Capitolo 45
Peter camminava spedito verso il dormitorio maschile della base, si faceva spazio in mezzo a tutti quei soldati che adesso si riversavano nei corridoi intenti a ripulire le loro camere, mente il momento in cui il colonello McGregor sarebbe giunto al loro piano per fare un sopralluogo si avvicinava sempre di più. Era agitato e in pensiero per Evan, e sapere che il suo migliore amico si trovasse da solo con la seconda persona al mondo con cui credeva non dovesse proprio stare adesso dopo Noah Keller, non faceva che alimentare il suo evidente stato d'agitazione.
Così arrivato alla porta della sua camera, la aprì di scatto senza perdere altro tempo, e quando vide John medicare le mani di Evan con attenzione e impegno, Peter non poté che pietrificarsi sul posto.
"Pet" disse Evan non appena lo vide arrivare.
Peter si affrettò a chiudere la porta alle sue spalle, poi si avvicinò ai suoi amici.
"L'ho trovato nel parcheggio dopo il funerale, era sconvolto, ho visto come era conciato, così l'ho portato qui" si spiegò John, guardando fisso negli occhi Peter.
"Credevo non avessi bisogno di nessun aiuto" disse Peter guardando Evan offeso.
"Scusa, non avrei dovuto allontanarti" il tono dispiaciuto nelle parole di Evan.
"Non avresti dovuto" disse Pet sedendosi sul letto a fianco a lui.
"Come stai adesso?" gli chiese poi premuroso, posandogli una mano sulla schiena.
"Bene, se così si può dire" rispose Evan, mentre il suo viso si storceva in una smorfia di dolore per via delle ferite sulle sue mani che John tentava di fasciargli.
"Senti ancora quegli spari?" gli chiese Peter, che sapeva ormai bene come andassero le cose durante quei soliti attacchi di panico di cui Evan si trovava spesso vittima negli ultimi mesi.
"No, Baghdad e la sparatoria hanno finalmente abbandonato la mia testa" il tono rassegnato nelle parole di Evan.
"Hai preso le tue pillole?" continuò Peter con quell'interrogatorio.
Evan distolse lo sguardo "Le ho buttate settimane fa, Pet. Quella roba porta sonnolenza".
"Ma tu hai bisogno di dormire!" gli ricordò "Non così, non perché delle pillole mi aiutano a spegnere il cervello la notte, e a rincoglionirmi di giorno" protestò il moro.
"Evan, hai detto di voler essere aiutato" gli ricordò John.
Così il ragazzo cambiò improvvisamente espressione, si irrigidì, poi abbassò lo sguardo sulle sue mani.
Sospirò, e solo dopo qualche secondo in silenzio finalmente riprese a parlare "Quelle pillole mi fanno perdere lucidità, ed io ho bisogno di ritornare ad essere più consapevole delle mie azioni, e non di perdere anche quel minimo di autocontrollo che pare essermi rimasto. Non mi aiutano, Peter, davvero" provò a convincerlo Evan guardandolo serio fisso negli occhi.
"Sono certo che Mavis non la pensi allo stesso modo" rispose Peter.
Ancora pochi altri secondi di imbarazzante silenzio, poi Evan aprì di nuovo bocca "Come sta Hazel?" chiese preoccupato al suo migliore amico.
"Sta bene, è da Casey adesso" rispose il ragazzo guardando Evan dispiaciuto.
"Voglio la verità Pet, come sta lei?" lo pregò, mentre a disagio Peter lanciava una strana occhiata a John.
Evan lo vide sospirare, poi guardarlo ancora negli occhi "È sconvolta e terrorizzata, Evan. Quando sei andato via, Ian ha aggredito quel Noah, io li ho divisi, poi quel tipo ha iniziato a dire di esser quasi morto per colpa tua" gli raccontò Peter.
Evan lo guardava sconvolto, spaventato e turbato - non riusciva a credere di aver sul serio rischiato di fare del male ad Hazel, di essere il principale motivo per cui adesso lei fosse così terrorizzata.
