Capitolo 36 - Torpore
~Astra~
ANTHONY GOLDSTEIN GIUSTIZIATO
Leggemmo tutti il titolo prima ancora che Colette potesse prendere il Cavillo da dove l'aveva lasciato il gufo. Con esso arrivò un silenzio pesante. Ebbi l'impressione che fosse diffuso epr tutta la sala, in piccole sacche attorno ad altri ragazzi che prestavano attenzione, altri ragazzi che lo stavano scoprendo.
Lì in prima pagina c'era un uomo sorridente, circondato da una piccola famiglia felice. Caleb, uno del quinto anno che non era a colazione quel giorno, era comunque per tutta la sala, a guardarci dalla copertina del giornale, abbracciando suo padre assieme ai suoi fratelli molto più piccoli. Suo padre sembrava il tipo di padre che sognavo quando ero più piccola, tutto sorrisi e amore e divertimento. Non il tipo da assassinare una politica a sangue freddo.
Sapevo che l'apparenza poteva ingannare, ma sapevo anche che Faith aveva scelto apposta un'immagine umanizzante. Perché il Profeta aveva mostrato solo la foto segnaletica, non aveva nemmeno menzionato la famiglia, e Caleb meritava che suo padre venisse mostrato in una luce migliore. Suo padre che era stato assassinato, proprio come Patagonia Monez.
"Beh, che schifo," James disse, rompendo il silenzio ma non la pesantezza. Prese il giornale che tutti stavamo fissando, e lo aprì. In risposta, Colette alzò gli occhi al cielo e glielo strappò di mano.
"Non riesco a credere che l'abbiano fatto davvero," Albus disse, sbattendo gli occhi. "Non riesco a credere che la faranno davvero franca."
"Non la faranno franca per sempre," James disse. "Tutto sarà messo a posto prima o poi."
"Quanto manca a prima o poi?" Wren chiese monotona. James la guardò confuso, ma io capii. Le cose andavano male, e peggioravano sempre, da un bel po'. Ogni volta che qualcuno diceva che non poteva andare peggio, andava peggio. Quanto sarebbe durato quel vortice? Non avevo molte speranze.
"Beh, non lo so," James stava dicendo. "Ma non per sempre. Lo so. Finché ci saranno persone buone a questo mondo, il male non potrà controllare tutto."
"Cosa succederà quando non ci saranno più persone buone?"
Ora guardavamo tutti Wren. Il pessimismo non era molto nel suo stile, più nel mio, o quello di Colette. James le toccò dolcemente il braccio. "Stai bene?"
"C'è qualcuno che sta bene?" Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sulle mani, sul tavolo. "Scusate. Ho solo tanti pensieri in testa. È tutto molto più grande di quanto sembra."
"Lo sappiamo," James disse. "Non la sto prendendo alla leggera, promesso."
"Sembra quasi di sì, quando parli di speranza e di come si risolverà tutto," Albus disse, con un accenno di irritazione nella voce. "Non sappiamo se nulla si risolverà."
"Se pensi che avere speranza sminuisca ciò che sta accadendo, Albus, forse sei pazzo," James sbottò. Albus alzò le mani fingendo di arrendersi, e alzò gli occhi al cielo appena James voltò lo sguardo. Wren aveva alzato di nuovo lo sguardo, e guardava entrambi all'erta.
Sospirai. "Non parliamone, allora. Non il futuro, almeno."
"Concordo," Colette disse, alzando gli occhi dal Cavillo. "Il presente è già abbastanza pesante."
Per una volta, avevamo qualche informazione in più rispetto al Cavillo. Katreena Predatel aveva confermato che Russey stesso era l'assassino, ma ovviamente Wren non poteva dirlo a Faith. Faith aveva pubblicato parecchie teorie su cosa era successo davvero, inclusa la più vicina alla realtà: l'idea che Russey aveva fatto eliminare Monez da qualcuno.
Ovviamente, sapere la verità non era di conforto quando un uomo era stato ucciso per un crimine che non aveva commesso.
La settimana successiva fu dura. C'erano parecchie persone a scuola che avevano deciso di supportare il primo ministro, anche se era un po' estremo. Ce n'erano altri che pensavano che fosse pazzo, che non poteva credere che nessuno facesse nulla al riguardo. La stragrande maggioranza delle persone che vedevo, però, sembrarono un po' tristi, ma dopo un giorno o due, era acqua passata. Una vergogna, ovviamente, ma cosa farci?
