Capitolo 42
"This isn't just a dream,
stuck on a bad repeat,
fightin' the air to breathe.
You can't touch me now"
Bad Man, Esterly
Lo guardava impugnare quella pistola, concentrato e impassibile, mentre tentava di nascondere tutto il suo dolore dietro la sua maschera. Hazel era certa che con quell'espressione seria e fredda dipinta sul suo volto, Evan sarebbe riuscito a ingannare chiunque senza alcuna difficoltà, ma non lei. Lei lo vedeva soffrire anche adesso, mentre col viso nascosto sotto l'ombra del suo berretto, Evan si ostinava a trattenere le lacrime, fingendosi indifferente. Riusciva a sentire il suo dolore anche stando così lontana da lui, pur non potendolo guardare in faccia. Non le serviva molto per capire come potesse sentirsi Evan, ed era proprio per questo che aveva pianto in quel modo durante l'intera cerimonia. Hazel non aveva mai scambiato più di qualche semplice parola con Billy, non sapeva nemmeno che cosa significasse realmente rischiare di morire proprio in quell'assurdo modo in cui lui aveva perso la sua vita, eppure lei aveva pianto. Aveva ascoltato Teresa Lynn leggere la sua lettera, mentre con un fazzoletto alla mano non aveva smesso di asciugarsi le lacrime nemmeno per un secondo. Era rimasta a guardare Evan e i suoi compagni sparare i tre colpi di commiato, mentre suo fratello Ian la stringeva forte per le spalle, Casey le teneva la mano, e Evan la guardava da lontano distrutto.
Hazel non aveva mai assistito a niente di più straziante, doloroso e sconvolgente, eppure, la perdita di quel ragazzo la toccava solo indirettamente.
Osservava Evan e Peter avvicinarsi cauti a Billy, sistemarsi rispettivamente ai lati opposti della sua bara, poi piegare la bandiera degli Stati Uniti stesa su di essa. La fissarono per bene con un martello, poi insieme al sergente Cooper si inchinarono per salutare Billy ancora una volta.
La tromba smise di suonare, il vento cominciò a soffiare più forte, poi qualche goccia di pioggia le cadde sulla fronte.
Si passò una mano fra i capelli, e quando una figura in movimento di fronte a lei catturò la sua attenzione, Hazel si drizzò sul posto istintivamente.
Si voltò verso la folla alle spalle della famiglia Lynn, e quando notò Noah correre via sconvolto, qualcosa la fece agire inconsapevolmente.
Scostò il braccio di Ian dalle sue spalle, diede un'ultima occhiata al suo ragazzo ancora lì davanti alla bara di Billy, poi si mosse velocemente.
"Dove vai?" le chiese Ian a bassa voce, vedendola indietreggiare.
Hazel lo guardò spaesata, esitò per qualche istante, poi rispose "Ho bisogno di allontanarmi per qualche minuto" l'aria sconvolta e le mani tremanti. Ian annuì, Casey fece spallucce, poi Hazel diede loro le spalle e andò via.
Cominciò a correre oltre il giardino circondato da querce, dirigendosi verso le cappelle in marmo dentro le quali erano conservate altre tombe, ansimando e tremando spaventata.
La pioggia nel frattempo, cadeva sempre più fitta sulla sua testa, bagnandole i capelli mossi e il vestito nero che aveva indossato quella mattina. Il vento soffiava nella direzione opposta a quella verso la quale Hazel correva, facendole gelare le braccia, mentre i lunghi capelli castani le volavano sulle spalle.
Poi finalmente lo vide, così coi capelli ormai gonfi e arruffati, si fermò davanti una piccola cappella.
Noah piangeva disperato prendendo a calci e a pugni qualunque cosa lo intralciasse, gridando solo e sconvolto.
Quando Hazel gli si avvicinò, piano e silenziosa, Noah stava coi gomiti puntati contro un muro di pietra, stringendo i suoi riccioli in due pugni ferrei, e continuando a piangere in preda al panico.
