2. Signorina ubbidiente

Il Quartier Generale degli Hit Wizard è una struttura imponente collocata poco lontano dal Ministero Della Magia e che, agli occhi dei Babbani, appare come un comune edificio industriale.

La verità è ben diversa poiché, in realtà, si tratta di castello di pietra nel cuore di Londra.

L'ala destra è occupata dagli alloggi: numerosi dormitori distribuiti su più piani, ciascuno di questi è riservato a una singola squadra che, di conseguenza, condivide il bagno e le docce. Suppongo sia convinzione comune che ammassare cinque persone in un'unico spazio e privarle della loro privacy aumenti il senso di unione e affiatamento.

Sono qui da solo un mese ma inizio a temere per la sicurezza della mia lingua, soprattutto perché Olivia è la mia compagna di stanza.

Scorpius, l'unico ad avere una singola, è attualmente stravaccato sulla sua costosa poltrona imbottita davanti al caminetto della sua camera da letto. Indossa ancora la divisa nonostante il nostro turno sia finito un'ora fa.

Ha il mento poggiato sulle nocche della mano destra, le gambe divaricate e i capelli biondi scompigliati gli conferiscono un'aria da re capriccioso e imbronciato.

Protesa verso di lui, tampono una pozione cicatrizzante sul suo avambraccio ferito, i suoi occhi che seguono in silenzio ogni mio movimento.

È così vicino che posso sentire il calore emanato dal suo corpo, l'odore di terra, sangue e pioggia impigliato tra i suoi vestiti.

Posso studiare ogni singola cicatrice perlacea sulle sue braccia, persino quelle che a poca distanza sono difficili da scorgere perché si mimetizzano con il suo incarnato pallido. Quella più ampia che gli attraversa il lato destro del collo e, se alzassi la testa, noterei anche quella all'angolo del sopracciglio: sono tutti i segni indelebili che si è procurato prima in Accademia, e poi in servizio come Hit Wizard.

«Sei stata indisciplinata, oggi, fragolina» dice, la voce bassa, resa roca e risonante dalla stanchezza. «Disubbidire agli ordini del tuo Capitano... cosa devo fare con te?»

Prova ad incrociare il mio sguardo, ma lo ignoro: sollevare il mento e trovare il suo viso alla distanza di un respiro dal mio, sarebbe davvero troppo.

Ne è una dimostrazione evidente il mio orgoglio che, al momento, mi sta urlando nella testa in modo incredibilmente stridulo: "com'è possibile che da sua rivale accademica tu sia diventata quella che lo accudisce?! Sei caduta così in basso."

Ma non lo sto accudendo, ci tengo precisare, perché sono un medico e curare è il mio lavoro.

Inoltre, non ho intenzione di dare a Scorpius la soddisfazione di vedermi arrossire. Non importa quanto la sua personalità sia detestabile, è cresciuto, è diventato la versione migliore dell'uomo che è sempre stato destinato a essere, così diverso dal ragazzo alto e allampanato che era a Hogwarts. E io non sono immune alla bellezza.

«Smetti di chiamarmi così, prima di tutto» ribatto, seccata.

«C'è una gerarchia, lo sai, no?» prosegue, il tono tanto dolce quanto insincero. «Se non rispetti i tuoi superiori, ci saranno delle conseguenze»

«Non ricordo di averti disubbidito, quando-»

La sua mano si allunga in avanti, un movimento lento, controllato. Mi spinge il mento verso l'alto, obbligandomi a sollevare la testa. Schiudo le labbra, sorpresa.

Le sue iridi, da vicino, non sono solo verde chiaro, come le foglie di tè sbiadite dal sole. Sono attraversate da fili dai colori dell'erba, del cielo nuvoloso con le sue sfumature grigie, azzurre e dorate.

Vorrei prenderlo a pugni perché è così bello da togliere il fiato.

«Stammi a sentire» dice, la voce che si fa più seria, i suoi occhi che si assottigliano. «La prossima volta che ti dico di restare nella fottuta tenda medica, tu ci resti. Hai capito?»

