Cap.20


EREN Pov

"Lasciami!"

Mi dibattei, cercando di togliermi di dosso le mani dell'uomo che mi spingevano dentro alla macchina.

"NON MI TOCCARE!"

Gridai. Gridai forte, con tutto il fiato rimastomi in gola. Gridai, ma nessun passante si voltò a guardare la scena. Il fiume di gente sul marciapiede continuò a scorrere imperterrito, lo sguardo perso a guardare qualcosa di fronte a loro o incollato allo schermo di un cellulare, facendo finta di non vedere piuttosto che immischiarsi in qualcosa che con ogni probabilità avrebbe potuto causargli problemi.

Poi, di colpo, sentii la guancia bruciare.

L'uomo mi si avvicinò al mio viso. "Apri ancora quella bocca, e questo sarà solo l'inizio" bisbigliò.

Annaspai, allontanandomi da lui e portando la mano alla guancia che aveva colpito con uno schiaffo. La portiera si chiuse davanti a me con un colpo sordo, ed in quel momento non potei fare a meno di odiarmi.

Mi detestavo, per non essere capace di ribellarmi al loro atteggiamento.

Mi facevo schifo, per essere così debole.

Digrignai i denti, soffocando la rabbia in un grugnito.

Perché?

Perché non riuscivo a reagire?

Non era da me, quello non ero io. Erano le pillole. Quello schifo chimico..lo avevano scoperto, lo avevano capito subito che avevo smesso di prenderle, vedendo che le scorte non erano state nemmeno toccate. Me ne avevano fatte ingoiare quasi un intero pacchetto.

Per compensare, dicevano loro.

La realtà è che volevano solo tenermi calmo. La realtà era che avevano paura di me. Forse era per questo che non mi avevano mai trattato con un minimo di riguardo, come fossi loro nipote. Come se fossi un essere umano. Sapevano dei miei problemi, lo avevano visto con i loro occhi.

[flashback]

Ero piccolo, avevo forse sette o otto anni. Giocavo sul pavimento del salotto, i miei genitori se ne stavano seduti sul divano, a guardare la tv. Ad un certo punto, il campanello suonò e la mamma si alzò per poi avviarsi alla porta. Sentii delle voci all'ingresso, sapevo a chi appartenessero, ma non mi erano mai stati simpatici, quindi ignorai la zia e lo zio e continuai a disegnare con la matite colorate. Ero fiero dei miei disegni, la mamma e il papà li chiamavano "originali" non sapevo cosa volesse dire quella parola, ma dal momento che me lo dicevano sempre con un sorriso, ero contento di sentirmelo dire. Stavo disegnando ancora una volta quel reticolo di filamenti rossi, gli stessi che invadevano i miei sogni da sempre. Certo, avevo paura di loro, ma disegnarli in qualche modo mi rassicurava. Se li avessi imprigionati nella carta, forse non sarebbero ritornati la notte. Mi rassicurava soprattutto perché tra di essi potevo disegnare altro, come ad esempio un omino con una mantella verde. Lo disegnai frontale, con il pezzo di stoffa che svolazzava alle sue spalle. Sul suo petto scarabocchiai delle ali, poi con il pennarello nero colorai i capelli, con il rosa tracciai una semplice linea dritta là dove avrebbe dovuto esserci la bocca.

Mancavano gli occhi.

Di che colore avrei dovuto fare gli occhi?

Allungai la mano verso l'azzurro, quando un piede pestò il pennarello. Alzai lo sguardo. Da là sopra lo zio mi guardava.

"Ciao." Dissi, non perché volessi, solo perché la mamma mi aveva detto che era educazione salutare le persone.

"Cos'è quella roba?" Chiese lui.

"le cose rosse che mi si appiccicano addosso quando dormo." Risposi secco, tornando a concentrare l'attenzione sul mio disegno.

"Ew, che schifo. Carla, di che diavolo parla il marmocchio?"

Sussultai a quelle parole. Come che schifo? I miei disegni erano.. belli.

La mamma si avvicinò allo zio. "Eren fa spesso questo genere di disegni, rappresentano i suoi sogni. Abbiamo parlato con un dottore, dice che probabilmente sono in qualche modo collegati alle sue crisi, lo aiutano a sfogarsi." La mamma prese ad accarezzarmi i capelli, rivolgendomi uno sguardo amorevole." Comunque sia abbiamo deciso che proveremo a dargli le pillole che ci hanno consigliato in ospedale, per vedere se riescono a farlo calmare un po'.

Aspetta. Che cosa?

La zia intervenne. "Grazie al cielo! Finalmente potremo avere un nipote normale!"

Carla la fulminò con lo sguardo. "Eren va bene anche così com'è. Noi lo amiamo esattamente per questo. Gliele daremo, solo per dargli la possibilità di relazionarsi con gli altri.

"Certo, certo" tagliò corto la zia, gesticolando nervosamente.

"Bhe, comunque sia non dovreste fargli di disegnare questa schifezza, chissà cosa penseranno gli altri bambini di lui.."

Fu la goccia che fece traboccare i vaso. Scattai in piedi, catapultandomi addosso all'uomo.

"Hei! Che fai! Mollami, rabbioso!"

Gli azzannai un braccio, iniziando a tirare la carne con i denti.

L'uomo mi strattonò, scrollandomi di dosso, ma io non mollai. Intanto, la zia urlava, in preda al panico.

