Capitolo 48

Malgrado per Hazel, l'essere stata aggredita dal suo ex-ragazzo, o l'aver rischiato di farsi sparare con una pistola a salve da quello che era il suo attuale ragazzo, non l'avrebbe sottratta in alcun modo all'obbligo di presentarsi a lavoro quel giorno.
Così, a meno che non avesse voluto fingersi malata per rimanere a casa a sopportare il tentativo di ignorarla di Ian, Hazel avrebbe dovuto alzarsi da quel letto, indossare la sua uniforme e correre a lavoro.
Prese un'altra aspirina, già tirata in tiro nelle vesti di hostess esausta e disperata, poi con la sua borsa su una spalla, uscì di casa fingendo che tutto nella sua vita, a eccezione di quello che aveva dovuto subire il giorno prima, fosse decisamente normale.
Ian nel frattempo, continuava a ignorarla fingendosi deluso, in realtà più arrabbiato con se stesso che con sua sorella.
Aveva cercato di proteggerla, di tenerla lontana dai suoi mille problemi almeno per una notte, tentando di coccolarla e consolarla come solo lui sapeva fare, e finendo per far sentire soltanto peggio non solo lei, ma anche lui.
Adesso si sentiva in colpa, dispiaciuto e completamente inutile.
Così non la salutò nemmeno, troppo orgoglioso per chiederle scusa dopo nemmeno 2 ore dal loro litigio, ma già tremendamente stanco di far finta di avercela con lei.
Aveva deciso che avrebbe fatto pace con Hazel, prima ancora di capire quanto effettivamente lo facesse stare male litigare con lei. In fondo non si trattava solo di sua sorella, ma anche dell'unica persona in grado di ascoltarlo e capirlo fin da tutta una vita. Ian non avrebbe retto un giorno di più senza parlarle, e Hazel non avrebbe sopportato il suo silenzio ancora per lungo.
Così frustrato e nervoso Ian si gettò di peso sul divano, pianificando già nella sua testa cosa avrebbe detto alla sorella non appena sarebbe tornata.
Le avrebbe detto scusa, poi premuroso com'era le avrebbe anche chiesto come andasse con Evan. Si sentiva un completo idiota per aver provato ad allontanare Hazel da lui, per aver anche solo pensato che il problema fosse lui, e non la persona che aveva davvero fatto del male a sua sorella. In fin dei conti conosceva Evan, forse non così bene dall'essere certo che quel ragazzo non avesse alcun problema a gestire la rabbia, ma sapeva che non avrebbe mai potuto fare del male ad Hazel.
Si passò una mano fra i capelli, sentendosi un po' un imbecille per non aver fatto nulla per evitare che Evan si spingesse così oltre.
Chiuse gli occhi, poggiando il capo contro un cuscino, la testa che quasi gli esplodeva a causa di una terribile emicrania, le vene del suo collo che pulsavano sotto la sua pelle chiara.
Poi qualcosa si mosse attirando la sua attenzione, Ian aprì gli occhi e quando notò un cellulare vibrare sul tavolino di cristallo davanti a lui, si ricompose istantaneamente.
Lo prese fra le mani, le sopracciglia aggrottate e la bocca imbronciata, e quando lesse il nome del mittente di quel messaggio, in pochi istanti cambiò espressione.
Due piccole rughe comparvero fra le sue sopracciglia, il disegno della sua bocca perfetta scomparve velocemente nella linea sottile delle sue labbra, mentre la sua mano stringeva in una morsa il cellulare di sua sorella quasi a volerlo distruggere.
"Dobbiamo parlare, possiamo vederci?" scriveva Noah Keller al cellulare di Hazel.
Ian si alzò di scatto, agitato e sul punto di lanciare quel cellulare contro il televisore davanti a lui, poi costringendosi a mantenere la calma, lo mise in tasca, si passò ancora una mano fra i capelli agitato, e cominciò a pensare.
Hazel aveva scambiato per l'ennesima volta il suo cellulare con quello di Ian, era uscita di casa prima che se ne potesse accorgere, e adesso Ian si era trovato ancora una volta a leggere un messaggio non destinato a lui.
Era nervoso, preoccupato, e confuso, ma più di ogni altra cosa, era furioso. Velocemente la rabbia giunse alle sue mani, che tremanti, sembravano fremere dalla voglia di spaccare ogni cosa.
Poi in mezzo a quel tumulto di emozioni negative, di impulsi violenti e insorgere di pessime idee, qualcosa riuscì a farlo fermare almeno per qualche secondo.
Un pensiero gli sfiorò la mente, e senza un motivo apparente, Ian accennò a una risata, un inquietante e confuso ghigno comparve sulla sua bocca, e in un attimo si ritrovò di nuovo col cellulare di Hazel fra le mani. Rilesse il messaggio di Noah, rise più forte, poi digitò qualcosa.
"Vediamoci al parco fra mezz'ora" scrisse, mentre in silenzio, ringraziava il cielo e qualunque forza sovrannaturale più simile a un Dio, per aver portato Hazel a scambiare i loro telefoni prima che Noah provasse a contattarla.
Le mani tremavano, le gambe si muovevano veloci, e Ian era finalmente pronto a fare la sua parte.
Noah Keller non avrebbe mai più visto sua sorella, non le avrebbe mai più rivolto la parola, ne avrebbe più osato metterle le mani addosso.

