20. Runaway (vingt)

20 maggio 2018
Spesso non ci rendiamo conto del tempo che passa. Spesso non pensiamo che il tempo scorre inevitabilmente e che i secondi che passano non ritorneranno più. Semplicemente viviamo la vita così, alla giornata, al momento. Anche io lo stavo facendo fino a ieri. Poi è cambiato tutto. Sono su un aereo privato, sul quale mi hanno gentilmente ospitato Mitch, Lucas e Antonio, con direzione Nizza. Sono raggomitolata nel mio sedile con lo sguardo perso. È così che mi sento: persa. Stamattina ho iniziato a convivere per la prima volta con l'idea di non rivedere Jean, con l'idea di non ritornare con lui in aereo, con l'idea di non addormentarmi sulla sua spalla durante il viaggio. Inutile dire che sono scoppiata a piangere di nuovo. Ed è per questo che indosso degli occhiali da sole: per nascondere agli altri i miei occhi arrossati, le mie occhiaie, il mio dolore. Non ho ancora pensato a quello che farò dopo. Credo che sarà una cosa graduale. Mentre osservo le nuvole pannose sotto di me, inizio a darmi qualche straccio di spiegazione. Inizio vagamente a ragionare su quello che è successo. Lui mi ha detto che si sono baciati, non ha voluto aggiungere come, dove o quando è successo, forse per evitare di farmi soffrire di più. Ma non è servito a nulla. Ma la cosa che non riesco minimamente a capire è come ha potuto. Come ha potuto fare una cosa del genere? Come ha potuto tradirmi così? È davvero qualcosa a cui non riesco a dare una spiegazione. Jean non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ma io non so più chi è Jean. Non mi ha mentito su quello che è successo, ne sono completamente certa. E allora perché? <Vuoi parlarne?> una voce mi fa risvegliare dai miei pensieri. Mitch si è seduto accanto a me. Ha capito che c'è qualcosa che non va, anche se non era difficile intuirlo. Scuoto la testa. No, non voglio e non riesco a parlarne. Lui annuisce comprensivo. <Noi ci siamo sempre per te Marti, lo sai> mormora. Lo so che ci sono e che ci saranno sempre, ma a me manca l'unica persona che voglio davvero. Di slancio e senza nemmeno accorgermene, lo abbraccio. Mitch all'inizio rimane un po' sorpreso, ma alla fine ricambia stringendomi forte. Inizio di nuovo a piangere. Sembra l'unica cosa che sono capace a fare al momento. Mi sento sola, davvero tanto sola. Mi sento come se fossi persa in mezzo a un sentiero in un bosco dove fino a un minuto prima c'era il sole e ora è calata la nebbia. Vago senza una meta, cercando la strada che mi porti a casa, ma so che non la troverò. Mitch mi accarezza i capelli, mi tranquillizza. Io mi aggrappo alle sue spalle, come se mi potessero dare la salvezza. <Non te ne andare, ti prego> sussurro tra le lacrime, nascondendo il viso contro il suo collo. <Non me ne vado Martine. Te lo prometto> mi risponde lui posando un bacio sulla mia fronte.


