Capitolo 18

"But she said, where'd you wanna go?
How much you wanna risk?
I'm not looking for somebody
with some superhuman gifts,
some superhero,
some fairytale bliss,
just something I can turn to,
somebody I can kiss,
oh I want something just like this!"
Something just like this, Coldplay

Evan sembrava agitato, come se non sapesse bene cosa fare o cosa dire, impegnato a seguire la sua partita, ma anche troppo preso dalla ragazza affianco a lui. Non riusciva a smettere di guardarla mentre beveva la sua cola e concentrata cercava di capire le strategie dei giocatori in campo. Ogni volta che i Clippers segnavano, la folla strillava e gli spalti tremavano, Hazel sussultava rischiando di far cadere la sua bibita sull'uomo dalla testa calva davanti a lei, poi per cercare di sembrare un po' più presa dalla partita, strillava parole d'incoraggiamento al seguito dei cori della folla. Tutto ciò divertiva incredibilmente Evan, che ogni volta che la sentiva commentare o insultare le mosse dei giocatori, si girava a guardarla ridendo per poi sostenerla nei suoi cori e cominciare a gridare con lei.
"Avanti Wallace, centra quella palla!" strillò indicando un giocatore esattamente sotto il canestro "Andiamo, dovrei forse farti vedere come si centra una pallina di carta in un cestino?" continuò, impaziente che Wallace tirasse quella palla. Evan nel frattempo rideva mentre la guardava distruggere i giocatori di insulti. Ed ecco che finalmente Wallace segnò, così entrambi, insieme al resto delle persone sugli spalti, si alzarono in piedi saltellando e gridando il nome della loro squadra.
"Vai Wallace!" strillò emozionata Hazel, ma poi notò lo sguardo divertito di Evan su di lei. "Che c'è?" gli chiese confusa.
"Zel, Wallace è dall'altro lato del campo, quello che ha segnato è Griffin" le spiegò non riuscendo a non ridere. "Oh" disse la mora "Sei sicuro?" chiese, aguzzando la vista per cercare di leggere meglio il nome sulla schiena del giocatore.
"Sì, sei sicuro" si corresse subito, riuscendo a leggere chiaramente il nome Griffin sulla maglia del giocatore che aveva appena segnato. Evan scoppiò a ridere.
"Va bene, adesso mi siedo qui e mi godo la partita in silenzio" disse poi, sedendosi e ricominciando a bere la sua cola.
"Ma no, chi incoraggerà i giocatori - seppur sbagliando i loro nomi - se non lo fai tu?" le fece notare, dandole un colpetto alla visiera del berretto dei Clippers che le aveva regalato per l'occasione. Gli sorrise, poi si rimise in piedi decisa "Avanti Williams togli la palla a quell'idiota!" riprese a strillare.
"Quello era Wallace" le disse piano avvicinandosi al suo orecchio Evan, il sorriso sul suo volto.
Quando la partita finì, con la tanto attesa vittoria dei Clippers, i due si affrettarono ad uscire dallo stadio, felici di poter finalmente trascorrere un po' di tempo insieme.
Evan che aveva ormai chiaro cosa volesse, le prese la mano come se niente fosse più naturale per lui. Mentre Hazel, che trovava qualunque cosa lui facesse incredibilmente dolce e attraente allo stesso tempo, al contatto con la sua mano si sentì improvvisamente al sicuro.
"Allora? Dove vuoi andare?" le chiese imbarazzato Evan, quando ormai avevano raggiunto il parcheggio.
"Tu non hai fame?" chiese Hazel affamata. "Che ne dici di-" stava per proporle, ma poi lei lo bloccò "Pizza!".
"Pizza?" Hazel annuì "Non ti va?" poi gli chiese. "No, non è questo, ma pensavo ti aspettassi una bella cena al ristorante? Non so magari cucina thailandese o italiana" le spiegò, facendola ridere.
"Sul serio pensi che io sia così pretenziosa e raffinata?" inarcò un sopracciglio.