Ultimamente, tutte le volte che Hazel aveva incontrato Noah, lo aveva trovato sempre più stanco e triste, e quasi sempre, lo aveva visto addirittura piangere, sinceramente pentito e dispiaciuto per quello che le aveva fatto. Lei non lo aveva mai allontanato, piuttosto aveva sempre cercato di spiegargli come stavano adesso le cose per lei, cercando di essere al contempo non troppo dura ma soltanto sincera. Adesso però, Hazel sembrava non riuscire più nemmeno a guardarlo stare così male. Non sapeva cosa fare, se andare di nuovo via o rimanere lì con lui, e in tal caso, cosa dirgli per farlo stare meglio e non risultare solo una stupida. Non ci sono mai molte cose da dire in situazioni del genere, Hazel lo sapeva bene, ma conosceva altrettanto bene anche Noah, e se c'era qualcuno che avrebbe potuto provare a parlargli, allora quel qualcuno era proprio lei.
"Noah" lo richiamò, la voce tremante e l'aria insicura.
Lui si voltò, asciugandosi istintivamente le lacrime dal volto con le maniche della sua giacca, poi si fermò a guardarla sorpreso "Hazel?" disse "Perché sei venuta qui?" le chiese poi confuso.
"Perché ti ho visto scappare via sconvolto, ed è evidente che tu abbia bisogno d'aiuto" gli rispose, indicando il cestino dei rifiuti che Noah aveva lanciato poco prima per terra.
Il moro si guardò attorno spaesato, come se non ricordasse nemmeno di esser stato proprio lui a combinare quel tale macello.
Poi si passò una mano fra i ricci, si stirò la giacca che aveva indosso con le mani, e prendendo un profondo respiro, finse di essersi finalmente ripreso.
"Sto bene, non preoccuparti" le disse, il tono freddo e distaccato che lasciò sorpresa Hazel.
Lo guardò inarcando un sopracciglio, poi decise di non arrendersi davanti a quella ridicola recita.
"No, che non stai bene, nessuno di noi sta bene. Un ragazzo è morto, e se io che a stento lo conoscevo sto in questo stato, tu che eri uno dei suoi migliori amici-" si bloccò improvvisamente, notando come gli occhi di Noah stavano ricominciando a riempirsi di lacrime.
Prese un lungo respiro, si avvicinò ancora un po' a lui, poi gli posò una mano sulla spalla "Mi dispiace, Noah" gli disse, guardandolo fisso negli occhi.
Noah la guardò sorpreso, mentre le lacrime gli solcavano il volto e le mani non cessavano di tremare "L'ultima volta che l'ho visto era così felice e orgoglioso di ripartire di nuovo" riprese a parlare Noah, il tono incredulo e triste "Non posso credere che lui sia morto!" quasi strillò continuando a piangere, mentre guardava il cielo piovergli addosso indifferente, in cerca di una qualsiasi risposta che potesse aiutarlo a capire.
Hazel lo guardava piangere disperato davanti ai suoi occhi, non sapendo cosa dire, cosa fare, o se stare lì con lui fosse davvero una buona idea.
"Tutto questo non ha senso, Hazel" esordì Noah gesticolando agitato.
"Tu mi hai lasciato, hai perfino trovato qualcun altro, e adesso Billy è morto, niente potrebbe andare peggio di così" continuò il ragazzo passandosi una mano fra i capelli in preda al panico.
"Noah" lo chiamò Hazel a bassa voce "Non puoi paragonare il dolore per la nostra rottura a quello per la morte di uno dei tuoi migliori amici" gli fece notare Hazel, mentre il moro indietreggiava non smettendo di tremare agitato.
Lo vide buttare via dei fiori da un grosso vaso in pietra accanto a loro, poi dargli un calcio forte e deciso "Ehi, devi provare a calmarti" gli disse Hazel, ma lui sembrava non ascoltarla nemmeno.
Diede un altro calcio al cestino dei rifiuti, poi tirò un pugno contro la parete in pietra, urlando un gemito di dolore che fece gelare il sangue ad Hazel.
"Noah!" lo richiamò la mora spaventata, quando finalmente il ragazzo smise di prendere a calci ogni cosa.
Gli si avvicinò preoccupata, non potendo più nemmeno riconoscerlo, mentre Noah continuava a piangere disperato, il viso chino verso il basso.