Mi libero dalla sua presa con uno scatto «Ti ho già detto che dei feriti volevano guardare e-»

Scorpius mi lascia andare, la sua mano che ricade sul bracciolo della poltrona. «Il nostro compito è uccidere gli assassini, disinnescare le bombe, torturare le spie» mi spiega, come se non lo sapessi. «I civili sono solo un fastidio in più. Tu sei mia, sei della squadra, siamo noi quelli che devi curare, non loro. Te li lascio controllare solo perché ho una morale, ma non scordarti che se muori, ci metti tutti in pericolo. Sono stato chiaro?»

Arrossisco visibilmente, sentendomi come se fossi tornata indietro di qualche anno, alla me studentessa imbarazzata dopo il rimprovero di un professore.

«Si» dico, flebile.

«Si, signore» mi corregge, calmo.

Mi mordo l'interno della guancia, combattendo contro quella parte di me che si rifiuta di riconoscerlo come mio superiore. La razionalità, alla fine, ha la meglio.

«Si, signore»

Lui torna a rilassarsi contro lo schienale, soddisfatto. «Ora avvicinati» mi esorta, gli occhi che vagano sul mio viso, ricercando di nuovo il mio sguardo.

«Perché? Siamo già molto vicini» gli faccio notare, marcando il fatto che io mi trovi proprio di fronte a lui, in piedi tra le sue gambe divaricate. Vergogna e imbarazzo che mi attorcigliano lo stomaco.

«Hai le ginocchia sbucciate, siediti»

Arrossisco, se possibile, ancora di più quando lo vedo picchiettarsi impazientemente una coscia.

«No» indietreggio.

Dopo la doccia, ho indossato il primo paio di pantaloncini di cotone che ho trovato nel cassetto, sono rosa pastello con gli orli bianchi.

Nell'infilarli, l'unico pensiero che mi ha attraversato la mente è stato che, magari, Scorpius vedendoli avrebbe storto il naso e gli sarebbe venuta l'orticaria, non che avrebbe notato le mie ginocchia sbucciate.

A malapena me ne sono accorta io.

«Sono solo dei graffi, non è niente»

Lui non mi degna neanche di una risposta, mi guarda, smanioso, l'espressione di chi non accetta scuse stampata in faccia.

I miei piedi si muovono di qualche passo, azzerando quella già poca distanza che ci separava. Mostrarmi in difficoltà non farebbe altro che compiacerlo, quindi sospiro e faccio come dice.

Mi siedo, rigida come un tronco, ma lui non si spinge oltre. Non mi tocca, si limita a sfilarmi dalle mani la bottiglietta di essenza cicatrizzante.

Ne versa un po' sul mio ginocchio, il liquido freddo che sfrigola appena a contatto con la sbucciatura. Non sussulto a causa del dolore, neanche lo avverto, ma sobbalzo quando le dita di Scorpius mi sfiorano la pelle.

Tiene la testa china, i suoi capelli che mi solleticano una guancia mentre spalma concentrato la pozione.

Il cuore mi batte così forte che penso potrei avere un infarto.

Quando ha finito, osserva compiaciuto il suo lavoro e mi assesta due colpetti sulla coscia, incitandomi ad alzarmi.

«Fai la brava, d'accordo?»

Non replico, appena faccio in tempo a mettermi in piedi, a dirla tutta, che la figura slanciata di Kenji appare sulla porta lasciata aperta e mi fa perdere dieci anni di vita.

Bussa allo stipite, nonostante sia evidente che entrambi l'abbiamo notato.

Scorpius si volta, per nulla turbato. «Si?»

«Cercavo Rose, Capitano»

Gli faccio cenno di entrare.

•••

Non ho visto niente ma, se avessi visto, lo negherei.

D'altronde, le implicite regole di cameratismo che vigono in questo dormitorio mi impongono di fingermi un'allocco o un cieco, può variare a seconda del contesto, ogni volta che mi imbatto in qualcosa che non mi riguarda, situazione spiacevole che succede più spesso di quanto mi piaccia ammettere.

Per mia fortuna, sono un maestro nel pretendere di essere distratto.

In ogni caso, non ho alcun interesse per ciò che non influenza direttamente la mia persona e, al momento, ho gravi, catastrofici, problemi di cui preoccuparmi: sto morendo, lo sento.