"Poi Hazel ha sparato un colpo in aria, gli ha detto che la tua pistola era a salve, e che non avresti mai potuto ucciderlo" continuò il ragazzo.
In quel momento Evan si immobilizzò, abbassò lo sguardo confuso, si strinse il capo fra le mani, poi accennò un debole sorriso "Era a salve" sussurrò, mentre Peter e John lo guardavano in silenzio.
Così sollevò la testa, guardò Peter incredulo, e mettendosi di nuovo in piedi ripeté "La mia pistola era a salve!" il tono sollevato.
Peter e John si scambiarono delle occhiate confusi, poi il biondino posò lo sguardo sulla pistola di Evan adesso all'interno della sua giacca, guardò di nuovo il suo amico incredulo, e inarcando un sopracciglio gli chiese "Vuoi dirmi che quando hai puntato la pistola contro Noah, non ricordavi che fosse scarica?".
Evan scosse il capo "Credevo di essere a Baghdad Pet, tu gridavi il mio nome, ed io ero convinto di stare per sparare all'uomo che ti ha colpito alla gamba" gli spiegò.
"Le immagini erano così confuse: credevo di stare per sparare contro un ribelle, ma nella mia testa volevo morto a tutti i costi Noah" continuò Evan, il tono agitato nelle sue parole.
"Ma sapere che qualunque cosa mi passasse per la testa, io non avrei potuto comunque ucciderlo, in qualche modo adesso mi fa sentire sollevato" spiegò Evan serio, gesticolando con le sue mani adesso ben fasciate.
Poi sentirono qualcuno parlare dietro la loro porta, i tre si guardarono confusi, e quando riconobbero quella voce, ebbero giusto il tempo per metter via la cassetta del pronto soccorso e nascondere la pistola di Evan nel condotto dell'aria, prima che la porta venisse aperta.
"Dammi questo!" disse Peter strappando la garza elastica dalle mani di John.
Peter si fasciò velocemente una mano, poi nascose la garza dentro la sua giacca, mentre nel frattempo il colonnello McGregor apriva la porta della loro camera senza nemmeno bussare.
Quando entrò, i tre si misero sull'attenti davanti a lui, portarono una mano tesa alla fronte, poi McGregor finalmente li congedò "Riposo!" disse loro con tono duro.
"Venite dal funerale, soldato Blake?" chiese l'uomo dai lunghi baffi grigi guardando serio le uniformi da cerimonia dei tre ragazzi.
"Sissignore!" rispose il ragazzo guardando dritto davanti a sè, attento a non incrociare lo sguardo del suo superiore.
"Mi dispiace per il vostro amico, siamo tutti molto addolorati per la sua perdita" disse loro McGregor, il tono sincero.
"Dispiace anche a noi, signore" disse Peter mantenendo lo sguardo basso.
"Qui è tutto in ordine, Davis?" cambiò poi argomento l'uomo, rivolgendosi a John.
"Sissignore! Tutto è al suo posto, ma se vuole controllare" rispose John, mentre si guardava intorno fingendosi calmo.
"Va bene così Davis, oggi è stata una giornata dura per voi, vi risparmierò il sopralluogo" rispose McGregor, sistemandosi il berretto sopra il capo.
Il ragazzo annuì, mostrando la sua gratitudine, poi qualcosa catturò l'attenzione dell'uomo proprio mentre era sul punto di girare i tacchi e andar via.
"Cos'è quello, Blake?" chiese, indicando il viso di Evan, che ancora si ostinava a tenere lo sguardo basso come a volersi nascondere da McGregor.
"Non è niente, signore. Solo un graffio" rispose Evan, adesso costretto a doversi mostrare al suo superiore.
L'uomo inarcò un sopracciglio "Hai fatto a botte con qualcuno, soldato?" chiese confuso.
"Sono stato io signore" intervenne Peter, attirando l'attenzione su di lui.
