Capitolo 10

Flashback

14 gennaio 2017
villaggio di Ba'quba, Iraq

Dritto davanti a lui, un uomo con abiti strappati, sporchi, e logorati, di carnagione mulatta, il viso ricoperto di fango, terra e sudore, sul capo uno straccio che lo riparava dai raggi forti del sole. Si muoveva agitato fra la terra, alzando polvere, e gridando parole incomprensibili in arabo. Sembrava in allerta, arrabbiato, anzi furiioso.
Aveva un kalashnikov, che sembrava saper maneggiare alla perfezione come se fosse un prolungamento dei suoi arti, ed era un ribelle.
Attorno ad Evan, in quel momento, tutti erano dei ribelli. Un gruppo di insorti che sembrava avercela a morte con chiunque portasse una divisa mimetica, e avesse la bandiera statunitense cucita sul braccio destro, aveva preso d'assalto Evan e la sua squadra. Si dimenavano agili con i loro fucili in mano tra le rovine dei vecchi edifici, intenti a cercare di mirare e colpire più soldati possibili.
I rumori forti e acuti degli spari echeggiavano nell'aria, e Evan non riusciva più a sentire nemmeno gli avvertimenti e gli ordini dei suoi amici che gridavano invano, nel tentativo di farsi sentire. L'unica cosa che riusciva a sentire, a percepire, era l'adrenalina, la paura, e i battiti del suo cuore che acceleravano sempre di più ad ogni secondo che passava. Teneva le mani tremanti e sudate sul suo fucile d'assalto, e riducendo gli occhi a delle fessure, cercava di inquadrare attraverso il mirino ottico del suo fucile, le figure in veloce movimento davanti a lui, sebbene la polvere nell'aria gli desse particolarmente fastidio agli occhi, oltre ad impedirgli di mettere a fuoco qualunque cosa.
Respirava a fatica, ansimando, ormai stanco. Poi sentì un grido acuto, che sembrò riconoscere in un attimo.
In una frazione di secondo si voltò verso la direzione dalla quale si era propagato quel grido, seguito da altri spari.
Quando vide il suo migliore amico, Peter, accasciarsi per terra come un colosso ormai sconfitto, una scarica di adrenalina lo spinse a correre come un maratoneta verso il ragazzo biondo, che ormai immobile giaceva per terra. Corse come una furia, e nel frattempo in lontananza riuscì a vedere la gamba del suo amico interamente ricoperta di sangue. Lo sentiva lamentarsi, gemere dal dolore, e si sentì morire per ciò.
Poi qualcosa lo frenò d'improvviso, e prima che riuscisse a capire cosa fosse successo si bloccò completamente, a pochi passi ormai da Peter.
Un dolore lancinante lo invase, quando un proiettile gli attraversò l'epidermide, e gli si conficcò nel petto. Non emise nessun grido, nessun gemito, ma si accasciò lentamente a terra, inerme e sconvolto.
In un attimo si ritrovò completamente paralizzato, disteso per terra, circondato da erbacce e rocce. Una pozza di sangue si espanse sotto e attorno a lui in poco tempo, le sue mani sulla ferita dalla quale quantità spaventose di liquido rosso continuavano a fuoriuscire, cercavano di frenare l'emorragia invano, e tremavano spaventate, provando a capire quanto fosse grave la situazione.
Non riusciva più a respirare in modo regolare, ne a sentire il rumore assordante degli spari e delle grida, o a muovere le sue gambe. Continuava ad aprire e chiudere velocemente le palpebre, incredulo e spaventato, mentre cercava in tutti i modi di riuscire a rimanere sveglio e lucido. Il dolore al petto sempre più acuto e insopportabile.
Continuava a ripetere Io sono Evan William Blake, ho 22 anni, e sono un soldato dell'esercito americano.
Cercava di ricordarlo a se stesso, di rammentare quanto orgoglioso fosse di colui che ormai era diventato, soprattutto in quel momento. Tentò di rimanere sveglio fino all'arrivo dei soccorsi, impegnandosi a ripetere quelle parole. Ma sperava pure che se quello fosse stato il momento della sua morte, se caduto in battaglia fosse stata la frase scritta sulla sua lapide, almeno quelle sarebbero state le sue ultime parole.
Voleva morire mentre diceva "sono un soldato dell'esercito americano", e si trovava disteso per terra nel corso di una battaglia a Baghdad. Era quello il suo desiderio adesso, se proprio quel proiettile fosse dovuto essere la causa della sua morte. Così svenne, con la parola soldato sulle labbra, e un proiettile ancora nel petto.



