14. Crisi? (quatorze)

23 marzo 2018
Sono ritornata a casa, dopo aver fatto colazione con Jean. E proprio prima di arrivare al mio appartamento, ho trovato nella posta una lettera indirizzata a me. All’inizio penso sia una delle solite  bollette, ma poi mi rendo conto che è troppo raffinata. La prima cosa che faccio ovviamente è aprirla. Non ho idea di chi possa avermela mandata, anche perché sulla busta non c’è scritto il mittente. Ma immediatamente sbianco quando leggo le prime parole di quello che c’è scritto.
 


Christian e Camille annunciano con gioia il loro matrimonio il giorno 25 marzo 2018 alle ore 9:45 presso la chiesa di Saint-Ambroise a Parigi. Alla cerimonia farà seguito il ricevimento presso il ristorante…
 
Inizio a leggere e a rileggere quelle righe senza fermarmi. Mi sembra quasi surreale. La prima emozione che passa attraverso il corpo è la rabbia. Come diamine si fa ad invitare la propria ex, che hai pure tradito, al tuo matrimonio?! Il secondo pensiero che passa per la mia testa invece è: Jean non lo deve assolutamente sapere. Se prima temevo la sua reazione per una semplice telefonata, figuriamoci per un invito ad un matrimonio. Nascondo in fretta e furia la lettera nella mia borsa, poiché sono già in ritardo per il lavoro. Esco di casa e mi avvio verso l’officina con la speranza di riuscire a nascondere la cosa fino a quando non troverò il momento giusto per dirglielo.
 
Jean🤍🥰: Ti passo a prendere al lavoro dopo pranzo. Ci vediamo dopo😘
 
Il messaggio di Jean arriva mentre sto mangiando un panino seduta su una sedia accanto alla macchina che oggi stavo riparando. In teoria dovrei essere felicissima, non solo perché Jev mi viene a prendere, ma perché l’auto che sto riparando è una delle più belle che ci siano: è una Ferrari Testarossa. È la prima volta che metto le mani su una Ferrari e devo dire che quasi ho paura di romperla. Il problema è che non sto pensando più così seriamente alla macchina, ma a quella fottuta lettera. E ora naturalmente si ripropone la questione di come dirglielo a Jean. Mi si stringe lo stomaco al pensiero della sua possibile reazione. Dopo aver finito il mio panino, cerco di concentrarmi ancora un po’ sulla macchina, ma senza riuscirci. Anche Jacques ha notato il mio “nervosismo”, perciò, mi lascia libera un po’ prima. Mi cambio velocemente nel retro dell’officina ed esco, aspettando Jean in piedi sul marciapiede. E non tarda ad arrivare. Con la sua DS elettrica, che gli invidio tantissimo, si ferma davanti a me abbassando il finestrino. <Vuole un passaggio signorina?> mi chiede con un sorrisetto. Io scuoto la testa ridendo e salgo dalla parte del passeggero. <Bonjour> mi saluta con un bacio sulle labbra. <Bonjour> mormoro mentre metto la cintura di sicurezza. <Allora, com’è andata oggi?> mi chiede guardando la strada davanti a sé. <Bene, credo. Stiamo sistemando una Ferrari> dico spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. <Ma è fantastico! Tu hai sempre sognato di mettere le mani su una Ferrari!> esclama guardandomi brevemente. <Sì…> sussurro. Cerco di mostrarmi entusiasta, ma è sempre più difficile. Perciò l’unica cosa che mi sembra più logico fare è spostare l’attenzione da me a lui. <E te? Cosa hai fatto oggi> gli chiedo io. So quanto gli piace parlarmi di quello che fa con la sua squadra, delle sessioni con il simulatore, eccetera. <Oggi abbiamo fatto un sacco di cose. Prima siamo stati al simulatore, poi…>. Naturalmente perdo il filo del discorso dopo due minuti, ma cerco di dargli qualche segnale (falso) che lo sto ascoltando. Una parte di me continua a gridarmi che devo dirglielo, perché se non lo faccio potrebbe scoprirlo da solo e non credo la sua reazione sarebbe delle migliori; ma l’altra parte mi dice che sarebbe meglio tenermelo per me e dirglielo in un secondo momento, nonostante il matrimonio sia tra due giorni. Che casino… <Marti, siamo arrivati> mi dice Jean ad un certo punto risvegliandomi dai miei ragionamenti. Guardo fuori dal finestrino e mi rendo conto che siamo arrivati davanti a casa mia senza che io me ne accorgessi. <Oh, sì… certo> balbetto recuperando la mia borsa mentre esco dalla mia macchina. Lascio perdere lo sguardo confuso del mio ragazzo mentre saliamo le scale. Entriamo nel mio appartamento, io prima di lui. <Fai come se fossi a casa tua, io vado a… cambiarmi> dico per poi andarmene in camera mia e lasciarlo da solo. Non so neanche più che cosa sto dicendo. Probabilmente lui avrà già capito che c’è qualcosa che non va, ma devo cercare di mostrarmi il più naturale e tranquilla possibile, anche se so che lui mi scoprirà comunque. Vado in bagno e mi appoggio con le mani al lavandino. Guardo in basso, mentre lo stringo con forza, facendo diventare le mie nocche bianche. Ce la farò? Non lo so…
 
