Capitolo 34

Quando Hazel venne a sapere della notizia di Billy Lynn, prima ancora di provare dispiacere per la sua morte, provò paura, preoccupazione, e perfino pura ansia.
Nel momento in cui aveva chiesto notizie su dove si fosse cacciato Evan a suo padre, e quest'ultimo le aveva spiegato che quella non era affatto una buona giornata per Evan, Hazel in pensiero aveva cominciato a chiamarlo al cellulare insistentemente, terrorizzata per lui e per qualunque cosa stesse provando proprio in quel momento. Ma Evan non aveva risposto a nessuna sua chiamata, non le aveva nemmeno mandato un messaggio, e adesso Hazel era completamente nel panico. Ricordava benissimo cosa le avesse raccontato quando insieme, alla mostra della professoressa Reinhart, si erano trovati davanti alla fotografia di Billy. In poco tempo il viso di Evan aveva cambiato espressione, così da uno stato di spensieratezza e serenità, era passato in fretta ad un momento di tristezza e nostalgia inaspettata.
Hazel aveva subito percepito il senso di colpa che stava dando il tormento ad Evan, e fu inevitabile per lei provare la stessa tristezza che poteva facilmente leggergli sul volto.
Con lui aveva parlato di cosa significasse ripartire per la guerra così tante volte, che adesso Evan sembrava solo voler ignorare l'argomento, per questo ormai lo raggirava ogni qualvolta che imperterrito ritornava a galla.
Ma ecco che improvvisamente Evan si era di nuovo ritrovato davanti a quel problema, quella decisione da dover prendere che proprio non sembrava volerlo lasciare in pace. E adesso Hazel temeva che la notizia di Billy avrebbe potuto fargli più male di quanto potesse aspettarsi, di quanto Evan potesse sopportare.
Così, quando alla fine del suo turno, sconvolta si era precipitata negli spogliatoi della caserma, e aveva trovato il borsone di Evan proprio lì, insieme al suo cellulare e a tutta la sua roba, Hazel non riuscì più nemmeno a pensare.
Dove diavolo poteva essersi cacciato?
Cosa cazzo avrebbe potuto fare adesso?
Poggiò le spalle contro gli armadietti, le gambe esauste e gonfie, il respiro affannato, e il cellulare di Evan in una mano.
Poi qualcuno entrando improvvisamente nella stanza, la fece sobbalzare dallo spavento. Il cellulare le scivolò di mano, così maledicendosi si chinò per prenderlo, sperando di non aver appena ridotto in mille pezzi il telefono del suo ragazzo scomparso.
Buttò un sospiro di sollievo, notando il display ancora perfettamente integro davanti ai suoi occhi. Poi sollevò di nuovo il capo, e quando vide due ragazzi intenti a fissarla muti e sorpresi di fronte a lei, sbiancò.
"E-em sono venuta a prendere questo, è del mio ragazzo" provò a spiegarsi balbettando, e allungando il cellulare davanti ai visi confusi dei due soldati.
Uno di loro, alto e muscoloso, la fissò intensamente non poi così convinto, il sopracciglio inarcato. Hazel deglutì, in preda al panico, "Lavoro qui, non volevo infiltrarmi" provò a rassicurarli.
Poi uno dei due avanzò verso di lei "So che non dovrei essere qui, ma sto cercando Evan" confessò in sua difesa Hazel "Lo avete per caso visto da qualche parte?" chiese poi loro preoccupata.
Colui che ricordava chiamarsi Chris, ad un tratto aprì finalmente bocca "Non lo vedo da stamattina, da quando Cooper ha fatto il suo annuncio" rispose, l'espressione seria "Magari è tornato in caserma.  Potresti chiedere a Peter" le suggerì gentile.
Hazel sbuffò, "È scomparso anche lui" disse.
"Conoscendo Evan adesso sarà al poligono a cercare di elaborare la notizia della perdita di Lynn con qualche pistola" intervenne il soldato dalle spalle larghe che aveva immobilizzato Hazel con una sola occhiata al suo ingresso.
