Capitolo 31

Scese dal furgone all'improvviso più calma, felice e impaziente di scoprire finalmente come fosse fatto un poligono.
Seguì Evan verso la struttura, gli prese una mano emozionata, e quando lo vide sorriderle, sentì il cuore scoppiarle nel petto.
"Spero che per te non sarà una delusione" le disse.
Hazel si appese alla sua spalla, gli schioccò un bacio sulla guancia, poi sorridendo disse "Toccare una pistola è da sempre uno dei miei desideri più folli e malati, e poi sono con te, vestita da soldato, nel posto più controllato di Santa Ana... Mi sembra di essere all'interno di un film d'azione, e niente di tutto ciò potrebbe mai deludermi" gli spiegò sincera, guardandosi intorno eccitata.
Evan le sorrise soddisfatto, poi le fece strada verso il retro della struttura. Giunsero davanti a una grossa porta, così Evan le lasciò la mano, dirigendosi verso una vetrata coperta da delle grosse sbarre di ferro, fra le quali il moro infilò una mano, estraendo un grosso mazzo di chiavi e ammirandolo poi soddisfatto.
"Clark, il custode del poligono, nasconde sempre un mazzo di chiavi per chi come me viene spesso qui per sparare di notte. Se Cooper dovesse scoprirlo, passeremmo tutti un mucchio di guai, ma come avrai notato, a noi qui piace trasgredire le regole" le spiegò, provando ad aprire la porta con alcune chiavi, ma riuscendo a sbloccare la serratura solo dopo un paio di tentativi.
Spalancò la porta, facendo segno ad Hazel di affrettarsi ad entrare, così quando furono finalmente entrambi dentro, la chiuse velocemente, per poi rimanere in silenzio ad ammirare Hazel ferma davanti a lui, spaesata ed emozionata, sotto la luce flebile proiettata dai lampioni all'esterno.
Accese la luce, poi iniziò a muoversi.
"Ti serve l'attrezzatura soldato, su vieni!" le disse sorridendo divertito.
Entrarono in una grande stanza, Evan si muoveva velocemente e sicuro di sè, come se conoscesse quel posto meglio della sua stessa camera da letto nella casa dei suoi genitori, cercò qualcosa fra gli armadietti fissati ad una parete, poi ritornò a guardarla, con delle grosse cuffie e un paio di strani occhiali in mano.
Di fronte a lei, le tolse via il berretto da soldato dalla testa, lasciando che i lunghi capelli mori di Hazel le ricadessero sulle spalle, le scostò qualche ciocca dal viso immobile, poi le sistemò le grosse cuffie attorno al collo. Sorrise dicendo "Sai, se solo quei pantaloni non fossero così lunghi, niente mi farebbe dubitare della tua copertura da soldato" così Hazel sorrise arrossendo, prendendogli poi gli occhiali protettivi dalle mani.
Evan le diede le spalle, ritornando a cercare di nuovo qualcosa in un armadietto ben ordinato, nascosto dietro di lui.
Lo vide sistemarsi anche lui un paio di cuffie attorno al collo, poi si voltò di nuovo verso di lei, stavolta con una lucente e bellissima pistola nera fra le mani.
Continuava a maneggiare quella Berretta 92 con le sue mani grandi e agili, non distogliendo minimamente lo sguardo dalla sua arma.
Avanzò cauto verso Hazel, poi con un sorriso sornione ad illuminargli il viso, gliela posò lentamente fra le mani.
Incontrollate e cominciando a sudare, le magre mani di Hazel accarezzavano quella pistola come se mai avessero toccato niente di più eccitante.
Gli occhi della mora non riuscivano a staccarsi da quella Berretta, le mani incollate a quel nero lucente, impazienti di sentirla sparare sotto il loro tocco.
"Non è ancora carica, non preoccuparti" la rassicurò Evan notando le mani di Hazel tremare a contatto con quell'arma, prendendola poi poco dopo di nuovo nelle sue mani. Le poggiò una mano sulla schiena dolcemente, invitandola poi ad uscire da quella stanza.
Saltellando e gioendo proprio come una bambina, Hazel si fece guidare fino al poligono all'esterno della struttura "Così tu vieni qui la notte per sparare?" gli chiese, girando su se stessa, le braccia spalancate e lo sguardo sognante.