"Non lo sei?" chiese insicuro il giovane. "Non farti troppe paranoie Blake, sai dove mi piacerebbe mangiare?" gli chiese ammiccando un sorriso.
"Mc Donald's?" tentò. "In spiaggia" rispose Hazel. "In spiaggia?" "Esatto!".
"Ordiniamo una pizza e poi andiamo al mare, che ne dici?" "Sembra molto più raffinato di quanto pensassi" le rispose sorridendole.
"Perché pagare tanti soldi per mangiare in un bel posto, quando i panorami più belli sono gratuiti?" lo fece riflettere. "Quando finirai di stupirmi?" le chiese, notando quanto semplice e spontanea fosse quella ragazza. Gli sorrise entusiasta, poi aprì lo sportello dell'auto, e vi sparì dentro.
Evan si guardò intorno soddisfatto - si era fatto paranoie su paranoie per tutto il giorno, chiedendosi quale ristorante le sarebbe piaciuto di più, con quale camicia l'avrebbe trovato più attraente, o se si sarebbe annoiata durante la partita.
E adesso, che aveva capito quanto poco bastasse ad Hazel per essere felice, quanto considerasse già abbastanza il solo fatto di essere insieme, in qualunque posto a fare qualsiasi cosa, Evan non poteva che sentirsi soddisfatto, a suo agio e felice.
"Allora? Cosa ascolta di solito un soldato in libera uscita?" gli chiese allacciandosi la cintura. "Tutto ciò che troverai qui è di mio padre, ed è datato a circa 20 anni fa, se non di più" la avvertì.
"Mi piace la musica d'epoca!" "Sul serio?" le chiese inarcando un sopracciglio, mentre le passava dei cd un po' graffiati e con le copertine sbiadite. Hazel li prese in mano, poi guardandoli confusa esordì "Credo di non conoscere nessuno di questi artisti" ammise facendo sorridere Evan.
"Che ne dici se optiamo per la radio?" le propose, indicandole lo stereo davanti a loro. Hazel sorrise, poi mentre lui metteva a moto l'auto, iniziò a smanettare con i vari tasti dello stereo nel tentativo di trovare qualche stazione radio che passasse un po' di buona musica.
"Agente Smith, serve una pattuglia-" una voce alla radio strillò agitata.
Hazel ritrasse subito le mani, poi Evan spense lo stereo con un colpo.
"Cos'era?" gli chiese spaventata. "La radio di mio padre. Tutte le segnalazioni della stazione di polizia passano da questa radio, e tu hai appena intercettato una chiamata della polizia" le spiegò sorridendo divertito, mentre stava attento a non distogliere l'attenzione dalla guida.
"Cazzo" esordì la ragazza imbarazzata "Non volevo. Tuo padre non se ne accorgerà vero?" gli chiese spaventata facendo ridere il ragazzo.
"Sai, quando ero più piccolo mi infilavo in quest'auto di nascosto, e origliavo ogni segnalazione diretta a mio padre, dalla stessa radio che hai appena acceso involontariamente. Qualche anno fa mio padre si occupò di una gang criminale accusata di spaccio e rapina. Immagina cosa può passare per la testa di un diciassettenne annoiato in cerca di azione, qual è la cosa più folle che potrebbe pensare di fare dopo aver origliato una segnalazione per una rapina?" le raccontò, non smettendo di sorridere per un solo attimo al ricordo di quell'esperienza folle.
"Non sei sul serio andato sul luogo della rapina, vero?" commentò Hazel, guardandolo colpita. Lo vide sorridere colpevole mentre con le dita ticchettava sullo sterzo "Potrei anche aver detto a Peter di venire con me" le rispose. "Sei completamente folle" esordì la ragazza, non riuscendo a credere alle sue orecchie. "Potrei anche essere folle, sì" disse Evan ridendo.
"Ma sai, in parte è stato anche per merito di quella mia bravata che ho capito che ero fatto per l'azione. Iniziai l'allenamento per la scuola militare in quell'anno, l'anno seguente poi, dopo il diploma, mi sono arruolato" le raccontò.
