3. Destino di un cattivo bugiardo
Non dovrei essere qui, ma ho estratto il bastoncino più corto dal sacchetto, quindi la mia serata libera si è trasformata in una missione di spionaggio.
Sarebbe dovuto essere un incarico veloce, mi avevano assicurato che lo sarebbe stato, e che in men che non si dica avrei potuto raggiungere i miei amici al bar: scavalca il cancello del Quartier Generale, dai un'occhiata dalle finestre, controlli che Rose sia viva. Fine. Rapido. Semplice.
Chi immaginava che avrei impiegato mezz'ora solo per capire come entrare nel cortile senza far scattare gli incantesimi d'allarme?
I maghi temono gli attacchi di altri maghi, e questi non si sporcano le mani se hanno la magia che può fare tutto il lavoro. L'unico modo per passare alla fase successiva, quindi, era scavalcare il cancello alla babbana.
Un cancello alto due metri, con spuntoni acuminati alla fine, sotto la pioggia. Rapido. Semplice.
Ora, i miei capelli bagnati gocciolano silenziosamente su un portico su cui, in teoria, non sono autorizzato dalla legge a mettere piede. Mi asciugo le mani sui pantaloni inzuppati e distrutti sulle ginocchia: sono caduto come un salame dopo essere rimasto incastrato in una delle punte di ferro.
Cammino nell'ombra, la schiena bassa. "Dai un'occhiata alle finestre" dicevano. Rapido. Semplice. Ma qui non ci sono finestre.
Sono tentato di mollare, anche se l'idea di dover di nuovo affrontare il cancello mi fa venire la nausea. Sarebbe più semplice farsi arrestare, piuttosto che rischiare di impalarmi su uno spuntone.
E per cosa, poi? Spiare mia cugina.
La stessa cugina che si sentiva talmente tanto soffocare dalla nostra famiglia che ha fatto le valige e se ne è andata, scegliendo il lavoro che tutti volevano rifiutasse.
"Volevano" è una parola vaga, comunque, per descrivere tutte le volte che li ho sentiti ripetere "è troppo pericoloso, non ce la farai mai" per poi procedere a bloccare il suo curriculum e negarle di essere selezionata. Ancora e ancora, per un anno intero.
La stessa cugina che ho aiutato a scappare. Non me ne pento, lo rifarei, vorrei solo che ogni tanto inviasse qualche gufo per non costringermi a missioni assurde come questa.
«Ma che diamine-»
Mi accorgo solo quando è ormai troppo tardi della mano che mi ha bruscamente afferrato una spalla. Una mano affusolata, attaccata al corpo di un ragazzo che è la metà di me, sul serio, ma che mi sbatte contro la parete con così tanta sforza che resto sconcertato.
Lo fisso per un lungo istante, gli occhi sgranati di chi è appena stato colto sul fatto.
Mi sarei dovuto preparare in anticipo una scusa, una frase d'effetto, qualsiasi cosa, perché adesso il mio cervello non riesce a mettere insieme neanche una parola di senso compiuto.
Resto immobile, le labbra serrate e la bacchetta del ragazzo — ragazzino? Indossa una mascherina chirurgica nera, perciò non ho modo di studiare il suo viso — che mi affonda nel lato del collo.
Tengo il mento alto, mostrandogli la gola per dimostrargli che non sono affatto una minaccia (ero imboscato nell'ombra, certo, ma in modo pacifico).
Le sue dita si stringono contro il colletto della mia maglia e mi pianta il suo gomito ossuto nello sterno, premendo e obbligandomi a spalmarmi ancora di più contro il muro umido e ricoperto di muschio. Sospiro. Perché sempre a me?
«Questa è proprietà privata degli Hit Wizard» la sua voce è limpida, chiara, ma il tono cela la stessa forza con cui mi sta tenendo inchiodato al mio posto. Se opponessi resistenza riuscirei a liberarmi, suppongo, ma non ci tengo ad essere arrestato per aver sfidato l'autorità di un agente delle forze speciali. Ho già infranto la mia dose giornaliera di leggi. «Voi Auror pensate sempre di poter fare come vi pare ma-»
«No» lo interrompo, noncurante che forse interrompere un mago armato addestrato per uccidere non sia la migliore delle idee. «Non sono un Auror»
I suoi occhi a mandorla, densi e scuri come il cioccolato, si assottigliano. «Allora chi diamine sei?»
Ha una bella voce, vorrei tirargli giù la mascherina per accertarmi se anche le labbra da cui esce siano altrettanto carine. Rifletto con calma: conta come indumento? Se gliela togliessi, starei denudando un soldato?
Probabilmente si. Scaccio l'idea.
«Io...» mi guardo attorno, in cerca di ispirazione, ma il cortile è così buio che riesco a distinguere solo le ombre e i contorni delle piante. «Il mio cane»
«Quale cane?»