"Di giorno c'è sempre troppa gente" le disse Evan, sistemando le munizioni nel suo caricatore.
"E tu odi la gente" si ricordò Hazel.
Evan sorrise "Quando vengo qui, riesco a rilassarmi, a concentrarmi, per questo preferisco venire quando nessun altro è qui ad allenarsi. Di notte posso godermi l'intero poligono da solo, senza nessuno che possa distrarmi" spiegò, impugnando l'arma verso il basso, il caricatore stretto nella mano sinistra.
"Ed io? Non sono una distrazione?" gli chiese la mora, le mani inchiodate ai fianchi.
Evan la guardò sorridente, inserì il caricatore nella sua Berretta, poi si posizionò esattamente davanti al suo bersaglio, si sistemò le cuffie sul capo, e facendo segno ad Hazel di fare lo stesso, sollevò la pistola, strinse le mani attorno all'impugnatura, l'occhio dominante fisso sul mirino anteriore, il piede sinistro leggermente in avanti rispetto al destro, il sorriso sulle labbra, e il colpo in canna.
In un attimo sparò, e senza alcuna difficoltà centrò il bersaglio.
"Wow!" esultò la mora un attimo dopo, avvicinandosi al suo ragazzo che nel frattempo stava togliendo via le enormi cuffie "Non sono una distrazione, è chiaro!" riuscì a rispondersi da sola Hazel.
Evan le sorrise, abbassando l'arma verso il suolo "In realtà niente ormai mi distrae più. Sai, in battaglia le distrazioni come i frequenti spari, o i soldati nemici attorno a te, sono così tanti, che devi per forza imparare ad estraniarti da tutto ciò che ti circonda, e concentrarti solo sull'arma fra le tue mani... Be', almeno se sopravvivere è il tuo obbiettivo!" le disse, posizionandosi dietro di lei.
Posò la mano sinistra lungo il fianco della mora, che divaricando leggermente le gambe, si raddrizzò sul posto. Poi Evan le prese una mano, guidandola a posizionarsi proprio davanti al suo viso. Le mise la pistola fra le mani, le braccia tese, e l'impugnatura esattamente all'altezza delle sue spalle.
"Tieni saldamente l'arma con la mano dominante, lascia l'indice libero, poi usa l'altra mano per impugnare meglio. Stringi con forza, assicurandoti che le tue dita siano ben distanti dal carrello della pistola" le spiegò, guidando le sue mani durante ogni passaggio.
Evan le parlava da dietro le minute spalle, mentre il suo respiro le faceva venire i brividi lungo tutto il collo, il petto di lui esattamente contro la schiena di Hazel.
"Posiziona il piede sinistro leggermente in avanti, dovrai avvertire il tuo corpo perfettamente in equilibrio" continuò a spiegarle, spostando lo sguardo dal bersaglio davanti a lui, verso il viso della mora. Gli occhi scuri di Hazel ridotti a due fessure, l'espressione attenta, e il sorrisetto sghembo disegnato sulle labbra.
Evan sorrise notandola così concentrata, poi sollevò la sua mano sul carrello della pistola, e stringendo sull'impugnatura di Hazel, caricò l'arma portando il carrello all'indietro. Hazel sussultò al rumore meccanico proveniente dalla pistola fra le sue mani.
"Adesso la pistola è carica. Concentrati sul bersaglio di fronte a te, allinea il tuo occhio dominante con il mirino anteriore e posteriore della pistola, e nel frattempo socchiudi l'altro occhio" le disse, mentre Hazel cominciava a puntare meglio la sua pistola verso il centro del bersaglio.
"Prova a mirare al centro, e previeni il contraccolpo, mantenendo una presa stretta e ferma" fu l'ultima cosa che le disse prima di allontanare le sue mani da quelle di Hazel.
Le sollevò le cuffie sulla testa, sistemandosi poi le sue, si assicurò che entrambi indossassero gli occhiali protettivi, poi posò di nuovo le sue mani su quelle di Hazel.
Con il pollice le toccò più volte la mano destra, mimando una conta: 1, 2 e 3, poi insieme premettero quel grilletto, e il proiettile partì dalla canna, facendo vibrare le loro mani.