Hazel lo fissava attenta, completamente presa da quella storia, e incuriosita dal saperne di più. "Non hai mai avuto dubbi" gli disse. "Ne ho continuamente invece, anche in questo momento" ammise Evan.
"Cosa ti fa dubitare adesso?" chiese la ragazza seria. Evan fermò l'auto, ormai arrivato nel parcheggio della pizzeria d'asporto, sospirò, poi voltandosi verso la ragazza fissò i suoi occhi su di lei "Mi chiedo continuamente se questo è ciò che voglio davvero. Sono sempre ossessionato dall'idea di star sprecando la mia vita, come se le decisioni che prendo, le cose che faccio, e i sogni che ho, siano tutti solo grossi errori" le confessò, lo sguardo serio e insicuro.
"Evan, pensi che io sarò solo un altro errore? Ieri, quando ero sul punto di baciarti, stavi dubitando di me" disse Hazel.
Evan le sorrise colpito, poi prendendole la mano e carezzandogliela disse "Non dubitavo di te Hazel, tu sei il principale motivo per cui sto mettendo tutto in discussione, perfino il mio lavoro, che sembrava essere l'unica certezza per me" le spiegò. "Allora forse il momento in cui stai per smettere di sprecare la tua vita per fare la scelta giusta, è arrivato" riflettè Hazel. Evan rise "Non rimpiango ciò che ho fatto, ma quello che non ho mai fatto" le confidò. "Cos'è che non hai mai fatto e che muori dalla voglia di fare?" gli chiese seria, guardandolo negli occhi.
"Non lo so" le rispose confuso. "Avanti Evan! Lanciarti da un paracadute?". "Già fatto" rispose "Sul serio?" Hazel inarcò un sopracciglio. "Faceva parte dell'addestramento base" le spiegò. "Va bene. Allora fare un viaggio in Europa?".
"Potremmo aggiungerlo alla lista delle cose da fare prima di morire!" rispose Evan "Ma ciò di cui parlo, le cose che credo di essermi perso, sono molto meno rare e uniche di quanto tu pensi" spiegò.
Per la prima volta nella sua vita Evan aveva guardato più a fondo, aveva cercato con fatica dentro di sè, ed era riuscito a capire cosa gli mancasse, cosa gli servisse affinchè potesse finalmente smettere di considerare la sua vita uno spreco. Evan sapeva cosa si provasse a convivere con la paura, il dolore, l'adrenalina e il costante pericolo di morte. Conosceva l'amore tipico di una famiglia, la sua famiglia, e anche quello degli amici, come quelli che considerava suoi fratelli.
Ma non era mai andato oltre. Evan Blake non aveva mai amato. Era questo tipo di mancanza che lo torturava. Tutte le ragazze con cui era stato, cheerladers, vecchie amiche d'infanzia, o ragazze del college della cugina, non erano mai riuscite ad accendere quella fiamma in lui.
E per questo, fino a quel preciso istante, lì seduto in quell'auto affianco ad Hazel, lui non lo aveva mai capito. Aveva bisogno di imparare ad amare, aveva bisogno di creare qualcosa di bello insieme a qualcuno disposto ad amarlo per quello che era, e affogarci poi dentro tutta quella tristezza, quella paura, e quel dolore che si conservava dentro da tempo, troppo tempo. "Eri mai riuscito a raccontare a qualcuno di questa tua insicurezza? Parlo del fatto che credi di star sprecando la tua vita" gli chiese Hazel.
"Non credo nemmeno di averci mai riflettuto tanto" rispose.
"Forse sei sulla buona strada Blake" gli fece notare sorridendogli. "Forse" ripetè lui. Poi all'improvviso le strinse il viso fra le mani, e in un attimo fu sulle sue labbra.

Seduta su un grande telo mare steso sulla morbida sabbia, Hazel si godeva la bellezza indescrivibile dell'oceano Pacifico sfiorando la sabbia con le dita nell'attesa che Evan arrivasse con la loro cena.
Si maledì per aver scelto un vestitino così corto e leggero per quella sera – sebbene il suo principale obbiettivo fosse proprio apparire un po' più femminile e bella con quell'abito dalla fantasia floreale indosso, avrebbe dovuto tenere in considerazione la sua tendenza a sentire freddo anche a luglio in una località perennemente calda e umida come Santa Ana.
