guance, come unica valvola di sfogo per tutto ciò che nella sua insignificante vita aveva tenuto segregato, all'interno della sua mente, senza mai mostrarlo a nessuno, tormenti, e sangue, e follie, e mostri, e demoni, che occupavano abusivamente la parte più profonda della sua anima.
Il ghiaccio, i magnifici cristalli di ghiaccio argentato che si erano formati sul soffitto, in assenza del suo controllo, avevano ceduto alla gravità, cadendogli addosso, insieme con tutte le torture che aveva subito, che gli avevano inflitto, che si era auto-inflitto in quei ventun anni, nel tentativo di diventare qualcuno.
Che morte patetica, sorrise tra sé e sé, schiacciato dal peso di te stesso.
Il sorriso si allargò, divenne una macabra e malinconica risata, spezzata da colpi di tosse convulsi, ognuno dei quali lo portava più vicino alla pace, oppure alla dannazione.
Rideva per non piangere, rideva perché era davvero ridicolo, patetico, tutto solo nella sua gabbia di rose, sotto una campana cristallina, col suo cuore di vetro, la sua mente di pietra.
Rideva perché aveva passato tutta la vita alla ricerca di un posto da chiamare "casa", mentre l'unico posto che avrebbe mai potuto accoglierlo era l'inferno.
Il calore vitale abbandonava il suo corpo gelido una goccia dopo l'altra, quando sentì delle braccia stringerlo delicatamente.
"Todoroki, no, tu non puoi morire così, non te lo permetto..." mormorò Deku, piangendo.
Prese la mano dell'altro, stringendola, come se volesse trasmettergli il suo calore, il battito del cuore, il respiro, la vita.
"Sei troppo forte per finire così, no, Todoroki?"
Aveva le guance lentigginose rigate di lacrime, e un sorriso sulle labbra.
Quelle dannate labbra, se le avesse tenute chiuse nulla di tutto ciò sarebbe accaduto...
«———❄️——🔥———»
E così, dove tutto era iniziato...
Il dolore aumentava a ogni secondo, la vista diventava sempre più sfocata, il sangue scivolava a fiotti via dalla ferita.
Come sei codardo, alla fine morrai senza essere né Hero né Villain.
Un lieve sorriso amaro apparve sul viso di Shouto, mentre le spine delle sue bellissime rose, tanto magnifiche quanto letali, strappavano via dal suo corpo l'ultimo brandello dell'anima corrotta, ma a suo modo splendente.
"Perdonami, perdonami per tutto..." sussurrò, nel suo ultimo alito di vita. "...Midoriya..."
...tutto era finito.
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