Chapitre 27

STITCHES

— Una, due, tre. Guarda, papà, accanto a quella ce n'è un'altra! Cinque, sei... sette! Papà, perché più le guardo più ne compaiono? — chiedo a mio padre senza distogliere lo sguardo dal cielo.
Io e lui siamo stesi sul prato dietro casa nostra ed entrambi sappiamo che io dovrei andare a dormire perché domani ho scuola, ma guardare le stelle è sempre stato il nostro passatempo preferito quando mio fratello è fuori con i suoi amici.
— Perché loro ti guardano e più si accorgono di quanto sei bella, più amiche chiamano. Le stelle sono sempre delle birbanti curiose — risponde come quando ero piccola, ma ormai ho quattordici anni, non mi servono queste storielle. Io voglio la realtà.
— Papà, dimmi la verità.
— E va bene. Ci sono stelle più vicine e altre più lontane di anni luce, perciò le vediamo dopo.
— Preferivo l'altra spiegazione — ammetto con un sorriso.
— Lo so. Resterai sempre la mia bambina che gioca con la luna.
— Quindi tutte le sere le stelle ci guardano?
— Le stelle sono i nostri fantasmi del passato che ci osservano e ci guidano. I loro spiriti vivono in noi e nel nostro cuore, nella nostra memoria. Se le ascolti bene, potrai sentirle raccontare storie che solo tu conosci.
— Come il piccolo principe?
— Esatto. Il concetto di fondo è che ogni cosa può portare a un ricordo o ad un'emozione, devi solo essere in grado di riconoscerla. La volpe avrebbe visto i capelli del piccolo principe nel grano, il pilota avrebbe sentito la sua risata nelle stelle.
— Per questo suoni? Per darmi tanti ricordi belli? — Mi sembra di essere tornata bambina, quando gli facevo tante domande e lui mi dava troppe risposte solo per farmene porre altre.
— Proprio così. La musica è il più grande tramite tra noi e i ricordi. Una canzone, la sua melodia o il suo testo può suscitare in noi visioni del passato o sentimenti.
Stringo forte il ciondolo che mi ha regalato Shawn mentre vengo scossa dai singhiozzi in preda a un pianto isterico. Mi raggomitolo su me stessa, sul mio letto, con una mano davanti alla bocca. Faccio un respiro profondo, ma solo per singhiozzare più forte. Mio padre mi manca così tanto... Vorrei che fosse qui, che mi vedesse come la sua principessa con ancora l'abito del ballo indosso, che conoscesse Shawn e gli dicesse quanto io sia la sua bambina a cui lui non deve torcere un capello. Vorrei che gli raccontasse le nostre serate sotto i fortini, o le domeniche in pasticceria, tutto quello che abbiamo condiviso secondo il suo punto di vista che io non ho mai avuto la possibilità di ascoltare.
Mio fratello si sveglia e, vedendomi piangere, si precipita su di me. — Qu'il t'est arrivé? Si Shawn t'a fait quelque chose...
— Mi manca papà — lo interrompo. — Mi manca da morire. — Prova ad abbracciarmi, ma io mi alzo velocemente e mi infilo un paio di ballerine ai piedi. — Ho bisogno d'aria.
Mi strucco ed esco di casa. Non so dove sto andando, so solo che ci sono delle case, il marciapiede e le stelle sopra di me.
— Sicuro se ne stava / nella sua casa di campagna, / il sole detestava / sul versante della montagna — canticchio saltando sulle foglie. In autunno i viali di Parigi sono sempre pieni di foglie colorate ma secche, e io mi diverto sempre a saltarci sopra come quando, a scuola, giocavamo a campana.
— Facciamo il gioco «cosa vedo» — propone mio padre con la mano nella mia.
— Inizio io! Vedo, vedo... Una casa. È di zucchero filato e ha le finestre di pan di zenzero.
Si guarda intorno e mi indica ciò che ho visto, costringendomi ad annuire. Ogni volta che usciamo giochiamo a «cosa vedo»: si sceglie un oggetto e lo si descrive tramite metafore.
— Io vedo... Un cagnolino. È un topo.
— Quello è un chihuahua, papà! Non hai immaginazione!
— Come lo descriveresti?
— È un piccolo pipistrello di cioccolato avvolto da uno strato di glassa rossa contro il freddo.
— Capisco che abbiamo appena comprato almeno un chilo di dolci e non vedi l'ora di mangiarli, ma sono per la visita di zia Sue e la piccola Jessy — scherza.
Mi accascio a terra, sicura di poter sentire l'umidità delle foglie sotto i polpastrelli. Mi copro il viso con le mani e sfioro l'asfalto con la fronte, avvolta da un altro ricordo.
— Papà, ero sicura di averlo messo qui! — lo chiamo. — Papà, capisco che il Paris Saint-Germain sia più importante di una cena, ma è il compleanno di Louise, devo andarci!
— Va bene, piccolina, che ti serve? — mi chiede distogliendo per la prima volta lo sguardo dal televisore.
— Il regalo per Louise. È un pacchetto rosso a pois bianchi.
— Quando eri piccola eri meno agitata — nota.
— Quando ero piccola ero anche più sicura di me stessa.
Mio fratello entra in salotto e mi squadra con un sopracciglio alzato. — Dove pensi di andare così conciata?
— Perché? — risponde mio padre. — Io penso sia bellissima.
— Sembri una prostituta.
Resto a bocca aperta dallo shock e mi chiudo in camera mia a piangere.
Qualcuno mi avvolge le spalle con una giacca. Non mi ero accorta di star tremando dal freddo. — Cosa succede, babe? — mi chiede la voce inconfondibile di Shawn.
Era da un po' che mio padre non tormentava i miei sogni, ma stanotte mi ha attanagliata fin dentro l'anima e non riesco a smettere di trovare ricordi legati a lui in qualsiasi cosa mi circondi. Mi stringo a Shawn. — È ovunque — farfuglio.
— Papà, guarda, ho farina ovunque! — mi lamento dopo che Eric me ne ha tirato addosso una sacca.
— Eric — lo rimprovera mio padre, — smettila di sporcare tua sorella.
— Hai da dire solo questo? Sul serio, papà? Come faccio a far andare via la farina dai capelli, secondo te?
— Con l'acqua? — si intromette mio fratello.
Sbuffo e me ne vado in camera. Tiro un pugno alla porta per la frustrazione e la rabbia. Con quale arroganza si permette Eric di prendermi in giro? Sobbalzo quando la porta si apre, anche se lentamente, e mio padre si affaccia. Mi abbraccia di slancio e mi aggrappo alla sua maglietta per non piangere.
— È in questi momenti che mi manca tua madre — sussurra. — Io non so come gestire una ragazza con sbalzi d'umore.
— È in questi momenti che penso tu sia un padre fantastico — ribatto ridacchiando.
— Smettila. Esci dalla mia testa. Esci. Dalla. Mia. Testa! Fallo smettere, Shawn, ti prego, fallo smettere!
— Chi? Chi è ovunque, Cheri?
— Mio padre! Fallo uscire, Shawn, ti prego, per favore!
— Okay, baby, vieni con me.
Mi aiuta ad alzarmi e apre la porta di casa sua. Sento sua madre e sua sorella intorno a me, ma Shawn dice loro che non è il momento di fare domande e mi fa sedere sul divano mentre Spinee mi segue.
— È ovunque — ripeto in un sussurro con ancora le lacrime che scorrono copiose sulle mie guance.

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