"Potete fare molto di più che nascondere la testa sotto la sabbia," James ed io brontolavamo, ma il signor Potter ci aveva detto di non fare scenate, di non attirare attenzione su di noi, quindi non facevamo nulla di pratico.
Con così tante cose che non potevo controllare, mi gettavo completamente in ciò che potevo. Colette ed io scrivemmo a Teddy, chiedendogli di controllare i fascicoli dei bambini scomparsi. Passammo anche tutto San Valentino a rintracciare Gideon e Vinnie ad Hogsmeade, mentre Albus e Wren andavano con le rispettive dolci metà. Era un azzardo, forse, ma chiedemmo anche a loro di dare un'occhiata. C'era stata una sparizione lì vicino qualche mese prima, comunque, quindi erano già in qualche modo coinvolti, vero? Sembrarono entrambi molto contenti di aiutare.
E quando quel pozzo terminò l'acqua, e finimmo di catalogare tutte le informazioni che potevamo e avevamo trovato ogni articolo nel Cavillo e nel Profeta, convinsi Albus e James ad andare al campo da Quidditch con me il più spesso possibile e fare pratica, correre, fare qualcosa che non fosse lasciar tentare alla mia mente di elaborare tutte le cose che non poteva elaborare. Mi lanciai negli allenamenti, nella pratica, in tutto. Vincemmo la partita contro Corvonero, ed io lavorai più duramente.
A metà Febbraio, iniziarono ad apparire nell'ingresso e nelle sale comuni dei manifesti per delle lezioni di Smaterializzazione. Erano obbligatori se si voleva fare il test per la licenza di smaterializzazione. Ovviamente, ciò fece impazzire tutti. Eccitazione e paura e attesa e così tante altre cose. Al punto che potei fare un passo indietro e confondermi nella massa, e non menzionare che non avevo alcun interesse nelle lezioni o nel test, e nessuno se ne accurse.
Non era che non volevo imparare a Materializzarmi, sul serio. Lo volevo. Era la versione magica di imparare a guidare, il marchio dell'età adulta. Sembrava molto importante, e se non ci riuscivi, beh, era un po' infantile, no?
Ma ogni volta che avevo provato la Smaterializzazione congiunta negli ultimi due anni, venivo riportata indietro alla Gringott, mentre fissavo il corpo immobile del professor Pouri, con le provocazioni di Stillens nelle orecchie, il caos e il terrore del campo da Quidditch. Non ero riuscita ad affrontare tutto ciò senza sentirmi male.
Forse era solo un altro esempio della mia debolezza, della mia incapacità di controllarmi. Insomma, non potevo controllare la mia mente, quindi come avrei potuto riprendermi e imparare a Smaterializzarmi? Se così stavano le cose, bene. Ero debole. Ciò non cambiava il fatto che non volevo provarci.
Wren fu la prima a chiedermi, una settimana dopo l'inizio dell'isteria, se avrei seguito le lezioni.
"Non è nei miei programmi," dissi, facendo spallucce. Non mi curai di alzare lo sguardo dal mio libro di incantesimi per vedere la sua reazione. Quello stesso sguardo preoccupato da devo sistemare questa cosa di cui mi accusava di continuo, ne ero certa. Dopo un attimo, i miei sospetti furono confermati quando Wren chiese con cautela, "Perché?"
"Perché dovrei?" Alzai lo sguardo, facendo spallucce. "Non mi interessa tanto."
"Beh, è una cosa importante," Wren disse. "Non so."
"Onestamente, non me ne frega tanto."
"È solo per questo?"
Valutai l'opzione di dire no. Valutai l'opzione di dirle che ogni volta che qualcuno si Smaterializzava con me, mi venivano incubi per settimane. Valutai l'opzione di dirle quanto ero terrorizzata all'idea di doverlo fare da sola.
Ma mi limitai a far spallucce di nuovo. "Sì. Semplicemente non è una priorità."
Lei non aggiunse altro, ma non credo di averla convinta. Dopo qualche minuto, chiuse il suo libro e se ne andò, dicendo qualcosa sul dover badare a delle persone in punizione. Entro ora di cena avevo beccato tutti i miei amici sussurrare tra di loro e guardarmi preoccupati. Ero troppo stanca per affrontarli.