"Sei arrabbiato, sconvolto, triste, ma spaccare tutto non sistemerà niente" gli disse, posando le mani sulle spalle del ragazzo.
Il moro sollevò finalmente lo sguardo, trovando il coraggio di guardarla di nuovo negli occhi. Le lacrime sul suo volto scendevano giù proprio come la pioggia sopra le loro teste, e adesso agli occhi di Hazel, Noah sembrava così solo e indifeso da farle provare solo un'immensa tenerezza.
Non le era sembrato così triste nemmeno quando lo aveva trovato davanti alla porta di casa sua, al suo rientro dall'appuntamento con Evan, mentre felice e spensierata stava mano nella mano col suo nuovo ragazzo. Aveva visto il cuore di Noah spezzarsi a causa sua, ma non credeva che le cose per lui sarebbero andate poi così male dopo la fine della loro storia. Infondo lei era riuscita ad andare avanti, e non poteva proprio non immaginare lo stesso lieto fine anche per Noah. Ma adesso lui continuava a piangere davanti ai suoi occhi, chiedendole aiuto e implorandole perdono, ed Hazel non era più sicura che sarebbe riuscita a tenerlo lontano.
Così lo abbracciò, si mise in punta di piedi, allargò le sue braccia, e lo strinse forte a sè. Non sapeva se lo avrebbe fatto stare meglio, ma quella le sembrava l'unica cosa da poter fare per lui in un momento così doloroso. Noah le cinse i fianchi, affondò il viso fra i suoi capelli, e si lasciò abbracciare come se quello fosse proprio il suo primo abbraccio dopo molto tempo.
Si strinsero forte, mentre Noah continuava a bagnarle le spalle, e lei ad accarezzargli la schiena. Hazel strizzò gli occhi, sentendosi quasi a disagio adesso che Noah la teneva di nuovo così stretta, poi lo sentì scostarle i capelli dalle spalle, ansimare sulla sua pelle, e avvicinarsi pericolosamente al suo viso.
"Noah" disse, tentando di staccarsi da lui, ma il moro la strinse più forte.
"Noah, smettila" continuò Hazel, posando le mani sulle spalle del ragazzo e provando a spingerlo via. Ma Noah insistette, così proprio quando Hazel stava per dire di nuovo qualcosa, le sue parole vennero soffocate in un inaspettato e indesiderato bacio.
Posò le labbra su quelle di Hazel, premette forte, mentre le sue mani la spingevano prepotenti contro il suo petto, e lei si dimenava arrabbiata sotto il suo tocco.
La baciava come mai aveva fatto prima d'ora, trattenendola, e incatenandola fra le sue braccia. Hazel non sembrava più sapere chi fosse, e tutto ciò non faceva che terrorizzarla sempre di più.
La spinse contro il muro in pietra, continuando a baciarla con foga, mentre le sue mani si muovevano in fretta lungo il vestito di Hazel. Le accarezzò le braccia, poi scese verso i fianchi, mentre ostinato le lasciava dei baci sul collo.
Hazel gridò, mentre terrorizzata piangeva, provando in tutti i modi a scansarsi, e a difendersi da quelle sporche mani.
"Noah, smettila!" lo implorò ancora una volta, ma lui sembrava non sentirla nemmeno piangere.
Evan correva come se impaurito stesse scappando via da una bomba ad orologeria sul punto di esplodere, ma non sapeva che in realtà, stava correndo proprio in contro a ciò che più di qualunque altra arma letale, avrebbe rischiato di ucciderlo.
Sentiva gli spari dei fucili dei ribelli accentuare il dolore alla testa, l'intenso odore della polvere da sparo invadergli le narici, e il fango sotto i suoi piedi rendere la sua corsa sempre più lenta. In realtà Evan stava semplicemente correndo da solo in quell'immenso cimitero completamente deserto, mentre la pioggia continuava a scendere giù, proprio come le lacrime sulle sue guance.
Non sapeva perché stava correndo, semplicemente non riusciva a fermarsi, troppo terrorizzato dalla sparatoria che ancora continuava nella sua testa.