Quando Hazel varcò le vetrate dell'aeroporto, si sentì come se qualcosa in quel posto non fosse più come l'aveva lasciata pochi giorni prima. L'aria che respirava sembrava diversa, la gente sembrava guardarla in maniera diversa, persino il motivo per cui si trovava lì adesso non le sembrava più lo stesso.
Si bloccò davanti agli enormi schermi al lato della zona check-in, mentre la fiumana di passeggeri continuava a passarle a fianco senza nemmeno accorgersi del suo evidente stato di shock.
I suoi occhi gridavano aiuto ma la sua bocca era immobile, i suoi piedi erano inchiodati al pavimento ma quell'orrenda sensazione continuava a farla sentire come un'anima in fuga, e tutto le pareva sempre più estraneo.
Il respiro irregolare, l'espressione terrorizzata, e il mondo che attorno a lei continuava a correre non preoccupandosi di cosa le stesse accadendo.
Sbatté le palpebre, poi una mano le toccò una spalla.
"Hazel?" la chiamò una voce dal tono preoccupato.
La mora scosse il capo, mosse le palpebre, poi sembrò finalmente reagire.
Deglutì "Cas" disse poi.
"Va tutto bene?" le chiese l'amica guardandola confusa.
Hazel sospirò, sforzandosi con tutta stessa di non scoppiare in lacrime, non di nuovo, non sul posto di lavoro.
Si portò una mano davanti la bocca, scosse di nuovo la testa, poi socchiuse gli occhi "Non lo so Cas, non so che diavolo mi sta succedendo" rispose, sul punto di cedere e lasciarsi andare.
Poi Casey la prese per mano, gliela strinse forte, e fu allora che Hazel riuscì a muovere le sue gambe e a staccare i piedi dal pavimento.
"Vieni con me" le disse la biondina, trascinandola poi via con sé.