Jean-Eric
Penso di non essermi mai sentito così... impotente. Impotente. Non ricordo di aver usato questo aggettivo molto spesso, ma ora è quello migliore per descrivere la situazione in cui mi trovo. Seduto sul letto di una camera che non è la mia, con la testa tra le mani, a pensare allo stesso tempo a tutto e a niente. <Ti rendi vagamente conto di quello che hai fatto, vero?> mi chiede André camminando avanti e indietro davanti a me. Probabilmente no. O forse sì. Non lo so. Ieri mi ha accolto in camera sua senza fare domande, ma da quando mi sono svegliato stamattina è l'unica cosa che fa. Ho cercato di spiegargli quello che è successo per quanto potevo. Ma un po' capisco la sua insistenza. La sera prima sono andato a cercarlo completamente sconvolto. Forse stavo anche piangendo, ma non mi ricordo. Non mi ricordo più nulla. Mi sembra tutto un eterno incubo. Chiudo gli occhi. Martine avrebbe saputo cosa fare. Martine. La mia Martine. <Ascolta, voglio aiutarti, ma se tu non mi permetti di->. Le parole del tedesco vengono interrotte dal suo cellulare che vibra segnalando l'arrivo di una notifica. Prende in mano il telefono, quasi infastidito per l'interruzione. Alzo lo sguardo, guardandolo senza emozioni. Lo vedo leggere qualcosa sullo schermo che gli fa cambiare completamente espressione. All'improvviso vengo preso dal panico. Ho già capito di cosa si tratta, o meglio di chi si tratta. <È lei vero?> gli chiedo impaziente. Lo sguardo che André mi rivolge mi risponde al posto suo. <Jean...> cerca di dirmi qualcosa, ma io mi alzo di scatto e gli prendo il telefono dalle mani. Ho bisogno di sapere dov'è, che cosa sta facendo, ho bisogno di sapere che sta bene. Ho bisogno di lei, nonostante tutto quello che le ho fatto.

Martine: Sono partita per Nizza con Mitch, Antonio e gli altri stamattina presto. Te l'ho fatto sapere solo per dirti che sto bene, poi magari ti racconterò tutto con calma, ma tanto so che avrai già saputo quello che è successo.
Dì a Jean di non cercarmi per nessun motivo.
Ti chiamo quando arrivo a casa.
Ti voglio bene,
Marti.

Rileggo il messaggio altre cinque volte. <Jean...> André cerca di richiamare la mia attenzione, ma la sua voce è lontana un miglio. <Devo andare da lei> dico senza neanche pensarci. <No, Jean, ascoltami per favore...> <Tu non capisci! Io ho bisogno di lei!> alzo all'improvviso la voce. Non ho mai alzato la voce con lui. <L'hai appena tradita, Jean!> ribatte lui con lo stesso tono. Le sue parole mi ammutoliscono, come se mi avessero appena dato una scossa. Per la prima volta dopo ieri, mi ritrovo davanti alla realtà, da solo. E allora tutto ricomincia a girare nella mia testa, mentre il mondo fuori va a rallentatore. Ho bisogno di lei, ma lei non ha più bisogno di me. E come potrebbe ancora volermi dopo tutto questo? Forse solo ora mi rendo conto che lei se n'è andata e che non ritornerà. Mi risiedo sul letto sconfortato. Mi sento completamente perso. Non ho la più pallida idea di cosa fare ora. E anche se ce l'avessi avuta un'idea, quale sarebbe stata? Cercarla fino a quando non tornerà da me oppure finché non mi manderà a quel paese definitivamente? O andare avanti come se nulla fosse? Ma come potrei? Dopo tutto quello ho fatto per riprenderla... Come potrei rinunciare alla persona più speciale, più preziosa che c'è nella mia vita? Come potrei rinunciare a una parte di me? <Jean, ho bisogno che mi ascolti ora. Posso immaginare come ti senti e mi dispiace, lo sai, ma ora, non c'è nulla che puoi fare. Devi prenderti del tempo per riflettere, ok? Adesso andiamo a prendere le tue valigie e poi...> ma la voce di André scompare. Nascondo il mio volto tra le mani. Non riesco più a trattenermi e scoppio a piangere. Credo che sia la prima volta che André mi vede così sconfitto, così abbattuto. Sento le lacrime scivolare velocemente lungo le mie guance, mentre i singhiozzi scuotono il mio corpo. Il materasso affonda accanto a me e un braccio mi circonda le spalle. Mi appoggio alla spalla di André e lascio che le mie emozioni prendano il sopravvento. È un abbraccio fraterno, proprio quello che mi ci voleva ora. André è il fratello che non ho mai avuto. Non so per quanto tempo stiamo così. So solo che tutto non mi è mai sembrato così inutile come adesso.