La pioggia cadeva sempre più fitta, così all'improvviso Evan si fermò. Si sedette ai piedi di un'enorme quercia, lì nel grande giardino del cimitero di Santa Ana.
Oltre quegli alberi, le cappelle in marmo bianco si estendevano imponenti attorno al giardino frastagliato di lapidi.
Si strinse il capo fra le mani in preda al panico, strizzando gli occhi e digrignando i denti, seduto sotto quel grande albero. Qualcosa poi richiamò la sua attenzione, aiutandolo a reagire e a riacquistare velocemente un minimo di lucidità.
Sentì un grido, acuto e tagliente, e nonostante anche i lamenti dei suoi amici morenti nel villaggio di Ba'quba, suonassero forti e insopportabili nelle sue orecchie, Evan distinse subito quella voce da tutte le altre. Gli sembrava più reale, familiare, e anche più vicina. Così si mise in piedi, e mentre sentiva quelle grida sempre più vicine, il suo passo si faceva ancora più veloce.
"Noah, smettila!" sentì, trovandosi di fronte un'enorme cappella.
Quando riconobbe quella voce, tutto diventò nero attorno a lui. Le sue mani continuavano a tremare, mentre il sudore sulla sua fronte si confondeva con la pioggia che aveva ormai inzuppato i suoi capelli. Vide Hazel davanti ai suoi occhi, con le spalle contro il muro in pietra, nascosta dal corpo di Noah, che senza controllo continuava a baciarla nonostante le grida e le ripetute spinte della ragazza.
Senza pensarci un attimo Evan si fiondò su di lui, lo allontanò con un gesto secco, strattonandolo dal colletto della sua giacca, per poi gettarlo con forza per terra. Lanciò uno sguardo di fuoco ad Hazel, poi ritornò a concentrarsi su Noah, che adesso lo guardava sconvolto disteso sul terriccio.
Si piegò su di lui, cominciò a prenderlo a pugni in faccia, mentre la bocca di Noah si colorava di un liquido rosso e luminoso. Hazel rimase lì a fissarli immobile, sconvolta e terrorizzata, mentre le lacrime veloci scorrevano sul suo viso.
Solo quando Evan tirò di nuovo su Noah, spingendolo contro il muro e continuando a colpirlo ripetutamente allo stomaco, Hazel sembrò finalmente capire.
Anche Noah aveva iniziato a colpire Evan, nel tentativo di difendersi, o più semplicemente, di sfogarsi. Continuavano a prendersi a pugni fra loro, mentre Hazel impaurita stava lì a fissarli non riuscendo a intervenire.
Poi Noah tirò un brutto pugno in faccia ad Evan, che barcollando, rischiò quasi di cadere per terra, così Hazel gli si avvicinò, lo bloccò per le spalle, gli strinse il viso fra le mani, poi con gli occhi colmi di lacrime, provò a dirgli qualcosa "Basta, Evan!" lo pregò.
Il moro la guardò dritto negli occhi per qualche istante, posò una mano sulla sua fondina in cuoio, e quando si voltò di nuovo verso Noah scansando Hazel, impugnava già la sua pistola fra le mani tremanti e sporche di sangue.
Senza nemmeno riflettere, puntò la sua Glock 17 contro Noah, con lo sguardo carico d'ira e un labbro spaccato.
La sua elegante divisa nera adesso era tutta sporca di fango e sangue, ma Evan non era più sicuro che quella che aveva adesso indosso, non fosse semplicemente la sua uniforme mimetica da combattimento. In realtà, nella sua testa non era nemmeno certo di sapere in che posto si trovasse, nè chi fosse la persona contro la quale mirava adesso la sua pistola.
Davanti a sè, vedeva il viso di Noah Keller insanguinato, ma attorno a lui, tutto sembrava rimandare ancora una volta al villaggio di Ba'quba.
Caricò la pistola, poi sentì Noah gridare "E adesso che vuoi fare, ammazzarmi?" sputò fuori il ragazzo, guardandolo con aria di sfida mentre beffardo rideva, l'indice puntato contro la canna della pistola davanti a lui.