Chris gli rivolse uno sguardo triste "Evan e Billy erano amici, deve essere stato uno shock per lui" disse, ignorando Hazel che già abbastanza terrorizzata stava ipotizzando il peggio.
"Puoi provare a cercarlo alla base" suggerì poi Chris, ritornando a guardare Hazel.
"Evan non è tornato alla base" disse poi qualcuno, da dietro le enormi spalle del soldato più alto che Hazel avesse mai visto.
John fece un passo in avanti, puntando lo sguardo sulla mora, distaccato e freddo come mai Hazel lo aveva visto prima d'ora.
"Armi e divise sono le ultime cose delle quali vorrebbe essere circondato adesso" continuò, il tono sicuro.
"Sai dove altro potrebbe essere andato?" chiese Hazel.
"No" rispose secco John "Ma sono certo non sia alla base".
Hazel roteò gli occhi, infastidita dall'atteggiamento freddo e insolito di John.
"Va bene, grazie lo stesso ragazzi" disse poi la mora, prima di chiudere forte l'armadietto di Evan e sparire dietro il gruppo di ragazzi, scoraggiata e in ansia.

Alla fermata del bus, seduta su una panchina, Hazel si rigirava il cellulare di Evan in una mano, continuando a chiedersi dove diavolo potesse essere andato.
Per una volta era d'accordo con John: Evan non poteva essere alla base. Adesso avrebbe solo voluto tenere quel mondo fatto di armi, soldati e guerra, il più lontano possibile da lui, almeno per il tempo di cui aveva bisogno per elaborare la sua perdita, per questo era sicura non lo avrebbe mai trovato lì.
Si chiese se fosse insieme a Peter, o se magari fosse tornato a casa dei suoi, poi l'autobus si fermò dritto davanti a lei.
Sospirò, mentre con la borsa su una spalla, nelle sue vecchie converse abbinate all'elegante divisa da hostess, saliva su quell'autobus.
Si sedette su un sedile libero accanto ad un finestrino, poi guardò il display del cellulare di Evan fra le sue mani.
Davanti ai suoi occhi apparve una foto di loro due stretti in un tenero abbraccio, mentre contenti sorridevano alla fotocamera, seduti su un telo in spiaggia il giorno della loro prima uscita.
Non riuscì a non sorridere, felice che Evan avesse scelto proprio quella foto.
Era una bella foto, e lei era un'esperta di belle foto, ma ciò che più la rendeva così bella, era senz'altro la spensieratezza che si poteva facilmente leggere sui loro volti nell'esatto momento adesso immortalato in quella fotografia. Con un dito accarezzò teneramente lo schermo, poi d'improvviso più calma, spostò lo sguardo sul paesaggio oltre il finestrino.
Sull'orizzonte una spessa linea blu si estendeva in ogni direzione. Il mare, per coloro che come Hazel vivevano lungo la costa del Pacifico, era da sempre stato un luogo di rifugio. Chiunque, anche lei la cui più grande paura era mettere le mani su un volante, avrebbe potuto raggiungere la spiaggia senza alcun problema.
Non importava se era estate o la stagione delle fitte nebbie, né se si andava in spiaggia per il surf o per prendere il sole, Huntington Beach era da sempre stata la meta più ambita dai turisti e cittadini di quella zona lungo l'Oceano Pacifico che non aveva assolutamente stagioni. La gente andava in spiaggia anche di notte, quando il lungomare era deserto e la brezza marina fin troppo fresca. Ed Hazel e Evan sapevano bene quanto fosse suggestivo il panorama a quell'ora.
Una madre intenta a rimproverare le sue bambine per il troppo chiasso che stavano facendo nei sedili in fondo all'autobus, attirò l'attenzione di Hazel.
Così la mora si voltò, e sorrise notando come scherzose le due bambine in costume da bagno, facevano le linguacce alla loro madre, nascondendo lo sguardo furbo sotto gli occhiali da sole rosa.
Hazel sentì l'odore del mare invaderle i polmoni improvvisamente. Lei era quel genere di persona che sarebbe andata al mare anche a dicembre durante le vacanze di Natale.
