E Se...Elvis Presley Avesse Visto Il 2023?
21 giugno 1977
È sera mi trovo al mio hotel, a Rapid City, per il mio penultimo concerto di questo tour. Sono stanco e non ho più voglia di andare avanti. Mi guardo allo specchio per prepararmi e vedo un uomo con il volto gonfio e l'addome prominente. Non sembro io.
Quello non posso essere io.
Penso continuando a rimirare quella figura che quella superficie riflettente rimanda indietro. È un'immagine diversa dal ragazzo che era stato un tempo capace di far ammaliare le ragazze facendole svenire e urlare. Ora riesco a malapena a respirare e parlare.
Come sono potuto diventare in questo modo?
La risposta appare immediatamente chiara...Parker. Il mio manager megalomane, una fottuta sanguisuga, mi sta succhiando fino all'ultimo respiro: non mi ha mai fatto fare quello che ho sempre desiderato ovvero essere un grande attore come James Dean o Marlon Brando e andare in tour oltre oceano. A quel pensiero stringo i pugni con forza avvertendo il bisogno impellente di lanciare e rompere qualcosa. Non riesco a trattenermi e, notando un vaso nella stanza, lo prendo e lo scaravento lontano. Quello si frantuma in mille pezzi come la mia vita in questo momento. Un insieme di piccoli frammenti che non possono essere rimessi insieme. Mi siedo sul letto pensando a tutto quello che ho passato fino ad oggi: il matrimonio fallito con Priscilla, i film senza senso e i tour ininterrotti. Una vita che non può essere considerata tale. Una vita non vissuta. Mi metto le mani sul volto sentendo le lacrime uscire. Avverto dolore dappertutto: le ginocchia non riescono più a reggermi, mi duole anche l'addome, il collo, la schiena e gli occhi. Riesco a calmare le fitte solo attraverso i medicinali.
Sento bussare alla porta e il mio medico, Nick, mi porge le pillole che devo assumere per dare il meglio di me sul palco. Le ingoio come ho sempre fatto. Insieme al mio entourage, la "MemphisMafia", mi dirigo all'automobile che mi porta alla Market Square Arena. Guardo fuori dal finestrino perso nei miei pensieri. La mente va immediatamente alla piccola Lisa Marie che soprannomino "Yisa", la mia principessa. Chissà cosa starà facendo? Mi starà pensando?
Vengo risvegliato da questa tempesta di meditazioni da Charlie, il mio migliore amico, che è seduto accanto a me. Inforco i miei occhiali da sole per riparare gli occhi dalla luminosità. Qualsiasi luce mi ferisce come frecce. Ho ripetuto non so quante volte questa routine ma è sempre stata l'ammirazione che provano i miei fan a farmi andare avanti soprattutto dopo il divorzio dalla mia carissima Priscilla. Il dolore mi lacera ancora il cuore.
Arrivo nella stanza per togliermi la tuta e indossare la jumpsuite bianca come la neve con un grande sole tessuto sulla schiena. Mi truccano e mi rendono presentabile.
Ormai i fan sanno in che condizioni sono che senso ha nascondere l'evidenza?
Poco dopo i membri della squadra mi avvertono che è ora di salire sul palco. Sospiro.
Dai, Elvis, ancora uno sforzo.
Mi ripeto mentalmente mentre le note dell'introduzione, Also Sprach Zarathustra, inondano l'arena. Quella canzone mi ha sempre dato un'energia straordinaria e succede anche in questo momento. Quando le note finiscono dando inizio alla canzone successiva, See See Rider, entro e le urla dei miei fedeli fan fanno sparire ogni pensiero negativo e perfino ogni dolore. Tra tutte le medicine loro sono la migliore. Comincio a cantare le parole del brano e l'adrenalina riempie il corpo.
I flash dei fotografi mi uccidono ma devo stare sul palco. Ho troppi debiti da saldare e non posso ritirarmi. Muovo le dita sulla chitarra facendo gioire i miei ammiratori. La band segue la scaletta e i miei movimenti. E' il turno di I Got A Woman/Amen. Cerco di muovermi il più possibile e sento qualche risata. Le mie movenze non sono più quelle di un tempo e non ci posso fare niente.
