Capitolo 52
Il cielo cominciava a colorarsi dei toni caldi di quel magnifico tramonto, la luce dei raggi del sole filtrava attraverso le nuvole rosa, mentre le facciate delle case dell'intero quartiere si accendevano sotto quella luce così ammaliante.
Hazel ammirava la strada costeggiata di villette che si apriva davanti al suo portico, mentre seduta sul tetto con le ginocchia strette al petto, viaggiava come una moto in corsa fra mille preoccupazioni.
Non appena tornata dall'incontro con Noah si era fiondata dritta in camera sua, e dopo una calda doccia, era uscita fuori dalla sua finestra bisognosa di trascorrere un po' di tempo con se stessa, nel suo solito posto, coi suoi soliti problemi. Così ormai fissava il cielo sopra di lei da circa un'ora, ignorando il freddo sulla sua pelle, i litigi di sua madre con Madison al piano di sotto, e i continui tentativi di Ian di parlarle bussando alla sua porta a intervalli regolari. Lo aveva già mandato via più volte, ma non sarebbe passato molto tempo prima che Ian si decidesse a far di testa sua raggiungendola dalla finestra di camera di Maddie, la quale esattamente come quella di Hazel, portava proprio al suo posto segreto.
Ciò che Hazel voleva però, era davvero stare un po' sola. Non cercava di fuggire da Ian e dal suo atteggiamento così apprensivo, nè di ignorare i suoi problemi e qualunque altra sua responsabilità. Semplicemente sentiva di aver bisogno di schiarirsi le idee, prendersi del tempo e metter a posto quel tale casino che era la sua vita, ma questa volta, senza l'aiuto di nessun altro se non quello del suo sano buon senso, che seppur rimasto in disuso per tanto tempo, era certa di possedere ancora da qualche parte dentro di lei.
Poi un insolito rumore, ben lontano dagli schiamazzi della sua famiglia provenienti dentro casa, attirò la sua attenzione.
Sentì l'assordante frastuono di un motore attenuarsi, poi si mise in piedi, e quando vide Evan intento a posteggiare la sua moto sul suo vialetto di casa, in pochi istanti ricominciò ad agitarsi.
"Pst!" riuscì solo a dire, battendo un piede contro una tegola nervosa cercando di farsi sentire dal ragazzo.
Ma Evan non sembrò sentirla minimamente, così dopo aver dato un'occhiata veloce al suo cellulare, con il casco in una mano e il cellulare nell'altra, cominciò a muoversi verso il portico di casa Donovan. Poi qualcosa lo colpì su una spalla, così dopo essersi scansato dall'oggetto caduto sorpreso, alzò lo sguardo confuso.
"Hazel?" disse inarcando un sopracciglio, la mano sulla spalla colpita.
"Che diavolo ci fai qui?" chiese la ragazza a bassa voce in piedi sul tetto di casa sua.
"Sono passato a prenderti. Hai detto che saremmo stati insieme oggi dopo il tuo turno" le ricordò, lo sguardo verso l'alto e il sorriso stranamente rilassato.
Hazel si zittì in un istante, rimanendo a fissarlo ferma lì su quel tetto. Noah e il loro incontro l'avevano innervosita al punto tale da farle dimenticare di Evan e della serata che aveva programmato di passare con lui.
"Cazzo" disse sotto voce non riuscendo a farsi sentire dal moro, che qualche metro più in giù, aspettava ancora che lei dicesse qualcosa.
"Lo hai dimenticato?" le chiese Evan sorpreso, lo sguardo colpito e le labbra serrate.
Hazel si passò una mano fra i capelli indecisa sul da fare: avrebbe solo voluto rimanere ancora un po' di tempo lì da sola, ma non avrebbe mai mandato via Evan con qualche assurda e insulsa scusa, non dopo aver appena affrontato il suo peggior incubo solo per lui.
Così sospirò, si bagnò le labbra, e finalmente rispose "No, non l'ho dimenticato. Dammi solo cinque minuti e arrivo, va bene?" gli disse in preda all'ansia.
"Va bene" rispose Evan ridendo e sembrando così maledettamente di buon umore.