"Evan, che stai facendo?" gli chiese con voce tremante Hazel da dietro le sue spalle, ma tutto ciò che Evan riusciva a sentire, era solo il rumore degli spari nella sua testa, così non rispose a nessuno dei due.
La pioggia bagnava i loro vestiti, i loro capelli, mentre le lacrime e il trucco sul viso di Hazel si mescolavano con essa, venendo giù con tutta la paura che Hazel aveva adesso in corpo.
Le gambe le tremavano, proprio come la sua voce, le sue mani, e il cuore nel suo petto. Batteva irregolare, e vibrava forte, come se da un momento all'altro potesse saltare fuori dal suo petto, e ucciderla sul colpo.
In quell'esatto momento niente le sembrava più avere un senso: Noah avrebbe potuto abusare di lei, Evan avrebbe potuto sparargli, e il suo cuore avrebbe potuto decidere di abbandonarla senza alcuna ragione precisa.
"Evan, ti prego, metti giù quella pistola!" gridò ancora una volta disperata, posando una mano sulla schiena del suo ragazzo.
Ma lui si scansò di nuovo, come se ad averlo toccato non fosse stata lei, come se a pregarlo adesso non fosse proprio la persona che più amava al mondo, colei per cui avrebbe fatto davvero di tutto, anche uccidere.
"È questo che sei, soldato? Un animale assetato di sangue pronto a uccidere chiunque?" continuò a provocarlo Noah, gli occhi ridotti a due fessure, il viso pallido, la rabbia, l'incoscienza, e perfino la paura nelle sue parole.
"Sta' zitto!" strillò Evan avvicinandosi al ragazzo, cauto e letale proprio come un predatore pronto all'attacco, mentre Noah si immaginava di vederlo ringhiare nemmeno fosse davvero una temibile bestia.
Ma Hazel, che quasi rischiava di annegare in quel mare di lacrime, agì impulsivamente, così si fece avanti.
"Evan, no!" gridò terrorizzata mettendosi fra i due, la canna della pistola di Evan adesso a pochi centimetri da lei.
Lo guardava con gli occhi fuori dalle orbite, sconvolta e impaurita come mai lo era stata nella sua vita, mentre le lacrime continuavano ad incollare i capelli al suo collo, e le unghie infilzate nei palmi delle sue mani, iniziavano a sporcarsi di sangue.
Evan spalancò gli occhi, colto alla sprovvista da quel gesto tanto azzardato quanto incosciente della sua Hazel.
La fissava dritto negli occhi tenendo la sua pistola con entrambe le mani, tremanti e sporche di sangue, mentre sentiva le gambe cedergli piano, e il fumo degli spari dal villaggio di Ba'quba annebbiargli la vista.
Sentiva fucili sparare, uomini lamentarsi, e Hazel piangere come una bambina.
Tutto attorno a lui crollava: l'acquedotto, la pioggia, e qualunque chance di guarire dal suo trauma fosse mai riuscito ad ottenere in quegli ultimi mesi di terapia.
Poi Peter arrivò correndo, con Casey dietro di lui che ansimava tenendo un ombrello sopra la sua testa, e Ian bianco come un cadavere immobile a fianco a lui, mentre sconvolti assistevano a quella terrificante scena davanti ai loro occhi.
"Evan!" fu Pet questa volta a chiamarlo, quando tutti quei rumori iniziarono a martellare prepotenti nella testa di Evan, distruggendo fino all'ultima traccia di lucidità rimasta in lui.
Lo sguardo del moro cambiò velocemente: i suoi occhi si incupirono, il candore della sua pelle si illuminò in netto contrasto con le tracce di sangue sul suo viso, mentre il suo sguardo carico d'ira cominciava a mutare velocemente in un'immagine più simile a terrore puro.
Dietro il viso bagnato di lacrime di Hazel, Evan adesso non vedeva più Noah, ma il suo migliore amico con addosso la sua uniforme mimetica, morente in una pozza di sangue, proprio come se ancora una volta, si ritrovasse a vivere quel dannato incubo.