22 maggio 2018
Martine
Sono passati due giorni dall'ultima volta che ho visto Jean e non mi ha cercata per tutto questo tempo. Purtroppo o per fortuna devo ancora deciderlo. Probabilmente per fortuna perché non avrei sopportato di sentire ancora la sua voce, nonostante però risuoni ogni singolo giorno nella mia testa. In questi giorni non ho parlato con nessuno a parte André che mi ha chiamata ieri. Voleva sapere come stavo e io gli ho spiegato tutta la situazione, così almeno avrebbe sentito ambedue le parti. In generale però sto malissimo. È come se vedessi scorrere la mia vita davanti agli occhi, ma io non faccio nulla. Non reagisco, non piango, nulla. Penso a lui senza pensare a lui. Il suo volto si insinua nella mia mente senza che io me ne accorga. Cerco di darmi spiegazioni, anche se risposte alle mie domande non ci sono. Perché è così facile innamorarsi di qualcuno, ma è così difficile smettere di farlo? Dopo pranzo decido di uscire. Non posso stare in casa ancora un minuto di più. Ci sono troppe cose che mi ricordano di lui. E andando fuori cosa penso di risolvere? Parigi è piena zeppa di dettagli che mi ricordano di Jean. Ma io non ci faccio caso. Non faccio caso alla nostra pasticceria preferita dove prendevamo sempre i macarons; non faccio caso alla via accanto alla Senna dove di solito passeggiavamo sempre; non faccio caso a niente di tutto questo. È finita ormai, non posso tornare indietro. Quante lacrime ho dovuto spendere per accettare questa frase? Tante, troppe. Alla fine le mie gambe mi portano al Pont des Arts, dove ci sono alcune persone ma non molte, forse dovuto anche alle nuvole scure che ricoprono il cielo e che rispecchiano perfettamente il mio umore. Le ringhiere sono piene di lucchetti. Jean e io non abbiamo mai messo un lucchetto, lo ritenevamo troppo cliché. E allora perché sono qui? Non lo so. Mi siedo su una panchina, sospirando. Fisso il vuoto per qualche secondo, per poi chiudere gli occhi. Due storie, tutte e due finite allo stesso modo: tradimento. Tradimento. Avevo sperato ogni singolo giorno dopo Christian di non sentire più quella parola e credevo di averla superata, ma rieccomi qui a ripensarci, a rimpiangere, a chiedermi cos'è andato storto. Il problema è che non lo so e probabilmente non lo saprò mai. Perché l'unica persona che sa la risposta se n'è andata e non ritornerà. Sento una lacrima silenziosa scivolare lungo la mia guancia, ripercorrendo il solco che hanno lasciato le altre. Tengo gli occhi chiusi, cerco di svuotare la mente. Va' via, va' via, va' via: continuo a ripetere ma lui resta lì, si fa sentire di più, la sua immagine si incide nella mia mente, non se ne va nonostante tutti i miei sforzi. Poi una voce, una scossa, mi riporta alla realtà. <Martine?>. Il mio nome pronunciato da qualcuno. Ma non una persona qualunque. Riapro gli occhi come se mi fossi appena svegliata bruscamente da un incubo. <Jean?>. È lì in piedi accanto a me. Perché è qui? La parole mi muoiono in gola. Mi alzo in qualche modo. Lui non dice nulla, mi guarda solamente sorpreso. Evidentemente non si aspettava di incontrarmi qui. Per qualche secondo mi perdo a guardarlo, come se non lo vedessi da mesi. Cerco qualche dettaglio nelle sue espressioni, nel suo comportamento che mi facciano capire che anche lui si sente come mi sento io, che anche lui sta soffrendo come sto soffrendo io. Ma è sempre lo stesso Jean. Non è cambiato di una virgola. Come se non fosse successo nulla. E questa cosa mi getta inconsapevolmente nello sconforto. <Martine aspetta...