«Il mio. È piccolo, è passato tra le sbarre del cancello, sono solo venuto a riprenderlo» mento spudoratamente.
Il ragazzo non è affatto convinto, mi osserva in silenzio per qualche secondo, l'esasperazione evidente nel suo sguardo.
Forse questa era anche la sua serata libera — non indossa la divisa ma solo una giacca a vento aperta sopra una canottiera sbilenca bianca — e invece di rilassarsi è stato destinato ad incontrare me.
Piega per un attimo il viso, fissandosi i piedi come se stesse prendendo una decisione importante. Riposo o lavoro? L'intruso o il divano?
È di mezza testa più basso e i suoi capelli castani mi solleticano il mento. Quasi mi viene da ridere, ma mi trattengo.
«Non ti ho chiesto cosa stavi facendo» sbotta, infine. «Chi. Diamine. Sei?»
«Albus» dico semplicemente.
Lui si acciglia ancora di più. Mi squadra con attenzione, gli occhi che scorrono lentamente sul mio viso come a cercare conferma della mia rivelazione. Abbassa la bacchetta, ma non accenna ad allentare la presa sulla mia miglia. «Potter?»
«In persona, vuoi un autografo? Devi dirmi come ti chiami, però»
Ignora la mia domanda «Quindi sei Albus Potter» ripete piano, e io annuisco. «Quello che ha perfezionato la Pozione Antilupo e il Distillato di Luna. Il figlio del capo degli Auror, il nipote della Ministra della Magia, il cugino di Rose. E mi stai dicendo che sei qui, nascosto nell'ombra in modo sospetto, solo per cercare il tuo cane?»
So che dovrei prendere la situazione più seriamente — dopotutto sono stato sorpreso da un agente delle forze speciali mentre violavo una proprietà privata — ma è davvero difficile rimanere concentrati quando il suddetto agente è così carino e mi guarda come se volesse pugnalarmi.
«È così»
«Capisco» lascia ricadere il braccio lungo il fianco e quasi sento la mancanza del suo gomito appuntito. «Da quanto tempo hai un cane?»
E io, che non ho mai avuto un cane in vita mia, sospiro teatralmente. «Da quanto ero piccolo, ci sono tanto affezionato»
«È molto vecchio, quindi»
«Si, infatti è sordo e... cieco. Ha anche pochi denti, a dire la verità. Sono così preoccupato per lui»
«Immagino» esclama, la voce piatta. «Come hai fatto a farti scappare un cane sdentato che non ci vede e non ci sente?»
«Ero distratto»
«Mhm» mugugna pensieroso. Il suono basso che vibra nell'aria e che si guadagna un posto tra i rumori più attraenti che io abbia mai sentito. «Che tipo di cane è?»
«Un barboncino»
«Di che colore?»
Mi torna in mente l'immagine del cane-topo incrostato di una mia prozia e, non avendo ben chiaro quali siano le gradazioni che possono assumere, azzardo: «Bianco?»
«Non sai di che colore è il tuo cane?»
«Beh...» mi passo una mano tra i capelli, consapevole che questo è un interrogatorio e io lo sto fallendo. «È un cane molto sporco»
«Devo chiamare la protezione animali? Arrestarti per maltrattamento?»
«Lo puoi fare?» chiedo, sorpreso.
Lui mi fissa, dannatamente serio. «Si, se dimostro che il cane è tuo ostaggio»
Mi mordo il labbro, dubbioso su quale sia la frase giusta da dire in una situazione del genere. Poi, noto gli angoli dei suoi occhi incresparsi e, anche se non posso vederlo per colpa di quella stupida mascherina, realizzo che sta sorridendo.
«Mi stai prendendo in giro» sbuffo una risata.
«Certo che si, idiota. Ora tu e il tuo animale domestico immaginario sparite dalla mia vita prima che ti sbatta fuori a calci»
«Aspetta!» esclamo con una quantità di foga che sarebbe stata appropriata se lui avesse già iniziato ad allontanarsi. Cosa che non è accaduta, visto che è ancora davanti a me, immobile e con il sopracciglio castano sollevato.
«Sono a tanto così dal tirarti un pugno» mi mostra lo spazio quasi inesistente tra il pollice e l'indice. «Che vuoi?»
«Sapere come ti chiami e che tu apra il cancello per me»
Lui inclina la testa di lato, la posa di un gatto curioso e provocatore. «Richiedimelo come si deve»
Obbedisco, aggiungendo un vistoso per favore alla fine, ma il ragazzo si limita a scrollare le spalle e fissarmi divertito.
«Così come sei entrato puoi anche uscire, no?»
In questo capitolo ho introdotto il personaggio di Albus, che ne pensate?
So che all'inizio non si capisce bene di chi è il pov, però mi piace troppo la parte in cui rivela il suo nome, quindi ho deciso di non specificarlo prima.
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