7. Il ghepardo e la leonessa (sept)
4 febbraio 2018
Apro lentamente gli occhi, mentre cerco di spegnere la sveglia del mio telefono. Mi siedo contro la tastiera del letto e aspetto qualche minuto ad alzarmi. Oggi si torna a casa. Sinceramente non vedo l'ora: mi era mancata la mia Parigi. Alla fine, mi alzo bella carica e vado in bagno a lavarmi il viso e poi mi vesto per scendere a fare colazione. Rimango un po' stupita dal fatto che non ci sia Jev. "Magari ha già fatto colazione e sta sistemando le ultime cose nella valigia" penso. Faccio una colazione leggera, da sola. Finito di mangiare, decido poi di andare in camera del mio migliore amico che non è molto distante dalla mia. Busso con un sorriso sulle labbra. Silenzio. Busso una seconda volta. Di nuovo silenzio. <Cerchi qualcuno?>. Una voce dietro di me, mi fa sussultare. Una signora delle pulizie con un carrello degli asciugamani si avvicina a me. <Ehm... sì. Cerco il mio migliore amico> dico indicando la porta della camera. <Oh sì, quel ragazzo francese! Se n'è andato stamattina presto, alle 7:15 credo> mi dice lei. In quel preciso istante mi sento cadere il mondo addosso. Quasi fatico a credere alle sue parole. <Grazie...> mormoro tornando a guardare la porta della camera. <Di nulla> mi risponde gentilmente andandosene. È partito senza di me... Il panico inizia a farsi strada nel mio corpo. Decido di andare ad avvisare subito André che doveva venire con noi. Busso alla porta della sua camera e poco dopo mi apre con i capelli tutti scompigliati e l'aria di uno che si è appena svegliato e manco sa in che mondo si trova. Entro in camera sua prima che possa dire qualsiasi cosa e inizio a fare avanti e indietro, passandomi le mani tra i capelli. <Che cosa...?> cerca di dire, ma io lo blocco subito <Jev è partito senza di noi>. Lui mi guarda attonito. <Cosa?!> esclama stupito. <Ha anticipato il volo di un'ora e mezza prima del previsto e non ci ha detto nulla> dico io continuando a fare avanti e indietro per la camera. Lui, visibilmente stupito, si lascia cadere sul divano con un leggero tonfo. <Ok... cerchiamo di capire il motivo per cui lo ha fatto. Avete litigato?> mi chiede poi lui tranquillamente. Io non so come faccia a stare tranquillo: io sto completamente impazzendo. <No, André. Dopo la cerimonia del podio e i festeggiamenti non ci siamo più visti> dico io. <Hai fatto qualcosa che potrebbe avergli dato fastidio?> mi chiede ancora. <No, nulla> <Ne sei sicura?> prosegue lui. Ripercorro nella mia mente tutta la serata di ieri e mi blocco all'istante. <A che ora siete tornati in albergo ieri, dopo la serata col team?> gli chiedo io guardandolo. <Non lo so. Credo fossero le 22:30/23:00> mi risponde. Il mio cuore batte un po' più velocemente. E se lui avesse visto tutto? <Perché? Cosa è successo?> mi chiede aggrottando le sopracciglia. Io sospiro e mi siedo accanto a lui. <Ieri sera, sono uscita con Mitch e... ci siamo... baciati... in corridoio> concludo io. Lui mi guarda ancora più sorpreso di prima. <Eravamo rientrati in hotel verso le 22:30 quindi Jev...> <Potrebbe avervi visto> conclude André. Rimango per un attimo in silenzio. <Ma il suo gesto non avrebbe comunque senso!> esclamo alzandomi di nuovo in piedi. <Non può partirsene così, senza avvisare nessuno, per i suoi sbalzi d'umore! Non può fare sempre le cose così, perché gli vanno! Dio, mi fa venire un odio quando fa così!> proseguo gesticolando velocemente. André nel frattempo mi guarda divertito. <E soprattutto adesso come facciamo? Tu dovevi venire a Parigi con noi!> <Beh, per quello non c'è problema: possiamo prendere un volo di linea> mi risponde lui tranquillamente. Io sbuffo. <Non ci sarebbe comunque alternativa> mormoro io. <Ma tu come mai dovevi venire a Parigi?> gli chiedo poi io. Jean ieri mi non mi aveva spiegato il motivo per cui il tedesco sarebbe venuto con noi. <A dir la verità Jev mi aveva invitato a casa sua per una settimana circa, però non so se ne ha ancora voglia> mi risponde alzando le spalle. <Al massimo puoi venire a stare a casa mia> dico io con un sorriso. <Merci Marti> mi dice alzandosi e schioccandomi un bacio sulla guancia. <Va beh, io allora finisco di preparare la valigia e dopo prendiamo un taxi per andare in aeroporto> prosegue poi. Io annuisco ed esco dalla sua camera per andare nella mia. Quando entro, sospiro sonoramente. "Com'è possibile che con lui ci vuole sempre così tanta pazienza?" penso. Ora la tristezza e delusione, si sono trasformate in rabbia.