settembre 2017,
base militare di Santa Ana

Si dimenava fra le lenzuola della sua branda, sudato, agitato, in preda ad uno dei suoi soliti attacchi di panico.
Si lamentava nel sonno, gridando alle volte, e Peter, che si trovava accanto a lui seduto sulla sua branda, lo aveva sentito ripetere "sono un soldato" un paio di volte, proprio come faceva di solito quando gli capitava di fare quell'incubo.
Peter aveva assistito parecchie volte a quella scena terribile, e ormai sapeva perfettamente come intervenire.
Così si mise in ginocchio accanto al suo amico, e cominciò a scuotere il suo corpo delicatamente provando a svegliarlo.
"Evan, è solo il solito incubo, sta' tranquillo" iniziò, e il ragazzo ancora dormiente smise di muoversi come un pazzo sotto le coperte.
"Non è reale, almeno non più" continuò, ed Evan non si lamentò più.
"Svegliati, Evan" disse con un tono dolce, e seriamente dispiaciuto.
Così il moro d'improvviso spalancò gli occhi, prendendo un grosso respiro, e fissando il suo sguardo di un meraviglioso blu in quello di Peter, che adesso sembrava sollevato, e con gli angoli della sua bocca leggermente all'insù, mostrava un sorrisino dolce e premuroso al suo amico ancora sconvolto. "Va tutto bene" disse, tentando ancora una volta di rassicurare Evan. Il moro chiuse di nuovo gli occhi, senza rispondere, poi una lacrima scivolò lungo la guancia sinistra, e Peter sentì una forte fitta al cuore, nel vedere il suo amico, il coraggioso e forte soldato Blake, in quelle condizioni. "Evan?" lo richiamò.
Il ragazzo si sollevò di colpo, sedendosi sul duro materasso, e posò i suoi occhi ancora impauriti sul suo amico, che in ginocchio accanto a lui, attendeva ancora una risposta da Evan.
"Era solo un sogno" ricominciò a parlare il moro, adesso fissando un punto indistinto dritto davanti a sé, lo sguardo sconvolto e la fronte sudata.
Peter notò come ancora tremavano in modo incontrollato le mani del suo amico, come un tic nervoso, o come un'azione che involontaria si ripeteva ogni volta che Evan riviveva quei momenti nei suoi sogni, o durante i suoi soliti attacchi di panico, proprio come se le sue azioni nel passato, si rispecchiassero ancora nel suo presente, dandogli il tormento.
"Sì Evan, era solo un sogno" ripetè Peter, poggiandogli una mano sulla spalla. Evan spostò di colpo lo sguardo su di lui, ancora spaventato, mentre i suoi occhi sembravano chiedere aiuto.
"Tu stai bene?" chiese premuroso e con voce tremante Evan a Peter, guardando la gamba dove un paio di mesi prima, era stato colpito con un proiettile. Peter sorrise "Alla grande!" rispose mentre strofinava una mano sulla gamba finalmente guarita "Sta' tranquillo, la fisioterapia fa davvero dei miracoli!" continuò. Evan accennò un debole sorriso, poi cambiando improvvisamente di nuovo espressione, si portò una mano al petto, dove adesso non rimaneva che un'enorme cicatrice che ancora gli doleva in alcuni punti. Si guardò lo squarcio sulla pelle da sotto la t-shirt bianca, e la sensazione dei punti di sutura che tiravano, che per mesi aveva sopportato durante la sua convalescenza, riaffiorò nella sua mente, proprio come se riuscisse a sentire ancora dolore, dopo mesi trascorsi.
"E tu? Stai bene?" chiese Peter preoccupato. Evan fissò il suo sguardo su di lui, ancora stordito "Come abbiamo fatto a sopravvivere a tutto quello che è successo?" chiese serio, finalmente realizzando che quello che aveva appena rivissuto, era solo un lontano ricordo.
Peter lo guardò triste. In realtà nessuno dei due sapeva rispondere a quella domanda. Nonostante ciò, Peter ci provò "Magari siamo solo stati fortunati, oppure si tratta soltanto di destino. O chissà, magari siamo solamente dei bravi soldati, dei corpi capaci di resistere a tutto" diede varie opzioni in cui credere al suo amico.
"Dei bravi soldati?" chiese Evan, e Peter annuì. "Ma non delle brave persone" corresse il suo amico. Peter lo guardò stupito e confuso.
"Abbiamo ucciso delle persone, abbiamo distrutto le loro città, noi siamo solo una minaccia per loro, siamo il nemico" disse con un pizzico di disprezzo per se stesso Evan. Peter rimase a guardarlo in silenzio per una manciata di secondi, non sapendo bene come rispondere.
Forse Evan aveva ragione. "Fa parte del nostro lavoro Blake. Noi andiamo in quei posti per cercare di salvare quella gente, per portare a loro medicine e altri beni di prima necessità. Noi cerchiamo di sottrarre quelle persone alle tirannie che vengono imposte in quei posti, e coloro che noi uccidiamo, sono gli stessi che ci sterminerebbero nel giro di poche ore se solo avessero la possibilità di farlo" provò a farlo ragionare Peter.
"Pensa a quanti di loro ci avrebbero ucciso senza pensarci un attimo, se solo noi non fossimo stati più scaltri, se non avessimo premuto il grilletto per primi" continuò.
"Quell'uomo per poco non mi ha preso il cuore, sarei potuto essere morto adesso" rifletté Evan, che adesso teneva le sue mani ferree sulle gambe, cercando di calmarsi e di smettere di tremare.
"Quanti dei nostri hanno ucciso?" chiese imperterrito Peter. Evan lo guardò in silenzio, non riuscendo nemmeno a ricordarsi di tutti quegli amici che aveva perso in battaglia. "Non sto dicendo che meritano di essere uccisi solo perché loro farebbero lo stesso con noi. Quello che penso è che non credo sia giusto morire così solo perché vogliamo aiutare quella gente. I nostri obbiettivi sono aiutare e difenderci, non uccidere" Evan continuava a fissarlo, e sembrava essere d'accordo con lui.
"Ogni volta che mi capita di avere questi attacchi, finisco sempre col chiedermi se meritassi di morire, se mi sono meritato quel proiettile nel petto, la convalescenza e i mesi di riabilitazione qui" disse con un'aria estremamente triste Evan.
Peter lo guardò colpito, e solo adesso riuscì a capire il perché dei dubbi del suo amico.
"Nessuno merita di morire sotto il sole del deserto con una pallottola nel cuore" rispose sicuro di sé Peter.