Evan si sporse dalle sue spalle, curioso di scoprire che espressione avesse adesso Hazel, poi la vide ridere, e eccitato, portò di nuovo indietro il carrello della pistola, caricando un altro colpo.
Stavolta fu Hazel a premere da sola il grilletto, mentre le mani di Evan la aiutavano solo a sorreggere l'arma.
Vide il secondo proiettile avvicinarsi di qualche centimetro al bersaglio centrale, e quando Evan notò lo sguardo di Hazel accendersi improvvisamente per l'emozione, con un gesto della mano le chiese se volesse riprovare ancora una volta.
Hazel annuì, così il moro le preparò ancora un altro colpo, allontanando poi piano le mani da quelle di lei.
Indietreggiò, sistemandosi accanto a lei, e rimanendo fermo a guardarla mentre riprovava ancora una volta a centrare il colpo.
Ma nell'esatto istante in cui il proiettile scattò fuori dalla canna di quella pistola, qualcos'altro catturò l'attenzione di Evan.
Notò una luce accendersi improvvisamente dall'interno del poligono, così terrorizzato si tolse via le cuffie, ritornando a guardare Hazel.
Nel frattempo la mora, aveva abbassato l'arma togliendosi anche lei le cuffie dalle orecchie, mentre adesso avanzava entusiasta verso Evan.
"Ho colpito ancora più vicino al bersaglio!" strillò eccitata, l'espressione incredula.
"Hai visto? Sono riuscita davvero ad avvicinarmi al centro, e senza che tu mi guidassi nemmeno!" continuò ad esultare.
Ma Evan le si avvicinò in preda al panico, portandole una mano davanti alla bocca e rispondendole con un semplice "Shh!". Hazel spalancò gli occhi confusa, poi lo vide guardare verso l'interno del poligono. Notò anche lei quella luce accesa, così posando la sua mano su quella di Evan, ancora sul suo viso, provò a dirgli qualcosa. Ma non capendo una sola sillaba di quello che gli aveva detto, Evan si decise finalmente a liberarla dalla sua presa "C'è qualcuno?" riuscì finalmente a sussurrare Hazel.
Nel frattempo Evan le aveva preso la pistola ancora carica dalle mani, così estrasse il caricatore, se lo infilò in tasca, e stringendo la pistola scarica nella sua mano destra, acchiappò velocemente la mano di Hazel con la sinistra.
"Dobbiamo nasconderci" le disse solo, lo sguardo terrorizzato puntato sul viso pallido di Hazel.
La trascinò via da lì, facendole strada verso lo sgabuzzino dell'intera struttura.
"Se dovessero scoprirci, tu sei il soldato Blake" le disse, indicando l'etichetta cucita sulla giacca che Hazel aveva indosso, con su scritto il cognome di Evan.
"Ma io sono pure il soldato Blake" aggiunse il moro, guardando poi l'etichetta che portava lui sul petto.
"Siamo cugini, ti chiami Abigail, l'agente Blake è tuo zio, e noi due non stiamo insieme, va bene?" le disse, le cuffie attorno al collo e gli occhiali sollevati sul capo.
Hazel provò a non ridere, spaventata e elettrizzata allo stesso tempo, poi annuì, e fu in quell'esatto momento che non riuscendo a trattenersi, scoppiò in una fragorosa risata "Tu sei mio cugino" disse divertita, il sorriso beffardo e il dito puntato contro Evan.
"E noi due non stiamo insieme" ricapitolò, a pochi passi dal viso di Evan, chiusi in quello sgabuzzino al buio.
Evan inarcò un sopracciglio "Stai ridendo perché in realtà sei terrorizzata, e non vuoi piangere?" le chiese confuso.
Hazel rise più forte, in preda ad un attacco di panico, le lacrime agli occhi e le gote rosse, riuscendo a contagiare perfino il moro con quella sua risata isterica. Così pure Evan cominciò a ridere, anche se più piano e in maniera più controllata, non distogliendo minimamente lo sguardo dagli occhi di Hazel.
Sentirono dei rumori ancora più vicini, così per farla stare zitta, Evan si precipitò sulle sue labbra, baciandola e costringendola a smettere di ridere e di fare così tanto rumore.