Jean-Eric
Mi tolgo la giacca mentre mi guardo attorno. Martine mi è sembrata… strana. Come se qualcosa la turbasse. Ma magari, non è nulla di che ed è solo un po’ nervosa. Mi fermo al centro del salotto. L’appartamento di Martine è sempre stato come una seconda casa per me e per lei vale la stessa cosa con il mio. Mi ricordo ancora di quando venni qui, disperato per aver perso il posto in Formula 1 e lei mi accolse senza problemi, lasciandomi piangere rassicurandomi che prima o poi sarebbe andato tutto bene. Piangevo sulla sua spalla senza sosta, mentre lei mi accarezzava piano i capelli. “So che andrà meglio di così Jean. Tu adesso sei caduto e ti hanno fatto male, ma ti rialzerai più forte di prima, vedrai”. Le sue parole risuonano ancora nella mia testa. Non ero mai riuscito ad aprirmi con nessuno in quel modo, nemmeno con i miei genitori. L’avevo fatto solamente con lei. Il mio sguardo si sofferma su una foto appesa ad una parete. Mi avvicino e noto che è una foto di quando avevo vinto il campionato di Formula 3 Inglese. Avevamo solo vent’anni. La foto ritrae me e Martine insieme, subito dopo le celebrazioni sul podio. Lei sorridendo mi aveva alzato il braccio e mi aveva indicato come a dire “E’ lui il campione”. Io sorridevo come un bambino ed ero ancora mezzo bagnato di champagne con la bandiera francese attorno alle spalle. Sfioro il vetro della foto con le dita. Che bei tempi… Quando abbasso lo sguardo per terra, vedo una busta bianca accanto alla borsa di Martine. La raccolgo e me la rigiro tra le mani. Non c’è nient’altro che il nome del destinatario. Decido di aprirla, nonostante non dovrei. Io mi fido della mia ragazza, ma la curiosità ha preso il sopravvento. In teoria non dovrebbe essere nulla di particolare, però non so perché, ma ho la sensazione che ci sia qualcosa di più. Tiro fuori il foglio che c’è all’interno. Mi basta vedere il nome di Christian per far sì il mio umore cambi completamente.
 