Nella sua testa, Evan sentiva Peter chiedere disperato il suo aiuto, mentre quasi piangeva in preda al dolore, pregando che quel proiettile conficcato nella sua gamba, non lo facesse morire dissanguato in quel campo di battaglia cosparso del suo stesso sangue.
Hazel provò ad avvicinarsi ancora un po' a lui, continuando a piangere terrorizzata, non riuscendo più nemmeno a dire una sola parola. Le labbra rosse, adesso incollate fra loro, tremavano incessanti, mentre Evan la fissava sconvolto iniziando a piangere.
"Hazel, non toccarlo!" gridò poi Ian, avanzando verso sua sorella. Ma la mora non si voltò a guardarlo neanche, troppo attenta a non commettere qualche terribile sbaglio che avrebbe potuto solo peggiorare tutto. Si avvicinava a lui cauta, con l'abito nero ormai incollato al suo corpo, i capelli intrisi d'acqua, e il fiato mozzato dalla paura.
"Hazel, Evan non è cosciente, non avvicinarti" provò a farla ragionare Peter, ma Evan lo sentiva solo lamentarsi per il forte dolore, non riuscendo a decifrare nessuna delle sue parole a causa del rumore ovattato nelle sue orecchie. Riconosceva solo la sua voce, fra uno sparo e l'altro, e sapeva che stava ancora una volta implorando il suo aiuto. Per questo adesso teneva ancora sospesa davanti i suoi occhi quella pistola, mentre le mani gli tremavano al pensiero di poter uccidere l'uomo che nei suoi ricordi, aveva sparato al suo migliore amico. Ma lui non era più a Baghdad, e quello davanti a lui non era affatto l'aggressore di Peter.
Hazel lo guardava, implorandolo di abbassare quell'arma coi suoi soli occhi, arrossati e colmi di lacrime, mentre Ian invece la pregava di allontanarsi subito da quel ragazzo.
"Evan, abbassa quella pistola!" gridò ancora una volta Peter, spaventato a morte, Casey dietro di lui che tratteneva Ian per un polso, nel tentativo di non far avvicinare troppo nemmeno lui.
"Ti prego, calmati" parlò poi Hazel piano, mentre sollevava una mano in aria continuando a piangere.
Ti prego, calmati - la voce flebile della sua ragazza rimbombò nella sua testa come un eco straziante.
Le lacrime continuavano a riversarsi a fiumi lungo le sue guance, lavando via il sangue sulla sua pelle, e i ricordi del suo trauma dalla sua mente.
La mano di Hazel si posò sulla canna della pistola che Evan le puntava ancora contro, tremando, mentre quelle sue ultime parole, lo aiutavano a ricordare l'ultima volta che con ogni sua forza aveva provato a calmarsi.
Ricordò quando nel bagno della base, qualche giorno prima, aveva quasi fatto a botte con John a causa della sua incontrollabile rabbia, mentre tra i ripetuti spari, Evan era riuscito a sentire lui ed Hazel cantare a squarciagola nella sua auto proprio quella canzone.
"Can't you see? I'm losing my mind this time.
This time, I think it's for real, I can see"
Hazel lo guardava col terrore negli occhi, mentre la sua mano destra si stringeva attorno alla canna della pistola di Evan, e le sue gambe si muovevano caute verso di lui. Evan la fissava immobile, allentando la pressione del suo indice sul grilletto, le lacrime che lente scorrevano sul suo viso. Sembrava quasi non respirare, completamente immobile, zitto e sconvolto.
Aveva perso la testa, pian piano cominciava a rendersene conto perfino lui, ma tutto ormai gli sembrava perduto per sempre. Ogni suo sforzo, ogni sua vittoria, ogni suo progresso in quella terapia così complicata in cui non aveva mai creduto sul serio. Tutto svanito, vano, e sepolto in quella fossa dove tutti i suoi compagni morti riposavano finalmente in pace. Per un attimo, si sentì per la prima volta uno di loro, come se anche lui alla fine fosse rimasto ucciso in quella sparatoria. Così anche se adesso era perfettamente in salute, vivo e vegeto, sano e salvo, qualcosa in lui non poteva non farlo sentire morto dentro.