Così adesso, come ormai da abitudine, si era di nuovo pentita per non aver pensato di portare con sè una delle sue giacche, magari proprio la comoda felpa di Evan che era riuscita a togliersi di dosso con non poche difficoltà.
Stretta nelle sue spalle, con la pelle d'oca sulle braccia, ammirava le onde del mare dissolversi a riva, e trasformare al loro seguito la superficie sabbiosa in una nuvola di schiuma, immediatamente assorbita dai granelli di sabbia, adesso più simili a cristalli di neve. Il tramonto davanti ai suoi occhi, la brezza oceanica, il grido stridulo dei gabbiani all'orizzonte, e il languorino che le faceva danzare le papille gustative.
"Pizza ai peperoni e cola light!" esordì Evan arrivando alle sue spalle e buttandosi sul telo affianco a lei. Gli sorrise, finalmente felice di non dover aspettare un secondo di più per metter a tacere il suo stomaco.
"Tu non hai idea di quanto desiderassi una pizza come questa" gli disse, mordendo il suo trancio. Le sorrise, aprendo la sua birra e bevendone un sorso. "Non credo esista niente di più bello" disse poi il ragazzo, guardando dritto davanti a sè.
"Le lasagne di mia madre, quelle potrebbero battere anche la pizza" rispose Hazel. Evan scoppiò a ridere mandando giù un boccone "Parlavo del tramonto, e il mare. E' stata davvero un'ottima idea venire qui" si spiegò meglio, indicando lo spettacolo davanti ai loro occhi con la bottiglia di birra. Hazel lo guardò divertita, "Nessun ristorante costoso ci avrebbe offerto un panorama del genere" disse poi.
Evan la guardava in silenzio accennando un sorriso naturale, le guance leggermente rosse e le pupille dilatate. Non era più sicuro che il tramonto sul mare fosse la cosa più bella presente lì in quel momento.
Bevve un altro sorso di birra, deglutì "E tu? Non pensi mai di aver sbagliato qualcosa? Di aver preso la decisione sbagliata per te e la tua vita?" le chiese serio. Hazel lo guardò colpita col suo trancio di pizza in mano, sospirò spostando poi lo sguardo verso un punto indefinito davanti a lei "Sembro davvero così sicura di me dal farti pensare di non avere insicurezze?".
"Anch'io recito continuamente la parte del ragazzo forte e determinato che non ha rimorsi nè paure, ma sappiamo tutti che nessuno è così perfetto" le rispose. Hazel lo fissò in silenzio per alcuni secondi, poi si pulì le mani con un fazzoletto e sistemandosi i capelli lungo una spalla, riprese a parlare "Vivo costantemente con l'ansia e la paura di fare sempre la cosa sbagliata. Ma non per me Evan, io so esattamente cosa voglio, ciò che mi tortura e mi spinge a riflettere un milione di volte prima di fare qualunque cosa, e la consapevolezza che per la mia famiglia non sarò mai abbastanza" gli confessò, l'espressione seria e gli occhi limpidi.
Evan la guardava colpito e incredulo. Non avrebbe mai pensato che ciò che più rappresentasse una preoccupazione per lei, fosse proprio la sua famiglia. "Come ti sentiresti se i tuoi genitori fossero sempre pronti a giudicare e criticare ogni tua decisione, ogni tua azione?" gli chiese.
"Se la mia famiglia non avesse appoggiato la mia decisione di entrare nelle forze armate, probabilmente adesso lavorerei come cameriere nel ristorante di qualche amico di mio padre, o servirei hotdog da un camioncino ambulante. Non avrei vissuto tutto ciò che vissuto, non sarei la persona che sono oggi, e loro non sarebbero nemmeno tanto orgogliosi di me come invece credo siano oggi" le rispose, realizzando per la prima volta quanto fosse importante per lui il sostegno della sua famiglia.