In pochi secondi Hazel rientrò in camera sua, indossò dei jeans, poi si infilò la sua giacca, e guardandosi per un istante allo specchio, si arrese davanti quell'espressione così stanca e afflitta che aveva indosso ormai da qualche giorno, così si sciolse i capelli e senza nemmeno un filo di trucco abbandonò la sua stanza.
"Oh, finalmente sei uscita!" si lamentò Ian sbucando dalla porta di camera sua, intento a mordicchiare una mela.
"Non ho tempo adesso, mi farai la predica non appena tornerò" le rispose passandosi da dietro le spalle la sua tracolla e scendendo di corsa le scale.
"Dove stai andando?" le chiese Ian sconvolto seguendola fino al piano di sotto.
"Casey è venuta a prendermi. Andiamo a bere qualcosa insieme, non preoccuparti" lo rassicurò.
"Voi due da sole? Fammi cambiare, vengo con voi" aggiunse Ian, pronto a risalire le scale per ritornare in camera sua e cambiarsi. Ma Hazel, che agitata non vedeva l'ora di metter piede fuori di casa sua, non lo lasciò nemmeno finire la sua frase, e quasi come se fosse in fuga, uscì di casa chiudendosi la porta d'ingresso alle spalle con forza.
Davanti a lei adesso, Evan la attendeva tranquillo sul vialetto di casa guardandola confuso, "Sei pronta?" le chiese sorridendole.
La mora gli strappò via dalle mani il suo casco, se lo infilò in testa, poi lo spinse verso la sua moto "Andiamo, forza!" lo incitò nervosa.
Evan la guardava confuso e divertito allo stesso tempo, poi saltò sulla sua moto, aspettò che anche lei facesse lo stesso, e quando la sentì stringersi contro la sua schiena partì, senza farselo ripetere un'altra volta.
Quando lasciarono casa Milkovich Peter e Casey, erano così sconvolti dalle ultime rivelazioni di Julian, che a mala pena si guardarono in faccia lungo il tragitto verso casa.
La radio suonava a basso volume nelle casse dell'abitacolo dell'auto, Peter guidava perso nei suoi mille e terrificanti pensieri, mentre Casey volgeva lo sguardo fuori dal finestrino mentre le strada di Santa Ana sfrecciavano davanti ai suoi occhi.
Lei era incazzata come non lo era mai stata prima d'ora, con suo padre e ancora una volta con Peter, lui invece, era più agitato per lei che per l'incontro appena avuto con Julian. Inaspettatamente le cose fra loro non erano affatto andate come Peter aveva sempre temuto, Julian infatti si era solo limitato a infastidirlo un po', e a insultarlo dandogli dell'ingenuo codardo - cosa che infondo probabilmente era davvero -, ma stranamente, non era sembrato neanche troppo arrabbiato con lui. Tutta la sua rabbia adesso, sembrava più essere impegnata ad avercela con Johnson e i suoi soci criminali, e a provare la stessa identica rabbia, immancabilmente era Casey, colei che per un assurdo gioco del destino, odiava suo padre defunto e qualunque genere di titolo giuridico l'avesse sempre resa fiera di lui, che oggi invece, sembrava più portarla a provare vergogna e disprezzo per quell'uomo.
Peter diede un colpo secco ai tasti della radio a fianco a lui, Casey lo guardò male con la coda dell'occhio dopo esser sussultata per lo spavento, poi il biondino esordì "Questa canzone mi sta facendo venire il mal di testa" si spiegò.
Casey roteò gli occhi "Non è colpa della radio" precisò distaccata continuando a guardare la strada davanti ai suoi occhi.
"Hai ragione, è colpa di Julian. Non saremmo mai dovuti venire fin qui per incontrarlo" disse Peter, le mani strette attorno al volante.
"Sì, che avremmo dovuto invece. Per fortuna che lo abbiamo fatto, o non avremmo mai saputo di Blake, della società di mio padre, o della pistola che ha puntato contro Julian e del filmato che lo prova, che tra l'altro è stato accuratamente manomesso da te" rispose Casey con tono cinico, continuando a fissare il parabrezza davanti a lei.