Non aveva solo perso la testa, a Baghdad Evan aveva pure perso se stesso.
"Sono io, Evan, sono Hazel" parlò ancora una volta la ragazza, guardandolo fisso negli occhi, e abbassando piano quella pistola stretta nella sua presa.
"I close my eyes, I tell myself to breathe and be calm"
Il ragazzo chiuse gli occhi lentamente, abbassando la canna della sua pistola guidato dalle dolci mani di Hazel, che ricominciando a piangere singhiozzando, muoveva un altro passo verso di lui.
Prese un respiro profondo, adesso che le mani di Hazel avevano liberato delicatamente le sue da quell'arma così pericolosa. Riaprì i suoi occhioni blu, ora rossi come il taglio sanguinante sulle sue labbra, colmi di lacrime come se una tempesta si fosse abbattuta improvvisamente in essi, mandando in subbuglio qualunque cosa fosse mai riuscito a mettere in ordine in lui o nella sua vita.
Hazel gli poggiò piano una mano sul viso, col pollice gli asciugò qualche lacrima, accennando un sorriso mentre ogni parte del suo corpo adesso aveva solo paura.
Evan continuava a piangere, il cielo a piovere, e il sangue a scorrere lungo il suo collo, macchiando la sua uniforme, le mani di Hazel, e il suo titolo militare.
Quello che aveva appena fatto avrebbe avuto gravi conseguenze su di lui, ancor più gravi dei danni che quella sparatoria gli aveva già provocato mesi prima.
Ma Hazel, non sembrava pensarla allo stesso modo, o almeno era questo che adesso provava a dimostrare.
"Va tutto bene" gli disse a bassa voce, mentre il suo cuore gridava ancora impaurito.
Così le gambe di Evan finalmente cedettero, e con esse anche il fuoco dei fucili nella sua testa.
Si gettò su di lei, aggrappandosi alle sue spalle, e poggiando la sua testa contro le clavicole di Hazel. La ragazza barcollò, mentre le sue mani si posavano tremando sulla schiena di Evan.
"È tutto ok" ripeté, non poi così sicura che la persona che volesse convincere fosse davvero Evan, o solo se stessa.
Evan le piangeva su una spalla, mentre tutti attorno a loro li guardavano in silenzio, ancora sconvolti e spaventati a morte.
Non andava affatto bene, ed entrambi ne erano ormai perfettamente consapevoli.
Spazio autrice
Buonsalve a tutti miei cari lettori, eccomi qui con un nuovo capitolo a distanza di soli pochi giorni!
Vi ho sorpresi, ah?
Eh sì, è tutto vero, e chissà, magari potrebbe succedere ancora in futuro!
Ma veniamo al nuovo capitolo.
Allora, che ne pensate?
Finalmente un bel colpo di scena degno di nota, non vedevo l'ora di scrivere e pubblicare questo capitolo, e finalmente l'ho fatto!
Il trauma della guerra si è preso di nuovo gioco di Evan, ma questa volta lui non ha retto, e i suoi demoni hanno avuto la meglio su di lui. A complicare le cose però c'è una pistola, Hazel nel mirino di essa, e Noah che sa sempre come rendere la vita impossibile ai nostri protagonisti.
Così, adesso che le cose sembrano mettersi davvero male per Evan, come pensate che affronterà questa ennesima ricaduta? Comprometterà in qualche modo la sua carriera nell'esercito? E il suo rapporto con Hazel?
Fatemi sapere che cosa vi aspettate giù nei commenti, quali sono state le vostre reazioni leggendo quest'ultimo capitolo, e chi vi ha fatto più paura fra Evan e Noah.
Spero di aggiornare entro la prossima settimana, e soprattutto di riuscire a scrivere ancora visto che domani cominceranno di nuovo le lezioni all'università...
Ah, quasi dimenticavo!
Non so chi di voi ne è a conoscenza, ma esiste un profilo Instagram del personaggio di Hazel Donovan che potete seguire e al quale potete eventualmente anche scrivere!
Il nickname è: @donovanzel
Vi aspetto anche lì!
Adesso vi lascio in pace, a presto e grazie come sempre ♥️
Hazel Evans
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