"Io non so nemmeno che cosa si provi ad essere un orgoglio per la propria famiglia" continuò con gli occhi un po' lucidi, e scuotendo il capo.
"Mio padre è un medico, fin da quando ero bambina ha sempre cercato di convincermi a seguire la sua strada. Mi comprava giochi come L'allegro chirurgo, il manichino del corpo umano, e decine di libri sulle malattie più rare e tristi. Quando ero al liceo ogni sabato mi portava nell'ospedale dove lavorava e mi costringeva a fargli da tirocinante sebbene rischiassi di vomitare alla vista di un semplice ago, o un po' di sangue. E dal giorno del mio diploma non fa altro che rinfacciarmi di non aver scelto Medicina, e aver così distrutto il suo sogno di avere una figlia medico come lui" sputò tutto fuori arrabbiata e frustrata. Evan la guardava sorpreso "Non devi sentirti in colpa per non aver fatto ciò che tuo padre desiderava per te. Non può obbligarti a prendere delle decisioni per il tuo futuro che non hanno niente a che vedere con la persona che sei e che vorresti diventare" tentò di convincerla.
"Il problema è che non si tratta solo di lavoro o università, Evan. Mio padre sente questo bisogno costante  di controllare tutto e tutti, e se non si fa come lui suggerisce, allora si finisce per diventare vittima delle sue battute tutt'altro che divertenti, e dei suoi giudizi crudi e cattivi. Tu non hai idea di come il comportamento di mio padre abbia infierito sull'autostima di Ian, di come abbia fatto crollare in mille pezzi quello che mio fratello sognava per il suo futuro" gli confessò. "All'età di 5 anni sognavo di diventare una ballerina, mia madre mi iscrisse ad una scuola di ballo, attività che avrebbe impegnato gran parte del mio tempo, e che secondo mio padre, mi avrebbe solo dato false speranze, portandomi a sognare una carriera che mai sarei riuscita ad avere. Dopo solo una settimana ritirò la mia iscrizione, facendomi credere di non essere abbastanza brava per quel genere di arte secondo la scuola, e giustificandosi di non avere alcuna intenzione di pagare delle lezioni che mi avrebbero solo illuso, oltre che fatto perdere tempo" continuò con la sua storia. "Ed io che pensavo che mio padre fosse l'uomo più severo e autoritario al mondo" commentò incredulo.
"Non conosci Micheal Donovan. Qualunque cosa io faccia, trova sempre un motivo per criticarmi e giudicarmi" rispose.
"Ma tu Hazel? Cosa faresti se avessi l'appoggio di tuo padre?" le chiese.
Hazel ci riflettè per qualche secondo – erano così tante le cose che avrebbe voluto fare se solo non avesse avuto suo padre sempre pronto a scoraggiarla, che in quel momento non riusciva nemmeno ad immaginare di poter realizzare anche solo uno dei suoi tanti sogni, con il sostegno e l'incoraggiamento della sua famiglia. Probabilmente avrebbe fatto domanda d'iscrizione per l'università di lingue, avrebbe prenotato quel viaggio in Italia che sognava di fare fin dai tempi del liceo, avrebbe dato la sua approvazione per quella mostra fotografica con le sue foto di Parigi che la sua professoressa di arte contemporanea del liceo le aveva proposto anni prima, e avrebbe finalmente confessato a suo padre quanto lo avesse odiato per non averle mai permesso di realizzare i suoi sogni. Hazel Donovan era un animo ribelle, una mente piena di sogni e idee. Amava danzare e cantare a squarciagola con la musica a tutto volume quando chiusa nella sua camera da letto, nessuno avrebbe potuto dirle che era matta; adorava rendere eterni momenti indimenticabili scattando fotografie ovunque lei andasse, qualunque cosa dovesse fare; e il suo sogno più grande era da sempre stato viaggiare, conoscere ogni vicolo nascosto nel mondo e fare di ogni suo viaggio dei ricordi memorabili, un bagaglio di tesori che avrebbe custodito con gelosia e orgoglio fino alla fine dei suoi giorni.