Aveva trascorso tutta la notte a guardare le sue foto. Si sentiva una pazza adesso, ma la curiosità la sera prima l'aveva travolta, spingendola ad aprire la pagina Facebook di Evan Blake, e a iniziare a sfogliare ogni sua foto, ogni suo post, fino all'anno che correva in quel momento.
Così adesso conosceva i membri della famiglia di Evan, la cui foto del Natale 2015 le aveva riempito il cuore di dolcezza, il suo cane, un labrador tenerissimo, e anche i suoi amici della caserma, fra cui aveva ritrovato anche Peter e John.
Si immaginò che anche lui avesse fatto lo stesso con lei, ma in realtà quella era più una cosa da John, che da Evan.
Così adesso fissava una foto del ragazzo, in uniforme da cerimonia, che sorrideva in camera, felice e orgoglioso, il giorno del suo giuramento.
Non poté che guardarlo con gli occhi di chi prova un'immensa ammirazione, oltre a fare apprezzamenti per la bellezza indescrivibile del ragazzo.
Così adesso mentre teneva il cellulare in una mano, continuando a guardare imbambolata quella foto, era impegnata a fare colazione, e nell'altra mano, teneva un cucchiaino colmo di yogurt, in procinto di portarlo alla bocca.
Poi Ian entrò in cucina, e intento a versarsi del caffè, si accorse della sorella, in particolare notò cosa, o meglio chi, l'aveva paralizzata in quel modo. "Con la divisa è ancora meglio!" esordì Ian, piazzandosi alle spalle della sorella, mentre anche lui ammirava la foto di Evan nel cellulare di Hazel. La ragazza sussultò spaventata, rovesciando il contenuto del cucchiaino sul tavolo, e facendo scivolare il cellulare dalle sue mani, probabilmente non essendosi nemmeno accorta dell'arrivo di Ian.
Nel frattempo il ragazzo, notando l'imbarazzo di Hazel che non ancora aveva aperto bocca, si sedette al tavolo di fronte a lei.
"Sul serio! Adesso capisco perché ti piace tanto! Dovrei forse farmi il suo stesso taglio di capelli? O magari arruollarmi nell'esercito, la divisa fa impazzire voi ragazze, non è vero?" Hazel, con le gote di un rosso acceso, adesso roteò gli occhi verso l'alto, ma non rispose.
"Allora? Nuovo taglio o carriera nell'esercito?" scherzò ancora Ian, inzuppando un biscotto nel suo caffelatte.
"Sei un idiota!" finalmente aprì bocca Hazel, fulminando il fratello con lo sguardo. "E tu sei un'ipocrita!" la rimproverò Ian, l'espressione confusa di Hazel. "Perché presentarmi al ragazzo per cui ti sei presa una cotta, se poi non riesci nemmeno ad ammettermi che ti piace?" la accusò, sembrando quasi davvero ferito.
"Non ti ho presentato ad Evan perché mi piace!" si difese Hazel.
"Tu eri lì, Evan era lì. Ed io ho pensato che fosse educato presentarvi, tutto qui" continuò a spiegare. Ian la guardò di sottecchi, non molto convinto della versione del racconto di sua sorella. "Mh, e che mi dici del fatto che stai guardando una sua foto davanti al tuo yogurt? E che probabilmente hai già curiosato nel suo profilo a dovere?" continuò a infastidirla Ian.
Hazel sbuffò esasperata, poi bloccò lo schermo del suo cellulare e lo poggiò sul tavolo. "Non sto guardando nessuna foto!" negò mentendo la ragazza. Ian la guardò sornione, poi con un gesto veloce prese il cellulare della sorella dal tavolo, lo sbloccò, e quando vide la foto di Evan nitida nello schermo, si alzò dalla sua sedia di colpo.
"Ah-ah!" strillò soddisfatto, mostrando il cellulare acceso alla sorella, che sconfitta, alzò gli occhi al cielo. "Sei stata smascherata Hazel Donovan, quindi adesso farai bene ad ammettere che ti piace, se non vuoi..." la intimidì Ian. "Ian no!" lo seguì strillando la mora, mettendosi improvvisamente in piedi.