Affondò le mani nei suoi capelli, ricordando quando poco prima l'aveva vista sparare, e trovandola bellissima perfino in quell'enorme uniforme mimetica. Sentì così i battiti del suo cuore accelerare improvvisamente, temendo che da un momento all'altro, il cuore avesse potuto scoppiargli nel petto.
Hazel gli circondò il collo con le braccia, lasciando che Evan continuasse a baciarla in quel modo, senza nemmeno permetterle di prendere il respiro.
Gli accarezzò il viso, giocando poi con i suoi capelli, e assaporando il sapore della sua bocca come se nessun bacio fosse mai stato più dolce di quello.
Poi con le mani strette sul suo viso, lo allontanò piano dalle sue labbra, sorridendogli felice, e riuscendo finalmente a fare silenzio.
Così Evan si fermò a guardarla, immobile e con occhi sognanti, "Ricordi il giorno in cui notando le ferite sulla mia mano, ti sei preoccupata per me, obbligandomi a confessarti come me le fossi fatte?" le chiese.
Hazel gli guardò le mani, adesso lungo i suoi fianchi, poi ricordandosi di quell'esatto momento, annuì, puntando di nuovo lo sguardo in quello di Evan.
"Non ti ho mai raccontato nulla sulla persona con la quale ho fatto a pugni, ne delle ragioni che mi hanno spinto a farlo" iniziò a spiegarle piano.
"Si trattava di uno spacciatore con una serie di crimini alle spalle, sebbene io sia certo che l'aggressione al pubblico ufficiale fosse proprio la sua specialità. Ma lui non ha mai aggredito me, non è per questo che ho finito per prenderlo a pugni. Tempo fa mio padre è stato vittima delle minacce di morte di una delle gang criminali più ricercate di Santa Ana. Aveva creato loro un paio di problemi con la legge, era perfino riuscito ad arrestare il loro leader, ed è per questo che una sera hanno deciso di tenergli un'imboscata, simulando una rapina, e finendo così per massacrarlo di botte in un vicolo deserto dei sobborghi in città. Avevo solo 18 anni, non sapevo ancora di voler diventare un soldato, mi sentivo impotente e responsabile per quello che era stato fatto a mio padre. Così per mesi ho cercato di scoprire che faccia avesse il bastardo che lo aveva ridotto in quel modo, non hai idea di quante notti io abbia passato sveglio, appostandomi davanti al portico di casa mia con una mazza da baseball come unica arma, nell'attesa che quei delinquenti si rifacessero vivi alla mia porta" Evan raccontò quella storia a bassa voce, gli occhi blu fissi sul viso turbato di Hazel, come sola fonte di luce in quel buio sgabuzzino.
La mora nel frattempo lo ascoltava in silenzio, provando un'immensa tristezza per il suo ragazzo e la sua famiglia, non riuscendo anche solo ad immaginare l'agente Blake, quell'uomo famoso per seminare terrore nell'aeroporto dove anche lei lavorava, pestato a sangue, e vittima di un'aggressione così meschina e violenta.
"È per questo che hai deciso di arruolarti? Volevi imparare a difendere al meglio la tua famiglia?" gli chiese, giocando dolcemente con le dita di lui.
Evan abbassò lo sguardo, sentendosi improvvisamente senza più alcuna forma di protezione davanti a quella ragazza, che fin dal giorno in cui lo aveva conosciuto, era riuscita a buttare giù, mattone dopo mattone, quell'indistruttibile muro che Evan aveva tirato su attorno a lui contro ogni forma di minaccia.
Ma lei per il soldato Evan Blake, non sarebbe mai stata una minaccia.
"I miei tre anni nell'esercito hanno trovato un senso quando quel giorno, poche settimane fa, ho finalmente scoperto che faccia avesse il bastardo che per anni ho cercato fra i fascicoli di mio padre nella sua centrale di polizia" disse, gli occhi lucidi.
"Quel giorno ho capito che avrei potuto fidarmi di te. Ti sei preoccupata per me nonostante ci conoscessimo solo da pochissimi giorni, non sapevi nulla di me, ma mi hai comunque inseguito per chiedermi cosa mi fosse successo, come mai le mie mani fossero piene di lividi, perché mi ostinassi a tenere sempre il capo basso per evitare lo sguardo della gente" le confessò, mentre Hazel lo guardava con quel sorriso dolce sulle labbra, orgogliosa del ragazzo con il quale adesso era nascosta dentro uno sgabuzzino.