Peter si voltò verso di lei per un attimo, poi si bagnò le labbra "Cercavo di proteggerti, per questo non te l'ho detto. Sapere che tuo padre era un potenziale assassino ti avrebbe distrutta" provò a spiegarsi.
La ragazza accennò a una risatina sarcastica, poi alzò le braccia "Eppure guardami: oggi ho saputo che mio padre era in affari con dei pericolosi uomini della droga, che ha rischiato di uccidere un uomo, e che con me ha sempre e solo recitato la parte del bravo e onesto padre magistrato, e nonostante ciò io sono ancora qui, pronta a far saltare tutta questa ridicola copertura, anche a costo di distruggere la mia famiglia" sputò fuori con rabbia sicura di sè Casey, guardando finalmente Peter affianco a lei.
"Pensi ancora che ciò di cui ho bisogno sia la tua protezione?" chiese Casey infuriata.
Peter la fissò per un istante, e quando sembrò sul punto di ribattere, Casey lo precedette non dandogliene la possibilità "Io ho solo bisogno di fare chiarezza Peter, e di provare a rimediare agli errori di mio padre" disse con le lacrime agli occhi e la voce singhiozzante.
"Tu puoi provare a darmi una mano, oppure rimanerne fuori e non fare domande, ma non cercare di impedirmi di fare la cosa giusta" aggiunse guardandolo sul serio distrutta, l'espressione delusa e così triste.
Peter rimase in silenzio per pochi istanti, poi deglutì, fermò la macchina al lato della strada, e non del tutto sicuro di cosa stava per fare, dopo un lungo sospiro finalmente aprì bocca "In tutta questa storia anche io ho commesso degli errori, e sicuramente sono più responsabile io di te" cominciò guardandola fisso negli occhi.
Casey continuava ad asciugarsi le lacrime, ma adesso sembrava meno arrabbiata con lui "Non posso stare a guardare mentre tu cerchi di fare l'eroina con gente come Julian o Logan Burrows al tuo fianco. So che non potrò fermarti in nessun modo, e so anche che è giusto che noi facciamo qualcosa se tu pensi che in qualche assurda maniera, possiamo davvero cambiare le cose" aggiunse Peter continuandola a guardare con quello sguardo così premuroso.
"C'è anche la vita del padre di Evan in ballo, non posso far finta di niente e coprire tuo padre e i suoi crimini ancora" il tono sinceramente pentito.
"E se c'è una cosa in cui sono bravo, è proprio fare lo scagnozzo di voi Johnson!" scherzò ironico facendo sorridere Casey, la luce che improvvisamente colpì il suo dolce viso.
"Mi aiuterai a far trapelare la verità su mio padre?" gli chiese Casey guardandolo speranzosa.
"Faremo la cosa giusta, e insieme cercheremo di aiutare Blake con le indagini" rispose, prendendole una mano e carezzandola con fare protettivo.
Camminava verso di lei con due hot-dog in una mano e una bottiglia di birra nell'altra, mentre Hazel, era rimasta ad aspettarlo appoggiata contro un muretto.
Evan le sorrideva, poi si mise a fianco a lei, le porse il suo panino, e affamato cominciò a mangiare il suo.
Hazel lo guardava accennando un debole sorriso, troppo pensierosa per prendere in giro Evan e il suo modo poco raffinato di mordere un panino.
Guardò il suo con disinteresse, poi quasi per niente affamata, prese la birra che poco prima Evan aveva poggiato sul muretto dietro di loro.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio "Perché siamo scappati via da casa tua come se nessuno dovesse vederci?" chiese guardandola mentre Hazel si attaccava alla bottiglia.
Deglutì, "Non siamo scappati" rispose la mora facendo spallucce.
Evan la fissava poco convinto "Non mi hai nemmeno lasciato entrare" le fece notare.
"Volevi entrare?" chiese Hazel mandando giù ancora un altro sorso, il suo hot-dog ancora intatto.
"No, insomma, magari avrei potuto salutare la tua famiglia, ma tu... Stavi cercando di nascondermi?" le chiese il ragazzo confuso.
