17. Son anniversaire (dix-sept)

25 aprile 2018
Prendo in braccio Cheetah per poi dirigermi verso la camera di Jean. Non riesco a trattenere l’eccitazione per oggi. È il suo compleanno. È il secondo giorno più speciale per me dopo Natale. Anche il mio compleanno sembra passare in secondo piano rispetto a questo giorno. Non che io odi festeggiare il mio compleanno, ma per me festeggiare il suo e renderlo il giorno più speciale, è più importante di qualunque altra cosa. Le mie amiche, quando andavo a scuola, mi prendevano per pazza. Mi ricordo ancora quando ho annullato una giornata di shopping, cinema e divertimento tra ragazze con Camille per passare tutto il mio tempo con Jean-Eric. Avevo sedici anni. Lei mi aveva gridato addosso delle peggiori cose quando l’avevo chiamata per spiegarle che non potevo venire con lei. Poi oltre a insultare me, ha iniziato anche ad insultare Jean e lì non ci ho visto più. Io posso subire tutti gli attacchi possibili che non batto ciglio, ma appena qualcuno tocca Jean-Eric, divento una iena. Le avevo riattaccato in faccia, prima che lei potesse aggiungere altro. Non avrei mai messo da parte Jean per lei. Era mia amica e le volevo bene, ma non potevo assolutamente perdermi il giorno più speciale per Jean. Non lo avrei mai fatto. Poi avevamo fatto pace e le cose erano andate avanti bene, nonostante lei non vedesse di buon occhio la mia amicizia con il francese. Poi è successo quello che è successo con il mio ex, quindi forse è meglio che lei sia uscita dalla mia vita, piuttosto che avere vicina una persona che non accetta la parte più importante di me. Ovvio Jean è sempre stato un grosso ostacolo per tutti coloro che entravano nella mia vita, soprattutto per quanto riguarda le relazioni sentimentali. Non avrei mai accettato di stare con qualcuno se quel qualcuno non avesse accettato prima la mia amicizia con Jean. “E allora perché sei stata con Christian se lui odiava Jean?” vi chiederete voi. Beh, dopo troppe relazioni fallite e diversi anni passati tra la solitudine e la sofferenza, avevo deciso di fare con Christian un’eccezione sperando che lui fosse quello giusto. Lui non sopportava la presenza del pilota, ma a volte sembrava voler fare uno sforzo per me e io apprezzavo questa cosa. Ma alla fine mi ero solamente resa conto di essere stata illusa. Ma non voglio pensarci, non ora. Apro piano la porta della stanza e faccio attenzione che non sbatta contro la parete. Sta ancora dormendo, tra le lenzuola bianche tutte scompigliate. Mi avvicino piano, mentre Cheetah tenta di dimenarsi. Alla fine la metto sul letto e lascio che vada dal suo padrone. Mentre mi siedo sul bordo del letto, lei va a strofinare il suo musetto contro la guancia di Jean. È una delle cose più tenere che abbia mai visto. Lui aggrotta le sopracciglia. Apre piano gli occhi e subito li posa sulla sua gatta. Sorride e le accarezza il manto maculato. Poi sposta lo sguardo su di me e il mio sorriso si allarga. <Bon anniversaire!> esclamo per poi abbracciarlo. Lui rimane leggermente sorpreso all’inizio, come se si fosse dimenticato che oggi è il suo compleanno, poi ricambia come solo lui sa fare e io mi lascio avvolgere dal suo calore. Si mette a sedere contro la tastiera del letto e io mi metto a cavalcioni su di lui. Rimaniamo così per un lasso di tempo infinito, poi ci stacchiamo piano. <Merci princesse> mormora per poi lasciarmi un bacio sulle labbra leggero come una piuma. <Dai vieni che ti ho preparato la colazione> proseguo io prendendolo per mano e alzandomi da lui. Come ho già detto sono molto esaltata oggi, forse più di lui. È sempre stato così e io non vorrei che nulla cambiasse. Arriviamo in cucina con le mani ancora strette forte. Appena vede la ricca colazione che gli ho preparato, gli sento dire <Non dovevi Marti, davvero>. Abbassa lo sguardo su di me e io alzo gli occhi verso di lui. <Sì invece che dovevo, è il tuo compleanno> gli rispondo alzandomi sulle punte dei piedi per poi baciarlo sulle labbra. Facciamo colazione insieme e poi mettiamo i piatti nella lavastoviglie. <Adesso va’ a prepararti che dobbiamo andare Pontoise> dico picchiando un dito contro il suo petto per poi allontanarmi. Ma un presa attorno al mio polso mi fa ritornare sui miei passi. Jean posa le mani sui miei fianchi. <E un bacio non me lo dai?