8. Schiavo della luna

La settimana prima della luna piena è la peggiore. Le pozioni tengono a bada il lupo ma non riescono a liberarmi da quel nodo di odio e rabbia che si stringe attorno al mio cuore, non possono fare niente per attenuare l'istinto che mi dice di rincorrere e affondare i denti in uno degli abitanti del Quartiere Generale che mi sfilano davanti, ignari.

Ci sono così tante persone qui dentro, se una di loro sparisse non se ne accorgerebbe nessuno.

Il lupo bisbiglia, sa che non può uscire, sa che i suoi artigli non vedranno la luce, ma ciò non significa che non possa dissuadermi ad affondare le mie dita umane nel collo di qualcuno, così insignificanti e affatto letali se paragonate alle sue, e stringere e stringere e stringere fino a strappare l'aria dai polmoni della mia preda e sfondargli la trachea.

La punta delle sue zanne ritratte minacciano di bucarmi le gengive, tuttavia il dolore di sentire la trasformazione vicina, che vibra sotto la pelle, è tutto ciò che la pozione gli concede.

Il lupo vede la luce che filtra dalle sbarre della sua prigione, ha una chiave ma non ci sono serrature. Ulula, digrigna i denti, i suoi ringhi così forti, prepotenti, che mi fanno fischiare le orecchie e mi offuscano i pensieri.

Poso le mani sui braccioli della poltrona su cui sono accasciato, le gambe divaricate, i muscoli tenuti rilassati per impedirmi di scattare. Alcuni ciuffi chiari mi solleticano la fronte, mi concentro a visualizzare il punto in cui i capelli mi sfiorano la pelle, al leggero fastidio che mi provocano.

Sbatto le palpebre, contando mentalmente i battiti del mio cuore, regolarizzo il respiro e fletto appena le dita, giusto per accertarmi di essere ancora nel mio corpo.

Sono Asher Greyback, ho ventidue anni, sono un umano. Lo ripeto una, due, tre volte fino a che gli ululati del lupo non diventano altro che un tenue ronzio nel retro della mia testa.

Avverto i muscoli irrigidirsi prima ancora che il mio cervello possa registrare cosa sta succedendo. Arriccio il naso, le narici che si dilatano come per assorbire ogni frammento di quel disgustoso profumo così dannatamente dolce. Lei è qui.

Nei libri la Licantropia viene spesso riassunta in poche parole: i lupi mannari sono sia Esseri sia Animali, si nascondono tra gli umani — a questo punto agli autori piace inserire frasi drammatiche come "sono creature subdole, il tuo migliore amico potrebbe essere uno di loro e tu non lo sapresti mai"— In forma di lupo perdono la capacità di pensare razionalmente, diventano aggressivi, rispondono solo al richiamo del proprio branco. Altamente pericolosi, scappare se possibile o uccidere a vista eccetera eccetera.

La verità è che essere un lupo mannaro comporta molto di più, è una maledizione ma ha anche i suoi benefici: i miei sensi sono più acuti di quelli di una persona comune, riesco a vedere al buio, sono più veloce, più forte, con meno inibizioni.

Benefici che, però, vengono soppressi dalle Pozioni Antilupo: gli umani non hanno solo paura del lupo ma anche dell'umano che lo ospita, perciò lo privano della forza di vivere, rendendolo debole, confuso, docile, non solo durante la luna piena ma per sempre.

La loro è una paura razionale, hanno ragione ad essere prudenti, ad essere così terrorizzati da noi, da me e da quello che potremmo fare se non fossimo sedati.

Lo percepisco adesso, mentre la stabilità appena raggiunta si frantuma in mille pezzi, schegge di vetro appuntito che mi trafiggono e mi segnalano che è giunto il momento di andare, correre il più lontano possibile, perché avverto già le fauci del mostro riempirsi di saliva e se dovessi posare gli occhi su di lei sospetto che non riuscirei a combattere l'istinto di trascinarla via con me.

Non prendo la mia dose di pozione da mesi, sono per definizione un nemico dello Stato. Non ho in programma di assalire qualcuno o protestare contro il Governo, Albus Potter mi ha chiesto di fare da cavia per i suoi esperimenti, e io sto solo cercando un modo dignitoso di vivere la mia vita.

Le sue pozioni necessitano di alcuni miglioramenti: domano il lupo solo durante la luna piena, ma non sono in grado di scindere i miei desideri dai suoi.

Siamo una cosa sola, sempre, tuttavia il lupo dorme per la maggior parte del tempo, permettendomi di socializzare normalmente. Alcuni stimoli, però, sono in grado di risvegliarlo.

E il mio lupo è territoriale, possessivo, eccitato.













Fisso il soffitto della mia stanza, il materasso che geme piegato sotto il mio peso. Stringo le dita attorno alla base dolorante e pulsante della mia eccitazione, l'orlo della maglia incastrato tra i denti mentre sposto la mano verso l'alto, su e giù, ancora e ancora. Passo il pollice nel solco sulla punta, il polpastrello che subito si inumidisce, getto la testa all'indietro, contro il cuscino e sospiro.

