Chapitre 25
HONEST
Faccio un respiro profondo prima di bussare alla porta di mia madre, con Shawn al seguito. Quando qualcuno apre rimango a bocca aperta: mi sembra di stare guardando il mio riflesso allo specchio, un riflesso simile all'ombra di Peter Pan, che non segue ciò che faccio io. Sbatto le palpebre per non piangere. Mia madre è giovane, nessuna ruga compare sul suo viso; ha due grandi occhi azzurri, un piccolo naso all'insù e le labbra leggermente carnose. Il volto è incorniciato da una massa di boccoli bruni fino alle spalle con colpi di sole biondi qua e là. Indossa una maglietta azzurro cielo a mezze maniche, un paio di pantaloni a pinocchietto neri e delle infradito a pois verdi e celesti.
— Cheri — sussurra con spiccato accento francese.
— Mamma — rispondo con la voce rotta. Ci abbracciamo e io sento improvvisamente la mancanza di tutti questi anni abbattersi su di me. Non è vero che non possiamo soffrire di ciò che non abbiamo mai avuto: mia madre se n'è andata dopo una settimana dalla mia nascita, è come se non l'avessi mai conosciuta, eppure mi sento soffocare al solo pensiero che non mi sia stata accanto per diciassette anni. Singhiozzo con le lacrime che le macchiano la maglietta. — Mamma — la chiamo ancora.
Racchiude la mia camicia nei suoi pugni e affonda il volto nel mio collo. — Oh, tesoro. Non sai quanto è bello averti di nuovo tra le mie braccia.
Passa un tempo che a me sembra infinito prima che entrambe riusciamo a calmarci e a smettere di piangere. Mia madre stringe la mano a Shawn con un sorriso radioso prima di invitarci a entrare.
Al piano terra vi è un open space luminoso e moderno: le pareti sono bianche come il sofà – su cui è steso un copri-divano grigio scuro –, le ante dei mobili, degli armadietti della cucina e le sedie della sala da pranzo. Il telaio dei mobili è in legno di frassino e il piano di lavoro della cucina è di marmo, mentre gli unici colori sono le costole dei libri sulle mensole, le foto qua e là e i frutti sul tavolo di vetro della sala da pranzo.
— Hai una... bellissima casa — mi complimento sedendomi sul divano.
Shawn si siede sul bracciolo accanto a me e mi mette una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento, mentre mia madre si siede sul tavolo da fumo davanti a me. — Avrai un sacco di domande — mi incita.
Scuoto brevemente il capo con la bocca aperta nel tentativo di dire qualcosa. È strano parlare con mia madre, in casa sua, dopo così tanto tempo in cui ho pensato fosse morta. — Non so da dove cominciare — ammetto. — Credo che sarebbe meglio iniziare dal principio... Perché te ne sei andata?
Chiude gli occhi e abbassa il capo. — Prima di conoscere tuo padre ero una poliziotta. Indagavo su un giro di droga e prostituzione minorile in incognito. Possiamo dire che facevo il doppio gioco, se preferisci. Il capo, un certo François, credeva fossimo fidanzati, sai, dovevo ambientarmi per non far saltare la copertura. Finì in prigione e giurò vendetta. Poi conobbi tuo padre. Lui era un uomo magnifico: attraente, divertente, gentile. Decisi di iniziare una vita sicura con lui, senza problemi né nemici a causa del lavoro e, presto, nacque tuo fratello, ma poche settimane prima della tua nascita François venne scarcerato e lui e la sua banda vennero a cercarmi e mi minacciarono di introdurre Eric nel loro giro di droga se non me ne fossi andata.
— Perché volevano che tu te ne andassi?
— Ero l'unica testimone con cui non avevano avuto problemi o che non avevano ucciso a sapere chi fossero in realtà, non volevano altri problemi con la legge e volevano distruggermi per averli incastrati.
— E poi? Cos'è successo? — sussurro con un groppo in gola.