> mi chiede facendo il labbruccio. <Non pensi di essere un po’ troppo pretenzioso?> gli chiedo io alzando un sopracciglio. <No. È il mio compleanno> mi risponde lui con un sorrisetto malizioso. Io alzo gli occhi al cielo, ma lo bacio comunque. Quando ci stacchiamo, sussurra contro le mie labbra <Comunque la mia camicia sta meglio a te che a me>. Io sento le guance andare a fuoco. Ok, ieri sera abbiamo fatto sesso e stamattina ho deciso di indossare la camicia bianca di Jean che aveva la sera prima. <Vai a preparati, forza!> esclamo girando e cercando di ignorarlo, ma non ci riesco, perché la sua risata riempie la stanza contagiandomi.
 


Siamo in macchina, direzione Pontoise. Jean-Eric è alla guida ovviamente. Poche volte mi lascia la guida se siamo solo noi due. Lo osservo mentre lui ha lo sguardo rivolto verso la strada. Indossa degli occhiali da sole. Alcune volte mi chiedo se ci sarà mai un giorno in cui non li indosserà. A volte sembra che facciano parte del suo corpo! <Che c’è?> mi chiede risvegliandomi dai miei pensieri. <Nulla, stavo solo guardando i tuoi occhiali> gli rispondo. Se li sistema meglio per poi proseguire. <Ti piacciono?> <Sì, non sono male> mormoro. <Io e André stavamo pensando di fare una collezione tutta nostra, che ne pensi?> mi domanda. Io alzo scherzosamente gli occhi al cielo. <Ci mancava solo che facevate una collezione di occhiali da sole!> esclamo. Jean mette un finto broncio che mi fa ridacchiare. Ben presto arriviamo alla nostra vecchia casa. Queste vie sono così piene di ricordi che a volte mi sempre di riviverli tutti insieme, come in un lungo flashback. Scendiamo dall’auto non prima che Jean-Eric abbia chiuso le portiere. Siamo davanti a casa mia. È una nostra tradizione festeggiare il compleanno di Jean a casa nostra, mentre il mio compleanno a casa sua. Negli ultimi anni non è sempre stato facile mandare avanti questa abitudine, ma quest’anno, dopo tanto tempo, riusciamo a festeggiare il suo compleanno tutti insieme. Arriviamo alla porta, ma prima di suonare il campanello Jev mi fa girare verso di lui. <Tutto ok? Mi sembri… tesa> mi chiede. Si solleva gli occhiali sopra la testa per vedermi bene negli occhi. In effetti un po’ di ansia ce l’ho. <Sì, sì, tutto a posto, è solo che sai… stavo pensando alla reazione dei nostri genitori quando…> mi fermo lasciandogli intendere il proseguimento. Ma lui non sembra capire. <Quando?>. Stento a fatica ad alzare nuovamente gli occhi al cielo. <Quando gli diremo che stiamo insieme!> esclamo io a voce bassa. Abbiamo parlato in sussurri fino adesso per evitare che i nostri dentro ci sentissero. Jean-Eric si lascia sfuggire un sorrisetto. Si sporge verso di me, ma invece di baciarmi, allunga la mano e schiaccia il pulsante del campanello. <Vedrai che andrà tutto bene> mormora. Mi prende per mano e io mi trattengo di dargli un pugno dritto sul braccio. Proprio non lo sopporto quando fa così. Non passa molto tempo prima che mia madre apra la porta. <Jean! Martine!> ci abbraccia. <Ah che bello avervi qui, venite dentro, forza!