Martine
<Ehi Jean, più tardi ti va di mangiare degli waffle? Ho imparato a farli e volevo farteli assaggiare> dico allegra mentre arrivo in salotto. È di spalle, ma si volta di scatto verso di me. Appena vedo quello che ha in mano mi ammutolisco immediatamente. Il suo sguardo è pieno di rabbia. <Cos’è questo?> mi chiede alzando il foglio e avvicinandosi a me. Le parole mi muoiono in gola. <COS’È QUESTO?!> la sua voce si alza improvvisamente mentre lancia con violenza la lettera sul bancone della cucina. Mi allontano di un passo da lui. Quando mi chiedevo quale sarebbe stata la sua reazione: eccola qua, davanti ai miei occhi. Il mio cuore ha iniziato a battere forte e non per amore, ma per la paura. <E’ l’invito al matrimonio di Christian> dico con un soffio di voce. Jev non sposta lo sguardo da me. <Perché non me l’hai detto?>. Il suo tono di voce torna normale nonostante sia comunque arrabbiato. <Perché avevo paura della tua reazione Jean> mormoro. <E come dovrei reagire scusa?! Il tuo ex, che per giunta ti ha tradita, ti manda l’invito al suo matrimonio e tu che non mi dici niente, non è una bella combinazione!> ribatte. <Mi è arrivata solo stamattina Jean! Quando avrei dovuto dirtelo, secondo te, eh?> rispondo. Lui non dice nulla, sbuffa solamente. <Spero che tu non abbia intenzione di andarci almeno> sbotta. Sono io questa volta a non dire nulla. Abbasso lo sguardo. Sento il suo sguardo fisso su di me. <Vuoi seriamente andarci?!> esclama alzando di nuovo la voce. <Non ho detto questo! Ci sto solo pensando> gli rispondo. <E ci stai anche pensando?! Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?!> mi chiede passandosi le mani tra i capelli scompigliandoseli. <Jean…> <Ma com’è possibile che tu ci pensi ancora?! Sono mesi che non ci hai più a che fare: non una chiamata, non un messaggio…> si blocca di colpo, come se gli fosse venuto in mente qualcosa all’improvviso. Posa di nuovo lo sguardo su di me. <E’ lui che ti ha chiamato ieri sera, vero?> mi chiede. Non pronuncio una sillaba. Proprio in quell’istante vedo passare attraverso i suoi occhi tutta la delusione che sta provando in questo momento. <Non ci posso credere…> mormora scuotendo la testa. <Jean aspetta, lasciami spiegare…>. Ma lui non mi ascolta. Prende il giubbotto che aveva lasciato sul divano ed esce, sbattendo la porta dietro di sé. Il silenzio ricade nel mio appartamento come se nulla di tutto questo fosse successo. Come un automa, mi vado a sedere sul divano. Mi porto la testa tra le mani. Perché deve essere tutto così complicato? Io speravo che dopo Punta, io e Jean potessimo avere una relazione normale, come tutte le coppie normali, ma evidentemente le cose semplici non fanno per noi. Ma avrei dovuto prevederlo: io e Jean siamo fatti così, non riusciamo a stare insieme per più di sei giorni senza discutere. E la colpa, come sempre, è mia. Anche di quel coglione del mio ex, ovvio, ma principalmente mia. Mi mordo il labbro. Jean è il mio tutto. Christian non esiste più per me. E allora perché andare al suo matrimonio? La spiegazione è semplice: dimostrare a lui e alla mia, ormai vecchia, migliore amica, che mi sono rifatta una vita, con Jean-Eric. Voglio dimostrargli che io, il tradimento, l’ho superato e sono andata avanti. Mi passo una mano tra i capelli. Io vorrei solo essere più forte di così, ma non sono capace. Per un attimo mi sembra che tutto sia inutile e che nulla ha senso. All’improvviso mi sento spoglia, uno scarto, non abbastanza. Fisso il vuoto senza motivo. So cosa mi sta succedendo, lo so perfettamente. Inizio a giocherellare con le mie dita. Mordo con forza l’interno della mia guancia. Voglio solo piangere, ma neanche una lacrima esce dai miei occhi. Ho bisogno di Jean, ma lui ora non c’è.
 
Jean-Eric
Il sole sta tramontando mentre torno a casa di Martine con due scatole di pizza in mano. Magari non è il modo migliore per farsi perdonare, ma almeno ci provo. Sono stato fuori tutto il pomeriggio da quando abbiamo discusso. Ammetto che la mia reazione è stata esagerata, però non ho potuto farne a meno. Quando sono particolarmente arrabbiato non ragiono e spesso dico cose che non penso veramente e che potrebbero ferire la persona che ho davanti. È vero, succede a tutti, ma io perdo proprio la testa. Arrivo in fretta a casa sua e apro la porta con il secondo mazzo di chiavi che ho. <Ehi Marti, sono tornato> mormoro entrando. Silenzio. Rimango per qualche secondo confuso. Vado ad appoggiare le pizze sul bancone. <Marti?> la richiamo di nuovo, ma ancora non mi risponde. Mi aggiro per l’appartamento cercandola, ma non c’è. La chiamo al cellulare, ma squilla a vuoto. Mi sto seriamente preoccupando. Esco di nuovo di casa con la stessa velocità con la quale sono entrato. Inizio a camminare per le strade di Parigi, con il telefono in mano continuando a chiamare Martine. Vago senza una meta anche perché non so dove andare. Mi sento perso. Arrivo alla Senna. Percorro la stradina sterrata accanto al fiume. Io e Martine ci venivamo sempre qui. È uno dei nostri posti preferiti di tutta Parigi. Alzo lo sguardo dal telefono e guardo davanti a me. Ed è proprio in quel momento che la vedo, seduta su una panchina, da sola. Corro verso di lei senza neanche pensarci. <Mio Dio Martine, mi hai fatto preoccupare tantissimo!> esclamo avvicinandomi a lei. Non risponde, guarda fisso davanti a sé. All’inizio penso che il suo comportamento sia strano, ma poi noto le sue mani. Si gratta quasi compulsivamente le nocche e il dorso. E allora capisco.
 