Guardò lo schermo sopra la sua testa, sul quale il lungo itinerario di quell'autobus era riprodotto.

Prossima fermata: Huntington Beach.

Un sorriso smagliante le illuminò il viso, guardò ancora una volta lo sfondo del cellulare di Evan, poi si ricordò di quando davanti alla fotografia della casa a mare dei suoi nonni, Hazel aveva spiegato lui quanto fosse importante per lei quel posto. Aveva definito il mare il suo rifugio, ma solo adesso, lì a pochi chilometri dal lungomare di Huntington Beach, Hazel aveva capito: il mare sembrava fare quello strano effetto non solo a lei.

Peter guardava fisso il soffitto sopra di lui, continuando a lanciare contro di esso una pallina da baseball, per poi acchiapparla al volo con il suo guantone in cuoio, non appena sarebbe stata sul punto di schiantarsi sulla sua faccia.
Sembrava immobilizzato, ad eccezione del braccio destro, che con un movimento meccanico, continuava a lanciare quell'affare contro il tetto.
Era sconvolto, e l'espressione dura sui lineamenti del suo viso ne era una chiara dimostrazione.
Billy, uno dei primi ragazzi con i quali Peter aveva legato di più agli inizi della sua carriera militare, adesso non c'era più.
Un suo coetaneo, collega di lavoro, e compagno di decine di battaglie, adesso era morto.
Peter ricordava perfettamente quando il giorno della loro partenza per Baghdad, un anno prima, Billy e lui si erano ripromessi di tornare sani e salvi a casa, al compimento di quella missione.
E così era stato, entrambi erano riusciti a fare ritorno a Santa Ana: il primo con qualche settimana di anticipo, e un rischio di paralisi diagnosticato sulla sua cartella clinica, l'altro con una medaglia al valore per esser riuscito a completare la sua missione e aver fatto ritorno a casa con tutto il resto della squadra, solo al termine della missione.
Billy fu al settimo cielo quando, tornando da Baghdad, aveva fatto visita a Peter e agli altri ragazzi rimasti feriti durante l'attacco; tutti stavano bene e per lui niente contava di più, nemmeno esser riuscito a completare la sua missione.
Billy Lynn era un ragazzo premuroso, gentile e con un coraggio che chiunque gli avrebbe invidiato. Lui non pensava, ma semplicemente agiva. Era impulsivo, ma aveva anche un grande cuore. Per questo dopo solo due mesi, Billy aveva deciso di ripartire per l'Afghanistan, sfidando ancora una volta il pericolo di quella terra, scenario di stragi, sangue e morte.
Niente avrebbe potuto spaventarlo così tanto da portarlo a decidere di rinunciare a quella missione, nemmeno vedere i suoi amici in riabilitazione, o sul punto di impazzire per colpa di quello che avevano vissuto in guerra. Billy Lynn voleva ripartire, ed era esattamente ciò che aveva fatto: aveva preso la sua uniforme, il suo fucile, e poi era andato via.
Ma Billy non sarebbe mai più ritornato: stavolta non ci sarebbe stata nessuna medaglia al valore, nessuna vittoria, e nessuna visita ai suoi amici ricoverati in ospedale.
Non ce l'aveva fatta, gli orrori della guerra avevano stroncato senza pietà quell'immenso coraggio con il quale Billy si era da sempre contraddistinto, e adesso di lui, non rimaneva che un nome da commemorare, un eroe di cui raccontare alla gente, il ricordo di un buon amico da tenere sempre vivo nel cuore.
"A che stai pensando?" chiese Casey ad un tratto, seduta sul puffo rosso a fianco al letto di Peter.
Il biondino la guardò, lo sguardo triste e spento, sospirò, poi sollevando le spalle rispose "A quanto faccia schifo questo lavoro" disse, la pallina da baseball stretta nel suo pugno "Forse avrei preferito davvero lavorare in un camioncino di panini" aggiunse poi, poggiando le spalle contro la parete, ancora seduto sul suo disordinato letto.