>. Ci spinge dentro, mentre va a chiamare anche gli altri. Mia mamma ha sempre avuto dei modi più all’italiana che alla francese e devo dire che a volte questa cosa mi diverte ma altre mi mette davvero in imbarazzo. E in questo momento si tratta del secondo caso. Dalla cucina vediamo arrivare anche i genitori di Jean che gli fanno subito gli auguri seguiti dai miei ovviamente. <Dai raccontateci qualcosa di nuovo che non vi vediamo da un po’> esclama la mamma di Jean. Io e il mio ragazzo ci sediamo sul divano da un lato, mentre i nostri genitori sull’altro. Lancio uno sguardo a Jean, come ad incitarlo in modo che dica lui quella cosa. Ma invece i suoi occhi mi implorano di parlare al posto suo. Parla tanto di me e delle mie paranoie inutili, poi non sa neanche dire che siamo fidanzati davanti ai suoi genitori. Mi trattengo dall’alzare gli occhi al cielo. Ritorno a guardare i nostri che sono in attesa di avere novità. <Ehm… noi…> balbetto. Non so dove trovare le parole dannazione. Non sono mai stata troppo brava a parlare quando sono sotto pressione. Prendo un bel respiro e alla fine sgancio la bomba. <Io e Jean stiamo insieme>. Nella stanza cala il silenzio. Poso gli occhi su mia madre e credo stia per avere un infarto. Passano esattamente dieci secondi prima che le nostre mamme urlino <O MIO DIO!>. Non ho tempo di dire altro che vengo soffocata dall’abbraccio di mia madre. La madre di Jean sta facendo nel frattempo la stessa cosa con il figlio. Il salotto si riempie dei vari complimenti delle nostre madri insieme a tutti “perché non ce l’avete detto prima?” e “ma da quanto?”. Ammetto che mi aspettavo un pochetto questa reazione soprattutto da parte delle nostre mamme. In fondo loro hanno lavorato quasi tutta la vita per farci mettere assieme e ora finalmente hanno raggiunto il loro obiettivo. <Non da molto, un mese circa> mormora Jev, dopo che si sono staccate da noi. Finalmente dice qualcosa. Gli lancio un’occhiataccia di mezzo rimprovero, come a dire “potevi anche spicciarti prima a parlare”. Lui non dice nulla, mi fa solo le spallucce. Ma il discorso viene interrotto da mio padre che ci dice che è meglio proseguire a tavola, anche perché ormai è ora di pranzo. In effetti anche io sto morendo di fame. Pranziamo in cucina, con tutte le deliziose pietanze che ci hanno preparato i nostri. Mentre aspettiamo la torta, bevo un sorso dal mio bicchiere d’acqua. Ma quasi mi strozzo quando sento dire dalla madre di Jean <Allora ragazzi, quando pensate di regalarci dei nipotini?>. <Mamma!> esclama suo figlio alzando la voce. Io inizio a tossire per l’acqua che mi è andata di traverso. <Che c’è? Ormai state insieme da un mese e vi conoscete da una vita, è normale parlarne!> ribatte lei. Dopo essermi ripresa, mi volto verso Jean che è visibilmente imbarazzato. La gravidanza è un argomento che non abbiamo neanche minimamente sfiorato da quando siamo diventati una coppia. Il nostro rapporto è fatto di un equilibrio davvero fragile e solo adesso ci siamo “ritrovati” dopo le diverse litigate che abbiamo avuto negli scorsi mesi, quindi direi proprio che un bambino al momento non è tra le nostre priorità. <Io penso che sia troppo presto. Jean è concentrato sulla sua carriera e io presa con i miei impegni, quindi non credo sia il momento giusto per avere figli> rispondo io con tranquillità tornando a guardare le nostre mamme. No, questo non è proprio il momento per avere un bambino, anche perché non saprei come gestirlo. La madre di Jean annuisce comprensiva e accennando un sorriso. Subito dopo mangiamo la torta, che era squisita, facciamo un paio di foto come nostra tradizione e poi, nonostante abbia insistito per aiutare mia mamma a sistemare, vengo “cacciata” in salotto dove mi perdo davanti a guardare le foto di me e Jean quando eravamo piccoli. Amo questi ricordi. Sono la parte più preziosa di me. Davvero non saprei come sarebbe andata la mia vita se non ci fosse stato Jean accanto a me. Guardo una mia foto di quando avevo 7/8. Me l’aveva fatta papà.