Marcio nella stanza, la canottiera sportiva che indosso ha le spalle così larghe che lascia scoperta gran parte dei miei fianchi e ondeggia ad ogni mio movimento. «Secondo te, si può morire per aver ingerito dei frammenti di cemento?» chiedo impaziente, fermandomi proprio davanti a Rose. «Oggi, durante la missione, me ne sono finiti alcuni in bocca e ora mi brucia la gola»

Lei, così piccola e rossa, mi scruta dal basso del suo scarso metro e sessanta, aggrotta la fronte. «Kenji, come ha fatto il cemento a finirti in bocca se indossi sempre una mascherina?» domanda, calma e ragionevole.

E io, che quando si parla di morte non sono mai calmo e ragionevole, scrollo le spalle. «Non ne ho idea, puoi controllarmi?»

Non posso farci niente, dal lato della famiglia di mio padre non ho ereditato soltanto gli occhi a mandorla, ma anche l'essere un insopportabile ipocondriaco germofobico. Caratteristica piuttosto singolare per un Hit Wizard disposto ogni giorno a rischiare la propria vita, lo ammetto.

Scorpius, il mio Capitano, seduto scompostamente su una poltrona che starebbe una meraviglia con l'arredamento della camera mia e di Asher, rotea gli occhi. «Bevi un po' d'acqua e falla finita»

È chiaro che non mi capisca, d'altro canto non è lui quello allergico a tutte le spezie esistenti su questa terra, al polline, alle mele e al dannato, stupido, farro. Per quanto ne so, potrei essere intollerante anche al cemento.

«Con tutto il rispetto, non penso che tu, Capitano, sia qualificato per darmi una risposta simile» ribatto, la schiena dritta e lo sguardo di chi non si lascerà congedare se prima non verrà visitato.

La verità è che, se me lo ordinasse, me ne andrei senza fiatare a cercare un angolino in cui passare a miglior vita.

Grazie al cielo, si limita ad agitare con noia una mano, intimandomi di fare in fretta.

Abbiamo la stessa età, ventuno anni, con l'unica, sottile differenza che Scorpius li dimostra e io no. A volte, ammetto di essere invidioso della sua bella faccia sbarbata ma virile o dei suoi muscoli definiti.

Scommetto che nessuna vecchietta, vedendolo, lo chiamerebbe mai caro ragazzino o peggio piccolo ometto, né lo fermerebbe per strada per indagare se sia abbastanza grande per lavorare.

Il mio viso non è squadrato come il suo, anzi, è delicato e rotondo (come direbbe mia nonna). I capelli castano chiaro, più corti ai lati, mi si arricciano appena sulla nuca e sotto gli occhi mi campeggiano sempre due occhiaie violacee che, molti, attribuiscono allo stress per gli esami scolastici pre-diploma. Se sapessero che non ho diciassette anni, i dipendenti del mio cinema preferito mi farebbero pagare il prezzo pieno.

L'aspetto trae in inganno perché nonostante il tono di voce pacato e i lineamenti leggeri, non sono né timido, né un santo. Anzi, Rose ritiene che io abbia l'abitudine di flirtare con qualsiasi cosa respiri, per poi correre ad assillarla e domandarle se sia possibile contrarre una malattia venerea dialogando.

Gliel'ho chiesto solo una volta.

«Abbassati, così posso controllarti la gola»

Rose muove la mano per scostare la mascherina chirurgica nera che ho tirata sopra il naso. Sgrano appena gli occhi, vagamente infastidito dal contatto improvviso, ma non mi ritraggo.

«Fuori la lingua» mi esorta e subito obbedisco.

Passano lunghi, interminabili secondi, poi lei mi comunica che non ho nulla, non sto per crepare, e finalmente il mio cuore riprende a battere a un ritmo accettabile.

«Ci vediamo a cena» esclamo, a questo punto, vivo, in salute e frettoloso di ritirarmi.

Quando sono entrato, il Capitano non sembrava affatto contento dell'interruzione e non ci tengo a farmi assegnare la pulizia dei bagni per punizione.

«Buona medicazione»












Per il momento vi ho presentato quasi tutti i componenti della squadra di Scorpius, ne manca uno che per ora ho solo nominato. Vi dico soltanto che sia lui che Kenji mi piacciono un sacco.

Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo, ha un'ambientazione diversa dalle mie altre che si svolgono quasi tutte ad Hogwarts, quindi sono molto critica <33

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