Casey succhiò un po' del suo frappé al cioccolato dalla cannuccia rosa fra le sue labbra "Chi ti dice che anche quello non sia un lavoro pericoloso?" chiese poi.
Peter inarcò un sopracciglio confuso, poi socchiuse gli occhi, troppo esausto per tentare di capire cosa ci trovasse Casey di tanto pericoloso nel servire hot-dog caldi a dei bambini al parco.
"Sai come la penso riguardo all'essere un soldato" riprese a parlare Casey, mettendosi in piedi e gettandosi poi sul letto a fianco a Peter, ancora immobile.
"È un lavoro faticoso, rischioso e tante volte anche ingiusto" continuò, il bicchiere di frappé fra le mani "Ma so perché lo fate. Perfino tu, che credi di odiare il tuo lavoro, in realtà sei fiero di portare quella divisa. Billy era davvero un ragazzo coraggioso, sapevamo sarebbe morto servendo il suo paese. Era instancabile, testardo, e fissato con le missioni. Evan spesso mi ricorda lui, il che è terrificante, ma è sbagliato giudicarli" spiegò Casey, il tono serio e lo sguardo perso.
"È il senso del dovere, talvolta anche il senso di colpa, che vi portano a scegliere di firmare" disse, voltandosi verso Peter, che finalmente aveva riaperto gli occhi.
Gli mise il suo frappé davanti alla bocca, offrendogliene un po', ma Peter, con lo sguardo fisso su un punto indefinito davanti a lui, non lo notò nemmeno "Mi offrirò per la cerimonia d'addio ai suoi funerali" esordì poi, il tono freddo.
"Billy non era solamente coraggioso. Lui era davvero un eroe, un generoso, altruista e coraggioso bastardo" disse, la voce flebile strozzata da un inaspettato pianto. Le lacrime cominciarono a scorrere lente sugli zigomi sporgenti di Peter, l'espressione addolorata, sconvolta e incredula sul suo volto.
Guardò Casey in preda alle lacrime, mentre la sua bocca immobile non proferiva più alcuna parola. Semplicemente le lacrime scorrevano giù, mentre le mani gli tremavano, poggiate sulle sue gambe, e gli occhi arrossati non smettevano di fissare Casey distrutti.
La ragazza, provando un senso di dispiacere misto a tenerezza e stupore, improvvisamente si precipitò su di lui. Lo abbracciò forte, le braccia strette attorno al suo collo, le mani dolci che delicatamente accarezzavano i capelli di Peter.
"Ehi va tutto bene" gli sussurrò, mentre provava a confortarlo.
"Non va bene!" strillò Peter singhiozzando "Quel bastardo mi aveva promesso che sarebbe tornato vivo anche dopo quest'altra missione, invece no, si è fatto ammazzare!" si sfogò, il viso nascosto nell'abbraccio di Casey.
"Me lo aveva promesso!" strillò ancora, mentre fra le esili braccia della giovane continuava a tremare.
Ma infondo Peter lo sapeva bene: solo uno stupido avrebbe potuto credere ad una promessa così sciocca.

Quando il bus finalmente si fermò, Hazel raccolse tutte le sue cose e si affrettò a scendere.
Il cellulare di Evan non smetteva di vibrarle nelle mani: il signor e la signora Blake, Cooper e Peter gli avevano lasciato una carrellata di messaggi e chiamate a cui Hazel non si preoccupò di rispondere.
Lei era in pensiero probabilmente più di loro, e adesso si augurava solo che il suo istinto non l'avesse semplicemente presa per i fondelli, portandola dall'altro lato della città a vagare come una senzatetto alla ricerca del suo ragazzo scomparso.
Sospirò stanca, legandosi i capelli in un'alta coda, si sbottonò un po' la camicia, sofferente per il caldo umido e insopportabile, poi si guardò intorno spaesata.
Il lungomare era gremito di gente che portava a passeggio il cane, si allenava, o lasciava le spiagge ormai poco affollate.
Hazel si sentì una totale idiota, lì vestita in quel modo, il tesserino aeroportuale fissato sulla sua camicetta, e le converse che erano un doloroso pugno nell'occhio abbinate a quel tailleur così elegante.