"Io e Evan ci allenavano in un corpo a corpo, è colpa mia, non volevo colpire Evan in faccia" spiegò il ragazzo, mentre Evan e John lo guardavano colpiti.
"Devi essere davvero forte come dicono come pugile, Collins. Blake ha addirittura due mano ferite, mentre tu solo qualche graffio alle nocche" disse McGregor indicando la mano che Peter si era fasciato in malo modo giusto prima che lui entrasse.
"Sono solo bravo a difendermi, signore" rispose umilmente Peter.
"Allora dovrai insegnare al tuo amico come non farsi colpire, visto che sembra combattere proprio come un sedicenne alle prese con le prime risse al liceo" disse l'uomo, guardando con aria di sfida Evan, il quale ne aveva già abbastanza di subire tutte quelle provocazioni in una sola giornata.
Avrebbe potuto spaccare la faccia a Noah e dimostrare quanto forte fosse anche in un corpo a corpo, ma suo malgrado, lo stesso non valeva per il colonnello McGregor.
"Adesso vado, voi assicuratevi che io non debba più ritornare per un po'" disse loro l'uomo baffuto.
"Sissignore!" risposero in coro i tre ragazzi.
Quando Hazel entrò nella stanza di Casey avvolta nel suo asciugamano rosa, quel dolce profumo floreale che emanava adesso la sua pelle, l'aiutò a sentirsi finalmente un po' più pulita. Si guardava intorno mentre i capelli mori legati in una coda disordinata le solleticavano le spalle, e dei brividi cominciavano a correre lungo le sue braccia.
Vide gli abiti puliti che Casey le aveva prestato ordinatamente piegati ai piedi del suo letto, così in pochi secondi si rivestì. Adesso, in quella tuta un po' troppo lunga e in quella felpa un po' troppo rosa, Hazel riusciva finalmente a sentirsi se stessa, sebbene i vestiti che indossava fossero di Casey e non suoi.
Semplicemente, essersi tolta di dosso quell'elegante vestito nero, scomodo e bagnato, che tanto Hazel aveva adorato fino a quel giorno, l'aveva fatta sentire meglio, portandosi con sè perfino quell'orrenda sensazione delle mani di Noah su di lei che tanto la opprimeva adesso.
Così Hazel si sedette sul letto dell'amica, incrociò le gambe, si sciolse la coda umidiccia, poi si portò le mani sul viso.
Si sentiva profondamente scossa, nauseata e delusa. Riusciva a percepire il forte suono di quei spari che ancora rimbombavano nelle sue orecchie, dal momento degli spari di commiato poi, tutto era successo così velocemente che quasi a mala pena adesso riusciva a ricordare il perché fosse finita appartata con Noah. Si maledì per aver ceduto ancora una volta all'insulsa recita di Noah Keller, poi improvvisamente sentì le sue mani cominciare a bagnarsi di lacrime.
Prima ancora che lei potesse accorgersene aveva cominciato a piangere, e adesso che il suo volto era di nuovo rigato da quelle lacrime, Hazel non sembrava riuscire proprio a reagire.
Prese un profondo respiro mentre impotente continuava a singhiozzare, lì da sola nella camera da letto della sua amica, poi agì d'impulso, e in pochi istanti si ritrovò col cellulare fra le mani.
Fece scivolare il suo pollice sullo schermo, poi una decina di messaggi da parte di Evan le apparvero davanti agli occhi pieni di lacrime. Stava per chiamarlo, per premere il nome di Evan nella sua rubrica, ma ecco che quei messaggi la bloccarono.
Si fermò a leggerli, con gli occhi gonfi e colmi di lacrime, e il pollice tremante sullo schermo. Velocemente cambiò idea: non era ancora pronta per sentire di nuovo la voce di Evan, né per chiedergli come stesse o provare a rassicurarlo. Prima avrebbe dovuto almeno tentare di capire come stesse lei.
Bloccò lo schermo del suo cellulare, si asciugò gli occhi con la manica della felpa di Casey, poi gettò il suo telefono fra le coperte del letto, e prendendo dei profondi respiri, si alzò lentamente.