Sulla parte del basso cerco di imitare quella mossa di abbassarmi sulle ginocchia ma non riesco a farlo più come le prime volte. Giunge il momento di That's All Right. Gli occhi mi lacrimano mescolandosi al sudore che cola giù dalla fronte. Ringrazio il pubblico lì presente che applaude sonoramente e canto Are You Lonesome Tonight?. Prima ammetto di essere solo. Non ho più nessuno che mi stia veramente vicino aiutandomi nel momento del bisogno: i miei più cari amici, licenziati da Vernon, mi hanno tradito pubblicando un libro che racconta tutte le malattie e le dipendenze dai farmaci. Le prime strofe me le ricordo ma poi il vuoto. Balbetto qualche frase sconnessa facendolo ridere. Da tempo dimentico le parole e ho bisogno del foglio per leggerle. Guardo i membri del coro in cerca di aiuto. Rido ma vorrei solo sotterrarmi. Sono sempre più stanco ma sono deciso a dare il meglio di me.
Durante Love Me regalo molte sciarpe mentre Charlie, il mio migliore amico, mi segue mettendomele al collo. Bacio una ragazza abbassandomi al suo livello. Sento dolore ma non lo mostro. Metto tutta la mia energia in If You Love Me e ancora di più in You Gave Me A Mountain che per me ha un significato personale. Mi ricorda di quando Priscilla, la mia ex-moglie, si è portata via il mio raggio di sole, il mio orgoglio, la mia gioia e la mia ragione divita ovvero mia figlia Lisa Marie.
In Jailhouse Rock regalo ancora sciarpe su sciarpe e quasi al termine mi scateno come non mai. I dolori non mi fermano così come anche in Hound Dog. Presento la canzone O Sole Mio la cui versione italiana è cantata dal mio coro. Ho sempre amato i gospel perché mi rilassano e mi fanno sentire al sicuro.
Alla fine intono la versione americana It's Now Or Never. Seguono Trying To Get To You e Hawaiian Wedding Song. Con Teddy Bear/Don't Be Cruel lancio sciarpe su sciarpe ai fan urlanti.
Successivamente intono My Way leggendo le parole su un foglio. Non le ho mai sentite così vicine e vere. Sono arrivato al traguardo e l'ho fatto tutto a modo mio. Presento infine la mia band con brevi interruzioni con brani quali Early Morning Rain, What'd I Say e Johnny B. Goode.
Le mie energie stanno calando sempre di più e dopo I Really Don't Want To Know mi cimento in Grand Thou Art mettendo tutta la forza dei miei polmoni nelle note più alte cosa che accade anche per Hurt. Distrutto presento la penultima canzone in scaletta, Unchained Melody. Balbettando qualche frase mi siedo al pianoforte e canto con tutta la mia vita. Sento dolore dappertutto come tante lame che mi affettano il corpo. I polmoni non ce la fanno più. Devo resistere. Intono le prime strofe pensando a mia madre che mi aspetta a braccia aperte in Paradiso. Mamma, aspettami, sto tornando a casa.
Poi, con tutta la forza che mi rimane, giungo alle note più alte. I dolori sono assurdi e terrificanti. Mi stringono il fisico. Alla fine sorrido ai fan. Un sorriso d'addio. Il migliore che ho fatto l'ho dedicato a loro. Ora sono pronto. Pronto a tornare da mia madre Gladys.
Siamo alla fine e con un ringraziamento, che sa tanto di addio, ("se ci non incontreremo di nuovo, Dio vi benedica. Adios") sulle note di Can't Help Falling In Love lascio l'edificio dopo aver salutato e stretto qualche mano.