Found you when your heart was broke. I filled your cup until it overflowed. Took it so far to keep you close, I was afraid to leave you on your own…
 
Mi abbasso alla sua altezza e poso una mano sul suo ginocchio. <Ehi ascoltami. Scusami per prima, non dovevo reagire così. Ho esagerato. Ero molto arrabbiato, ma so che non può essere una scusante, perché non dovrei essere così geloso di te, perché so che mi ami. Se hai ancora voglia, possiamo andare insieme, magari non alla cerimonia, ma al ricevimento, mhm? Ci stai?> le chiedo accennando un sorriso. Lei continua a non dire nulla. Guarda un punto indefinito dietro di me continuando a grattarsi la mano. Ormai la pelle è diventata rossa. <Basta Marti, ti stai facendo male> mormoro allontanandole le mani. “Dì qualcosa, ti prego” penso nella mia testa. Vedo il suo petto alzarsi e abbassarsi velocemente. Era da un po’ che non le veniva una delle sue “crisi”. Le chiamavamo così quando eravamo più piccoli. Le succedeva soprattutto quando si sentiva delusa o triste per qualcosa, ma invece di sfogarsi con qualcuno, si teneva tutto dentro. Fino a quando non si sentiva completamente persa e sfogava la sua rabbia su se stessa. Non è mai arrivata a tagliarsi le vene o qualcosa di simile per fortuna, ma si grattava o mordeva le mani. A molte persone un comportamento del genere può sembrare completamente fuori di testa, ma fidatevi che non è così. Quando una persona sta male, come lo è stata lei, non c’è comportamento in quel momento che per lei non abbia senso. Quando si sta male così, non si ragiona più. Io glielo visto fare tante troppe volte, la vedevo soffrire davanti ai miei occhi, senza che io potessi fare nulla. Quando le dicevo di smettere, lei scoppiava a piangere a dirotto senza fermarsi, le veniva un forte mal di testa, io l’abbracciavo stretta a me e poi si addormentava tra le mie braccia. E io non voglio che ricominci a stare male come ad allora. <Amore, guardami> dico con fermezza. Martine mi ascolta. I suoi occhi sono lucidi, ma non piange. Si sta trattenendo con tutte le sue forze, la conosco. Mi immergo nei suoi occhi marroni, molto più scuri dei miei. A volte non percepisco neanche la differenza tra la pupilla e l’iride. Martine si alza all’improvviso. <Tu non capisci Jean. Io non sarò mai abbastanza per te. Stiamo insieme da soli 6 giorni e già abbiamo litigato per colpa mia. Non vedi che sto già facendo casini? Avresti una vita migliore senza di me e lo sai. Io non ti amo Jean. Non ti amo come meriti. Non vedi che alla prima occasione già ritorno da lui? Non sono capace ad amare Jean, non sono capace. Giuro ci sto provando, ma non ci riesco. Non sono forte come tu credi>. Gesticola velocemente, non riesce a controllare il tono della sua voce e nemmeno le lacrime che solo ora iniziano a rigare il suo viso. Le cose che sta dicendo non sono vere e non se ne rende conto. Non ha il controllo di sé stessa. Questa non è la mia Martine. E mi fa male vederla così. Mi avvicino a lei e l’abbraccio forte. <No Jean, vattene, non ti merito… Lasciami da sola…> dice tra i singhiozzi, cercando di spingermi via. <Scordatelo. Io resto qui> dico io.
 
