Capitolo 3

Quando uscì fuori dall'aeroporto Evan si sentì mancare il respiro per quello che era appena successo.
Si sedette su una panchina all'esterno della struttura, sotto il cielo soleggiato che faceva brillare la sua divisa, poi fece un respiro profondo. Chiuse gli occhi, continuando a espirare e inspirare, ma immagini confuse dei suoi ricordi gli ritornarono in mente, costringendolo così a riaprirli.
Ripensò a un paio di anni prima, quando ritrovandosi in una situazione stressante come quella, avrebbe svuotando un intero pacco di sigarette nel giro di un'ora.
Ma adesso qualcosa era cambiato. Non era più lo stesso ragazzo del liceo, strafottente, spavaldo, e a cui piaceva bere alla sera per lasciarsi alle spalle una brutta giornata.
Adesso era il soldato Evan Blake, colui che aveva rischiato la vita in guerra così tante volte da non riuscire nemmeno a ricordarsele più.
Da un po' di tempo ormai, più o meno da quando aveva deciso di arruolarsi nell'esercito, Evan aveva capito cosa fosse davvero importante per lui.
Ricordare il giorno in cui aveva quasi rischiato di perdere tutto poi, il rumore assordante degli spari in vicinanza, o quello delle bombe un po' più lontane, l'ansia e la paura, suo malgrado, avevano solo peggiorato le cose.
Adesso infatti, Evan non poteva che stare peggio. La nostalgia aveva improvvisamente inondato il suo cuore e la sua testa, e lui era certo di esser disposto a fare qualunque cosa pur di ritornare in missione il prima possibile.
Malediceva l'uomo che gli aveva sparato durante la sua ultima missione a Baghdad ogni giorno della sua vita. Aveva rischiato di ucciderlo, e per colpa sua adesso Evan era bloccato in quell'aeroporto almeno fin quando i suoi superiori non lo avessero ritenuto pronto per ripartire. La rabbia invadeva ogni parte del suo corpo come una valanga pronta ad abbattersi su qualunque cosa, ogni qualvolta che ripensava a lui e a quei ribelli.
Era proprio così che si era sentito al suo risveglio a Baghdad nella tenda dell'ambulatorio medico dove lo avevano ricoverato, pronto a distruggere qualunque cosa con la stessa forza di una valanga. Ricordava quel momento in ogni minimo particolare. L'infermiera che annunciava il suo risveglio al medico di servizio, la grossa medicazione che fasciava il suo petto dalla clavicola sinistra fino all'addome, il dolore che provava al minimo movimento dovuto ai punti freschi di sutura, poi l'annuncio del suo ritorno a casa.
Gli dissero che quello che era successo non era da sottovalutare, e che per nessuna ragione al mondo sarebbe potuto ritornare in campo dopo solo qualche mese di riabilitazione, come era successo quando aveva subito una semplice frattura alla gamba.
"Ferita d'arma da fuoco al petto, una mancata mira al cuore. Chi ti ha sparato, ti voleva morto" ricordava quelle parole come se qualcuno gliele avesse incise nella testa, un tatuaggio nell'anima che non sarebbe più andato via. Si toccò il petto d'istinto, proprio nel punto in cui adesso non rimaneva che una brutta cicatrice. Si chiese cosa fosse successo, come fosse arrivato lì, e come fosse riuscito a guadagnarsi così tanto odio da parte di qualcuno che nemmeno conosceva, ma che con un semplice sparo ben mirato, lo avrebbe di certo messo KO senza alcuna esitazione.
Scosse il capo velocemente, poi si alzò in piedi ancora un po' frastornato.
Decise di metter fine velocemente a quella pausa di autocommiserazione che si era concesso, così si sistemò nuovamente il suo berretto in testa, stirò le maniche stropicciate della divisa, poi fissò il flusso di gente che usciva dall'aeroporto facendosi strada verso i pullman che sarebbero partiti da lì a poco. Sospirò, incamminandosi verso l'entrata della struttura, e arrendendosi ancora una volta a tutto ciò che gli era capitato.