Mi dirigo all'esterno verso la mia limousine scortato dalle guardie del corpo. Sono devastato e i dolori sono ritornati prepotenti. Al ritorno a Graceland decido di farmi una doccia veloce e mi sento rinato come una fenice. I giorni precedenti al mio nuovo tour li passo in compagnia di mia figlia Lisa. So che sono piuttosto preziosi. Lei non sa che a breve io non ci sarò più e non deve saperlo. Il 16 agosto, dopo aver passato la giornata a organizzare il tour, esser andato dal dentista, giocato a racquetball e suonato al pianoforte, mi sto per chiudere in bagno quando sento un suono piuttosto strano. Sembra quello di una chiave sulle corde di un pianoforte. Incuriosito esco dalla stanza e noto una strana cabina della polizia blu notte in legno in giardino. Da essa esce uno strano tizio con i capelli castani arruffati con un strano tipo di gel e un' abbigliamento stravagante: un cappotto marrone, delle All-star bianche e una giacca scozzese.
«Chi sei tu? E da dove sei arrivato?» Domando allo strano personaggio che si è presentato nella mia Graceland. Lui mi risponde che è il Dottore, un alieno proveniente da Gallifrey un pianeta nella costellazione di Kasterbourus, e mi vorrebbe mostrare il futuro. Io sono sorpreso.
Non è possibile viaggiare nel tempo! Questo tizio deve essere un pazzo!
Su questi pensieri sto per prendere la pistola per sparagli quando lui mi spinge all'interno della cabina. Rimango sotto shock. E' più grande all'interno! E' tutto bianco immacolato con diversi strumenti tecnologici e un piccolo sedile sul quale mi siedo. L'alieno lavora su diversi pulsanti e la piccola/grande navicella inizia a muoversi. In pochissimo tempo mi annuncia che siamo arrivati a destinazione. Usciamo all'esterno e noto che siamo ancora a Graceland ma è tutto diverso; nel "Meditation Garden" ci sono sette tombe e io mi avvicino per leggere i nomi: mio padre Vernon morto nel 1979, la mia con data 16 agosto 1977, mia madre Gladys, mia nonna Minnie morta nel 1980, mio fratello gemello Jesse, il mio nipote Benjamin morto nel 2020 e infine mia figlia Lisa morta nel 2023. Sono senza parole e la tristezza riempie il cuore. Tutte le persone che appertenevano alla mia famiglia non ci sono più. Io non ci sono più. Non mi accorgo che una lacrima sta scendendo lungo la guancia cadendo sul prato dividendosi in piccole gocce. Almeno non c'è Priscilla, la mia regina. Il fiato si fa corto e spezzato. Tremo fino a quando lo strano essere mi si avvicina. Mi accompagna all'interno di quella cabina suggerendomi di cambiarmi per non farmi riconoscere. Mi avverte che a causa di un problema tecnico dovremo restare qui almeno un altro giorno. Nella sua camera mi metto degli abiti adatti all'epoca e una parrucca. Mi guardo allo specchio e non riesco a riconoscermi: dei pantaloni di jeans mi fasciano la vita, ai piedi ho delle scarpe da ginnastica rosse, in testa un cappello e davanti agli occhi degli occhiali diversi dai miei.
Il sole con i suoi raggi illumina e riscalda tutta la villa e io decido di fare un giro per la città. E' tutto molto diverso dal 1977: le automobili di ultima generazione sfrecciano veloci lungo la strada e i passanti sono completamente rapiti da uno strano aggegio che tengono in mano. Sono disorientato e mi gira un po' la testa. Decido di sedermi su una panchina.
E' tutto troppo strano. Com'è cambiato il mondo! Mi dovrò abituare a vivere per qualche ora nel 2023. Ma almeno si ricordano di me o mi hanno dimenticato?
Una donna si siede accanto a me e noto che indossa una maglietta che mi raffigura. Timidamente attiro la sua attenzione.
«Mi scusi, ho visto che indossa una maglietta con Elvis Presley, non è stato dimenticato, vero?»
Lei sorride e mi informa che non sono stato dimenticato affatto: è stato realizzato un film e una serie su di me, molte pellicole sono state amate molto più di prima e Graceland è diventata un museo. Sono incredulo. Sorrido al pensiero che una volta tornato a casa affronterò la morte con più serenità.