Sorrido mentre sfioro con le dita il vetro. Un paio di braccia mi avvolgono da dietro. <Odiavo a morte quella frangetta> mormoro indicando la foto. Jev ride dietro di me. <Me lo ricordo. Quante paranoie mi hai fatto per quella frangetta! Volevi anche che te la tagliassi io> mi dice. <Ma poi non te l’ho fatto fare perché se no sarebbe venuta una schifezza> gli rispondo. <Tu eri bellissima comunque anche con la frangetta, solo che non te ne accorgevi mai> mi sussurra per poi lasciarmi un bacio dietro l’orecchio. Ha ragione, non me ne accorgevo mai. Jean mi fa rigirare tra le sue braccia. <Sei bellissima petite, credimi quando te lo dico> mormora sfiorandomi il viso con le dita. Lo dice con una sincerità tale da far diventare le mie gambe gelatina, mentre il mio povero cuore fa un paio di capriole nel petto. Faccio un piccolo sorrisetto. <Ti credo> sussurro per poi baciarlo piano sulle labbra. Lui ricambia con la stessa delicatezza. È un bacio dolce, lento che racchiude tutte le parole che non ci siamo detti. Quando ci stacchiamo, mi viene in mente una cosa. <Aspetta un secondo> dico per poi allontanarmi. Jean-Eric mi guarda confuso e ciò mi diverte. Prendo dalla borsa una scatoletta e ritorno da lui. <È il primo dei due regali che ho fatto per te> dico porgendogli la scatola. <Marti… Non dovevi, lo sai> mormora prendendolo. <Shh… aprilo e basta> gli rispondo e lui sorride. È una scatola blu, non molto grande, forse sospetta già di cosa si tratta. Ma i suoi occhi pieni di sorpresa quando la apre, mi fanno capire che non se l’aspettava per niente. <Tu sei matta> mormora e io rido. È un orologio della Tag Heuer, un modello che non è uscito da tanto.

<Ma ti sarà costato una fortuna!> esclama. <Non importa. Un regalo è un regalo> gli rispondo io. In effetti è costato un po’, ma ho ricevuto uno sconto del 40% perché sono andata in un negozio di una mia amica che vende anche questo tipo di orologi. Lui se lo rigira tra le mani e dietro il cinturino c’è una scritta. Ho chiesto io di farla incidere. Jev&ML: forever. E in più ho chiesto di lasciare uno spazio in più per una scritta che farò fare nel caso in cui… Non riesco a pensare altro perché Jean mi abbraccia fortissimo. <Sei fantastica> sussurra per poi lasciarmi tanti piccoli baci sulla guancia. Sorrido per poi stringerlo di più a me. Questo è solo un regalo. Sono sicura che il secondo che lo apprezzerà ancora di più. Successivamente vado in veranda mentre mio padre, Jean-Marie e Jean-Eric sono in garage per sistemare chissà cosa. Mia mamma e la mamma di Jean sono in cucina a preparare il tè e così mi trovo da sola a fissare l’albero nel giardino dei Vergne. I suoi rami sono abbastanza in alto da raggiungere la finestra della camera di Jean, che si trova al secondo piano, e ho perso il conto delle volte in cui ci sono salita di nascosto di notte, quando i nostri genitori erano via e passavo la serata con lui a vedere film e a giocare ai giochi più stupidi. Alla fine crollavamo addormentati per terra. Sono davvero stata fortunata ad avere un amico e ora un fidanzato come Jean. <Lo sapevo che prima o poi ti saresti fatta mio fratello!>. Una voce dietro di me mi fa sussultare. Quando mi volto mi ritrovo faccia a faccia con il sorrisetto malizioso di Lea. <Chi non muore si rivede> le rispondo io abbracciandola. <Sai che non manco mai all’appuntamento Lacroix> mi dice dandomi una pacca sulla spalla. Mi lascio sfuggire una risata per poi tornare con le mani sulla ringhiera. Lea si mette accanto a me. Immagino abbia saputo della relazione tra me e Jev da sua madre. <Da quanto state insieme?