Quando Ian finalmente arrivò al parco, fremeva dalla voglia di vedere Noah Keller in persona.
Non riusciva ancora a credere di trovarsi lì per incontrare il bastardo che aveva provato ad abusare di sua sorella, e cosa ancora più assurda, non riusciva nemmeno a capire il perché si sentisse addirittura felice all'idea di rivederlo.
Probabilmente le sue mani, che impazienti aspettavano di agire, sapevano esattamente perché, ma Ian era troppo agitato per provare anche solo a capirlo.
Il cellulare di Hazel nella tasca dei suoi jeans continuava a vibrare, ma lui nemmeno riusciva a sentirlo, adesso che l'unica cosa su cui sembrava riuscire a concentrarsi, era l'arrivo di Noah.
Poi lo vide, lì seduto su una panchina sotto l'ombra di un albero ormai spoglio, che agitato continuava a rigirarsi il cellulare fra le mani, provando in ogni modo a nascondere l'evidente stato di agitazione facilmente rintracciabile in ogni suo movimento.
Ian avanzava verso di lui sicuro di sé, il ghigno sul suo viso, le mani serrate in due pugni carichi di odio, e i passi sempre più svelti e pesanti.
Quando Noah lo sentì arrivare alle sue spalle si voltò di scatto sembrando quasi spaventato, poi lo riconobbe, e in un attimo fu in piedi, teso e sconvolto.
Spalancò gli occhi, serrò la bocca, poi si strofinò una mano sudata sui jeans.
Il volto tumefatto, i lividi sugli zigomi, e l'occhio destro gonfio e violaceo non impietosirono nemmeno per sbaglio Ian, che sempre più veloce stava per raggiungerlo, come un leone pronto all'attacco.
"I-Ian! Che ci fai tu qui?" chiese il moro terrorizzato.
"Credevi sul serio che l'avrei lasciata venire qui da sola?" gli gridò contro Ian, spingendolo con forza.
Noah barcollò, emise un lamento di dolore portandosi una mano alla spalla, poi recuperò l'equilibrio.
Mantenendosi a distanza di sicurezza, sollevò lo sguardo da terra, sconvolto e spaventato "Dov'è Hazel?" chiese guardandosi intorno confuso.
"Che t'importa? Non ti permetterò mai più di riavvicinarti a lei" gli promise, muovendo un passo in avanti, l'indice puntato contro Noah che spaventato indietreggiava.
"Devo parlarle Ian, è una cosa seria" gli disse, lo sguardo basso e l'aria stanca.
Si reggeva a mala pena in piedi dolorante, dando quasi l'impressione di essere sul punto di cadere per terra, mentre guardando attraverso il suo orribile occhio deformato, non sembrava rendersi conto delle vere intenzioni del ragazzo di fronte a lui.
"Ti sembra che io sia venuto qui per scherzare? Ho così tanta voglia di spaccarti la faccia, di riempire di lividi quel poco di pelle non ancora malconcia che ti è rimasta, che quando avrò finito, sono certo non riuscirai nemmeno più a muoverti con le tue gambe" rispose infuriato Ian, sempre più vicino a lui.
"Bene, se completare l'opera è l'unico motivo per cui sei venuto qui, fai pure" lo istigò facendosi avanti Noah, lo sguardo di sfida e l'espressione da pezzo di merda.
Ian ringhiò, poi perdendo ogni controllo gli mise le mani addosso, lo sollevò da terra strattonandolo dal colletto della sua giacca, poi scaraventandolo contro il tronco di un albero, riprese a parlare.
"Tu stavi per abusare di lei" scandì per bene il suo odio tra quelle parole, guardandolo con disprezzo e mantenendo la presa salda sulla sua giacca, il fiato sulla pelle di Noah e il pugno carico nella sua mano destra.
"È stata lei a seguirmi, mi ha abbracciato ed io l'ho baciata" un conato di vomito fece impallidire Ian.
Immaginare quella scena gli fece girare la testa, così paonazzo chiuse gli occhi sforzandosi di non svenire, poi li riaprì, e fissandolo con uno sguardo infuocato, sembrò sul punto di colpirlo.
"Lei voleva solo consolarti. Era preoccupata per te e tu le hai messo le mani addosso" gli disse, sconvolto dalle parole di Noah, la presa sempre più stretta sulla sua giacca.
L'espressione di dolore sul volto del moro sembrava non impietosirlo neanche un po', e adesso, nemmeno pensare a sua sorella e a come si sarebbe arrabbiata dopo aver scoperto cosa stesse succedendo fra lui e Noah, avrebbe potuto più fermarlo.
Noah lo guardava, più interessato a provocarlo che a cercare di difendersi, silenzioso e sofferente, in attesa che Ian finalmente lo colpisse, come se non stesse aspettando nient'altro che quel pugno.
Poi rise, il labbro spaccato si distese in un sorriso beffardo, e Noah parlò "Sembri non sapere nemmeno come farlo. Sei certo di esserne in grado, Ian?" lo provocò.
Il ragazzo strinse i denti, poi gli diede una ginocchiata nelle parti basse "Sta' zitto" gli intimò.
Noah si piegò in avanti, lamentandosi per il dolore e provando a dimenarsi per liberarsi dalla presa di Ian.
"Puoi fare di meglio, Donovan" continuò il moro.
"Se vuoi che in quella denuncia ci sia anche il tuo nome dovrai andarci davvero pesante" lo avvertì, ansimando per il dolore.
Ian inarcò un sopracciglio, rallentò la presa, poi costrinse Noah a guardarlo negli occhi.
Gli prese il volto fra le mani, stringendogli la mandibola e utilizzando ogni sua forza per provare a trattenersi dal colpirlo ancora.
"Che cosa hai detto?" domandò.
Noah rise, guardandolo riluttante attraverso gli occhi tumefatti "Hai sentito bene, Ian. Quel ragazzo ha provato a spararmi, ed io non lascerò che la passi liscia" spiegò, la schiena ancora contro il tronco dell'albero, la mano di Ian stretta attorno al suo viso.
"Tu vuoi denunciarlo?" chiese ancora Ian incredulo.
"Ha puntato una pistola contro me e tua sorella, perché non dovrei?" rispose Noah.
"Non puoi dire sul serio. Quella pistola non era nemmeno carica" gli ricordò Ian.
"Eppure Evan sembrava convinto che lo fosse. Quel ragazzo è fuori di sé, dovresti preoccuparti più per lui che per me" disse, mentre dal labbro spaccato cominciava a uscirgli di nuovo del sangue.
In qualche secondo, dopo quella rivelazione, Ian riprese di nuovo coscienza, così non appena sembrò ricominciare a ragionare, finalmente mollò la presa su Noah, mentre indietreggiando piano sembrò finalmente capire.
Si guardò le mani, notò le nocche arrossate, poi sollevò lo sguardo di nuovo su Noah.
"Non voglio mai più vederti" lo avvertì, l'indice puntato contro di lui.
"E non provare mai più ad avvicinarti a mia sorella, o la prossima volta sarò io a provare ad ucciderti" lo minacciò tirandogli un ultima ginocchiata nello stomaco, per poi lasciarlo lì piegato in due dal dolore e allontanarsi sconvolto.