Hazel finalmente si staccò da quella birra, poi mentre le sue mani cominciavano a sudare, si voltò verso il ragazzo "Perché dovrei mai nasconderti?" gli chiese fingendo di non aver cercato di tenerlo lontano dalla sua famiglia, e soprattutto da Ian.
"Non so, ma mi è sembrato che tu lo stessi facendo. Ciò non toglie che non ti biasimerei affatto: insomma, Ian era lì con noi il giorno del funerale, ha visto ciò che ho fatto, non mi stupirei se stesse cercando di proteggerti da me" le rispose sincero guardandola con la coda dell'occhio, come se gli facesse male anche solo parlare di quel giorno.
"Cosa?" reagì Hazel "Nessuno cerca di proteggermi da te perché non esiste alcuna ragione per farlo. E poi non sono io che cerco di tenerti lontano dalla mia famiglia. Sei venuto a cena da me, hai bevuto vino con mio padre, ricordi?" si mise sulla difensiva cercando di non incontrare lo sguardo di Evan per non tradire quel suo insolito atteggiamento da irritante e insoddisfatta fidanzata.
Evan la fissava sorpreso e ferito dalle sue parole, mentre lei mandava giù ancora un altro sorso di birra, senza nemmeno aver assaggiato il suo panino.
"Cosa vuoi dire?" le chiese fingendo di non aver capito.
Hazel sbuffò "Non sono io che cerco di nasconderti alla mia famiglia, Evan" chiarì ancora una volta la ragazza, facendosi forza per mantenere lo sguardo puntato negli occhi blu e dispiaciuti di Evan.
"Vuoi dire che credi io non voglia presentarti ai miei genitori?" le chiese confuso.
Hazel si costrinse a non cedere, a guardarlo ancora fisso negli occhi, mentre dentro di sè cominciava a sentirsi solo un'idiota per essersi lamentata di una sciocchezza simile.
"No, è solo che, lascia stare" si tradì velocemente, abbassando lo sguardo e sentendosi sprofondare nel ridicolo, la bottiglia di birra stretta in una mano.
"Sai bene quanto io ci tenga a farti conoscere la mia famiglia, ma credi davvero che questo sia il momento giusto per farlo?" le chiese confuso, il tono dispiaciuto e anche un po' arrabbiato.
"No, non lo è. Non so perché l'ho detto, non lo penso davvero" rispose portando di nuovo la sua bottiglia di birra alle labbra.
Ma Evan fu più veloce di lei, così innervosito le bloccò il polso, poi le tolse via di mano quella bottiglia ormai mezza vuota, e in pochi secondi la scolò del tutto.
"Prima ti dimentichi della nostra serata, poi mi trascini via dal portico di casa tua come se stessimo scappando dalla tua famiglia, e adesso ti scoli una bottiglia di birra senza nemmeno toccare il tuo panino, si può sapere che ti prende?" le chiese preoccupato parandosi esattamente di fronte a lei, lo sguardo attento e l'aria confusa.
Hazel si sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio, poi sollevò lo sguardo puntandolo in quello blu del ragazzo.
"Scusa, hai ragione" cominciò posando una mano sul braccio del moro "Sono solo stanca, e dato che a te non posso chiudere una porta in faccia come faccio con Ian quando mi assilla, ti do contro perché non riesco a mandarti via" gli spiegò sincera, omettendo però il principale motivo per il quale si sentisse tanto stanca e sotto pressione.
Evan accennò un tenero sorriso, poi le circondò le spalle avvicinandosi a lei "Mia madre mi chiede di invitarti a cena da noi da settimane ormai. Volevo portarti a casa mia dopo il week-end al mare, ma poi sappiamo bene come sono andate le cose" le disse, le forti braccia attorno al suo corpo, il viso di Hazel contro il suo petto, e il suo mento poggiato sul capo della ragazza.
"Vuoi venire a cena da noi domenica? Potrebbe essere l'occasione giusta per presentarti tutti" la invitò ufficialmente, prendendole il viso fra le mani e guardandola fisso negli occhi, il sorriso da ebete sul volto.