Avanzava verso la porta semi chiusa della camera da letto di Casey, mentre terrorizzata a morte, immaginava la stanza attorno a lei girare vorticosamente, il parquet sotto i suoi piedi tremare, e un miscuglio di assurdi pensieri fare a pugni nella sua testa. Il senso di nausea peggiorava, il dolore alla testa diventava sempre più acuto, e Hazel continuava a muoversi insicura. Si fermò solo quando barcollante raggiunse lo specchio al lato della finestra, la cui immagine riflessa sulla superficie splendente, non sembrava affatto assomigliare a lei.
Aguzzò la vista, le spalle tese e il respiro affannato, poi la sensazione del vento freddo e della pioggia pungente ritornò viva sulla sua pelle, mentre una voce acuta continuava a perforarle i timpani gridando quella che sembrava essere addirittura una supplica.
"Noah, smettila!" - Erano queste le parole che adesso continuavano a rimbombare nella sua testa, esattamente le parole che aveva usato lei, quando in trappola fra le braccia di Noah, lo aveva pregato di lasciarla andare.
Delle lacrime ricominciarono a scivolare lente lungo il suo viso, mentre gli occhi socchiusi fissavano lo specchio davanti a lei.
Serrò i pugni d'istinto non appena le sue braccia sembrarono avvertire di nuovo il tocco delle sporche mani di Noah su di lei, poi lentamente vide apparire sulla superficie specchiata la canna della pistola di Evan puntata ancora una volta contro di lei.
Il nero lucente di quell'arma letale, tanto affascinante quanto terrificante, le fece venire la pelle d'oca, mentre le mani immaginarie di Noah continuavano ad accarezzarle il volto spedite.
Le gambe di Hazel tremavano, le lacrime si riversavano ancora a fiotti lungo le sue guance chiare, mentre le unghie conficcate nella pelle e chiuse ben strette nei suoi pugni, cominciarono a segnarle dei piccoli graffi a forma di mezze lune sui palmi delle mani.
"Smettila" sussurrò digrignando i denti, il ghigno sul suo viso.
Piangeva ancora, ma non sembrava più solo sconvolta e impaurita, adesso tutto in lei traspariva rabbia, ribrezzo e senso di colpa.
Fissava intensamente la canna della pistola di Evan ancora perfettamente nitida davanti a lei, poi lo sguardo cadde sulle sue mani, i segni rossi della stretta di Noah sui suoi polsi, e i pugni saldi pronti a caricare un colpo.
Sollevò il braccio destro, ruotò il polso davanti ai suoi occhi, poi diede un'ultima occhiata alla pistola puntata contro di lei, ma quando vide di nuovo l'immagine di Noah intento a baciarla con forza, trattenendola contro ogni suo rifiuto, gridò, e un lamento acuto e terrificante echeggiò in tutta la casa.
In pochi istanti Hazel si ritrovò con un pugno sanguinante infilzato da decine di pezzi di vetro frantumato, e la gola secca, completamente asciutta e priva di voce.
Vide il sangue scivolarle lungo il braccio, macchiare la felpa di Casey, e colorare di rosso il vetro adesso conficcato nella sua pelle.
Sconvolta sollevò lo sguardo verso lo specchio completamente distrutto davanti a lei, e quando vide il suo solo riflesso su di esso, finalmente si rese conto di ciò che aveva appena fatto.
Sentì qualcuno salire di corsa le scale mentre gridava il suo nome, e quando vide Ian e Casey sul ciglio della porta fissarla sconvolti, Hazel capì.
Accorsero a lei terrorizzati gridando frasi confuse e assordanti, mentre le mani di Hazel non cessavano di tremare.
"Hazel, cosa hai fatto?" le chiese confuso suo fratello che impaurito sembrava non riuscire nemmeno a prenderle le mani.
Lo fissava immobile ad eccezione delle sue mani, che insanguinate continuavano a muoversi freneticamente, mentre incapace di reagire, balbettava qualche sillaba del tutto priva di senso.