> mi chiede poi. <Un mesetto> le rispondo e lei annuisce piano. Tra noi cala il silenzio abbastanza imbarazzante tra noi. Inizio a pensare che le dia fastidio che io stia con suo fratello quando si volta verso di me e dice <Sono felice per voi, davvero. Sei la persona più adatta a lui di qualunque altra ragazza abbia mai avuto. Jean è una persona complicata, lo sai, lo sai meglio di chiunque altro, quindi immagino non sarà facile, però fidati se ti dico di non mollare. Ma non perché sono sua sorella o perché voglio che state insieme per forza, ma perché so che sei quella giusta per lui, sul serio. Non poteva scegliere altre se non te>. Io la guardo con gli occhi spalancati. Io e Lea abbiamo sempre avuto un rapporto un po’ particolare. Essendo la migliore amica di suo fratello, Jean passava molto tempo con me, quasi di più di quando ne passasse con lei. Ci sono stati momenti di tensione perché a Lea dava spesso fastidio la vicinanza tra me e Jean, e da una parte potevo anche capirla. Ma poi alla fine mi ha accettata, nonostante tutto e nonostante fino a non molto tempo fa le desse ancora un po’ fastidio la mia presenza. Quindi sentire oggi queste parole da lei mi fa davvero molto piacere. <Grazie Lea> mormoro ancora colpita. <E di che? Ho detto solamente la verità. Sono sicura che se la vostra relazione non durerà per sempre, durerà comunque tanto, tanto tempo> prosegue lei tornando a guardare il giardino. Il mio sguardo va a finire sul vialetto di casa dove, appena usciti dal garage, ci sono Jean e i nostri papà. Il mio ragazzo ancora non ci ha notate: è tutto preso a parlare con Guillaume con le mani infilate nelle tasche della giacca di pelle. <Gli manchi tanto sai?> dico ad un certo punto attirando la sua attenzione. Lea non è quasi mai a casa. Nell’ultimo anno è presa a girare il mondo e quelle poche volte che sta a casa gira per la Francia per le gare di equitazione. Jean non me lo dice mai, ma le manca tanto, lo so. Ed è normale che sia così, voglio dire, sono fratello e sorella. <Lo so e mi dispiace. Per questo weekend ho deciso di stare a casa e andare a vedere l’E-Prix di Parigi. Magari gli porto fortuna> mi dice lei guardandomi con un sorriso. Ma posso comunque notare un sottile velo di nostalgia nei suoi occhi. <Sono sicura che gli farà molto piacere> le rispondo rassicurandola, appoggiando una mano sulla sua spalla. Lea mi sorride per poi tornare a guardare il trio nel vialetto. Proprio in quel momento Jean rivolge uno sguardo alla veranda e sembra accorgersi solo ora della presenza della sorella. Lui la guarda scioccato, per poi correre verso di noi. Quasi salta gli scalini della veranda e abbraccia Lea. Io li lascio al loro momento facendo un passo indietro. Ho sempre pensato a Jean-Eric come il mio fratello maggiore, spesso dimenticandomi che lui una sorella ce l’aveva già. <Ma da quanto sei arrivata?> chiede poi il pilota allontanandosi brevemente da Lea. <Stamattina, sul tardi. Sono andata a sistemare un attimo casa e poi sono passata qui> risponde lei. Jean scuote la testa ancora incredulo. <E comunque buon compleanno fratellone!> esclama scompigliandogli i capelli. Lui si lascia sfuggire una risata per poi darle un bacio sulla guancia. Poi passa lo sguardo su di me, che fino a quel momento sono stata in disparte. Mi si avvicina immediatamente e mi stringe a sé mettendomi un braccio attorno alla spalle. <Ehm… Io e Martine…> balbetta, ma Lea lo blocca subito sorridendo <State insieme. So già tutto>. Jean sospira visibilmente sollevato. <Però mi raccomando: non voglio che fate cose sconce in mia presenza. Non voglio proprio vedere sbaciucchiamenti, toccatine o robe simili, grazie> prosegue poi con faccia schifata. Io e Jev scoppiamo a ridere, seguiti da Lea. Sono proprio felice che le cose siano tornate come prima.