Il faut qu'on parle
Un messaggio semplice, coinciso. "Dobbiamo parlare". Non so che tipo di discussione ne uscirà fuori, ma dobbiamo parlare. Non mi interessa se lui ignorerà il mio messaggio, io andrò a casa sua a parlargli, punto. Faccio un respiro profondo. "Mi devo assolutamente calmare, se no c'è il rischio che faccia errori che non avrei dovuto commettere". Dopo aver messo le ultime cose nella valigia, scendo nella hall e trovo André ad aspettarmi. Come avevamo deciso, prendiamo un taxi e andiamo all'aeroporto di Santiago del Cile. Durante il tragitto, che non è molto lungo, continuo a pensare a Jean. E più ci penso, più mi arrabbio. Perché è così impulsivo? Sembra che si debba far odiare! <Non stare troppo a rimuginarci Marti. Lo conosci meglio di me: lui è fatto così> sento dire da André. <Sì, ma è fatto male!> esclamo io frustrata. Jev riesce a tirare fuori il meglio e il peggio di me: è incredibile. Una volta arrivati all'aeroporto, riusciamo a trovare per fortuna un volo per Parigi. Saliamo sull'aereo e ci sediamo nei nostri posti da due. Io mi siedo accanto al finestrino e do una breve occhiata all'aeroporto. All'idea che dovrò subirmi 15 ore di volo, mi viene l'angoscia. Controllo l'ora: sono le 9:00. <Ho detto a Jev che gli devo parlare> dico voltandomi verso André che stava mettendo le cuffiette per ascoltare della musica. Lui si blocca e mi guarda un po' sorpreso. <E cosa gli dirai?> mi chiede. <Vedrò quando ce l'avrò davanti> gli rispondo tornando a guardare fuori dal finestrino. Sempre che riesca a spiccicare parola quando ce l'avrò davanti.
<Marti, siamo arrivati> sento mormorare al mio orecchio. Apro gli occhi e mi rendo conto di aver dormito per buona parte del viaggio. Dopo essermi stropicciata un po' gli occhi e aver recuperato il mio bagaglio a mano, scendo dall'aereo con André. Faccio un profondo respiro. Finalmente a casa. Siamo atterrati all'aeroporto Charles de Gaulle vicino a Parigi. Qui è già sera. <Ma come ci arriviamo a casa tua?> mi chiede André mentre mi porge le valigie che aveva recuperato dal nastro trasportatore. <Ci viene a prendere una mia amica> gli rispondo io. Sempre se si ricorda. Per fortuna la vedo venire nella mia direzione e io l'abbraccio calorosamente. <Oh che bello rivederti! Mi eri mancata, sai? Dov'è il tuo amico?> dice in fretta. Ovviamente non le ho detto che con me sarebbe venuto André, perché se no non sarebbe mai venuta a prenderci, dato che si sarebbe voluta presentare in perfetto stato. <Juliette, lui è André Lotterer> dico sciogliendo l'abbraccio con la mia amica e presentandole il pilota. Appena lo vede, rimane a bocca aperta. <Ciao, piacere di conoscerti> dice André porgendole la mano. Julie boccheggia senza sapere cosa dire mentre stringe la mano al tedesco. Io mi trattengo dal ridere. <Certo che le foto non ti rendono giustizia> esclama poi, guardando prima me e poi lui. <Va bene, andiamo che dici?> dico io prendendola sottobraccio, in modo che non si renda ridicola davanti al tedesco. Mentre andiamo verso la sua macchina mi sussurra all'orecchio <Dimmi che rimarrà qui qualche giorno...> <Sì, starà a casa mia fino all'11> le rispondo e lei esulta silenziosamente. Scuoto la testa ridendo e io e André mettiamo le nostre valigie nel bagagliaio. Julie si siede al posto di guida, non solo perché la macchina è sua, ma anche perché io non ne sarei in grado di guidare, dato che sono sveglia per grazia di Dio. Il tragitto dall'aeroporto a Parigi città ci vuole circa un'ora. Durante il breve viaggio, ripenso di nuovo a Jean-Eric e mi sale il nervoso. È così fastidioso quando fa così. Mi rendo appena conto che la macchina si è fermata. Salutiamo e ringraziamo entrambi Julie e andiamo verso il mio appartamento. <Benvenuto a casa Lacroix!> esclamo facendo spazio per farlo entrare. <Niente male!> ribatte lui guardandosi attorno. Vado a mettere la valigia in camera mia e gli mostro un po' la casa, che non è molto grande. <Tu dormirai qui> dico per poi aprire il divano-letto. <Va bene?> gli chiedo insicura. Lui ci si butta sopra "molto delicatamente" per poi esclamare <Va benissimo, Marti!>. Io rido e vado in camera mia per mettermi il pigiama. <Notte André!> grido dalla camera da letto al tedesco in salotto. <Notte Marti> mi risponde lui con lo stesso tono di voce, facendomi ridere. Riesco ad addormentarmi, nonostante i milioni di pensieri che invadono la mia mente.