In ansia, provò a ricordarsi quanto distante fosse adesso da lei, la spiaggia in cui settimane prima aveva mangiato una pizza con Evan. Era certa che se davvero Evan avesse fatto come il suo istinto le aveva suggerito, allora lo avrebbe trovato assolutamente nella spiaggia in cui aveva scelto di portarla per il loro primo appuntamento.
Così cominciò a camminare a passo svelto, sventolando una mano davanti al suo viso per il troppo caldo, e ignorando l'ennesima chiamata che adesso però faceva vibrare il suo telefono nella borsa.
Era Ian, che aveva già lasciato cinque messaggi alla sua segreteria. Hazel si chiese se a breve, anche la sua intera famiglia si sarebbe mobilitata per venire a cercarla. Sbuffò, così sentendo ancora il suo cellulare vibrare, si decise a rispondere "Ian!" quasi strillò.
"Finalmente!" strillò più forte il ragazzo "È tutto il pomeriggio che ti chiamo".
Hazel roteò gli occhi continuando a camminare, poi rispose "Cosa c'è?".
"C'è che mamma deve fare la spesa per la cena di domani, e continua ad assillarmi proponendomi decine di piatti diversi" le spiegò, mentre Hazel inarcava un sopracciglio, scocciata di dover stare a sentire le chiacchiere di Ian e sua madre sul menù della cena in vista, quando lei non era nemmeno più così sicura che Evan sarebbe venuto.
"Quindi? Carne o pesce?" chiese Ian, continuando a blaterare, quando Hazel aveva smesso di starlo ad ascoltare già da un pezzo.
"Non lo so!" rispose infastidita, guardandosi intorno spaesata.
"Non sai cosa piace al tuo ragazzo?" chiese Ian perplesso.
"Non so nemmeno dove sia adesso, lo cerco da tutto il giorno!" spiegò spazientita "Senti, non appena lo troverò glielo chiederò e vi farò sapere, va bene?" disse, girando su se stessa, mentre confusa si grattava la testa.
"Ha detto che gli piace pollo!" strillò invece Ian a sua madre.
"Dov'è Evan?" chiese poi a sua sorella, il tono di voce improvvisamente più basso.
"Spero con tutto il cuore che sia al mare adesso, o non appena lo troverò, lo farò a pezzi!" si sfogò Hazel, stanca e preoccupata, in preda ad una crisi di nervi.
Ian rise, tuttavia però confuso e sorpreso, decise di non immischiarsi, e di non fare troppe domande su quella strana situazione.
Impegnata in una comica scenata, Hazel cominciò ad innervosirsi, ma in realtà lo sapeva bene, era solo l'incontenibile paura che provava adesso, a dare voce alle sue parole.
"Lo riempirò di insulti, poi lo farò sentire terribilmente in colpa per avermi trascinata al mare, e se non sarà qui, passerò alle maniere forti e lo ridurrò davvero molto-" improvvisamente si fermò.
"Hazel?" la richiamò suo fratello, confuso.
Dopo un paio di metri percorsi a piedi, Hazel finalmente si bloccò, e quando riconobbe quella divisa mimetica, indosso ad una figura seduta sulla spiaggia che Hazel conosceva bene, d'improvviso si sentì più calma.
"E-em Ian, devo andare adesso, ci vediamo stasera" liquidò suo fratello, cominciando a incamminarsi verso la spiaggia.
"Va bene, non essere troppo dura con quel ragazzo!" sentì Hazel, poco prima di chiudere la chiamata e posare il suo cellulare nella borsa.
La preoccupazione, mista anche ad un po' di rabbia, si affievolì passo dopo passo, quando finalmente sollevata, Hazel si avvicinava velocemente verso il ragazzo seduto immobile davanti all'oceano.
Quando gli fu dietro, con un tono d'improvviso più calmo, ricominciò a parlare "Il mare" disse, lo sguardo fisso verso la distesa d'acqua davanti ai suoi occhi "Fa questo effetto anche a me" concluse sedendosi sulla sabbia a fianco al ragazzo.