 
Io e Jean ora siamo in macchina, direzione Parigi. Siamo rimasti a casa dei miei un’altra mezz’oretta. Ho lasciato e Lea e suo fratello si parlassero da soli per un po’, perché immagino che entrambi abbiano avuto molte cose da raccontarsi, ma soprattutto cose di cui Jean non può parlare con me. Guardo fuori dal finestrino persa nei miei pensieri. I miei occhi vagano per le vie della città, fino a quando non si posano su una piccola famiglia che cammina su un marciapiede. La mamma e il papà tengono per mano un bambino che avrà sui quattro anni. Vedo il bimbo ridere e divertirsi mentre i suoi genitori lo fanno saltare. Una famiglia… Jean e io avremo mai una famiglia? Sono certa che Jean-Eric sarebbe un padre meraviglioso, ma io… io riesco a malapena a gestire la mia vita. Figuriamoci gestire quella di una piccola creatura così fragile. No, no, sarei proprio una pessima mamma. Non farebbe proprio per me. Però l’idea di creare qualcosa di così speciale con la persona che amo di più al mondo… <Martine? Tutto ok?> la sua voce mi riporta brutalmente alla realtà. Rivolgo lo sguardo verso di lui. <Sì, sì tutto a posto> gli rispondo, nonostante il mio tono mi tradisce. <Sei sicura? Lo sai che puoi dirmi tutto> prosegue lui guardando la strada, ma appoggiando la mano destra sulla mia coscia. Ovviamente è impossibile nascondergli qualcosa. Ma io non voglio rovinare questa giornata con le mie preoccupazioni. Quindi decido di mentirgli, anche se so che la mia bugia bianca non se la berrà mai. <Davvero Jean, è tutto ok> dico per poi sporgermi e dargli un bacio sulla guancia. Lo vedo annuire piano, nonostante capisco che non mi crede. Ritorniamo presto a Parigi e chiedo a Jean di passare a casa mia invece che sua. Lui mi risponde affermativamente, come se fosse una cosa da nulla. Invece cosa da niente non è. Non sospetta niente di quello che ho preparato, per fortuna. Jean parcheggia la macchina sulla via e, dopo aver chiuso le portiere, andiamo verso il palazzo. Saliamo le scale in silenzio. Una volta arrivati davanti alla porta del mio appartamento lui mi blocca per il polso. <Sei sicura di stare bene?> mi chiede preoccupato. Sicuramente si riferisce ancora alla storia di sua madre. In effetti la cosa mi ha un po’ turbata, ma non voglio pensarci, non ora, non oggi. <Sto bene Jean, credimi, va tutto bene> gli rispondo decisa. Jean annuisce. Non mi crede ancora, glielo leggo negli occhi. Così mi alzo sulle punte dei piedi e lo bacio piano sulle labbra. Dopo pochi secondi mi allontano, ma tengo una mano sulla sua guancia. <Non roviniamoci questa giornata speciale ok?> mormoro. Jean si lascia sfuggire un sorriso e mi bacia di nuovo con più decisione. Io ricambio con altrettanta passione, ma nel frattempo mi lascio sfuggire dalle mani le chiavi che avevo preso per aprire la porta e che ora cadono facendo molto rumore. Jean-Eric si lascia sfuggire una risata e così mi allontano per riprenderle. Naturalmente il gesto di far cadere le chiavi non è per niente casuale. Ma il mio ragazzo sembra ancora non accorgersi di nulla. Così mentre anche io vengo contagiata dalle sue risate, apro la porta dell’appartamento e lui mi lascia tanti piccoli baci sul collo, con l’intenzione di non lasciarmi andare neanche per un momento. Entriamo in casa e le luci sono spente. Lascio chiudere la porta alle mie spalle, mente Jean si avvicina di nuovo a me. Mi prende per i fianchi e proprio nel momento in cui sta per baciarmi di nuovo, le luci si accendono all’improvviso e sentiamo gridare <SORPRESA!