I said I'd catch you if you fall. And if they laugh, then fuck 'em all. And then I got you off your knees, put you right back on your feet, just so you could take advantage of me…
 
E mantengo la promessa. La lascio sfogare, lascio che le sue lacrime mi bagnino la mia maglietta, tanto non mi importa. Le accarezzo piano i capelli. Le lascio un bacio sulla fronte. La intrappolo tra le mie braccia appoggiando il mento sulla sua testa. Le sfioro la schiena cercando di calmarla. Se solo l’avessero capita quando lo chiedeva silenziosamente e senza pretendere nulla in cambio, invece di escluderla completamente da qualunque cosa loro facessero, ora lei non starebbe piangendo a dirotto davanti ai miei occhi. Quando si è calmata, con due dita le sollevo il mento e la costringo a guardarmi negli occhi. <Va meglio ora?> le chiedo. <Più o meno> mi risponde lasciandosi sfuggire una risata e contagiando anche me. <Andiamo a casa, che dici?> proseguo io. Lei annuisce. Mi avvicino lentamente al suo viso, temendo quasi che si allontani nuovamente da me. Ma non lo fa. Poso piano le mie labbra sulle sue ancora salate per le troppe lacrime che ha versato. La mia mano scivola lungo la sua guancia fino alla nuca. Chiudo gli occhi, assaporo le sue labbra, mi godo il momento. Quando sento che l’ossigeno inizia a scarseggiare, mi stacco da lei con la stessa lentezza di prima. Appoggio la mia fronte contro la sua e ci immergiamo uno negli occhi dell’altro. <Jean…> mi richiama. <Dimmi> <Ti amo> dice a bassa voce. Io le sorrido teneramente. <Anche io, petite. Più di quanto immagini>.
 