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Più o meno quando quasi tutti si erano abituati alla monotona routine del trimestre, e Albus e James avevano iniziato a rifiutarsi di passare ogni momento libero a giocare a Quidditch con me, avevo preso l'abitudine di volare per il campo da sola, oppure a vagare per i piani meno frequentati del castello. Non sapevo perché lo facevo. So che girovagare per corridoi vuoti sembra qualcosa che si fa quando si è sconvolti, o arrabbiati, e si vuole stare soli. Ma non mi sentivo più particolarmente sconvolta o arrabbiata. Mi stavo stancando di tutto. Immagino che girovagavo per i corridoi perché non riuscivo a star ferma, e se i miei piedi non si muovevano, sapevo che l'avrebbe fatto la mia mente.
A volte, quando vagavo, Wren o James apparivano e camminavano con me. Succedeva abbastanza spesso da farmi iniziare a sospettare che mi seguivano sulla Mappa del malandrino, assicurandosi che non andassi a fare qualcosa di stupido. Non sapevo come sentirmi al riguardo, quindi decisi semplicemente di non sentire nulla.
A volte Wren cercava di parlarmi quando succedeva. A volte, se riguardava le lezioni o i suoi compiti da prefetta o altre cose di vita quotidiana, rispondevo. A volte finivamo per fare conversazione, e a volte cominciavo addirittura a sentire qualcosa tranne questo torpore. Felicità, forse. Almeno la sensazione che a qualcuno importasse di me.
Ma a volte mi chiedeva come stavo, o cosa mi passava per la testa. Non stavo in nessun modo preciso, e non mi passava nulla per la testa. Ecco perché vagavo. Per non essere nulla, e per tenere certi pensieri lontano dalla mia mente. Quindi a quelle domande non rispondevo, e alla fine lei sospirava e mi chiedeva se avessi fatto i compiti di Incantesimi. Una volta tornate al sicuro nel reame delle Domande A Cui Potevo Rispondere, reagivo.
James non cercò di estorcermi informazioni. La maggior parte delle volte, semplicemente girovagavamo insieme. Quando parlava, non sembrava che si aspettasse una risposta. Chiacchierava solo riguardo allo scherzo che Roxanne aveva fatto a Colin qualche giorno prima, oppure strategie di Quidditch che stava elaborando per la partita contro Serpeverde tra qualche mese, o di come aveva sentito una voce secondo cui Lily si era presa uno di Tassorosso. Cose normali, la vita che continuava anche sotto lo scuro ombrello di una guerra imminente. O di una guerra già iniziata.
A volte, proprio il fatto che James non sembrava aspettarsi nessuna risposta alle sue chiacchiere mi faceva chiacchierare. Tutto ciò che pensavo, o sentivo, o non pensavo o sentivo, lo dicevo. Lui ascoltava, e annuiva, e mi lasciava parlare tutto il tempo che volevo. Quando esaurivo le cose da dire, mi accarezzava la schiena e mi chiedeva se mi sentissi un po' meglio. Per qualche motivo, la risposta era sempre sì.
Era uno di quei giorni di vagabondaggio in cui James mi aveva trovato. Esploravamo il secondo piano, perché era sabato e non c'era nessuno in giro per le lezioni. Gli unici professori che avevano l'ufficio su quel piano erano Haverna e la professoressa Edwards, e non mi importava molto che loro ci vedessero.
"Onestamente, è stato molto strano," James stava dicendo. A quanto sembrava, Marcus Dillam lo aveva avvicinato in classe il giorno prima e gli aveva chiesto se pensava che gli avrei parlato. "Io gli ho detto di sparire, ovviamente, ma non se ne è andato. Ha solo chiesto se tu gli avresti mai parlato. O perlomeno lo avresti lasciato parlare. Gli ho detto che sei perfettamente in grado di fare le tue scelte, ma che penso che sarebbero iniziate con f e finite con -ulo." Ridacchiò, poi scosse la testa. "Un po' strano, a dirla tutta. Pensavo solo di doverti avvisare. Dillam potrebbe venire da te. Posso maledirlo per te, se vuoi."
Speravo proprio che non venisse a cercarmi. Ma in quel caso, l'avrei maledetto io stessa. Avevo troppi pensieri in testa per preoccuparmi di Dillam che voleva riconquistarmi. Se pensava di avere ancora potere su di me, si sbagliava di grosso.