>. Ci voltiamo entrambi verso quelle voci, io con un sorriso, lui scioccato. Dietro al divano spuntano Daniel e Antonio, da dietro le tende sbuca André, mentre nascosto vicino alla lampada da terra c’è Nicolas, un nostro amico. Jean li guarda senza parole. Passa lo sguardo tra me e i suoi amici stupefatto. <Hai organizzato tutto tu?> mormora. <Può darsi> gli rispondo facendogli l’occhiolino. Ma in quel momento veniamo interrotti da André che tenta di sollevare da terra Jean di spalle. <Dannazione André ma sei pazzo?! Mi hai fatto prendere un colpo!> urla il francese, mentre io mi piego in due dalle risate. <Caro mio stai diventando vecchio!> ribatte il tedesco con un sorriso. <Parla quello che ha quasi trentasette anni> risponde Jean e André si finge offeso. Nel frattempo il mio ragazzo viene raggiunto dagli abbracci e dagli auguri degli altri, così mentre si mettono a parlare, il compagno di squadra di Jean-Eric mi rivolge la parola <È andato tutto bene dai vostri genitori?>. Io annuisco. <Sì, sì. Nulla di che> gli rispondo guardandolo brevemente. <Non mi sembri troppo sicura però> ribatte. E niente, oggi non riesco a nascondere nessuna delle mie preoccupazioni. <Te ne parlerò più avanti> gli dico e lui mi guarda comprensivo. <Quando vuoi Marti, sai che ci sono sempre> mormora. Gli sorrido e lascio che mi avvolga un braccio attorno alle spalle, mentre mi bacia la tempia. Il resto della serata la passiamo chiacchierando e scherzando e per fortuna riesco a mettere da parte per un po’ le mie paranoie. Jean inoltre riceve come regali: da André un paio di occhiali da sole a dir poco imbarazzanti e degli nuovi attrezzi particolari per la sua macchina fotografica, da Nicolas dei CD musicali, da Daniel e Antonio un cappello e una felpa da rapper che credo Jev non indosserà mai. È quasi ora di cena quando i ragazzi se ne vanno. Butto nel cestino i bicchieri di plastica che abbiamo usato, mentre sento Jean sedersi sul divano facendo con un grosso sospiro. Sorrido. Mi volto e vado verso di lui. <Non ho fatto praticamente niente eppure sono stanchissimo!> esclama quando gli sono davanti. Mi lascio sfuggire una risata. <È così che funzionano i compleanni no?> ribatto io con un’alzata di spalle. <Immagino sia così> mormora lui socchiudendo gli occhi e buttando la testa all’indietro. Proprio in quell’istante mi viene in mente una cosa, perciò vado velocemente in camera mia. Recupero da sotto il letto una grossa scatola bianca con un nastro rosso a chiuderla e ritorno da Jean. Quando sente di nuovo la mia presenza in salotto, riapre gli occhi e li posa su di me. Osserva con uno sguardo confuso la scatola che tengo in mano. <È il mio secondo regalo per te> gli spiego porgendogliela. La prende in mano titubante. <Marti…> cerca di dire, ma io lo blocco subito <No Jean. Il tuo compleanno capita solo una volta all’anno, quindi lascia che ti faccia IO dei regali, almeno per oggi>. Jev sospira di nuovo rivolgendomi un ultimo sguardo per poi sciogliere il nodo del nastro. Il mio cuore batte fortissimo, un po’ per l’entusiasmo, un po’ per la paura che il mio regalo possa non piacergli. Apre la scatola. Trattengo il respiro. Solleva in mezzo alla carta l’oggetto che c’era nascosto. È un casco. Il nostro casco. Jean apre la bocca e la richiude un paio di volte incredulo. Per qualcuno questo regalo può sembrare nulla di che, ma per noi… per noi è tutto. Abbiamo disegnato questo il modello di questo casco quando avevamo 7 anni. Lui aveva creato il design, mentre io lo avevo colorato. Questo casco rappresenta il suo sogno, che poi