"Se non vuoi che mandi la richiesta d'amicizia al giovane e attraente soldato" concluse Ian, sfiorando con un polpastrello un'icona sullo schermo. Hazel scattò, fiondandosi a peso morto sul fratello, nell'invano tentativo di sottrargli il cellulare dalle mani. Ma suo mal grado, nonostante l'impressionante somiglianza tra lei e Ian, lui rimaneva comunque parecchio più alto di lei, così gli bastò semplicemente sollevare un braccio, e scuotere in aria il cellulare, per impedire ad Hazel di prenderlo.
"Ian!" strillò disperata la ragazza, saltellando e aggrappandosi alle spalle del fratello, cercando di recuperare il suo telefono. "Dammi subito quel maledetto cellulare!" lo intimidì, ma Ian non faceva che ridere.
"Devi prima ammetterlo!" la incoraggiò. "Ian!" continuò ancora la ragazza. "Dì che ti piace" le disse ancora, guardandola con sguardo minatorio "Dillo, e ti ridarò il telefono!".
"Va bene, va bene! Mi piace Evan" disse finalmente, continuando a cercare di arrampicarsi sul fratello, sperando che adesso le avrebbe permesso di riprendere il suo telefono. Ma Ian, che si stava divertendo troppo per lasciare che Hazel se la cavasse così semplicemente, continuò a infastidirla, così indietreggiò, tenendo ancora il braccio alzato.
"Ti piace Evan? Soltanto questo? E' così che confessi il tuo amore per il giovane soldato?" scherzò, guardandola confuso, ma anche divertito.
Hazel rimase lì a fissarlo esausta, e ormai sconfitta. "Cos'altro vuoi che ti dica?" chiese spalancando le braccia in segno di resa.
"Sii più convincente, mettici un po' più di passione" la incoraggiò ancora.
Hazel fece una smorfia di esasperazione, poi riprese a parlare "Credo che Evan sia davvero un bellissimo ragazzo, inoltre lo trovo davvero sveglio e divertente, e per questo penso di provare qualcosa per lui" disse velocemente, provando a nascondere il fatto che in realtà quelle cose le pensava davvero. Ian rimase a guardarla emozionato e soddisfatto, ma doveva ammetterlo, infondo sperava che anche Evan provasse lo stesso per la sorella. Le sorrise, fiero di lei.
"Sai come ho capito che eri interessata a lui?" chiese più serio, ed Hazel lo guardò confusa. "Oltre al fatto che hai sempre odiato il biliardo, ma nonostante ciò hai concesso a Evan di insegnarti come si gioca..." cominciò, riferendosi al momento in cui Hazel era riuscita a segnare solo grazie all'aiuto di Evan. "E' bastato notare come lo guardavi, come gli parlavi... Ti ho vista comportarti così solo con un'altra persona, prima del soldato" la fece riflettere Ian, ed Hazel improvvisamente cambiò espressione, sembrando più seria e confusa.
"Noah" disse piano, tornando a sedersi di nuovo sulla sua sedia.
"Be' sì" disse solo Ian. Hazel lo guardò, sorpresa di come era riuscito ad analizzare e a comprendere il suo comportamento Ian, ancora prima che riuscisse a capirlo da sola. "Ma sai che c'è? Penso che in questo caso Noah c'entri ben poco... Non conosco Evan, ma sembra molto diverso da lui" le spiegò "E se devo proprio ammetterlo, ho sperato che lui ti piacesse dal primo momento in cui mi ha rivolto la parola..." le confessò, ed Hazel non riuscì a trattenere un sorriso.
"Tieni" disse Ian finalmente soddisfatto, porgendo il cellulare alla mora, che subito scattò e lo prese tra le mani.
Lo accese, e quando lesse "Evan Blake ha accettato la tua richiesta d'amicizia" sentì le gambe cederle.
Guardò dritto davanti a sé, pronta a scaraventarsi su Ian e prenderlo a sberle, ma nel frattempo, un pizzico di entusiasmo le illuminò il viso.