> cerca di fermarmi, ma io lo supero e cerco di allontanarmi. Non ora, non più. Ma una mano si avvolge attorno al mio braccio facendomi voltare. <Ti prego aspetta...> mi supplica. Lui non mi ha mai supplicata, almeno non in questo modo. <Lasciami> il mio tono cerca di essere freddo, tagliente, ma sento quella leggera inclinazione che c'è quando una persona è sul punto di piangere. Non si nota tantissimo, ma so che Jean la sentita. Lui la sente sempre. <Martine, lasciami spiegare, ti prego...>. Jean non allenta la presa. Ed è in quel momento che decido di alzare lo sguardo per incontrare i suoi occhi. I suoi stupendi occhi nocciola. E allora mi rendo conto che sono in trappola. I suoi occhi sono come delle calamite: quando entri nel loro campo magnetico è difficile uscirne. E il suo sguardo mi cattura come un predatore fa con la sua preda, solo con una differenza: nei suoi occhi non c'è fame, brama o desiderio, ma disperazione. Disperazione. Come quando sei sul punto di cadere e allora ti aggrappi a qualunque cosa per salvarti, perché sei disperato, perché non hai nient'altro da perdere. Ed è questo che leggo per la prima volta nei suoi occhi. Rimaniamo qualche secondo in silenzio. Lui in attesa di una risposta, io che cerco di formularla. Ma non ci riesco. Le frasi sono insensate, le parole confuse. Ma la mia bocca parla prima che io possa fermarmi. <È troppo tardi Jean. È finita>. Lui rimane completamente spiazzato e io pure. È così allora? Basta mettere un punto ed è... finita. Inconsciamente la sua presa sul mio braccio si allenta. Mi sta lasciando andare. Ma io rimango lì per qualche secondo a fissarlo, forse per prendere consapevolezza della mia frase, forse per fissare nella mia mente ogni singolo dettaglio del suo volto dato che questa potrebbe essere l'ultima volta che ci vediamo, almeno in questo modo. Ora nei suoi occhi c'è un altro sentimento: coscienza. Si sta rendendo conto anche lui che mi sta perdendo per sempre e che questo è un punto di non ritorno. Ma forse era già finita sabato, dopo la gara, quando mi ha confessato che ha baciato Anne. All'improvviso sento di non riuscire più a sopportare tutto. Non riesco più a sopportare i suoi occhi, non riesco più a sopportare la sua presenza. Mi stacco completamente dalla sua mano, mi volto e mi allontano da lui. No, non mi allontano, scappo. Sì, scappo. Sto scappando dall'unica cosa bella che c'era nella mia vita. Sto scappando da colui che credevo l'amore della mia vita, ma che poi si è rivelato uno come tutti gli altri. Ho passato buona parte della mia esistenza a scappare. L'ho fatto così tante volte che è quasi diventata un'abitudine. Ma perché lo faccio? Credo sia una forma di autodifesa, per proteggermi, anche se spesso fa più male. Come ora. Sento il mio cuore sbriciolarsi ancora e ancora mentre ritorno a casa. Ma questa non è una mia scelta, o almeno non del tutto. Questa è una conseguenza. La vita è fatta di conseguenze ad eventi avvenuti in precedenza. La mia "fuga" è una conseguenza al tradimento di Jean. È normale che sia così. Cos'altro avrei dovuto fare? Perdonarlo come se non fosse successo nulla, come se quelle poche parole non mi avessero spezzato il cuore? È la cosa giusta da fare ora. E allora perché fa così tanto male?