Hazel annuì sorridendo felice, e nascondendo dietro quel suo sorriso, tutti quei brutti pensieri che dall'incontro con Noah l'avevano perseguitata. La denuncia a Evan, quella che avrebbe fatto lei a Noah, e le conseguenze che tutto ciò avrebbe avuto sul loro rapporto e sul futuro del suo ragazzo. Dei brividi corsero lungo la sua schiena, mentre la paura di perderlo o di poter essere la causa della rovina della sua carriera, continuava a torturarla.
Evan le sorrideva soddisfatto, continuando a tenere le sue calde e grandi mani sul suo collo, mentre con dolcezza avvicinava le sue labbra a quelle della ragazza.
Poi Hazel si ritrasse "Puzzi di sigaretta" gli fece notare inarcando un sopracciglio, "E tu di birra" ribatté lui sorridendole beffardo.
E infine la baciò, affondò le dita nei suoi morbidi capelli, e con delicatezza assaporò quel bacio al gusto di birra e nicotina, ma anche di gioia e un po' di paura.
Giunti davanti al vialetto di casa Donovan, Evan fermò la sua moto, spense il motore, poi voltò il capo verso Hazel, che dietro di lui, si stringeva alla sua schiena sul punto di addormentarsi.
"Ehi" la chiamò sorridendole intenerito "Mh?" rispose la mora ancora abbracciata a lui.
"Hai intenzione di scendere o vuoi che ti porti a casa con me?" le chiese divertito.
"Mi piacerebbe, ma domani lavoro" scherzò staccandosi da lui, l'aria stanca e il sorriso sulle labbra.
Scese dalla moto aggrappandosi alle spalle di Evan per non cadere, poi in punta di piedi si sporse verso di lui per schioccargli un tenero bacio su una guancia "Manda un messaggio appena arrivi a casa" gli raccomandò.
Evan rise "Stai tranquilla" le disse prendendo in mano il casco di Hazel "Mammina" aggiunse poi divertito.
"Buonanotte" lo salutò voltandosi per poi incamminarsi verso il portico di casa sua.
"Notte" ricambiò lui mentre Hazel stava già aprendo la porta di casa.
Quando fu dentro, corse su per le scale attenta a non fare troppo rumore e svegliare così la sua famiglia, suo malgrado però, Ian, seduto ai piedi del suo letto, l'aspettava sveglio col suo libro di diritto privato in mano, impaziente di parlare con Hazel proprio come lei stessa gli aveva promesso prima di uscire di casa.
"Ian!" quasi strillò la ragazza quando sull'uscio della porta, sobbalzò nella penombra dallo spavento "Che diavolo fai qui ancora sveglio?" chiese, la mano sul petto e il respiro irregolare.
"Studiavo" rispose chiudendo il suo libro e posandolo al suo fianco "E aspettavo il tuo ritorno per poterti fare la predica" aggiunse allungando le gambe e stiracchiandosi per bene.
Hazel roteò gli occhi accendendo la luce, si tolse la giacca, poi buttò la sua tracolla sulla sedia davanti la sua scrivania "Non puoi fare sul serio" gli disse legandosi i capelli in una coda disordinata.
"Oh, sì invece" rispose annuendo compiaciuto Ian.
"Sai? Non sapevo che Casey fosse in grado di guidare una moto, credo abbia svegliato l'intero vicinato quando si è fermata qui davanti" aggiunse, indicando la finestra alla sua destra con un pollice.
Hazel si immobilizzò sul posto, poi si voltò verso di lui "Ian, ti prego, non ricominciare" lo supplicò.
"Perché non mi hai detto che stavi uscendo con lui?" le chiese confuso, l'espressione accigliata e il tono offeso.
Hazel sbuffò "Perché continui a darmi il tormento e a psicanalizzare qualunque cosa io faccia?" gli chiese irritata.
"Darti il tormento? Io mi preoccupo per te!" rispose arrabbiato mettendosi in piedi.