L'unica che sembrava sapere perfettamente cosa fare era solo Casey, che senza dubbio più lucida degli altri due, aveva già preso dai polsi la sua amica allontanandola istantaneamente dai frammenti di vetro sparsi sul pavimento. Adesso stringeva le sue mani sporche di sangue nella stessa asciugamano rosa e umidiccia che poco prima aveva prestato ad Hazel, mentre spaventata le carezzava la fronte sudata tentando di confortarla in qualche modo.
Erano sedute ai piedi del letto, la testa di Hazel china sul petto dell'amica, gli occhi sgranati rivolti verso i mille pezzi di vetro a pochi passi da lei, e le sue mani ancora nascoste in quell'ammasso di tessuto spugnoso adesso sporco del suo sangue.
Ian le fissava sconvolto a debita distanza, zitto e paralizzato, comportandosi quasi come se nessuno si fosse accorto della sua presenza in quella stanza. Non era impressionato dal sangue, nè confuso sul motivo che aveva spinto Hazel a rompere quello specchio, Ian era spaventato, terrorizzato a morte, e in qualche modo perfino infuriato per non aver fatto niente per aiutare davvero sua sorella fino a quel momento. Non avrebbe mai dovuto lasciarla sola, non avrebbe dovuto farlo al cimitero, e nemmeno lì nella confortevole e rassicurante stanza da letto di Casey.
"Ian!" si sentì chiamare ad un tratto "Cazzo Ian, riprenditi!" strillò Casey seduta a fianco ad Hazel, che silenziosa sembrava sul punto di svenire lì fra le braccia della sua migliore amica.
Finalmente Ian scosse la testa, poi pallido guardò Casey, e quando lesse il panico sul suo volto qualcosa in lui finalmente si accese.
"Prendi la cassetta del pronto soccorso in bagno!" gli ordinò, mentre spaventata continuava a dare piccoli schiaffetti sulla guancia di Hazel.
Gli occhi schiusi, il viso paonazzo e le labbra secche: Casey non aveva mai visto Hazel in quelle condizioni, anzi, era certa di poter giurare di non aver mai visto nessuno prendere a pugni uno specchio a mani nude se non attraverso lo schermo di una tv.
"Hazel porca puttana, aprì questi dannati occhi e guardami!" le strillò contro in preda al panico. Pochi istanti dopo Ian finalmente le raggiunse con la cassetta del pronto soccorso in una mano, e mentre apparentemente più lucido si prestava a sorreggere sua sorella sul punto di collassare, Casey scopriva le mani di Hazel dall'asciugamano rosa sporco di sangue.
Con forza la ragazza aprì la cassetta del pronto soccorso, la fissò per un istante indecisa su come procedere, poi prima ancora che l'impulso dal suo cervello arrivasse alle sue agili mani, Casey stava già ripulendo quelle della sua amica con del cotone imbevuto di disinfettante.
Attenta e cauta fece scivolare qualche piccola scheggia di vetro rimasta incastrata nei graffi di Hazel sul parquet ai suoi piedi, mentre in ginocchio di fronte all'amica, tamponava delicatamente il cotone sporco di sangue sulle sue ferite.
Finalmente, quando il disinfettante si infiltrò nei suoi tagli, Hazel riaprì gli occhi, e mentre con forza stringeva i denti per il bruciore, la mano tremante di Ian le sfiorava il volto.
Le lacrime di Hazel gli inumidirono le dita, così, mentre terrorizzato, Ian tentava di confortare in qualche modo sua sorella, e un orribile sensazione simile a tristezza mista a rabbia lo pervadeva completamente.
Le si avvicinò, poi portando un braccio dietro la schiena della mora, la strinse forte a sè, dolce e premuroso, un po' come a volerla proteggere da qualunque cosa l'avesse spinta a colpire uno specchio a mani nude frantumandolo in mille pezzi.
Le accarezzò i capelli, poi mentre Hazel si accucciava a lui, e Casey era ancora intenta a medicarle una mano, la mora finalmente parlò "S-scusate, i-io... Non so cosa mi sia preso" riuscì solo a dire.