"La cosa strana era che non sembrava arrogante come al solito. Hai presente, quel suo tipico pavoneggiarsi? Il suo pensare di poter avere tutto? Non c'era. Immagino succeda quando tuo padre viene smascherato come agente di Stillens e non puoi contare su di lui per accusare in pubblico chiunque ti contesti. Onestamente? Credo sia un pusillanime. Solo un piccolo-"
In quel momento, una forte esplosione in fondo al corridoio lo interruppe. Rimanemmo fermi dov'eravamo, sbattendo gli occhi. "Ma che accidenti?" Sussurrai. Ci guardammo l'un l'altra, poi cominciammo a correre.
Dietro l'angolo, c'era del fumo che usciva da sotto una porta. Si spalancò quando la raggiungemmo. Non sapevo cosa mi aspettavo. Un attacco? Uno scherzo? Sicuramente non Colette che capitombolava fuori, tossendo e scacciandosi il fumo dal viso. Era coperta di nero, e i suoi capelli e i suoi vestiti sembravano leggermente abbrustoliti. Si fermò quando ci vide. "Mi sono dimenticata quell'accidenti di incantesimo silenziante?"
"Che stai facendo?" James chiese, superandola per entrare nella stanza. Lo seguii, curiosa e confusa in parti uguali. Il fumo si stava diradando, rivelando banchi anneriti e sedie scagliate contro il muro, lontane dall'evidente centro dell'esplosione.
"Secondo te?"
"Far saltare in aria la scuola?" Sbirciai nella stanza. "Era questo lo scopo dell'incantesimo?"
"Certo che no." Colette sospirò. "Lo scopo è nascondere le cose a tutti tranne a chi lo lancia."
"Cosa cercavi di nascondere?" James chiese, entrando nella stanza. "Hai fatto esplodere pure quello?"
Colette rimase ferma sull'uscio della porta, sbattendo gli occhi. "Non... Non riesci a vederlo?"
"Vedere cosa?" Chiesi.
Lei attraversò lentamente la stanza, fermandosi nel punto da dove era cominciata l'esplosione. Si abbassò e sembrò prendere qualcosa, ma non vidi niente. Sgranai gli occhi, e lo fece anche lei quando vide le nostre espressioni. "Ha funzionato?"
"Insomma, non bene..." James cercò di evitare l'oggetto invisibile che Colette gli lanciò. Sentii un leggero tonfo, poi cominciò a ridere. "Sul serio hai usato un cuscino? La prima cosa che rendi invisibile, è un cuscino?"
"Silenzio," Colette disse, alzando gli occhi al cielo. "Non volevo rischiare qualcosa di davvero importante." Si avvicinò e prese il cuscino invisibile. "Non pensavo avesse funzionato. È fantastico..."
"Hai già un contro-incantesimo?"
"Oh, quello è facile. Revelio dovrebbe funzionare per queste cose in generale." Ce lo mostrò, e all'improvviso un cuscino polveroso e striato di nero le apparì in mano. "Immagino di dover ancora lavorare a qualche dettaglino nell'incantesimo in sé, ma è meraviglioso!"
"Qual è l'obiettivo? Far inciampare le persone con oggetti invisibili a terra?" James chiese, sedendosi a terra mentre Colette posava delicatamente il cuscino e prendeva un quaderno.
"Mi piacerebbe rendere gli oggetti totalmente impercettibili a tutti tranne chi lancia l'incantesimo. La vista è la più importante, ma anche non poterlo sentire non sarebbe male. Se ci riuscissi, potrei persino riuscire a fare in modo che l'oggetto sia visibile solo a certe persone, chiunque scelga chi lancia l'incantesimo. Ma quello è molto più complesso. Potrebbe volerci un po'. La prima cosa che devo fare è assicurarmi che niente esploda quando lancio l'incantesimo." Stava prendendo appunti nel quaderno, e io mi sedetti vicino a James mentre lei prendeva il cuscino, senza curarsi di nascondere il suo orgoglio.
"Cosa succede?" Sussultando, alzai lo sguardo e vidi Haverna all'ingresso, che osservava la stanza sorpresa. I suoi occhi arrivarono su Colette, e lei sospirò. "Sei stata tu?"