"Oh, ci risiamo!" si lamentò alzando le braccia in alto rassegnata "Tu ti preoccupi per me, Evan continua a sentirsi responsabile per me, perfino Noah è in pensiero per me e vuole farmi credere che Evan sia pericoloso. Tutto questo è così ridicolo!" si sfogò esasperata.
"Ma prova a convincermi ancora una volta, Ian: perché Evan, il mio ragazzo, dovrebbe rappresentare un pericolo per me? Perché diavolo ti comporti come se volessi a tutti i costi tenermi lontana da lui?" gli chiese incredula, la cortina di lacrime ad annebbiarle la vista.
Ian le si avvicinò con aria affranta, le mani tremanti e gli occhi sgranati "Non penso che Evan potrebbe mai farti del male, ma ciò non toglie che dal giorno del funerale tu ti comporta in maniera completamente diversa con me. Per questo ti sto tanto addosso, tormentandoti e cercando di capire ad ogni costo cosa ti stia succedendo. Tu continui a mentirmi, a nascondermi se esci nel bel mezzo della notte per vedere Evan, a impedirmi di proteggerti quando stai per incontrare il ragazzo che ha provato a violentarti, non lasci nemmeno che io mi preoccupi per te, Hazel!" le confessò, ferito e deluso mentre a pochi centimetri dal suo viso, la fissava sul punto di scoppiare in lacrime.
"Non voglio tenerti lontana da Evan, ma non voglio nemmeno che ti allontani me. Voglio aiutarti, voglio sapere come stai, perché so che c'è qualcosa che non va, e so che stai cercando di ignorare il problema tenendoti tutto dentro, ma non puoi continuare a farlo ancora per molto o impazzirai" continuò, in piedi davanti a lei, mentre immobile lasciava che le lacrime le scivolassero lungo il volto senza dire una sola parola.
Sospirò, si asciugò qualche lacrima, poi finalmente si mosse. Si fiondò fra le braccia del fratello, cominciando a piangere più forte, mentre Ian la stringeva contro il suo petto con fare protettivo.
"Voglio solo che tutto torni come prima" disse, piangendo contro la felpa di Ian.
Quella mattina, con sua grande sorpresa Evan venne convocato dal sergente Cooper per una comunicazione urgente, così, dopo ben due giorni lontano dalla base, non poi così nostalgico come si sarebbe aspettato, finalmente stava per farci ritorno.
Adesso stava seduto davanti la scrivania del sergente Cooper, nel suo incasinato ufficio dove aspettava ormai da una buona mezz'ora che il suo superiore finalmente arrivasse. Fissava attento i fascicoli disposti disordinatamente in una pila sulla scrivania, lo schermo di un computer spento, e giusto due fotografie raffiguranti niente meno che Rocky, il suo cane, nella cornice esposta sul lato destro, e lui e il suo nipotino ad una festa di compleanno in quella sul lato sinistro. Teneva quelle foto lì dal giorno in cui Evan era entrato a far parte di quel plotone, ma ciò nonostante, ricordarsi che dopo tutto Cooper non era solo uno scapolo dai grossi muscoli come tutti erano soliti credere, ma che addirittura fosse in grado di amare qualcuno - che fosse il suo cane o il suo nipotino - , sorprendeva sempre Evan proprio come la prima volta.
Adesso, seduto in bilico su quella sedia, curiosava fra tutti quei documenti cercando di leggere cosa ci fosse scritto in quel foglio esattamente davanti al computer.
Intravide qualche cognome scritto a penna, rimase a fissarlo confuso non riuscendo a leggere bene qualunque cosa ci fosse scritto, poi la porta dietro di lui si aprì. Sobbalzò spaventato, mentre Cooper lo guardava sorpreso sulla soglia della porta, e lui si metteva sull'attenti come da copione.
"Riposo Blake!" gli disse facendogli segno con la mano di sedersi.
"Sergente" lo salutò Evan mettendosi di nuovo comodo sulla sua sedia.
Nel frattempo Cooper raggiungeva la sua postazione dietro quell'incasinata scrivania, e Evan lanciava ancora qualche sbirciatina su quel foglio.