"Gli dimostrerei che nè io nè i miei fratelli abbiamo alcun bisogno di qualcuno che disegni il piano della nostra vita al posto nostro. Comincerei a studiare, probabilmente all'estero, così potrei realizzare il mio desiderio di conoscere sempre posti nuovi e nel frattempo costruire il mio futuro studiando lingue. Continuerei con la mia passione per la fotografia, e magari ne farei un lavoro. Incoraggerei Ian a studiare per diventare avvocato, e mia sorella Maddie a iscriversi a quella accademia di moda dove sogna di studiare dopo il liceo" rispose guardando Evan con occhi sognanti e immaginando un futuro così promettente per lei e i suoi fratelli.
Evan, concentrato a seguirla attentamente per tutta la durata del suo sfogo, non potè che provare un immenso dispiacere per lei, ma allo stesso tempo un incontrollabile rabbia nei confronti di suo padre. Si chiedeva che genere di padre fosse capace di mettere a tacere i sogni di una bambina di 5 anni, davanti al solo prestigio di avere una figlia in camice bianco proprio come lui. Provò ad immaginare quello che avrebbe potuto fare lui se solo suo padre avesse criticato ogni sua scelta, come quella di arruollarsi e di partire in missione, e si sentì profondamente triste al pensiero di dover fare un lavoro lontano anniluce da quello che era il suo sogno, solo per soddisfare il desiderio di un padre egoista e testardo.
"Dovresti ignorarlo. Fai ciò che vuoi e smetti di ascoltare qualunque cosa cattiva ha da dire su di te. Un padre non dovrebbe giudicare mai sua figlia, nè tanto meno obbligarla a fare qualcosa che non le piace" iniziò.
Hazel lo fissava attenta ad ogni sua parola "Non riesco a fregarmene del giudizio della gente in generale, figurati quello di mio padre".
In fin dei conti aveva ragione, era la stessa debolezza con cui anche lui combatteva da una vita, e dopo ben 22 anni non era ancora riuscito a liberarsene, per questo non si sentiva di dare consigli al riguardo ad Hazel.
Sospirò "Hazel Donovan tu sei intelligente, divertente, bella, e potrei stare qui ad elencarti un milione di altre qualità in tuo possesso... Sei la ragazza più determinata e testarda che conosco, e queste sono entrambe caratteristiche essenziali che chiunque voglia realizzare i propri sogni, dovrebbe possedere. Così tu sai benissimo cosa vuoi, saresti disposta a fare qualunque cosa per far diventare realtà i tuoi sogni, e nessuno potrebbe mai farti cambiare idea al riguardo. Credo che nessuna critica, costruttiva o no, fatta da tuo padre o da chiuque altro, possa reggere il confronto con quello che tu sei, con la passione e l'impegno che metti in ogni cosa che fai" la incoraggiò. "Non hai nulla di cui preoccuparti, niente da temere o da perdere. E sono certo che tu sia perfettamente in grado di farcela senza l'appoggio di tuo padre, e per quanto possa servire, sappi che io ti appoggerei in qualunque tua decisione" riuscì a dirle, le guance rosa e il sorriso imbarazzato.
Hazel lo guardava senza riuscire a dire niente, colpita dalle sue parole sentiva il battito del suo cuore aumentare senza controllo secondo dopo secondo, incredula ma felice di sapere che almeno Evan, sarebbe sempre stato lì a sostenerla, qualunque pazzia avesse deciso di fare.
Gli sorrise, poi allungandosi verso di lui gli diede un bacio sulla guancia, intenerita dall'espressione imbarazzata del ragazzo.
"Grazie" gli sussurrò sorridendogli a pochi centimentri dal suo viso "Non hai idea di quanto sia importante per me quello che mi hai detto".
"E per me riuscire a dirtelo" ammise, realizzando ancora una volta quanto fosse riuscito a spingersi oltre grazie a quella ragazza. Ma infondo si trattava di Hazel, e probabilmente l'avrebbe seguita davvero fin sul pizzo dell'Everest. "Mi appoggeresti anche se adesso ti proponessi una pazzia?" gli chiese sorridendogli, il suo caldo respiro sul viso del ragazzo.