Dopo essersi ripresa grazie all'aiuto di Casey, Hazel era finalmente riuscita a mettersi a lavoro, nonostante continuasse a guardarsi le spalle e ad analizzare ogni passeggero dall'aspetto sospetto per paura che chiunque le si fosse avvicinato, avrebbe potuto provare a farle del male.
Si sentiva come bloccata in uno stato di perenne ansia: ogni cosa la terrorizzava, e ogni volto sembrava rappresentare per lei un possibile aggressore dal quale dover scappare. Ogni volta che qualcuno le si avvicinava, lei sobbalzava spaventata, e se un passeggero si rivolgeva a lei per chiederle informazioni, in preda al panico Hazel provava a spiegarsi senza balbettare come un'idiota.
Aveva paura, riusciva a sentire solo paura.
Così dopo più di tre ore trascorse a cercare di non impazzire, finalmente si concesse una pausa.
Si allontanò dal varco prioritario per dirigersi al bagno, mentre tentava di evitare in ogni modo gli sguardi curiosi dei passeggeri, poi non appena raggiunta la toilette, si rintanò in uno dei bagni come a volersi nascondere.
Cercò il suo cellulare nella tasca del suo tailleur, ma quando lo tirò fuori, per poco non le cadde nel wc quando riconobbe la cover nero opaco di Ian al posto della sua.
Si portò una mano alla fronte, poi ricacciò il cellulare del fratello dentro il suo tailleur.
La testa le scoppiava e lei si sentiva sempre più confusa. Era così stanca da non essersi nemmeno accorta di aver preso il cellulare di suo fratello anziché il suo fino a quel momento. Non aveva speranze, era un completo disastro, e niente avrebbe potuto convincerla del contrario.
Sentendosi mancare l'aria, con forza aprì la porta del bagno, si sciacquò il viso accaldato, poi decise che se c'era qualcosa che avrebbe potuto aiutarla, allora si trattava proprio di un po' d'aria fresca. Così si affrettò ad uscire dalla struttura: lasciarsi indietro tutta quella confusione per prendere un boccone d'aria sembrava tutto ciò di cui avesse bisogno adesso.
Poi qualcosa la bloccò, come a volerle impedire di scappare via.
"Hazel" si sentì chiamare.
Respirando affannosamente si voltò, ritrovandosi il viso di Evan a un passo dal suo, notò la sua mano attorno al suo polso, e in un attimo si immobilizzò.
Si sentì soffocare, e solo quando Evan la mollò, riuscì a riprendere fiato.
"Evan" disse, il battito del suo cuore accelerato.
"Continuavo a chiamarti, e tu sembravi non sentirmi" le disse, lo sguardo preoccupato.
"Scusa, non credo di sentirmi bene" gli rispose, continuando a evitare il suo sguardo.
"Sei pallida, e stai sudando freddo" notò Evan, prendendole una mano sudaticcia.
Hazel continuava a sventolare una mano davanti al suo viso, Evan invece la fissava sempre più preoccupato.
"Andiamo a prendere un po' d'aria" le disse, stringendole la mano e cominciando a muoversi verso un chiosco all'esterno dell'aeroporto.

Spazio autrice

Eccomi finalmente qui dopo settimane con un nuovo capitolo!
Come sempre, mi scuso per il clamoroso ritardo nell'aggiornare, ma sto a poco a poco uscendo da una fase di crisi creativa, in cui impiego settimane per scrivere anche un solo capitolo. E siccome ci tengo tanto a rispettare la tabella di marcia che mi sono promessa di seguire con gli aggiornamenti (ovvero dieci capitoli di distanza dall'ultimo capitolo pubblicato e quello in cantiere), non ho potuto/voluto aggiornare. Ma adesso il processo creativo della mia incasinatissima mente sembra essersi rimesso in moto, così eccomi di nuovo qui, impegnata a scrivere ancora e a continuare ad aggiornare.
Ma passiamo al capitolo!
Allora? Piaciuto?
Commenti a caldo su Noah Keller aka il personaggio "antagonista" più irritante di sempre?
E su Hazel, che sembra non riuscire proprio a ritornare in sè dopo quel maledettissimo funerale?
Vi avverto, da qui in poi le cose si faranno sempre più complicate, per tutti: per i personaggi, per me che masochista come sono non faccio che dare vita a drammi su drammi, e per voi, che probabilmente siete più masochiste di me perché continuate a leggermi ahahah
Spero di non deludervi, o confondervi, ma solo di farvi appassionare alla storia come finora credo di aver fatto...
Come sempre, grazie di tutto, di seguirmi, votarmi, e soprattutto per la pazienza!
Vi adoro ♥️

Hazel Evans

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