"Hazel?" disse solo Evan, guardandola esterrefatto, la voce rauca.
A fianco a lui, Hazel si voltò finalmente a guardarlo sorridendogli teneramente "Qualcosa, sebbene sapessi fosse del tutto improbabile, mi ha convinto che ti avrei trovato qui. E cavolo avevo proprio ragione!" esordì, spingendo Evan a sorridere inaspettatamente.
Ammirò quel sorriso, sollevata e fiera, poi si avvicinò ancora di più al moro.
"Volevo arrabbiarmi con te per essere sparito per tutto il giorno e non avermi fatto sapere nemmeno dove andassi, ma sapevo che non appena ti avrei rivisto, avrei cambiato idea" gli spiegò, posando una mano sulla gamba del ragazzo e accarezzandogliela dolcemente.
Lo guardò, mentre il vento le faceva volare la lunga coda di cavallo in aria, poi smise di sorridere per ricominciare a parlare "Mi dispiace Evan" disse, il tono triste e dispiaciuto.
Il ragazzo, che un attimo prima sorrideva ammirandola mentre con attenzione gli parlava, adesso distolse lo sguardo, e ritornando a guardare il mare agitarsi sotto il tocco del vento, cambiò improvvisamente espressione.
Strinse le labbra, ridusse gli occhi a due fessure, poi abbassò lo sguardo mentre gli ultimi raggi di sole gli colpivano il viso donandogli un aspetto ammagliante.
"Ricordo come mi hai parlato di lui, era un tuo amico, gli volevi bene... Io non ho mai perso nessun amico, non so cosa si provi a dover affrontare una perdita così dolorosa, ma sono qui, e anche se so che per te è difficile parlarne, io voglio ascoltarti" gli disse, giocando con le dita della mano del ragazzo.
Evan stava seduto con le gambe piegate davanti a lui, mentre silenzioso guardava le mani di Hazel accarezzare le sue. Poi spostò gli occhi colmi di lacrime su di lei, e fu in quel preciso istante che Hazel si sentì morire nel vederlo in quello stato, ma nonostante ciò, con ogni sua forza si costrinse a non crollare, e piuttosto ad essere forte e rassicurante per lui.
"Sei scappato via da lavoro, sei venuto qui, hai perfino dimenticato il tuo telefono nel tuo armadietto" disse, mostrandogli il cellulare che aveva tenuto lei per tutto il tempo "Ti sei allontanato, da me e da tutti gli altri, perché non volevi stare con nessuno se non con te stesso. Era una mossa prevedibile, ma non puoi continuare a rimanere solo per molto, non puoi stare zitto e trattenere le lacrime, lasciando che tutti in città, compresa me, impazziscano all'idea che possa esserti successo qualcosa" provò a farlo ragionare, la mano di Evan ancora stretta fra le sue.
"Quindi parlami Evan, dimmi come ti senti, e piangi, perché è l'unica cosa che può aiutarti adesso" lo incitò.
Evan ritornò a guardarla, le labbra non più strette, ma lo sguardo sempre più nascosto dalla cortina di lacrime.
Si prese qualche secondo, respirò profondamente, poi aprì finalmente bocca "Io" disse, la voce singhiozzante "I-io non posso crederci".
Le lacrime cominciarono a scorrere lungo i suoi zigomi, delineandogli il volto e rendendogli sempre più difficoltoso parlare.
"Billy è morto Hazel, loro lo hanno ucciso" continuò, in preda al dolore e allo shock.
"Volevano uccidere anche me, non ce l'hanno fatta, ma mi hanno portato via uno dei miei più cari amici" realizzò.
"Perché lo hanno fatto? Perché ci odiano tanto?" chiese, il tono arrabbiato.
Hazel stava tentando di trovare delle parole sensate per rispondere a quelle domande, ma quando fu sul punto di provare a parlare, Evan la bloccò "Lui era davvero uno straordinario soldato, era migliore di me e di chiunque altro. Ma Billy, lui era soprattutto un ottimo amico" disse, provando ad asciugarsi le lacrime.