Stava lì seduta a quel tavolino intenta a consumare il suo pranzo, sommersa in una dimensione di cui sembrava essere l'unica a possedere l'accesso. Era concentrata a fissare una famiglia probabilmente in vacanza, ma come suo solito, anche in quel momento stava viaggiando oltre.
Analizzando il quadretto dell'idealizzata famiglia felice, fu inevitabile ritornare un po' indietro nel tempo nei suoi ricordi. La sua memoria, sempre molto attenta ai dettagli, l'aveva ridisegnata seduta proprio lì, dove adesso una madre era intenta a intrecciare abilmente i capelli dorati di una bambina. In quel ricordo, Hazel teneva dei biglietti tra le mani, ammirandoli come se nulla al mondo fosse mai stato più prezioso per lei. Ma non era sola. Un ragazzo, in bermuda e t-shirt stava seduto proprio accanto a lei, fissandola come se per lui Hazel fosse di gran lunga più preziosa di quei biglietti.
E adesso, quando nella sua visione il giovane ragazzo la baciava accarezzando i suoi morbidi boccoli castani, gli occhi le si riempirono di lacrime.
Sbatté le palpebre, costringendosi a ritornare nel presente. Si asciugò velocemente gli occhi umidi con il dorso della mano, poi buttò tutto ciò che rimaneva del suo pranzo nel cestino più vicino.
Si rimproverò, per aver concesso ancora una volta al suo cuore di cadere così in basso. Solo qualche mese prima aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai più ripensato a Noah, almeno non con quel magone alla gola e quegli occhi languidi tipici di un cuore spezzato.
Era passato ormai un anno, e per nulla al mondo si sarebbe lasciata abbattere di nuovo da quella storia. Si era liberata di lui e di tutto ciò che lo riguardava con non pochi problemi, e adesso non voleva di certo rovinare tutto ritornando a pensare a lui e a quello che erano stati solo perché quell'aeroporto non faceva che ricordarglielo.
Si voltò, dando le spalle a quella famiglia, poi cominciò a camminare.