25 marzo 2018
 
@martinee_lacroix
Paris, France
 

The calm before the storm 📸:@jev__photos
 
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Entro con Jean, mano nella mano, nel ristorante dove si tiene il ricevimento per le nozze di Christian e Camille. Alla fine, ci siamo messi d’accordo di andare solo al ricevimento e non alla cerimonia, anche perché sarebbe stato imbarazzante. Lui era ancora un po’ incerto, ma alla fine l’ho convito con la scusa che almeno avrebbe potuto dirgliene quattro al mio ex. Appena varchiamo la soglia, tutti i presenti si voltano verso di noi. Sapevo che eravamo in ritardo di qualche minuto, ma ho visto gente fuori che stava entrando come noi, quindi non capisco il motivo di fissarci. <Perché ci guardano tutti?> sussurro a Jean. <Non ne ho idea. Magari mi hanno riconosciuto…> mi risponde lui. In effetti presentarsi con un pilota francese, che è in testa al campionato di Formula E, non era la migliore delle idee per chi voleva cercare di farsi passare inosservato, però sinceramente non mi importa più di tanto. Il nostro sguardo vaga per la sala e appena si posa su Christian, Jev stringe con più forza la mia mano. Cerchiamo entrambi di non farci caso e andiamo verso il buffet, quando veniamo fermati proprio dal mio simpatico ex. Lascio la mano di Jean per un momento. <Martine che ci fa lui qui?> mi chiede andando dritto al punto. Mi guarda male, ma io sostengo lo sguardo. <Io ho mandato l’invito a TE, non a quest’altro. Lui non potrebbe stare neanche qui e tu non dovevi portarlo> prosegue arrabbiato. <Si dà il caso che “quest’altro”, come lo chiami tu, sia il mio fidanzato> dico mimando le virgolette con le dita. Sia Jean-Eric che Christian mi guardano sconvolti. <Seconda cosa, tu non hai più l’autorità di dirmi cosa devo o cosa non devo fare. Anzi non ce l’hai mai avuta> proseguo imperterrita. <E terzo, quando avrai finito di fare queste scenate ce lo fai sapere, grazie>. Concludo così il mio discorso riprendendo Jean-Eric per mano e piantando da solo in mezzo alla sala Christian. La gente riprende i suoi chiacchiericci, come se niente fosse accaduto. Mentre mi riempio il piatto di tartine prese dal buffet, unica cosa buona di questo matrimonio, lui non dice ancora nulla, guardandomi tra lo scioccato e il divertito. <Jean, chiudi quella bocca che se no ti entrano le mosche> esclamo io divertita voltandomi a guardarlo. Lui ride scuotendo la testa. <Vieni qui> mi prende per i fianchi facendomi avvicinare di nuovo a lui. <Tu sei fan-ta-sti-ca> dice scandendo bene ogni sillaba. <Merci> gli rispondo io lasciandogli un leggero bacio sulle labbra. Subito dopo aver fatto un “bell’aperitivo”, tutti gli invitati si dirigono nel giardino che si trova dietro al ristorante e noi li seguiamo. Mettono “Thinking out loud” di Ed Sheeran e capisco che è il momento del primo ballo degli sposi. Camille e Christian iniziano a ballare un lento e io alzo gli occhi al cielo. Mi fanno venire la nausea. Una canzone così bella rovinata da questi due. Bevo un sorso di champagne cercando di non pensarci. Se fosse per me, invece di berlo lo champagne andrei a rovesciarlo su quell’orribile abito bianco che si ritrova Camille. Noto anche che ci sono altre persone che vanno in pista insieme agli sposi, mentre io rimango ferma dove sono. <Che dici se ci andiamo anche noi?>. Jean-Eric mi avvolge i fianchi con le sue braccia da dietro. Il suo respiro caldo si spande sul mio collo. <Jean non penso sia una buona idea…> <Vuoi seriamente perderti la faccia di quell’idiota quando ci metteremo a ballare davanti ai suoi occhi?>. Alle sue parole scoppio a ridere. Mi rigiro nel suo abbraccio e con un sorrisetto sulle labbra, gli dico <Ok, ci sto>. Anche lui mi sorride e mi bacia, per poi prendermi per mano e andare in mezzo alla pista. Come previsto, la faccia del mio ex cambia completamente, mentre Jev lo guarda con sfida. Si mette davanti a me e posa piano le mani sui miei fianchi. Le mie vanno a finire sulle sue spalle. Ci muoviamo lentamente. Jean mantiene lo sguardo fisso su Christian. Io poso una mano sulla sua guancia e gli faccio voltare il viso, in modo da guardarlo negli occhi. <Non guardare lui. Guarda me> gli dico con fermezza. Lui si rilassa un po’ di più e avvicina il suo viso al mio, nonostante sia un po’ difficile perché io sono nettamente più bassa di lui. <Odio il fatto che sei così alto> mormoro facendolo ridere. <Non è colpa mia se sei una nanetta> mi risponde e io spalanco la bocca stupita. Gli do una leggera pacca sulla spalla. <Non sono io che sono bassa, sei tu che sei fuori dal normale> ribatto io. <Comunque sei migliorato a ballare, davvero> proseguo io. Jean mi guarda tra l’arrabbiato e il divertito. <È vero! Mi ricordo ancora di quando c’era il ballo di fine anno della terza di liceo e hai invitato una ragazza della nostra classe a ballare. Eri imbarazzante da vedere, sul serio. Ti muovevi come un robot> proseguo. Entrambi scoppiamo a ridere. <Diciamo che il ballo non è mai stata una delle mie migliori qualità> afferma sorridendo. Rimaniamo così ancora per un po’ fino a quando la musica non finisce ed ci separiamo, poiché alcune delle invitate mi prendono in disparte per parlare, anche se io non ne ho minimamente voglia.
 