"Gli volevo e gli voglio ancora molto bene, ma non riesco a smettere di chiedermi perché lui sia morto e io no" disse, mentre le lacrime lentamente ritornarono a bagnargli le guance.
"Lui era molto più coraggioso di me, più intraprendente, testardo e generoso. Non doveva assolutamente finire così, non doveva morire in questo modo" la frustrazione era leggibile in ogni sua espressione, ed Hazel non era affatto sicura di potergli rispondere adeguatamente adesso.
Poi però finalmente riuscì a parlare "Nemmeno tu Evan, nessuno meriterebbe di morire così. Ma nessuno ha scelto fra te e Billy, la tua morte non lo avrebbe salvato, tu non avresti potuto fare niente per lui" provò a spiegargli.
"Sì invece. Magari se fossi morto non avrei potuto salvarlo, ma se fossi partito con lui, non gli avrei mai permesso di sacrificarsi e lasciarsi uccidere così" rispose, il tono deciso.
"Evan, sono sicura che avresti tentato di salvarlo, di proteggerlo, ma non so se Billy ce l'avrebbe comunque fatta" disse Hazel, guardandolo fisso negli occhi, l'espressione triste sul viso della ragazza.
"Non devi sentirti in colpa per la sua morte, tu non c'entri niente" provò a convincerlo, ma Evan sembrava non ascoltarla nemmeno.
"Lui è morto Hazel, Billy è morto" ripeté avvicinandosi a lei, lo sguardo incredulo.
"Dimmi che tutto questo è solo un incubo, che noi due non ci troviamo qui, ma siamo ancora nascosti in quello sgabuzzino con le nostre uniformi indosso proprio come ieri notte, che Billy adesso è al sicuro con la sua squadra, e che non dovrò andare ai suoi funerali" la pregò, mentre ad Hazel sembrò quasi di poter leggere un barlume di speranza nei suoi occhi blu.
Ma la ragazza rimase in silenzio colpita dalle parole di Evan, mentre guardando i suoi occhi colmi di lacrime, riusciva a sentire il suo dolore prenderle a pugni il cuore.
Odiava vederlo così, ma ancora di più odiava non poter fare nulla per farlo stare meglio.
Così in preda ad un'ondata di tristezza insopportabile, Hazel agì, si fiondò su di lui, e circondagli le larghe spalle con le sue esili braccia, lo abbracciò.
Lo racchiuse in quel tenero e rassicurante abbraccio in cui avrebbe voluto trattenere per sempre Evan, lì al sicuro da quel mondo, distante da ogni guerra, lontano dai doveri della sua divisa nonostante lui non avesse alcuna intenzione di liberarsene.
"Mi dispiace Evan" riuscì semplicemente a dirgli, mentre stringeva sempre più forte a sè il ragazzo fra le sue braccia. Le lacrime prepotenti minacciavano di venir fuori, ma Hazel, col viso nascosto nell'incavo del collo del moro, si costrinse a non cedere, e a trattenerle con ogni sua forza. Se solo anche lei avesse iniziato a piangere, Evan sarebbe stato sicuramente peggio.
"Io non posso Hazel, non posso proprio" disse ad un tratto Evan, la voce strozzata da quel pianto.
Hazel aprì gli occhi confusa, lentamente si allontanò da lui, poi posandogli le mani lungo le braccia e guardandolo fisso negli occhi gli chiese "Non puoi?".
Il viso bagnato di Evan, le ciglia intrise di lacrime, gli occhi arrossati e le labbra gonfie, "Io ci ho pensato seriamente, davvero Hazel, io l'ho fatto" disse, non riuscendo nemmeno a guardarla negli occhi.
Hazel lo fissava confusa, cercando disperatamente il contatto coi suoi occhi "Ma non so se posso farlo" disse ancora "Nelle ultime settimane ho cercato di pensare solo a te, a noi, a non preoccuparmi di quello che veramente sono, di cosa ho fatto, cosa mi è successo, o dell'effetto che tutto quello che ho vissuto ha avuto su di me" Hazel gli posò una mano sul viso provando ad asciugare le sue lacrime con le dita, il suo tocco dolce e delicato che convinse Evan a guardarla di nuovo negli occhi.
