-settantatre-
VINNIE'S POV.
Eris, dea della discordia, aveva estratto dalla sua faretra una freccia e me l'aveva chiaramente scoccata contro. Quando ci pensai, in realtà, mi accorsi che erano molteplici i dardi affondati nel mio petto, ogni qual volta la ragazza di cui ero innamorato mi ignorava.
Sospirai, prima di scrollarmi le goccioline di sudore dai ricci e le spalle. Mi stavo allenando, quella volta più stanco del solito. Sul petto mi gravava una delusione, quasi incompresa consapevolezza di ciò che stava succedendo nella mia vita.
Nella pausa tra un esercizio e l'altro afferrai il cellulare, mentre una parte di me sperava di ricevere quella notifica. Invece niente: Ariel non ne voleva sapere di me, mentre io pensavo a lei in qualunque momento, appena sveglio, durante il pranzo, a lavoro, sempre.
Ripresi a fare trazioni, quando fui coinvolto in una specie di esame di coscienza, senza che potessi evitarlo. Cosa si stava sgretolando tra noi? Perchè, soprattutto? Cosa non funzionava? Cosa, io, le facevo mancare e viceversa? Mi chiesi.
Ero composto al novanta percento da orgoglio, dunque giunsi alla conclusione che da parte mia non c'era stata alcuna mancanza: Ariel stava indubbiamente vedendomi a trecentosessanta gradi. Eppure qualcosa non funzionava. Il mio passato non ingranava col mio presente.
Rammentai ciò che avevo promesso a me stesso, il ottobre duemiladiciannove, quando mi trovavo in balìa di quelle onde fragorose. Allora io e il mio ego ci eravamo congiunti in un rapporto stretto, frutto di anni e anni di riflessioni che mi avevano divorato, dunque pensai a quella pagina di diario che avrei voluto strappare, ma che però restava lì impressa nero su bianco, a ricordarmi ciò che avevo vissuto.
"Ti auguro di poter ricominciare sempre, anche quando la vita e le situazioni non saranno dalla tua parte, Vinnie, perché chi non ricomincia inciampa inevitabilmente in ricordi aggrovigliati che fanno smettere di pensare al futuro. Il passato è pioggia battente, furiosa procella, che approfitterà di ogni nuvola per gravare su di te. Apri resistenti ombrelli, colorati, indistruttibili dalle folate, per metterlo da parte e oltrepassare il muro della paura.
Abbi la forza di conservare i momenti vissuti, ma non di vivere dentro essi.
Anche il dolore ha un suo perché.
Sii forte, Vinnie, e sii forte, chiunque tu sia."
Al mio vissuto, ai miei affetti, mi legava una ferita ancora scottante: forse non avrei mai guardato al passato con rassegnazione, forse avrei sentito dolore per sempre, ma ciò che maneva era che Ariel doveva sapere tutto, perchè - come disse Orwell - se vuoi mantenere un segreto, devi nasconderlo anche a te stesso - e io ormai sapevo tutto.
D'altro canto, da quel giorno infernale erano trascorsi ben quattro anni, e ormai ero alla fine di quell'iter di restrizioni. Ancora non potevo precipitarmi da lei come avrei voluto, ma lo avrei fatto, a costo di lasciarci la pelle e starci male.
Volevo farmi aspettare, desiderare, bramare, perché da egocentrico qual ero ne avevo bisogno. Speravo che Ariel mi volesse dare tutto l'amore che per anni avevo sperato di ricevere, e che avesse tempo per me. Sebbene a tratti non lo meritassi.
Realizzai il mio piano diabolico nel marzo di quell'anno, quando presi il primo bus disponibile e arrivai a Los Angeles. La mia ragazza avrebbe dovuto ascoltarmi, dopo il momento di pausa che mi aveva chiesto, durato due settimane circa, e che gli avevo concesso.
Crollò tra le mie braccia appena mi vide, con gli occhi carichi di lacrime, e la strinsi talmente forte da farle quasi male. E mi ferii anch'io, perché ero fin troppo orgoglioso. Poi iniziai a parlare, con i suoi occhi blu che evitavano i miei. Mi chiesi perché, quando scoprii di alcuni messaggi anonimi che aveva ricevuto. Ecco perché le premeva così tanto sapere della mia vita...