"Cavolo Evan, vuoi dirmi dove diavolo ti eri cacciato? Ti ho cercato ovunque" sentì il moro da dietro le sue spalle.
"Dovevo stare un po' da solo" rispose freddo il ragazzo, voltandosi verso il suo amico che lo stava ormai raggiungendo.
Peter gli lanciò un'occhiataccia, odiava quando Evan cercava di allontanarlo con quel suo atteggiamento da tipica persona riservata. Tra loro non c'erano molti segreti, per questo Peter non comprendeva il perché si ostinasse sempre a cercare di tenere i suoi problemi per sé, quando tutto ciò che avrebbe voluto, era aiutarlo. Lo conosceva più di quanto immaginasse, e proprio per questo sapeva benissimo come parlargli.
"Non ti saresti fermato se io e Chris non fossimo intervenuti, non è così?" chiese diretto Peter.
Evan lo guardò per qualche secondo, ma non gli rispose. Peter però, non ne aveva affatto bisogno, lui sapeva già quale sarebbe stata la sua risposta.
Ricordava perfettamente lo stato in cui fosse Evan, dopo aver scoperto che il padre fosse stato pestato a sangue in un vicolo dietro la caserma nella quale lavorava, qualche anno prima.
Logan Burrows, il ragazzo che avevano arrestato quella mattina, con l'aiuto di altri criminali aveva attirato lo sceriffo Blake in quel posto inscenando una rissa, così tendendogli un'imboscata, ebbe l'opportunità di vendicare l'arresto di suo fratello Liam facendo nero il signor Blake.
Comprendeva benissimo perché Evan avesse reagito in quel modo, d'altronde, non era certo di poter dire che fosse stato al suo posto, lui non avrebbe reagito allo stesso modo.
"Cosa ti ha detto tuo padre?" chiese ancora Peter mentre i due continuavano a camminare.
"Che un vero soldato non avrebbe mai ceduto a una provocazione di questo tipo" rispose Evan guardando dritto davanti a sè.
"Chiunque avrebbe preso a pugni quell'idiota fosse stato nei tuoi panni. Io per esempio, senza dubbio l'avrei fatto" Evan lo guardò, felice di notare che almeno il suo migliore amico fosse riuscito a capire come si sentisse.
Poi Peter guardò le sue mani piene di ferite con gli occhi carichi di dispiacere "Dovresti medicarle" disse.
"Non ho mai medicato una sola ferita in battaglia, e di certo non inizierò a farlo adesso" rispose sorridendogli, con gli occhi di chi era troppo orgoglioso perfino per ammettere di non riuscire nemmeno ad aprire una mano per via dei lividi.
Giunti allo spogliatoio riservato ai membri dell'esercito i due si affrettarono a prendere le loro cose, poi con gli zaini mimetici in spalla tornarono fuori.
"Sai cosa ci vorrebbe adesso?" chiese Evan, mentre i due camminavano spediti verso il furgone delle forze armate.
"Cosa?" gli chiese Peter, con un sorriso smagliante sotto la luce naturale di quel cielo colorato del rosso fuoco di un bellissimo tramonto.
"Una bella birra ed un biliardino" rispose Evan, ricordando i tempi in cui tutti e due trascorrevano le loro serate al Jackbar, una sala giochi di Santa Ana.
"Nostalgico Blake?" chiese Peter, appoggiandosi ad un pilastro mentre spensierato ammirava quel cielo fantastico.
"Forse. E' solo che vorrei godermi questi ultimi mesi, dato che saremo ancora bloccati qui per molto... Fare tutte quelle cose che eravamo soliti fare prima di diventare dei militari" motivò la sua proposta Evan.
"Sicuro di stare bene? Credevo non vedessi l'ora di tornare in missione" Evan sorrise, era certo che Peter avrebbe dubitato di tutta quella sua improvvisa voglia di godersi Santa Ana e il tempo a disposizione lì.
"Sto solo cercando di smetterla di autocommiserarmi. Ritornerò in missione presto, ma nel frattempo, ho capito che l'unico modo per cercare di rendere questa esperienza il meno noiosa possibile, è proprio trovarmi qualcosa di meglio da fare, almeno quando non sono impegnato qui a perquisire passeggeri o a interrogare delinquenti" continuò a spiegargli Evan.
"Allora credo mi approfitterò di tutta questa tua inaspettata voglia di divertirti! Quindi, quando cominciamo?" chiese eccitato Pet.
"Sabato, avremo libera uscita, si torna due giorni a casa!" lo seguì Evan sorridendo.
"Cos'è tutto questo entusiasmo?" chiese poi una voce avvicinandosi ai due ragazzi.
Evan si voltò, poi vide John intento a guardarli stranito, mentre attendeva una risposta.
"Stiamo pianificando un'uscita, questo sabato" iniziò Peter.
"Dovresti venire anche tu! Cosa farai questo fine settimana, rimarrai in zona o torni dai tuoi?" lo invitò Evan.
"Sarò dei vostri!" accettò l'invito il moro. "Dovremmo chiederlo a qualcun'altro?" chiese Evan.
"Chris!" gridò poi Peter, mentre il biondino camminava verso la loro direzione.
"Non ti passerò altre sigarette, Pet, puoi comprartele" disse Christopher.
Peter lo guardò in cagnesco, poi Evan prese parola "Quello che Pet voleva chiederti, era se questo sabato ti andasse di uscire con noi. Pensavamo ad una birra sul lungomare" propose il moro.
"Non credo di avere impegni per questo sabato" rispose Chris sorridendo, mentre il furgone mimetico si posteggiava davanti ai loro occhi.