con il tempo è diventato anche il mio. Se lo rigira tra le mani senza parole. All’inizio era solo un foglio di carta, un’idea irrealizzabile, ma io sono riuscita a trasportarlo sul suo casco che porta oggi in Formula E. Quel sogno è diventato realtà, o quasi. È in testa al campionato e ormai mancano poche gare alla fine. Forse diventerà campione. Anzi senza il forse. Lo diventerà di sicuro. Me lo sento. Ha tutte le capacità per diventarlo. E non importa se non è in Formula 1. Quello che conte è che lui creda in sé stesso e voglio che questo casco lo aiuti in quel processo. Perché anche se non lo ammette mai, lui ogni tanto pensa e ripensa ai motivi per cui Helmut Marko lo ha sbattuto fuori e in quei momenti crede di essere un’incapace di non avere le qualità di un buon pilota. E invece io so benissimo che non è vero. <Martine questo è…> sussurra. Io sorrido. So quanto significa per lui quel casco. <Ti piace?> gli chiedo, ma a questo punto so già la risposta. <Marti è… stupendo> mormora. Alza lo sguardo verso di me e mi guarda negli occhi. Appoggia il casco sul divano accanto a sé, per poi alzarsi e abbracciarmi. Jean è la prima volta che mi abbraccia così. Mi abbraccia come se fossi allo stesso tempo la sua migliore amica e la sua fidanzata. Mi abbraccia come se fossi unica, come se il resto non contasse più. Io ricambio affondando il viso contro il suo petto. Jean-Eric nasconde il suo viso contro il mio collo e fa una cosa che non mi sarei mai aspettata: inizia a piangere. Le sue lacrime bagnano la mia maglietta, mentre i singhiozzi scuotono il suo corpo. Gli accarezzi la schiena e i capelli, cercando di tranquillizzarlo. Restiamo così, nella nostra bolla con il mondo fuori, per un lasso di tempo per me infinito. Poi, dopo che Jean si è un po’ calmato, sollevo piano la sua testa dalla mia spalla e lo costringo a guardarmi negli occhi. Gli asciugo con i pollici le lacrime che ancora scorrono sulle sue guance. <Perché piangi?> gli chiedo in un sussurro. Devo dire che per la mente mi è passato anche il pensiero che fosse triste per qualche motivo che non so oppure per qualcosa di brutto che mi tiene nascosto e che ancora non ha avuto il coraggio di dirmi. Anche perché non l’ho mai visto così. <Perché Martine, sei tu il regalo più bello che potessi farmi> mormora ad un certo punto per poi premere deciso le sue labbra sulle mie. Ricambio con altrettanta passione. Incrocio le braccia dietro il suo collo e lo avvicino ancora di più a me. Ti amo Jean-Eric Vergne. Sei tu il mio regalo più grande.
 
Spesso mi sono chiesta cos’è la felicità, cosa mi rendesse felice. Ora lo so. O forse l’ho sempre saputo e non ho mai avuto la capacità di ammetterlo. I suoi sorrisi, le sue risate, le sue lacrime di gioia, i suoi scherzi, le sue battute, le parole che mi dice per rassicurarmi e quelle per ricordarmi che sono forte, i suoi baci, le sue carezze, i suoi abbracci: queste cose sono la mia felicità.

Lui è la mia felicità.

Spazio autrice:
Ehilà ciao a tutte! Rieccomi con questi due che sono sempre più belli!!!🥺🥺❤🥰 Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante non sia il massimo. Ho cercato di farvi capire quanto sia speciale sia per Martine che per Jean questo giorno e soprattutto il secondo regalo di Marti e spero di esserci riuscita!😅😅❤ Perdonatemi ancora per avervi fatto aspettare così tanto per il nuovo capitolo. Spero di poter pubblicare il prossimo un po' più velocemente.
E nulla, questo è tutto. Ci si "vede"!
Bacii😍❤🥰
Martina

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