5 febbraio 2018
<Merde!> esclamo mentre mi cade la chiave inglese che avevo in mano. Stamattina non riesco a concentrarmi per niente. Sono andata al lavoro comunque, anche se potevo tranquillamente prendermi un paio di giorni di vacanza. André è uscito perché doveva andare agli uffici Techeetah per fare delle cose con il team. <Marti, prenditi il giorno libero oggi> sento dire da una voce dietro di me. Jacques mi raggiunge con un sorriso paterno. <No, davvero, ce la posso fare...> gli rispondo mentre recupero da terra la chiave. Oggi ero venuta al lavoro principalmente per distrarmi da Jean, ma evidentemente si è rivelato più complicato di quanto pensassi. <Marti, dico sul serio...> prosegue lui e io mi volto verso il mio capo. Sospiro. <Va bene> dico infine sconsolata. Jacques mi sorride e quando passo affianco a lui mi da un pacca sulla spalla, come per tirarmi su di morale. Io vado negli spogliatoi e mi tolgo la tuta da lavoro, mettendola in un armadietto e sistemandomi i miei vestiti normali. Quando esco dall'officina, alzo gli occhi al cielo e vedo che ci sono molti nuvoloni grigi, premessa di una giornata di pioggia. Sbuffo mentre cammino per le strade di Parigi. Oggi si prospetta una giornata schifosa: il cielo nuvoloso replica esattamente il mio stato d'animo, i turisti che ci sono in giro per la città mi guardano come se fossi strana e in più devo andare anche a parlare con il mio migliore amico. Ed è questo ultimo pensiero a farmi salire di più la rabbia. Dopo circa 10 minuti di camminata, mi trovo davanti al palazzo del mio amico che si trova vicino al centro della città. Il portone è aperto e saluto brevemente la signora Clarisse, portinaia del palazzo. Per fortuna il portone era aperto, se no avrei dovuto citofonare e non sono sicura che mi avrebbe aperto, così facendo, invece, posso tenermi l'effetto sorpresa. Quando arrivo davanti al suo appartamento, busso senza esitare. Ora è la rabbia a condurre le mie azioni e non più la tristezza o la delusione. <Arrivo!> sento da dietro la porta e dei passi venire verso di essa. Poco dopo compare di fronte a me la figura di Jean-Eric, perfetto come sempre, che diversamente dal solito oggi mi fa solo innervosire ancora di più. Indossa una semplice tuta grigia e mi guarda un po' stupito, ma so che infondo si aspettava che sarei venuta. <Direi che ho bisogno di qualche spiegazione> dico andando dritta al punto fissando i suoi occhi nei miei. <Non ti devo alcuna spiegazione> ribatte lui secco. <Se mi fai entrare, ne possiamo parlare con calma> gli dico indicando casa sua. Lui serra la mascella. Sembra esitare qualche minuto, poi si fa da parte per farmi entrare. Io entro e vengo invasa dal calore della sua casa. L'appartamento di Jean è sempre stato come una seconda casa per me. Abbiamo passato tanti bei momenti assieme qui, ma oggi però diventerà il nostro campo di guerra. Mi tolgo il giubbotto e la borsa a tracolla e li metto sul divano. <Allora?> chiedo poi incrociando le braccia al petto e guardando il francese di fronte a me. <Allora cosa?> ribatte lui. <Vorrei sapere perché hai lasciato a piedi me e André domenica?> sbotto io nervosa. <L'ho fatto perché l'ho voluto fare, fine> mi risponde lui. <Ah bravo, complimenti per la spiegazione. E non hai pensato a me? Non hai pensato che io, se non ci fosse stato André, sarei rimasta là?> gli chiedo io. <Ora sei qui, quindi non capisco dov'è il problema> prosegue. <Il problema è che tu... Lascia perdere va...