Non riusciva a smettere di pensare in alcun modo a quella mattina, quando inaspettatamente, Peter aveva provato a parlarle.
Lavoravano insieme da tempo ormai, ma dopo aver scoperto l'impensabile, niente era rimasto più lo stesso fra i due. Così quelle giornate di lavoro che dopo tanto tempo distanti durante la missione di Peter, per i due e per il loro rapporto avrebbero dovuto significare solo un magnifico cambiamento, adesso che a mala pena si scambiavano un veloce saluto, erano finite per diventare solo un'insopportabile tortura. Non riusciva nemmeno più a guardarlo in faccia, figuriamoci a parlargli. Quando l'aveva salutata, Casey aveva visto improvvisamente cadere davanti a lei, quel muro che tanto duramente si era costruita intorno a sè negli ultimi mesi.
Infatti, dopo che Peter era riuscito a spazzar via ogni sua certezza con quella sua mossa tanto astuta, era stata questa la maniera più facile di sistemare le cose per Casey.
Chiudersi in se stessa e innalzare attorno a lei un muro così impenetrabile, che nemmeno un soldato forte come Peter sarebbe mai riuscito ad abbattere così facilmente. Era così che aveva deciso di affrontare quella grande delusione.
D'altronde tre anni di relazione non sono facili da dimenticare, ecco perché non potendoli rimuovere dalla sua testa, e soprattutto dal suo cuore, Casey aveva deciso che li avrebbe semplicemente soppressi, provando a caricare un nuovo inizio su di essi.
Peccato che, sembrava non esserci ancora nemmeno l'ombra di un possibile inizio per lei.
Si erano conosciuti all'ultimo anno di liceo, lui un giocatore di rugby, lei un'alunna modello. Avevano passato momenti indimenticabili insieme, vicini e lontani. La loro storia era perfino riuscita a sopravvivere a tutti quei chilometri di distanza fra loro durante la missione di Peter dall'altra parte del mondo, almeno fino al momento in cui Casey aveva scoperto tutta la verità su ciò che Peter aveva fatto.
Ma adesso che l'aveva tradita, approfittandosi della sua fiducia nel modo più spregevole in cui potesse farlo, Casey non riusciva proprio a pensare di potergli dare anche una sola possibilità.
Per lei infatti, la fiducia che da anni nutriva nei confronti di Peter, era svanita proprio nell'esatto istante in cui quest'ultimo aveva deciso che mettersi in affari con suo padre, il giudice Robert Johnson, rischiando la carriera di entrambi e commettendo solo un mucchio di atroci ingiustizie, fosse davvero un prezzo più che giusto da pagare per ottenere un posto sicuro nell'esercito.
Era questo di cui Peter era infatti colpevole. L'aver complottato col giudice Johnson, l'essersi fatto comprare solo con lo scopo di assicurarsi un posto nella sua attuale unità, erano tutte colpe che Casey non era sicura avrebbe mai potuto perdonare a Peter e il suo defunto padre.
Adesso non poteva che considerarlo un bugiardo, un codardo e un traditore.
Avrebbe voluto prenderlo a pugni, ma si era limitata al lasciarlo, solo con le sue colpe mentre si trovava a Baghdad, chiuso in un ospedale dopo esser rimasto ferito insieme a gran parte dei suoi colleghi in una sparatoria. Non ci sarebbe stata punizione peggiore per Peter: costretto a rimanere lì in convalescenza per settimane, senza alcun diritto di replica, obbligato ad aspettare di ritornare a Santa Ana, prima di avere finalmente la possibilità di spiegarsi.
Ma Casey non voleva nemmeno che lui provasse a spiegarsi, per lei ciò che aveva fatto era già abbastanza. Fu per questo che Peter non riuscì mai più ad avere la possibilità di spiegarle, di raccontarle tutto senza più alcuna bugia.
E adesso, lì sul suo letto, Casey non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Peter seduto accanto a lei. Ne avevano passate così tante insieme in quella stanza, che Casey non era sicura sarebbe mai riuscita a smettere di immaginarselo in ogni angolo di casa sua.
Le mancava, proprio come lei mancava a Peter, con l'unica differenza che non era stata lei a decidere di metter fine a tutto ciò che erano.


Se sei arrivata fin qui, significa che in qualche assurdo modo che non riesco a spiegarmi nemmeno io, sono riuscita a incuriosirti, e sappi che ti sono infinitamente grata per aver creduto in me, e nel potenziale della mia storia!
Quindi GRAZIE, davvero!

Ma adesso passiamo al capitolo:

EVAN
(Credo di amarlo 💕)

È un ragazzo che ne ha davvero passate tante, e ciò che gli è successo a Baghdad lo ha cambiato profondamente, rendendolo più forte fisicamente, ma più fragile dal punto di vista psicologico... È sensibile e dolce, e spero avrete modo di capirlo da sole nei prossimi capitoli.
Peter invece, come ci spiega Casey in quest'ultimo capitolo, l'ha fatta veramente grossa, e per questo lei non riesce ancora a perdonarlo...
Un po' come Hazel, che sembra avere ancora un conto in sospeso col suo passato, sebbene cerchi di evitare anche solo di pensarci.

Spero di avervi intrattenuto ancora una volta,  e se è così, vi sarei debitrice a vita se mi lasciaste qualche commento, giusto per capire se sto parlando al nulla come una matta, oppure se c'è qualcuno dall'altro lato veramente interessato a ciò che scrivo.

Grazie ancora! 🌹❤️

Hazel Evans

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