— Sei arrivata tu e il mio cuore si è spezzato. Eri così bellina... Eri mia figlia. Sei mia figlia. Non avrei mai voluto lasciarti, come non avrei voluto lasciare tuo fratello, che cresceva a vista d'occhio. Ma dovevo farlo. Loro avevano visto il pancione, se avessero saputo che eri nata non solo avrebbero tentato di prendere Eric sotto la loro ala, ma avrebbero fatto del male anche a te. Non avevo scelta.
— E così hai inscenato la tua morte — continuo per lei.
Annuisce con un sorriso triste. — Credo che François e i suoi avessero intuito che me n'ero andata per colpa loro, ma non importava. A loro bastava che sparissi dalla circolazione.
— Cos'hai fatto dopo?
— Per i primi sei mesi mi trasferii a Londra. Mantenni i contatti con l'avvocato di famiglia che mi spediva regolarmente delle lettere riguardanti voi. Così mi resi conto di quanto non riuscissi a starvi lontana e tornai a Parigi. Da quel momento io e M. Burgeois ci incontrammo una volta ogni due settimane per tenermi informata della vostra salute, di come andavate a scuola, se eravate felici. I primi tempi era dura sentirgli parlare di quanto vi mancassi o tuo fratello piangesse su una bara vuota, ma ero stata io a chiedergli esplicitamente di non omettere alcun dettaglio.
— Ma se M. Burgeois sa del tuo passato, non avete mai pensato di denunciare di nuovo gli spacciatori, magari anche per minacce a pubblico ufficiale?
Sospira e mi prende le mani tra le sue, mentre Shawn continua a farmi sentire la sua presenza rassicurante disegnando cerchi immaginari sulla mia spalla con il pollice. — Non sarebbe stato così facile. Ci sarebbero state questioni legali, stress, paparazzi e io non potevo permettermelo, non durante la gravidanza. Io e tuo padre non avevamo nemmeno il denaro per sostenere un'accusa contro ogni componente del giro. A quei tempi non ero nemmeno più un poliziotto, non dopo la prima maternità.
— Come te la sei passata in seguito? Insomma, non credo tu sia stata tutti i giorni in casa ad aspettare nostre notizie.
— Trovai lavoro con un'altra identità in un'agenzia di viaggi che chiuse i battenti cinque anni fa. Mi ci vollero due anni prima di trovare di nuovo un impiego. Ero l'assistente di un parrucchiere, quello dove tu sei schiarita i capelli. Fortunatamente, essendo una sola persona, riuscii a mantenermi bene con la disoccupazione.
— Perché quel giorno non ti vidi? — le chiedo sempre più impaziente e avida di informazioni.
— M. Burgeois mi chiamò urgentemente e io mi presi un giorno libero.
— Perché ti chiamò?
— Tuo padre aveva scoperto dell'esistenza della lettera destinata a te. Alla fine accettò i miei voleri e lasciò cadere la questione.
— Perché non me lo ha mai detto? E perché invece nella lettera di M. Burgeois è esplicitamente scritto che né papà né Eric ne hanno mai saputo nulla?
— Ho detto io all'avvocato di omettere questo aneddoto per non farti pensare chissà cosa di tuo padre. Era un uomo pieno di difetti, ma non un bugiardo. Ho voluto lasciarti la versione idilliaca che tu ricordi di lui. Non disse niente a nessuno per non creare danni. Eric sarebbe andato su tutte le furie se avesse scoperto che ero viva e avevo lasciato una lettera a te soltanto e tu... In realtà non so come avrei reagito. — Una lacrima le percorre il viso, ma la asciuga velocemente. — Ti conosco così poco che a volte penso che tu non sia nemmeno mia figlia. Non so nemmeno il tuo colore preferito.
— L'azzurro — rispondo con gentilezza. — Il cielo è azzurro, l'oceano è azzurro. Tutto ciò che è infinito lo è.
Mi accarezza una guancia con un sorriso e sposta lo sguardo su Shawn. — Sei un ragazzo fortunato.
— Sì — risponde lui guardandomi sorridente. Mi lascia un bacio sulla nuca. — Lo sono.
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