"Carla! Fai qualcosa! Il marmocchio mi stà mangiando, Cristo!"

La mamma si precipitò in cucina, per poi tornare con una manciata di pillole in mano. Il papà lottò contro la forza delle mie mandibole fin quando non riuscì ad aprirle, e la mamma vi riversò dentro il mucchietto di medicinali, accompagnandoli con dell'acqua. Poi la vista mi si offuscò, e caddi al suolo svenuto, o almeno credo. Le ultime parole che udii furono quelle che mi rimbombarono nella testa per tutta la vita.

"Quello non è un essere umano, quello è un mostro."

[fine flashback]

L'auto si fermò davanti al palazzo.

L'uomo scese, andando alla mia portiera e spalancandola, per poi afferrarmi per il polso e strattonarmi verso l'esterno. Senza proferire parola mi trascinò su per le scale, fino alla porta dell'appartamento che aprì senza lasciarmi andare per poi scaraventarmi all'interno senza un briciolo di riguardo. Appena si chiuse la porta, iniziò subito a gridare.

" Hai visto Martha? Hai visto cosa ci si guadagna, a mostrarsi gentili con gli altri? Non avremmo mai dovuto lasciarlo solo, questo qui."

La donna fece capolino dalla cucina.

"Allora, dove si era andato a cacciare, l'ingrato?"

Mossi un piede all'indietro, cercando di sgusciare verso la mia stanza passando inosservato.

"Tu non hai idea..." sputò l'uomo "Tu non hai idea di dove io lo abbia trovato." Mi afferrò per il braccio e mi tirò in avanti. "Anzi, con CHI lo abbia trovato. Abbiamo fatto bene a lasciarti il cellulare, dobbiamo ringraziare quell'aggeggio se siamo riusciti a localizzarti."

Mio zio mi rivolse uno sguardo disgustato. "Era con un uomo."

La moglie lo guardò, senza capire. "Stavano facendo.. oh, dio, non riesco neanche a dirlo..stavano facendo"qualcosa", Martha! li ho sentiti attraverso la porta. Era con un uomo in quel senso."

Martha mi si avvicinò, tirandomi una sberla. Un'altra. La terza, in nemmeno tre giorni. Non potevano, non dovevano trattarmi così. Quando rigirai la testa, sapevo che nonostante l'effetto delle pillole non fosse cessato nel mio sguardo stava bruciando qualcosa.

"Vai a chiuderlo nella stanza, Sam, vai a chiuderlo!" urlò terrorizzata Martha "Fai presto!"

[...]

***

LEVI Pov

Maledetto ospedale di merda. Maledetti infermieri. Maledetti dottori.

Se non fosse stato per loro sarei stato fuori da quello schifo da almeno tre giorni, ovvero da quando Eren aveva smesso di venire a farmi visita.

Dov'era finito il moccioso?

Dopo quello che mi aveva raccontato non ero più riuscito a stare tranquillo. Il fatto che non fosse venuto era solo una conferma al mio presentimento. No, non ero riuscito a starmene lì fermo ad aspettare, mi ero alzato dal letto, staccato le flebo dal braccio, ed avevo incominciato a rovistare in giro in cerca dei miei vestiti. Il mio piano avrebbe funzionato, se l'infermiera non avesse deciso di entrare proprio nel momento in cui mi stavo cambiando, e non si fosse precipitata urlante dal medico. Cazzo, ci erano voluti tre giorni, tre fottuti giorni prima che mi fosse concesso di uscire di là, e Dio sa solo cosa poteva essere successo nel frattempo.

Cercai di non farmi prendere troppo dalla spiacevole sensazione che mi attanagliava lo stomaco, mentre cercavo di aprire con le chiavi la porta di casa. Dietro di me Hanji mi guardava preoccupata. Mi aveva scarrozzato a casa dato che la mia macchina era rimasta danneggiata dagli eventi i qualche giorno prima, ed aveva insistito ad accompagnarmi all'ingresso, anche se la facevo benissimo da solo a muovermi, ormai.

"...Non risponde alle chiamate" dissi all'improvviso.

"Che cosa? Chi?" La donna mi guardò confusa.

"Eren."

La donna scattò non appena udito il nome. "Cosa? Eren? E se Erwin..."

La zittii con un gesto. Non era possibile, Eren lo aveva messo K.O. l'ultima volta e i danni che gli aveva procurato di certo non si curavano con uno schiocco di dita, e da quanto ne sapevo i ssuoi uomini erano feriti, in gattabuia o entrambe le cose. "No. Non è lui."

"Chi altri allora?"

Ignorai la domanda. "Devo andare da lui."

"Ma aspetta, Levi, non hai nemmeno."

"Devo andare da lui. Ora." Sillabai, prima di voltarmi e tornare a scendere le scale, lasciandomi Hanji alle spalle.

"Chiamami dopo!" Mi urlò, prima di sparire dietro ad un angolo.

Dovevo sbrigarmi. Quella sensazione alla bocca dello stomaco, mi diceva che non avrei dovuto aspettare un secondo di più.

Vi chiedo scusa se ultimamente aggiorno poco! La cosa bella è che le vacanza sono vicine (anche se io dovrò aspettare fino al 22 giugno T_T ) e buona parte della mia estate la passerò a scrivere, quindi abbiate ancora un po' di pazienza : ( . Vi ringrazio tanto per i commenti che mi avete lasciato nei precedenti capitoli, \*^*/ un abbraccio a tutti! <3

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