"È così vuoi chiederle di uscire?" ripeté Casey, guardando il suo amico confusa, il sopracciglio inarcato. "Esatto" rispose John.
"Pessima idea" alla fine gli disse, lo sguardo deluso del ragazzo.
"Perché?" ribatté, un po' arrabbiato.
"Perché a stento sa il tuo nome!" strillò Casey esasperata, mentre controllava sul pc l'elenco dei voli di quel giorno.
"Andiamo! Accetteresti di uscire con una ragazza che conosci a mala pena?" gli chiese Casey, fissando i suoi occhi blu in quelli del ragazzo.
John rimase in silenzio "Sì, in effetti tu usciresti perfino con la nuova barista di cui probabilmente non conosci nemmeno il nome" rifletté la bionda, indicando una ragazza dai capelli rossi che serviva tavoli al bar di fronte l'info-point.
John sembrò quasi offeso, ma d'altronde Casey aveva ragione - lui non era proprio quel genere di ragazzo timido, introverso, che a fatica invita una ragazza ad uscire con lui. Anzi, John era proprio l'opposto.
"E questo" aggiunse poi la ragazza "È un altro dei tanti motivi per cui secondo me dovresti smetterla di credere di avere anche solo mezza possibilità con Hazel" fu severa ma sincera Casey.
"Perché hai una così pessima considerazione di me?" le chiese serio il moro, sinceramente dispiaciuto.
Casey lo guardò stupita "Sul serio John?" il ragazzo annuì.
"Quante ragazze hai fatto conoscere a me e al resto dei ragazzi quando ancora eravamo un gruppo?" chiese la ragazza. John ci pensò per qualche secondo, poi disse solo "Un paio" incapace anche solo di ricordare i nomi di quelle sue vecchie fiamme.
Casey lo scrutò, continuando con le sue domande "Con quante di loro sei stato a letto?". "Credo tutte, o comunque la maggior parte" rispose, cominciando a capire quali fossero le ragioni che portavano Casey a pensare che lui non sarebbe mai potuto andare bene per Hazel. "E con quante di loro ricordi ancora di aver passato dei bei momenti? E non sto parlando di sesso" precisò, ponendogli l'ultima domanda.
Ma John non seppe come risponderle, così abbassò lo sguardo, deluso e frustrato.
"Non dico che tu non sia un bravo ragazzo John - eccetto per il modo in cui tratti le ragazze, è chiaro" riprese a parlare Casey. "Solo ho paura che tu possa farla soffrire. Penso che siate troppo diversi, e che lei non sia proprio quel genere di ragazza adatta a te" fu sincera ancora una volta Casey.
"Quindi? Cosa dovrei fare? Farmene una ragione e starle alla larga?" chiese esasperato John.
"Forse. Oppure, potresti aspettare in panchina!" gli propose la ragazza. "Cosa?" chiese sconvolto John "Be' sì. Se lei è davvero interessata a te, magari farà il primo passo, forse un giorno sarà lei a chiederti di uscire" ipotizzò Casey, provando a dare una minima speranza a John, che sembrava incapace di accettare il fatto di non essere proprio il ragazzo ideale per Hazel.
"Chiedere di uscire a chi?" chiese una voce femminile, facendo sussultare sia John che Casey.
"Hazel!" strillò la biondina, felice di rivedere la sua amica, ma anche un po' spaventata dal suo improvviso arrivo. Gli occhi spalancati di John, che sconvolto, non riuscì nemmeno a formulare un saluto per la ragazza appena arrivata.