"Come va? Ti stai godendo le tue vacanze, soldato?" gli chiese fin troppo interessato l'uomo poggiando le spalle sulla sua comoda sedia rotante.
Evan accennò un sorrisetto sghembo "Sto bene, sergente. Tornerò presto a lavoro, il tempo che mi son preso per elaborare ciò che è successo sembra bastarmi per adesso" rispose sicuro di sè il ragazzo.
"Nessuno di noi era preparato ad un evento del genere. Tu eri anche molto legato al soldato Lynn, per non parlare di come tu stesso abbia sperimentato sulla tua pelle cosa significa trovarsi vittima di un attacco" si mostrò stranamente apprensivo Cooper.
"È tutto ok, sergente. Sto gestendo la cosa come meglio posso" lo rassicurò Evan.
"Oh, ne sono certo!" esordì l'uomo incrociando le braccia dietro il suo capo "Nell'ultimo anno sei molto maturato, Blake: ti sei allenato, hai prestato servizio dove ti è stato ordinato nonostante la tua iniziale disapprovazione, ma soprattutto, hai imparato come affrontare al meglio il tuo problema" continuò con fare da adulatore.
Evan accennò a una risata, più divertito e imbarazzato che lusingato da quelle parole.
"Il mio problema" ripeté trovando così divertente considerare il suo disturbo un semplice problema.
"Sì, Evan, il tuo disturbo post trauma. Non tutti riescono a controllarlo, molti finiscono addirittura col rinunciare al loro posto nell'esercito a causa del loro trauma, ma tu no, tu non hai mai lasciato che questo ti compromettesse" riprese col recitare le sue ridicole lusinghe.
Evan sospirò, non più così divertito all'idea che tutto ciò per cui adesso Cooper lo stava elogiando, non fosse nient'altro che una menzogna.
"Soldato Blake, ti ho chiesto di venire qui perché è arrivato il momento che io scelga ancora una volta i miei uomini, i miei soldati migliori. La nostra base in Afghanistan ha chiesto di nuovo l'invio di altri rinforzi; dopo l'attacco di qualche settimana fa le nostre forze lì si sono indebolite, per questo è stata indetta una nuova missione per il prossimo mese" spiegò tutto chiaramente guardando fisso negli occhi il ragazzo davanti a lui.
Evan lo ascoltava incredulo, immobile sulla sua sedia, per niente sicuro di sapere cosa dire.
"Ti sto chiedendo di ripartire di nuovo con me e la mia squadra, soldato Blake" andò dritto al punto Cooper.
Le mani di Evan cominciarono a sudare, la sua gola a seccarsi pian piano, poi finalmente riuscì a parlare "Una nuova missione in Afghanistan?" chiese conferma sorpreso Evan.
"A Kabul, per l'esattezza" rispose Cooper.
"Signore, sta dicendo che crede io sia finalmente pronto?" chiese ancora una volta il ragazzo, che non poteva fare a meno di rimproverare se stesso per aver ripreso a prendere le sue pillole solo quella mattina.
"Il dottor Mavis e io pensiamo tu sia senza dubbio la prova che pur avendo un disturbo post traumatico da stress, non si debba necessariamente dire addio alla propria carriera nell'esercito" rispose fiero.
Ma Evan continuava a pensare a tutte le notti insonni che aveva passato negli ultimi mesi, agli incubi e ai frequenti attacchi di panico, al giorno del funerale, a Noah, e alla sua pistola puntata dritta contro Hazel.
"Grazie mille, signore. Mi prenderò qualche giorno per pensare alla sua proposta, poi le farò sapere" rispose Evan mettendosi di colpo in piedi in preda al panico.
Porse una mano al sergente Cooper per salutarlo, la strinse forte, poi scappò via sconvolto da quell'ufficio senza dire un'altra sola parola.
Spazio autrice
Oggi avevo voglia di pubblicare, quindi eccovi il 52 capitolo!
Questa storia sta diventando più lunga di quel che mi aspettassi ahahah
E voi? Vi piace leggere storie lunghe oppure no?
Vi aspetto nei commenti,
grazie come sempre ♥️
Hazel Evans
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