> concludo io. tra noi cala il silenzio. <E tu ci hai pensato a me mentre limonavi con Mitch?> ribatte lui rompendo il momento di quiete che si era creato. Io spalanco gli occhi e per un attimo rimango disarmata. Quindi ha visto tutto? Sospiro, cercando di contenermi nelle parole. <Il tuo gesto non avrebbe comunque senso> gli rispondo io. <Ah sì, non avrebbe senso?! Sai cosa non ha senso? Non ha senso il fatto che tu baci uno che manco conosci!> dice lui alzando la voce e avvicinandosi a me. <Io ho il diritto di baciare chi voglio senza darti spiegazioni, ok?!> rispondo con lo stesso tono. <Perfetto, fai come ti pare! Basta che tu non venga a piangere da me poi!> <Fidati che non verrò a piangere da te! Ne ho abbastanza dei tuoi sbalzi d'umore Jean!>. Siamo ormai arrivato al punto che ci stiamo gridando addosso. Siamo pronti ad attaccarci come un ghepardo e una leonessa. <Oh davvero? Voglio proprio vedere quanto dura tra te e il neozelandese!> <Se io voglio stare con Mitch, sto con Mitch, senza che tu debba metterti in mezzo, capito?> <Vai, vai pure dove vuoi, così farai la figura della gatta morta>. Gli lascio appena il tempo di concludere la frase che la mia mano si impatta contro la sua guancia spostandogli di poco il viso. Il mio respiro è irregolare e sento bene le lacrime minacciare di uscire dai miei occhi. Lui si volta verso di me e si passa piano una mano sulla guancia sinistra. È sorpreso dal mio gesto, forse perché si è reso conto solo ora di quello che ha detto. <Mi sarei aspettata di sentire di tutto da te, Jean, ma mai che mi avessi dato della puttana; tu che sai quanto ho sofferto e quanto ancora soffro per amore...> mormoro mentre la voce mi si incrina. Vorrei proseguire, ma le parole mi muoiono in gola. Abbasso lo sguardo e scuoto la testa. Mi sento ferita dalla persona alla quale probabilmente tenevo più di ogni altra cosa e fa male, molto male. Alzo di nuovo lo sguardo e lo guardo brevemente negli occhi. <Io e te abbiamo chiuso> dico infine. Mi giro, prendo la borsa e il giubbotto ed esco da quella casa in lacrime. Mentre scendo le scale di corsa ripenso alle parole di Jean-Eric. Come ha potuto dire una cosa del genere, anche solo pensarla? Quando sono alla fine delle scale qualcuno mi prende per un polso. <Ehi Marti, che ci fai qui? E perché stai piangendo?> mi chiede André guardandomi sorpreso. Io scuoto la testa e mi libero dalla sua presa allontanandomi da lui. Ho bisogno di stare da sola adesso. Una volta fuori dal palazzo alzo lo sguardo verso il cielo, mentre una goccia di pioggia mi cade sul naso.
Jean-Eric
Rimango in piedi impalato a guardare la porta aperta dalla quale è appena uscita la persona alla quale tenevo più al mondo. Ripercorro la nostra discussione ed è stato tutto così veloce che mi è sembrato un sogno, o meglio un incubo. Le nostre voci, puttana, lo schiaffo e lei che se ne va. Mi porto le mani alle tempie. Che cosa ho fatto? Mi siedo sul divano con la testa tra le mani.
Ho lasciato troppi segni sulla pelle già strappata; non c'è niente che si insegni prima che non l'hai provata. Sono andato sempre dritto come un treno; ho cercato nel conflitto la parvenza di un sentiero. Ho sempre fatto tutto in un modo solo mio e non ho mai detto resta se potevo dire addio. Poche volte ho dato ascolto a chi dovevo dare retta, ma non ne ho tenuto conto ho sempre avuto troppa fretta...