"Di che parlavate?" continuò a chiedere curiosa la mora. Casey e John si guardarono confusi, non sapendo come rispondere, poi la ragazza prese finalmente la parola "Oh parlavamo di John, sembra essersi preso una cotta per una ragazza" spiegò Casey.
John la incenerì con lo sguardo, irrigidendosi d'un tratto. "Una ragazza? Di chi si tratta?" continuò sfacciata la mora.
Casey sorrise al giovane, poi rispose ancora al posto suo, indicò dritto verso di lei, e disse "La vedi quella tipa con i capelli rossi e il grembiule a righe?" chiese rivolgendosi ad Hazel, che si girò di scatto curiosa di scoprire il volto di quella ragazza.
Nel frattempo John cambiò improvvisamente espressione, impallidendo e paralizzandosi, con gli occhi puntati su Hazel. "Carina!" esordì la mora, ritornando a guardare i suoi amici.
"Be' che aspetti? Buttati!" lo incoraggiò la mora.
John si sentì bollente d'un tratto, come se un fuoco ardente lo stesse incenerendo lentamente dall'interno. Nel frattempo Casey, che avrebbe scommesso un rene su una risposta del genere da parte di Hazel, rivolse uno sguardo d'intesa al ragazzo, non facendosi notare dall'amica. Ma John, troppo deluso e triste, non la considerò nemmeno. "Cosa?" disse solo sconvolto, dopo aver deglutito a fatica.
Hazel lo guardò sorridendogli "Ma sì! Sei un bel ragazzo, simpatico e intelligente, ti dirà sicuramente di sì!" si spiegò meglio, e in quel momento, alle parole bello, simpatico ed intelligente, il viso di John si illuminò, come il ritorno del sole in seguito ad una tempesta.
E Casey, che aveva già letto sul suo viso ciò che gli stava passando per la testa in quel momento, si portò una mano alla fronte arrendendosi esasperata.
"Tu credi?" continuò a chiedergli il ragazzo, più interessato a capire se pensava davvero quelle cose su di lui.
"Ma certo che sì, su vai!" lo incoraggiò la mora, dandogli una pacca sulla spalla, mentre John chiedeva aiuto a Casey con lo sguardo.
"Forse è meglio aspettare che lei finisca di lavorare" fece notare Casey, "Sì, credo che tu abbia ragione" si corresse la mora ridendo.
Così John rimase a guardare le due ragazze, in particolare quella per cui aveva preso una cotta, confuso e deluso.
Si passò una mano tra i capelli, e quando sentì lo sguardo di Hazel su di lui, intenta a guardarlo in silenzio, si sentì in imbarazzo.
Così John sapeva cosa significava sentirsi in imbarazzo?
Davvero si era mostrato normale e per niente sicuro di sé per la prima volta nella sua vita davanti ad una ragazza?
La Terra aveva sicuramente iniziato a ruotare al contrario, e così si erano tutti ritrovati ad un tratto in un universo parallelo, non c'era altra spiegazione.

Spazio autrice

Sto partecipando ad un concorso indetto per aiutare gli scrittori poco noti a emergere e a conquistare nuovi lettori!
Si tratta di un concorso organizzato dai ragazzi di nuovitalenti !
Spero che anche alcuni di voi prenderanno parte a questo concorso con le proprie storie!
Credo sia un'occasione imperdibile per chi come me ha molto a cuore la proprio storia, quindi che aspettate? Fatevi avanti!

A presto ♥️

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