"Non ho mai avuto alcun problema a centrare il bersaglio la fuori con qualunque tipo di arma. Anzi, solitamente la rabbia mi aiuta a concentrarmi e a sparare in maniera più precisa. Ma tu, tu quel giorno sei riuscita a farmi sbagliare, non permettendomi di avvicinarmi nemmeno per sbaglio al centro di quel bersaglio, e questo solo grazie ai tuoi continui tentativi di approccio" le confessò, il sorriso disegnato sulle labbra.
"Quindi sì Hazel, tu sei una distrazione per me. Soprattutto per il mio lavoro. Ma tutto questo, non mi dispiace neanche un po'. Sei ciò che mi aiuta a distrarmi dalla costante condizione di pericolo in cui mi sento bloccato, che mi porta a mettermi ogni volta sulla difensiva, pronto ad attaccare. Con te non occorre difendermi da niente, perché quando sono con te, non sento di aver bisogno di nulla se non di te, non della mia divisa, non del mio giubbotto anti-proiettili, nemmeno della mia pistola - disse sollevando la pistola scarica in una mano - ma solo di te" il tono di voce basso ed emozionato.
Hazel lo fissava colpita e commossa, mentre continuava a sorridergli, le gote rosse, e gli occhi luminosi. Posò una mano sul viso di Evan, carezzandogli il viso scolpito, e facendogli segno di avvicinarsi a lei.
Lo abbracciò forte, come mai aveva abbracciato nessun altro, fiera di lui.
"T-tu sei incredibile Evan Blake. Ti trascini dietro questa copertura da soldato così duro e forte, ma ti stupirebbe scoprire quanto in realtà tu appaia dolce ai miei occhi" gli disse, il viso contro al suo petto.
"Se ci pensi, se non fosse stato proprio per la mia copertura da stronzo maleducato, noi due non ci saremmo mai rivolti la parola" esordì Evan, il mento poggiato sul capo di Hazel.
La mora sollevò lo sguardo ridendo, al ricordo della brutta figura che aveva fatto mesi prima con lo stesso soldato che adesso era il suo ragazzo.
"Sembra quasi che tu abbia una doppia personalità: tanto sicuro di te e arrogante di giorno, quanto dolce e gentile di notte" lo prese in giro, posando una mano sul suo petto.
Evan rise, poi poggiò un orecchio contro la porta accanto a lui, e non sentendo più alcun rumore, pensò che fosse finalmente arrivato il momento di uscire allo scoperto.
"Non sento più niente, magari era solo Clark che ha dimenticato come al solito il suo walkie-talkie in ufficio" le disse, allungando una mano verso di lei.
Hazel la strinse forte, così Evan finalmente aprì la porta, e quando mosse un passo in avanti sollevando lo sguardo, rimase paralizzato notando John alle prese con le munizioni di una pistola, dritto davanti a lui.
Evan teneva stretta la mano di Hazel, mentre l'imbarazzo gli impediva di trovare le parole più appropriate per una situazione come quella. John nel frattempo li fissava impallidendo sempre di più, il caricatore stretto nella mano sinistra, e la pistola scarica impugnata con la destra.
"J-john!" esordì poi Hazel, presa dal panico.
Il ragazzo di fronte a loro spostò lo sguardo su di lei, deglutì, poi dopo ore in silenzio, finalmente ritornò a parlare "Hazel?" disse solo, le labbra secche "Che ci fai tu qui?" le chiese confuso, dando un'occhiata ad Evan, che continuava a guardarli palesemente a disagio.
"Volevo provare a sparare!" confessò senza troppi problemi la mora, facendo spallucce e sorridendo gentile.
"A sparare?" John si chiese se avesse sentito bene.
"Sì, a sparare" intervenne finalmente Evan "E tu? Come mai sei qui?" gli chiese il moro curioso.
"Mi alleno" rispose freddamente John, inserendo con forza il caricatore nella sua pistola, e facendo così sussultare Hazel.