Ian si raddrizzò per guardarla più da vicino, Casey sollevò lo sguardo sorpresa,
mentre con gli stessi occhi gonfi, rossi e colmi di lacrime, Hazel li fissava sconvolta.
"Non mi sono resa conto di aver colpito lo specchio fin quando non siete arrivati voi" aggiunse con voce tremante.
"Stai tranquilla, siamo qui con te adesso" le sussurrò Ian, dandole poi un tenero bacio sulla tempia.
"Sei sconvolta Zel, non devi scusarti, non immagino nemmeno come tu ti senta adesso" provò a confortarla l'amica, guardandola con attenzione, lo sguardo carico di dispiacere.
"Ripulirò tutto io, ti comprerò uno specchio nuovo" chiarì Hazel sentendosi tremendamente in colpa, gli occhi puntati di nuovo verso lo specchio in frantumi davanti a lei.
"Tu non farai nient'altro che non sia riposarti un po' e provare a stare meglio" la minacciò Casey, lo sguardo serio.
Hazel sospirò, poi guardò le mani adesso perfettamente fasciate, le mosse piano, e senza pensarci un attimo di più, prese a cercare il suo cellulare lì sul letto di Casey dove lo aveva gettato poco prima.
"Che ore sono? Si è fatto tardi?" chiese confusa guardando fuori dalla finestra, la luce flebile del tramonto che penetrava attraverso la folta chioma di un albero.
"È ora di cena, vuoi che ti riaccompagni a casa?" le chiese Ian premuroso, stringendola a lui, il viso di Hazel contro il petto del fratello.
Un debole sorriso le illuminò il viso "Sì, forse è meglio che io torni a casa" sussurrò commossa guardando con gratitudine suo fratello e la sua migliore amica.
Poi finalmente riuscì a trovare il suo cellulare, così lo acchiappò con cautela portandolo davanti al suo viso, e quando il nome di Evan riapparve sullo schermo, l'espressione di Hazel velocemente cambiò.
La linea della sua bocca si contrasse, le mani si immobilizzarono, e il respiro improvvisamente si bloccò "È Evan" disse preoccupata "Continua a chiamarmi e a mandarmi messaggi".
Casey inarcò le sopracciglia "Dirò a Peter di rassicurare Evan. Tu ignora quei messaggi e prova a non pensare a lui. Hai bisogno di riposare" le disse premurosa come sempre Casey.
Hazel la guardava titubante, ma prima ancora che riuscisse a controbattere, il suo telefono era già sparito dalle sue mani.
"Dimentica Evan e quello che è successo almeno per stasera, va bene?" le propose Ian, infilando il cellulare della sorella nella tasca della sua giacca.
Sul punto di replicare poi qualcosa la bloccò, così sospirò ancora, posò lo sguardo di nuovo sulle sue mani, poi guardò Ian.
Annuì, consapevole che riposare e ignorare qualunque tipo di legame col mondo esterno, fosse davvero l'unica cosa di cui adesso lei avesse bisogno.
"Va bene" si arrese poi triste e distrutta.
Spazio autrice
Buonsalve a tutti!
Eccomi anche questa settimana con un nuovo capitolo!
Sto cercando di aggiornare il più frequentemente possibile, perché so quanto """pesanti""" siano questi ultimi capitoli, viste le condizioni di entrambi i nostri protagonisti, e per questo voglio arrivare il più velocemente possibile al momento in cui le cose finalmente ritorneranno un po' più romantiche e meno disastrose.
Ciò nonostante spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e che la curiosità di sapere come andranno a finire le cose fra Hazel e Evan, aumenti sempre di più in voi!
Come sempre aspetto con ansia i vostri commenti.
Così per oggi è tutto,
ci vediamo presto con un nuovo capitolo!
P.S. Grazie per leggere e votare sempre i miei capitoli, siete fantastiche! ♥️
Hazel Evans
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