Jean-Eric
Osservo Martine da lontano parlare con alcune signore, mentre bevo un sorso di ginger. Siccome devo guidare per tornare a casa sua preferirei evitare alcolici. <Quindi adesso state insieme?>. Una voce alle mie spalle mi fa gelare il sangue nelle vene. Stringo le mani in pugno. <Che cosa vuoi?>. Il mio tono di voce è duro mentre mi volto verso Christian. <Calmati, sono venuto in pace> ribatte lui alzando le mani in segno di difesa con la sua solita voce arrogante. Io non abbasso la guardia. <Sì, stiamo insieme. Perché me lo chiedi?> proseguo io. <Giusto per assicurarmi che non stavate mentendo> risponde. Ci vuole tutto il mio autocontrollo per non tirargli un pugno dritto sul naso. <E da quanto, se posso chiedere?> <Da una settimana> gli rispondo cercando di rimanere il più tranquillo possibile. <Uhh da poco allora!> esclama. A quelle parole terribilmente mi avvicino a lui e inizio a parlare <Ascoltami bene. Non so se tu hai sentito quello che ti ha detto prima Martine, ma se hai bisogno che te lo ripeta due volte anche in altri modi, per me non c’è problema. Tu devi sparire, ok? Lei non fa più parte della tua vita, quindi devi scordartela. Prova a cercare di contattarla in qualunque modo e te la vedrai direttamente con me, capito?>. Poche parole ma che vanno dritte al punto. Lui annuisce, questa volta mezzo spaventato. Non aspetto che dica qualcos’altro per andarmene. Vado dritto da Martine e dopo essermi scusato con le signore che stavano ancora parlando, la porto via dal ristorante. Ci sediamo entrambi nella mia DS e partiamo in direzione del suo appartamento. <Grazie per avermi portata via da lì. Non ce la facevo più a sentire quelle due vecchie befane> esclama facendomi ridere. Guardo la strada davanti a me. Quando ritorno con lo sguardo su di lei, sembra pensierosa. Guarda fuori dal finestrino le strade di Parigi che scorrono sotto i suoi occhi. Si mordicchia distrattamente il labbro per poi bagnarlo con la lingua. Ritorno di nuovo a guardare la strada.  Stringendo con più forza il volante. Inutile dire che i miei pensieri non sono proprio puri. <Smettila> dico, attirando su di me il suo sguardo confuso. <Cosa?> mi chiede. <Smettila di morderti il labbro> specifico. Sulle sue labbra spunta un sorrisetto malizioso. <E perché?> prosegue lei. Mi mordo l’interno della guancia sinistra. <Perché mi stai facendo venire in mente cose davvero poco caste> le rispondo mentre sento le mie guance scaldarsi. Come previsto, Martine scoppia a ridere. <Guardati, hai le guance bordeaux!> esclama continuando a prendersi gioco di me. <Ti odio> dico a denti stretti e lei per farsi perdonare, mi lascia un bacio sulla guancia. <Ti amo anch’io> sussurra. Il tragitto che doveva essere breve, ma dura molto di più a causa del traffico serale parigino. E nel frattempo, la mia Marti sempre così attiva e pimpante, si è addormentata come un ghiro sul sedile. Sorrido scuotendo la testa una volta arrivati davanti al suo condominio. Scendo dalla macchina, faccio il giro e la prendo in braccio. <Siamo già arrivati Jean?> mugugna mentre sto salendo le scale. <Sì> le rispondo a bassa voce. Entro nel suo appartamento e richiudo la porta con un calcio. Vado in camera sua e la appoggio delicatamente sul letto. Prendo dal suo armadio un maglione extra large che di solito usa come pigiama. La lascio vestire in pace, mentre io vado un attimo in bagno. Quando ritorno, Martine si è già infilata sotto le coperte mentre dorme profondamente. Sorrido teneramente. Mi tolgo i vestiti rimanendo in boxer, per poi mettermi anche io sotto le lenzuola. Mi trovo davanti al suo viso che sembra angelico mentre dorme. Le sposto con delicatezza una ciocca ribelle di capelli per poi baciarla piano sulle labbra. <Bonne nuit ma petite Marti>.

Spazio autrice:
Bonsoir a tous! Allora ci siamo ritrovati con un nuovo capitolo. Devo dire che è stato abbastanza complicato per me scriverlo. Questo capitolo, parla sopratutto per il primo pezzo, un po' di alcune esperienze che ho vissuto io in prima persona. Ammetto che non è facile per tutti capire quello che è successo a Martine, ma spero di essere riuscita a farvi passare le emozioni che ha provato in quel momento. E nulla, mi auguro che, nonostante non sia lungo come gli altri, vi sia piaciuto e spero ci aggiornare presto, visto che ho molto più tempo da dedicare a questa storia, dato che ho finito "Siamo fatti per amare".
Quindi see you soon!
Baci❤😘
Martina

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