Il ghigno sul viso di John fece venire la pelle d'oca ad Hazel, che improvvisamente si sentì in parte responsabile dell'atteggiamento così distaccato del loro amico.
"Ti alleni" ripeté imbarazzato Evan, tenendo la sua pistola scarica in una mano.
"Quando ti ho sentito arrivare ho pensato si trattasse di Cooper, o di McGregor. Ero nel panico, se ci avessero trovati qui, sarebbe stata la fine" continuò poi Evan, divertito e sollevato.
Ma John non lo guardò nemmeno, concentrato sul bersaglio davanti a lui.
"Nel peggiore dei casi, ti avrebbero costretto a servire alla mensa ancora per qualche altra settimana. Non credo ti abbiano mai punito in modo più severo" disse semplicemente John, non distogliendo minimamente lo sguardo dalla canna della sua pistola.
Hazel rimase a fissarli in silenzio, confusa e imbarazzata.
Evan invece, non seppe interpretare in maniera precisa la strana risposta di John, nè riuscì a capire il perché di un tono così acido e pungente.
"Sono sicuro che Cooper non la penserebbe allo stesso modo, ma se così fosse, Zel, stando a quello che dice John, non abbiamo nulla da temere. Nel peggiore dei casi finiremmo semplicemente a pelare patate, giusto Davis?" disse con un tono carico di sarcasmo Evan, inarcando un sopracciglio irritato.
John gli lanciò un'occhiataccia, infastidito dalla sua sola presenza, poi spostò lo sguardo su Hazel "Evan non corre mai alcun rischio, tu però, a differenza di quello che dice la tua divisa, non sei davvero una Blake. Stai attenta Hazel, chi non porta quel cognome qui, sebbene tu sia la sua ragazza, non è soggetto allo stesso tipo di trattamento riservato ai Blake e ai cognomi dello stesso calibro di quello di Evan" l'avvertì, sputando cattiveria fra ognuna delle sue parole. Hazel rimase zitta ad ascoltarlo, nemmeno un po' intimorita dalle parole di John. Evan invece, serrò i pugni pronto a contraccambiare il colpo, infuriato come non mai.
"Cosa cazzo stai dicendo, John?!" strillò, gli occhi arrossati e la mascella serrata.
"Avanti Evan, tutti qui la pensano allo stesso modo: sei un Blake, il figlio dello sceriffo, non c'è da meravigliarsi se dopo tutte le volte in cui hai violato le regole, tu rimanga ancora il soldato migliore dell'intera base" gli disse, guardandolo finalmente dritto in faccia.
Hazel sgranò gli occhi, colpita dal modo in cui John stava parlando proprio al suo migliore amico, l'espressione indecifrabile sul viso del moro.
"Che cosa?" disse Evan sconvolto "Deve esserti andato per forza di volta il cervello, Davis" disse, accennando una finta risata.
John sbuffò irritato, costringendosi a non replicare, poi Hazel finalmente si decise a fare qualcosa, così poggiando una mano sulla schiena del suo ragazzo, disse "Evan, andiamo via", il tono rassicurante.
Evan la guardò senza parole, l'espressione ferita e delusa, spostò di nuovo lo sguardo su John, e quando Hazel sentì la rabbia fra quei due, rendere irrespirabile l'aria, afferrò il braccio di Evan, costringendolo a seguirla.
"Buonanotte John" disse solo la mora, delusa e arrabbiata.
"Buonanotte" rispose freddo il ragazzo, guardandola con la coda dell'occhio andare via insieme al suo ragazzo.
John sbuffò, mentre la rabbia gli faceva tremare le mani in modo incontrollato, si sistemò le cuffie sulla testa, poi strinse saldamente la sua pistola, la puntò contro il suo bersaglio e sparò.
Centrò il colpo al primo tentativo, non percependo nemmeno un minimo di soddisfazione però, John si voltò di scatto gettando via le sue cuffie, ringhiò, poi diede un calcio alla porta dello sgabuzzino dove poco prima aveva visto uscire Hazel ed Evan.
Urlò, così impugnò di nuovo la sua pistola, e senza nemmeno rimettersi le cuffie, ricominciò a sparare, un colpo dietro l'altro, sentendo il rumore assordante degli spari martellargli in testa.

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