Il sangue mi pulsa rapito e veloce nelle orecchie, allo stesso ritmo delle vene gonfie sotto il mio palmo. I muscoli della schiena e dell'addome rigidi, contratti, una goccia di sudore che dalla nuca scende e mi scivola tra le scapole.

Stringo più forte, ma non basta, la tensione è tanta che mi sembra di andare a fuoco. Sono solo, il letto è così piccolo che qualsiasi movimento di troppo mi porta a sbattere un ginocchio contro la parete, eppure quello spazio tra il muro e il mio fianco in cui lei era solita rannicchiarsi adesso è vuoto, e la distanza dal bordo del materasso non mi è mai sembrata così abissale.

La odio. La odio. La odio.

I fianchi scattano in avanti, il movimento
rapido e duro che si trasforma in spinte vere e proprie. Mi azzardo ad abbassare le palpebre, immaginando di affondare tra le sue cosce piuttosto che fottere il mio pugno chiuso.

Il lupo è insoddisfatto, arrabbiato, perché lei è mia e dovrebbe essere qui, le gambe aperte ad accogliermi, i miei morsi a marchiarle la pelle.

Gemo frustrato, i movimenti che presto iniziano a farsi erratici, a scatti. Il mio respiro affannato coperto dal rumore viscido di pelle che struscia contro il palmo fradicio della mia mano.

Pianto un piede sul materasso, alzando il bacino per spingere più a fondo, come un cane in calore che si ingroppa disperato un oggetto inanimato. Cerco più frizione, più piacere, ma è inutile perché niente può eguagliare la sensazione di lei.

Quando vengo, sporcandomi l'addome, il suo nome è amaro sulla punta della mia lingua.

Mi accascio sul letto, allentando la presa dei denti attorno all'orlo della maglia e lasciandola ricadere. Un rivolo di sperma cola nel solco tra i miei addominali e porta il lupo a digrignare i denti, affatto appagato.

Sono sul punto di afferrare di nuovo la mia eccitazione ancora dura, in cerca di sollievo, quando bussano.

«Asher, ci sei?» la voce di Rose rimbomba in corridoio. «Scorpius dice che dobbiamo andare»

Chiudo gli occhi, stabilizzando il respiro, la mano che si posa sul lenzuolo. Se mi concentro e ignoro la puzza della mia disperazione, riesco a percepire l'odore del suo profumo, della sua debolezza, che filtra da sotto l'uscio della porta. Il lupo non ha alcuna reazione.

«Arrivo tra un secondo»

•••

«Senti qualche odore strano?» chiede Scorpius, la sua voce che arriva da un punto alle mie spalle.

«C'è puzza di bruciato e di magia nera» replica Asher e dal suo tono posso immaginarmelo mentre arriccia il naso infastidito. «E tu, Capitano, usi decisamente troppo sapone»

Arranco in mezzo a ciò che rimane del negozio di animali fantastici, supero gabbie vuote e incrinate, pareti bruciate e con la carta da parati a pezzi, sprazzi di quello che un tempo era un vivace poster colorato raffigurante piccoli Asticelli.

Noto anche i segni lasciati dagli Auror, le impronte dei loro stivali e nastri sparsi sul pavimento per categorizzare le specie messe in sicurezza.

Non sento la risposta di Scorpius, addentrata come sono tra i meandri nel negozio, occupata ad osservarmi in torno senza sapere esattamente cosa cercare.

Raggiungo quella che dovrebbe essere la porta del magazzino sul retro, uno striscione giallo di divieto d'accesso giace floscio ai miei piedi come se qualcuno lo avesse staccato e abbandonato qui. Sotto di esso, una pozza di sangue secco si allarga dall'uscio chiuso.

Afferro la maniglia, decisa ad entrare nonostante una fastidiosa stretta al petto mi informa che, qualsiasi cosa ci sia in questa stanza, non mi piacerà affatto. Sono sul punto di abbassarla con un gesto secco e spingere la porta, quando una mano si posa con fermezza sopra la mia e mi blocca.

Sussulto e giro di scatto la testa, ritrovandomi il petto di Scorpius proprio contro in naso. Alzo il viso per incrociare il suo sguardo, spaventata e imbarazzata, ma mi rilasso non appena constato che lui non sembra intenzionato a commentare il gridolino affatto dignitoso che ha appena lasciato le mie labbra.

«Mi hai spaventata!»

Lui non è impressionato dall'occhiataccia che gli riservo, anzi, continua ad osservarmi dall'alto per quelli che sembrano interminabili secondi, l'espressione seria. «Non è necessario che tu veda quello che c'è qui dietro»

Mi volto completamente, divincolandomi nella sua presa fino a che lui non lascia ricadere il braccio lungo in fianco, indietreggiando di un passo.

«Sono un Hit Wizard anche io, adesso. Non trattarmi come una stupida»

«Sei un medico» mi corregge.

«Esatto, posso reggere la vista di un po' di sangue»

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