Jean-Eric
Rimango lì impalato con la mano ancora a mezz'aria. Se n'è andata. E non tornerà. Tutto sembra scuro, grigio, senza colori. Nessuna cosa ha più senso senza di lei. La mia vita non ha più senso senza di lei. Non è un'esagerazione, è la verità. Abbiamo vissuto ogni singolo giorno della nostra vita insieme, non c'è un mio ricordo dove non ci sia anche lei, non c'è un'immagine nella mia testa che non sia in qualche modo collegata a lei. Come posso andare avanti ora che non è più al mio fianco? Abbasso la mano e faccio qualche passo verso la balaustra. Ci appoggio entrambe le mani e guardo la Senna sotto di me. È troppo tardi Jean, è finita. È così, è finita. Non posso tornare indietro. Ma quanto vorrei farlo. Sono stato così stupido... Se solo avessi avuto la possibilità di spiegarle come sono andate davvero le cose... Perché non sono stato io a baciare Anne, è stata lei, subito dopo la gara. Però io ho ricambiato. E come ho fatto a cadere in questa trappola? Forse perché ero talmente abbattuto per la gara che non mi sono reso del tutto conto di quello che stava succedendo. Ma non può essere una scusante, ne sono consapevole. E questa cosa mi distrugge, ogni giorno di più. E con oggi sono sicuro di aver perso completamente Martine. E mi odio per questo. Perché io non sono capace a tenermi qualcosa o qualcuno di speciale senza rovinarlo. Stringo con forza la ringhiera fino a far diventare le nocche bianche. Chiudo gli occhi, cerco di non pensare. Ma è impossibile perché lei è parte di me e non posso togliere una parte di me senza farmi male. Ma io non voglio eliminare quella parte di me. Mi sembra tutto così vuoto e inutile senza di lei. Sento una lacrima scivolare lungo la mia guancia e apro gli occhi mentre la vedo cadere proprio in mezzo alle acque del fiume. Una lacrima salata in un fiume dolce. Tutto è così inutile e vuoto senza di lei. Ma forse è proprio quando tocchi il fondo che puoi solo risalire. Perché io nonostante sbagli sempre tutto con le persone a cui voglio più bene, io so per certo una cosa: io voglio Martine. Io la voglio con tutto me stesso. E lo so che ho sbagliato, lo so benissimo, ma non voglio sbagliare di nuovo. Non più.

25 maggio 2018
Martine
Sono sdraiata sul divano, mentre fisso il soffitto, inerme. Non mangio e non dormo bene da tre giorni ormai, dall'ultima volta che ho visto Jean. È un processo lento. È qualcosa a cui non si è mai pronti, non si è mai preparati. E io probabilmente ero l'ultima persona sulla Terra che si sarebbe potuta aspettare una cosa del genere, soprattutto da Jean. Ma probabilmente era questo il destino. Le storie belle non sono mai destinate a durare. La storia mia e di Jean rimarrà un bel ricordo che svoglierò ogni tanto come un vecchio album di fotografie. Ci sto credendo a tutto questo? No, non molto. Ma forse l'unico modo per andare avanti è accettare e farsene una ragione. Probabilmente non andavo più bene. Probabilmente non sono stata abbastanza per lui. Probabilmente ero troppo noiosa. Probabilmente il problema ero io. Probabilmente Jean non ha mai avuto il coraggio di dirmelo. Ma va bene così, l'ho capito da sola. Era così che doveva andare. Com'è successo con Christian. È giusto così, me lo merito. Sono stata troppo stupida a credere che potesse funzionare. Ma non funziona mai. Non con me almeno. Troppo fragile per questo mondo. Proprio in quel momento, a risvegliarmi, sento un bussare leggero, quasi timido. Lo ignoro. Non mi stupirei se me lo fossi immaginata, tanto ormai non so neanche più distinguere la realtà dal sogno. Ma dopo qualche secondo lo sento di nuovo, un po' più deciso. Lo ignoro ancora. Non ho voglia di andare ad aprire la porta. Se è qualcosa di importante, me lo faranno sapere. Sto per ritornare nel mio stato di trance, quando lo sento per una terza volta, seguito da una voce <Martine, lo so che sei lì, aprimi>. Mi immobilizzo sul posto, strabuzzando gli occhi. È lui. È qui. Perché diavolo è qui?! <Martine, per favore, aprimi. Voglio solo parlare>. Salto in piedi come se il divano avesse preso fuoco. Sono