La ringrazio sentitamente augurandole la benedizione di Dio. Decido di fare un giro per la città osservando tutto, curioso. Quando la stanchezza si fa presente così come anche i dolori mi fermo al parco guardando i bambini giocare con i genitori. Mi tornano alla mente i momenti passati insieme a Lisa Marie: quando lei aveva fatto i primi passi, le risate in compagnia e quando mi chiamava Elvis invece che papà. Quando tornerò nel 1977 la dovrò abbandonare per sempre. Mi tolgo gli occhiali e inizio a piangere. Una bambina mi si avvicina.
«Signore perché piange? Si sente bene?» Io le rispondo che non va affatto bene: sto per morire e dovrò lasciare da sola la mia principessa. Lei mi consola dicendomi che non sarà mai sola e che le sarò sempre vicina anche se non mi riuscirà a vedere. Le sorrido riconoscente baciandola sulla gota e all'improvviso arriva sua madre. E' una ragazza molto giovane con uno sguardo triste che racconta molte cose: è stata violentata dal suo fidanzato ed è ancora devastata. Quando alza lo sguardo su di me, dopo aver brontolato la piccola Lisa Marie, sbianca. Capisco che sono stato riconosciuto. E' spaventata però io la consolo suggerendole di lasciare quell'uomo senza cuore e che non si deve preoccupare perché le sarò sempre vicino. Sarò il suo angelo custode. Lei si allontana e comprendo che le ho dato il coraggio per affrontarlo.
Il sole inizia a calare e mi dirigo all'astronave per prepararmi per la notte. Il giorno successivo mi sveglio e ricomincio la solita routine: faccio un giro per la città e poi decido di visitare il museo. Entro e tutto è rimasto uguale: il soggiorno, la cucina, la jungle room, la stanza con il biliardo, la cucina. Solo le scale che portano nella mia camera da letto e al bagno sono sbarrate: la guida racconta che è perché sono sale private e perché ci sono morto. Insieme alle altre persone mi dirigo in un'ala nella quale sono conservate tutte le jumpsuit che ho indossato: sono senza parole. Alcune lacrime scorrono sulle guance dalla felicità. Su uno schermo scorrono le immagini dei documentari realizzati tra il 1970/73. Non riesco a riconoscermi: non avevo questo ventre e volto gonfio, gli occhi arrossati ed ero pieno dienergia.
Davvero quello ero io?
Una donna mi si avvicina e io vengo colto dalla sorpresa: nonostante i lunghi capelli rossi la riconosco...
«Cilla! Cosa ti sei fatta al volto? Eri così bella.» Sembra fatta di plastica e senza un minimo di rughe. La donna appare confusa.
«Scusa, ci conosciamo?» So che non mi avrebbe identificato abbigliato in questo modo così decido di portarla in bagno: vorrei parlarle un'ultima volta. Lontani da occhi indiscreti mi tolgo gli occhiali e il cappello. Lei lancia un urlo ma la zittisco: nessuno deve sapere che sono vivo.
«So che sei confusa e sorpresa ma io vengo dal 16 agosto 1977. Uno strano alieno, capace di viaggiare nel tempo, mi ha portato qui. Cilla, sto per morire e volevo vederti un'ultima volta. Nonostante gli interventi sei bellissima. Mi manchi moltissimo! Come hai potuto lasciarmi solo? Io avevo bisogno di te!»
Lei piange e mi abbraccia. Io ricambio. Stiamo così per un tempo lunghissimo. Prima di dividerci la bacio sulle labbra e poi esco dalla stanza: è tempo di tornare al mio anno.
Il TARDIS è stato aggiustato e il Dottore mi accompagna a casa. Dopo un breve viaggio siamo ritornati al 16 agosto 1977. Ringrazio lo strano alieno per tutto quello che ha fatto e sono pronto ad affrontare la morte con serenità. Quando la navicella scompare del tutto apro la porta del bagno e mi rinchiudo al suo interno. E' giunto il momento che nasca la Leggenda Elvis Presley. Il mio scopo è tornare l'Elvis di un tempo che faceva andare in visibilio le fan senza un addome prominente. Mi sforzo ma il cuore si ferma. Cerco di chiamare aiuto ma non ci riesco. Sono morto ma è nata la Leggenda. Sono tornato nella mia vera Casa insieme a Gladys.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top