Mi incazzai, fumai all'incirca dodici sigarette in un'ora, ma poi tornai di dentro, ferito. Il perdono, Vinnie, devi imparare a perdonare, mi disse una volta qualcuno. Allora cedetti e perdonai.
L'amore, pensai, cos'è? Io posso amare? Ma soprattutto posso farmi amare? Cosa ho da offrire agli altri? Tanto rancore, di certo. Quello che portavo verso il mondo, il pizzico di odio verso Dio - a cui io razionalmente non avevo mai creduto - e per tutti coloro che erano felici, al contrario mio.
Ebbene sì, il mio dolore più grande concerneva la mia famiglia, il nucleo di persone che più avrebbe dovuto amarmi e lo sfascio che da questa ne era conseguito. Io, i miei, e mia sorella Britni, quattro anni più piccola di me, avevamo vissuto la nostra infanzia in un piccolo centro borghese di Palm Spring. Tra pomeriggi trascorsi allo skate park, a casa a strappare i capelli alle bambole nel trambusto più totale, eravamo felici e spensierati. Ma non ce ne accorgevamo, perchè è così: quando sei felice non te ne accorgi.
Poi tutto successe impetuosamente: papà da un giorno all'altro ci annunciò che l'amore tra lui e la mamma era finito. Ci fece visionare il filmato delle telecamere di casa dove mia madre era con un altro uomo, sebbene a dieci e sei anni non capivamo molto, e si vendicò. Fu allora che iniziarono anni e anni di tormenti interiori, dove potevo solo che rassegnarmi, perchè mamma e papà non sarebbero mai più tornati insieme. La famiglia del Mulino Bianco era una cazzata, e dall'amore poteva subito nascere il sentimento dell'odio. Lo compresi.
Ogni giorno per me era un'angoscia: mi alzavo sereno, senza sapere di ciò che si sarebbe scatenato in seguito. Mamma e papà che litigavano al telefono: parole forti e urla, come se attraverso quella cornetta volessero distruggersi attaccando i propri punti deboli, come due estranei, come se dal loro amore non fossero nati due figli. Ore passate in camera a piangere senza che nessuno potesse ascoltarmi, poichè tutti troppo presi nei loro affari. Io che dovevo badare a mia sorella piccola, prepararle la merenda da portare a scuola e farle incontrare le amichette. Io e solo me stesso.
L'unico appiglio a cui mi aggrappai in quel periodo furono gli amici, quei quattro ragazzi poco raccomandabili, ma a cui ero comunque legato, proprio coloro che mi rovinarono la vita abusando di mia sorella di nove anni, qualche anno dopo. Era un giorno come tutti gli altri, in cui avevamo organizzato un banchetto dove portai pure Britni. La violenza si consumò in mezz'ora e io arrivai a metà dell'opera, quando quei porci l'avevano già abbrancata.
Giuro, li distrussi. Io contro tutti, loro che uscirono da quella casa ammanettati e io lo stesso. Era stata colpa mia, non l'avevo saputa proteggere, difendere, tutelare, ancora una volta avevo creduto nella bontà della persone. E loro mi avevano colpito nel tallone d'Achille, perchè Britni era il mio punto debole. Le persone fanno questo: quando ti spogli di ogni abito, si prendono gioco di te.
Iniziò un'altra guerra, dove i soldati eravamo io e i miei genitori. Tutti contro tutti. Loro che mi davano dell'incontinente, del violento, del combina guai, dell'incapace, dell'incosciente, perchè li avevo affogati un mare di merda, tra giudici, caserme, e pene insostenibili da pagare. Non mi confortarono nemmeno, buttandomi fango addosso e mettendomi in difficoltà per tutti questi anni, schierandosi pure per distruggermi.
Però paradossalmente ero fiero: avevo ridotto quei pezzi di merda in prognosi riservata, pur beccandomi una diagnosi per disturbo borderline, io che non ne soffrivo, con tanto di divieti di allontanamento da duecento metri da casa. Dulcis in fundo, persi tutto: il nido familiare, la fiducia verso il mondo, me stesso, e mia sorella, che finì chiusa in una clinica per minori.
Ariel - principessa, ritratto di purezza - ecco il mio passato. Scappa, finchè puoi.
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il dolore di Vinnie è finalmente anche vostro. cosa ne pensate? ve lo aspettavate? cosa seguirà ora?
io personalmente adoro questo capitolo e mi è piaciuto tanto entrare nella sua testa.
-1 alla fine ❤️
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