"Ma non so se posso ancora continuare ad ignorare quello che sono. Io sono un militare Hazel, il mio posto, sebbene io stia da Dio con te, non è qui" disse, la voce rotta dalle lacrime, lo sguardo spento e triste.
"No Evan, non dirlo" lo implorò Hazel arrabbiata, non più così sicura di riuscire a trattenere le lacrime.
"Vorrei stare con te, davvero, è tutto ciò che vorrei adesso. Ma Billy, quella gente, non posso deluderli" disse, mentre Hazel lo guardava piangendo.
"Puoi deludere me però?" gli chiese arrabbiata.
Il ragazzo cambiò espressione improvvisamente, diventando serio, e sembrando ad un tratto più lucido.
"Non sto dicendo che se tu firmassi per partire, mi deluderesti. Ma se sceglierai di lasciarmi per andare via, allora si che ne rimarrei profondamente delusa" gli spiegò, mentre le lacrime continuavano a scivolarle sul viso.
"Hazel, non è quello che voglio. Non vorrei mai deluderti, né lasciarti o farti del male" Hazel lo bloccò "Allora non farlo, non distruggere quello che c'è fra noi quando è ancora sul punto di nascere. Mi hai detto che non eri mai riuscito a spingerti così oltre, che non avevi mai raccontato a nessuno se non alla tua famiglia del tuo incidente, tu hai detto che credi di starti innamorando di me" gli ricordò.
"Lo so" disse solo Evan confuso.
"Sei sconvolto Evan, stai terribilmente male per quello che è successo a Billy, ti senti in colpa e smarrito, ma partire non è veramente ciò che vuoi, io ne sono sicura, e anche tu infondo ne sei consapevole" provò a farlo ragionare.
Improvvisamente si accorse che nessuna lacrima scorreva più sul volto di Evan, semplicemente la guardava immobile, torturandosi le labbra e non sapendo assolutamente cosa fare, o cosa dirle.
Evan si portò le mani sul viso, strabuzzandosi gli occhi e ignorando quanto adesso gli bruciassero, poi riprese a parlare "I-io non voglio lasciarti Hazel" le disse solo "Tu non devi lasciarmi" quasi lo minacciò lei, accennando un sorriso sghembo, e costringendosi a smettere di piangere.
"Non lo farò" la rassicurò il ragazzo, intenerito da quel sorriso, circondandole le spalle con un braccio.
Hazel si strinse contro il suo petto, felice di poterlo sentire ancora così vicino a sè.
"Il tuo posto è ovunque tu desideri che sia, Evan" gli disse, il viso contro il petto del ragazzo, le braccia attorno al suo busto, e lo sguardo perso nel blu dell'oceano.
"Io sto bene qui" le confessò, sorridendo al mare, il vento che gli colpiva il viso.
"Si sta bene dove ci si sente amati" disse Hazel socchiudendo gli occhi e respirando forte il profumo del mare "Ed io credo di amarti, Evan Blake" esordì.
Un meraviglioso sorriso si fece largo sul viso ancora umido di Evan, la guardò mentre teneramente si stringeva a lui, e soltanto lì, seduto sulla sabbia con Hazel sul suo petto, capì che era esattamente con lei il suo posto.

Spazio autrice
Ed eccomi con un nuovo capitolo!
Come promesso, ho aggiornato il prima possibile, così spero di non avervi fatto aspettare troppo...
Devo ammettere di aver un po' esagerato con le lacrime in questo capitolo, ma penso sia giusto mostrarvi quella parte un po'  più sensibile dei nostri ragazzoni, così il mio sadismo mi ha spinta a far piangere i personaggi più forti di questa storia. Spero di avervi emozionato almeno un po', e chi lo sa, magari ho fatto piangere anche voi!
Fatemi sapere i vostri pareri, consigli, reazioni, cosicché possiamo "fangirlare" e discutere insieme sugli ultimi eventi!
Vi aspetto e vi adoro,

Hazel Evans.

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