"Sarei un codardo se adesso ti rispondessi di no" le disse, mentre Hazel continuava a sfoggiare un sorrisetto sghembo.
"Ci gettiamo in acqua?" esordì guardandolo entusiasta, e mettendosi in ginocchio. Evan gettò il capo all'indietro ridendo "Sei completamente folle". "Avanti, l'acqua è limpida e calma, e questo paesaggio..." tentò di convincerlo. Il ragazzo la guardò inarcando un sopracciglio "Tuo padre cosa direbbe al riguardo?" le chiese scherzando.
Hazel ci riflettè un secondo "Probabilmente direbbe che sono infantile, inconsciente, e che non dovrei uscire con soldati in possesso di una licenza per le armi, codardi e che si preoccupano di un po' di acqua fredda solo perché siamo a settembre ed è quasi buio" scherzò, mettendosi con le braccia conserte delusa. Evan cercò di non scoppiare a ridere, poi in un secondo si strappò la camicia di dosso, e mentre Hazel lo guardava confusa cercando di capire cosa diavolo stesse facendo, lui scattò in piedi e cingendole la vita con le braccia la sollevò di peso da terra. Si tolse le vans in un attimo lasciandole in mezzo alla sabbia, poi corse verso la riva con Hazel su una spalla che si agitava divertita.
"Non osare più chiamarmi codardo" strillò ridendo.
"Le scarpe, fammi togliere almeno quelle!" lo pregò continuando a ridere, così lui le tolse le chiare converse lanciandole accanto alle sue scarpe.
La teneva su una spalla, stringendole la vita con le braccia, e lasciandola penzolare a testa sotto dietro la sua schiena nuda, attento a non rovinare il vestitino a fiori che Hazel aveva indosso. Quando i suoi piedi toccarono finalmente l'acqua non poi così fredda come si immaginava, si gettò in mare tenendo stretta a sè Hazel.
Totalmente immerso sott'acqua, si sentì come se dopo un lungo letargo fosse finalmente riuscito a svegliarsi. E ne fu felice, entusiasta di esser finalmete riuscito a divertirsi, andare oltre, e fare qualcosa di folle come Hazel gli aveva poco prima suggerito.
Quando emersero dall'acqua infreddoliti ma felici si guardarono ridendo, con i vestiti intrisi d'acqua incollati ai loro corpi, la pelle d'oca sulle braccia e dei sorrisi mozzafiato sui loro volti.
Mentre la gonna del suo vestito galleggiava sull'acqua, Hazel si riavvicinò a lui, non smettendo di ridere "E' divertente essere folle alle volte, non è vero?" gli chiese, aggrappandosi alle sue spalle nude, i capelli bagnati che le ricadevano lungo il petto.
"Decisamente" rispose Evan "E se d'ora in poi per sostenerti in qualunque cosa deciderai di fare, dovrò gettarmi in mare vestito, la prossima volta ricordami di metter in salvo il mio portafoglio da queste idee folli" le disse, tirando fuori dall'acqua il suo portafoglio in pelle completamente bagnato.
Hazel scoppiò a ridere portandosi una mano alla bocca, poi Evan le schizzò dell'acqua in faccia cogliendola di sorpresa, e avvicinandosi senza farsi notare da lei, troppo occupata a ripararsi dagli schizzi pungenti d'acqua, la prese nuovamente in braccio, attento a non far cadere di nuovo in acqua il suo portafoglio.
Dopo esser riuscita ad aprire di nuovo gli occhi, lo guardò colpita a pochi centimetri dal suo volto, gli scostò i capelli zuppi dalla fronte, poi gli cinse i fianchi incastrando le sue gambe attorno alla vita. Evan la strinse contro il suo corpo stringendola in un abbraccio, e fu in quel momento che la baciò, mentre Hazel continuava ad accarezzargli l'addome scolpito. Con le labbra ancora sulle sue, e le goccioline d'acqua che scivolavano sul suo viso, Evan sorrise, sentendo finalmente per la prima volta dopo molto tempo, di star facendo la cosa giusta.

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