<Mi spieghi che diamine è successo?> sento dire da qualcuno. Alzo lo sguardo e incontro il viso famigliare di André mentre chiude la porta e con in mano una busta di carta con dentro qualcosa. Si toglie il giubbotto mentre io ritorno con la testa tra le mani. <Ho fatto un casino> mormoro mentre sento che si siede accanto a me. <Dai sentiamo> mi risponde mentre sento che si affloscia sul divano. <Ho dato a Martine della puttana> dico con un filo di voce, sperando che non mi abbia sentito. <TU COSA?!> esclama mentre io rialzo lo sguardo. Mi guarda attonito. Non dico nulla, mi faccio già schifo da solo. <Tu sei un...> <Coglione, lo so> dico concludendo la frase al posto suo e accasciandomi contro lo schienale del divano. <Ma come ti è saltato in mente di dire una cosa del genere?!> mi chiede ancora. <Lei è venuta qui per parlarmi, abbiamo iniziato a discutere e... l'ho detto in preda alla rabbia> gli rispondo passandomi le mani sul volto. <Ma io non lo penso davvero, anzi non lo penso per niente, ero solo molto nervoso e arrabbiato> proseguo poi. Rimaniamo in silenzio per qualche minuto. <Questa non te la perdonerà così facilmente> mi avverte André. <Lo so> mormoro sconsolato.
Almeno tu rimani fuori dal mio diario degli errori, da tutte le mie contraddizioni, da tutti i torti e le ragioni, dalle paure che convivono con me, dalle parole di un discorso inutile. Almeno tu rimani fuori dal mio diario degli errori...
<Che hai portato?> chiedo poi indicando la busta di carta che aveva messo sul tavolo. <Avevo portato due birre e pensavo di vedere un film, ma dato che stai così...> mi risponde lui. <Perché? Non posso bere?> gli chiedo alzandomi e cercando di prendere la busta, ma il mio compagno di squadra la raggiunge prima di me. <Che cosa...?> gli chiedo mentre la stringe a sé. <Tu hai appena discusso con la persona della quale sei innamorato e direi che non è proprio il caso di bere, anche solo una birra> mi risponde lui risoluto. Io lo guardo corrugando le sopracciglia per poi rendermi conto che ha ragione. <E beh cosa vuoi fare con le due birre? Te le bevi tu?>. Lui sembra rifletterci sopra, poi tira fuori le due bottiglie di birra e me ne porge una. <Ti tengo d'occhio> mi dice con un tono che non ammette repliche. Io alzo gli occhi al cielo e mi vado a sedere sul divano seguito dal tedesco. Decidiamo di guardare un "Fast and Furios" a caso, ma io non guardo molto il film. Continuo a pensare e a ripensare a Martine. Sarà già a casa adesso. Il pensiero che stia piangendo da sola, mi provoca un fitta al cuore. Tutto per causa mia. Io avrei voluto dirle che l'amavo e avvicinarla a me un po' di più, invece sono riuscito solo ad allontanarla. Una volta che il film è finito André se ne va e io lo ringrazio ancora per essere venuto. Sono veramente fortunato ad avere un amico come lui: sono sicuro che ci sarà sempre, per qualsiasi cosa. Quando vado in camera da letto per coricarmi, controllo prima il cellulare per vedere se mi è arrivato qualche messaggio. Mi soffermo sulla chat di Martine. Nessun messaggio. Guardo alcune foto che mi aveva mandato e che avevamo fatto a Marrakesh. Mi soffermo sulla foto dove lei è in groppa a me e mi lascia un bacio sulla guancia. mi ricordo che ce l'aveva scattata André. Sono passate poche ore da quando è uscita dalla porta di casa mia, ma mi manca come se non la vedessi da giorni. Sospiro e spengo il telefono, per poi infilarmi sotto le coperte. Nel silenzio della mia camera, un fievole miagolio raggiunge le mie orecchie. Cheetah salta sul mio letto e io allungo il braccio per accarezzare il suo manto maculato. Anche nel buio della camera riesco a distinguere i suoi occhioni verdi. Strofina la sua testina contro la mia mano facendo le fusa. Mi sento così solo, nonostante ci sia comunque la mia gattina con me. Sento una lacrima scivolarmi lungo la guancia. Cheetah si avvicina di più a me e si sdraia mettendo la testa contro la mia guancia. Sorrido e la accarezzo piano. Mi asciugo con l'altra mano le lacrime che scendono lungo le mie guance. <Je t'aime, Martine> mormoro piano per poi cadere in un sonno profondo.
Spazio autrice:
Bonjour! Lo so sono una persona crudele, a farli allontanare un'altra volta. Però avete la gioia che Jean a espresso abbastanza chiaramente i suoi sentimenti verso Marti. Allora che cosa ne pensate del capitolo? Vi è piaciuto nonostante tutto? Cosa succederà adesso? Eh chissà chissà...
Nel prossimo capitolo incontreremo una certa persona e Martine non reagirà proprio bene...
Non posso spoilerarvi nient'altro🤐
E nulla con questo vi saluto e ci vediamo alla prossima!
Baci🥰❤😘
Martina
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