completamente nel panico. Io non voglio che sia qui, non voglio che mi veda in questo stato. Dopo un paio di minuti di silenzio, lo sento ancora parlare. <Va bene, allora vorrà dire che la aprirò da solo>. Inserisce la chiave nella serratura e la gira quattro volte finché la porta non si apre. Sto in piedi, ferma, non sapendo cosa fare. Dovrei cacciarlo via? Rinfacciargli tutto quello che mi ha fatto passare e prendermi la mia vendetta? No, non è questo quello che davvero voglio. Lui richiude la porta alle sue spalle per poi voltarsi nella mia direzione e guardarmi dritto negli occhi. Accenna un passo verso di me, ma io lo bloccò subito. <Fermati lì, non ti avvicinare> gli ordino, ma la mia voce si spezza. Esattamente come quella volta nel garage del circuito di kart di suo padre. Nascondo il mio volto tra le mani. Non doveva vedermi così. Io dovevo essere forte, dovevo dimostrargli che ce l'avrei fatta anche senza di lui. Ma non si ferma. Lo sento camminare nella mia direzione, cosi rialzo gli occhi di nuovo. Ogni barriera che avevo tentato con così tanta fatica di mettere tra noi, si sbriciola ad ogni suo passo. E la mia fuga, il mio continuo scappare da quello che ho sempre voluto e desiderato, finisce nel momento in cui il mio corpo si scontra il suo. Crollo definitivamente quando lui mi accoglie tra le sue braccia. Appoggio la mia testa contro la sua spalla e inizio a piangere. È l'unica cosa che riesco a fare in questo momento. Lascio che il dolore mi travolge, mentre mi sostengo con le mani sulle sue spalle. Il suo calore mi accoglie. È difficile respingere tutto questo, fingere che non mi faccia sentire bene, perché per quanto lontano posso scappare le sue braccia saranno sempre il luogo a cui appartengo. Jean mi culla per qualche minuto, mi lascia sfogare. Mi accarezza piano i capelli, mormora qualche parola per tranquillizzarmi, ma che però non riesco a capire. Poi, quando sono riuscita un po' a calmarmi, prende il mio volto tra le mani, mi asciuga le lacrime con i pollici e inizia a parlare. <Ascolta petite. Io ti amo. Ti amo da morire. E non posso fare a meno di te. Non posso dimenticarti e fare finta che non ci sia mai stato nulla tra noi. Sei troppo importante per me. E lo so che ho sbagliato, lo so davvero, me ne pento ogni singolo giorno, ma io sono disposto a fare qualunque cose per farmi perdonare. Martine, ti prego, ti prego, torna da me>. Lo guardo negli occhi e ci trovo tanta tristezza, ma anche tanto amore. Per me. Poso delicatamente una mano sulla sua guancia. Lo accarezzo piano, con un movimento lento, meccanico. Lui mi guarda, in attesa. Ma io non ho bisogno di attendere, di riflettere sulle sue parole. So già quello che voglio. E quello che voglio è lui. <Ti avevo già perdonato a quando hai detto "Ti amo"> gli rispondo finalmente con un sorriso. Alle mie parole si lascia sfuggire una risata di sollievo che contagia immediatamente anche me. Sorrido nonostante le lacrime perché alla fine ho ritrovato la mia casa. La mia casa è lui. E non smetto di sorridere nemmeno quando poso le mie labbra sulle sue. Lui ricambia visibilmente più rilassato. È un bacio che sa di una promessa che è destinata a durare, questa volta per sempre. La mia mano sinistra cerca la sua e le nostre dita si incrociano. Stringo la sua mano perché non voglio più lasciarlo andare e so che non lo farà più. <Ti amo tanto Martine> mi sussurra mentre ci stacchiamo. <Anche io Jean. Non lasciarmi più, ti prego, non riuscirei a sopportarlo una seconda volta> gli rispondo io. Una parte di me ha ancora paura e lui lo sa, mi conosce meglio di chiunque altro. <Non ti lascio più Marti, te lo prometto> mi dice e io sorrido, baciandolo ancora, ancora e ancora.

Spazio autrice:
E rieccoci di nuovo qui. Lo so, capitolo un po' triste, ma siamo alla fine ormai. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Non potete capire la fatica che sto facendo. Non sono proprio pronta a lasciarli andare🥺❤
Anyway, spero che vi sia piaciuto e ci rileggiamo presto spero!
Baci🥰❤
Marti

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