"No, l'ho trovata così," Colette disse, alzando gli occhi al cielo. Mi morsi la lingua per non ridere; vedere Colette negare qualunque consapevolezza di un'esplosione che aveva chiaramente avuto lei come epicentro era esilarante, per quanto fosse palesemente sarcastica.
"Non cominciare." Haverna entrò lentamente nella stanza, valutando i danni con uno sguardo che non riuscii ad identificare. Frustrazione, noia, rabbia, stanchezza. Forse persino paura. "Stavi creando incantesimi?"
Colette strinse le labbra per un momento. Sperai tanto che non stesse per fare qualcosa di stupido. "Ho diciassette anni. Non sarebbe illegale."
"Comunque va contro le regole della scuola."
"Oh, che paura."
Haverna la guardò freddamente. Lanciai uno sguardo a James; sembrava che non sarebbe finita bene. Colette non avrebbe ceduto, ovviamente; la sua espressione era quasi di sdegno. Alla fine Haverna scosse la testa. "Ho la mezza idea di dirlo alla preside."
Lo sdegno svanì in un istante. Colette sgranò gli occhi, e tornai ad un momento di quasi un anno fa, quando avevo visto quella stessa espressione sul suo viso mentre diceva a me ed Albus che i presidi erano pazzi. La stessa paura, quasi disperazione, alla ricerca di qualcuno che le credesse. Aprii la bocca per protestare contro Haverna, ma James mi mise una mano sul braccio, senza distogliere lo sguardo da Colette.
"Per favore non lo faccia," disse lei, scuotendo rapidamente la testa. All'improvviso sembrava molto più seria, e non so se era il suo tono o il fatto che ricordavo di averle sentito chiedere pochissime volte per favore, specialmente ad Haverna. Anzi, faticavo a ricordare una volta in cui era stata anche solo decentemente rispettosa verso Haverna. Ma in quel momento era diventata all'improvviso qualcun altro, qualcuno che quasi tremava e impallidiva e quasi implorava la nostra professoressa più odiata di essere clemente. Sembrava quasi spaventata. "Mi dispiace. Faccia qualunque altra cosa, tutto quello che vuole. Ma per favore non parli a Kimmel. La prego..."
Haverna sembrò colta alla sprovvista quanto me. Fissò Colette troppo a lungo, e vidi i puntini connettersi in mente sua. Dopo un momento, strinse le labbra, sembrando quasi provare dolore. "Non c'è niente da temere. Ferdinand Welling non c'è più."
"Kimmel è pessima come lui." Colette scosse di nuovo la testa. "Per favore, professoressa."
"Okay." Haverna annuì lentamente, e Colette sospirò visibilmente di sollievo. "Non lo farò. Ma non puoi continuare a creare incantesimi." Colette aprì la bocca per protestare, ma Haverna alzò una mano, interrompendola. "Non senza le dovute precauzioni, quantomeno."
"Okay, va bene." Colette fece un bel respiro, distogliendo lo sguardo. Ebbi l'impressione che stesse soppesando i costi di queste precauzioni. "Mi aiuti a preparare le dovute precauzioni e mi lasci in pace."
Haverna alzò un sopracciglio. "Intendevo supervisione."
Un gemito. "Supervisione? Sul serio? Non sono una bambina."
"Sono serissima. Legalmente sei adulta, ma ciò non significa che tu non possa far del male a te stessa, o agli altri." Haverna indicò la stanza attorno a noi. "Per pura fortuna non ti sei fatta male proprio adesso, o peggio: avresti potuto far del male ai tuoi amici."
Anche Colette si guardò intorno, riluttante. "Non ho fatto male a nessuno."
"Non ancora." Haverna alzò gli occhi al cielo. "Non intendo solo io. Sono certa che anche la professoressa Edwards sarebbe felicissima di assisterti. Sai che viene dall'Ufficio Misteri. Per qualche motivo, sei una delle sue preferite."
Colette non sembrava incline a rispondere. James si alzò con cautela. "Hey, onestamente, non mi sembra così male. Hmm?" Colette si limitò a guardarlo male.
Haverna sospirò. "Voglio solo assicurarmi che tu stia al sicuro, Colette. Posso avere questo?"
Colette si accigliò verso il muro opposto, poi sospirò. "Va bene."
Sorrisi e mi alzai a mia volta. Haverna sembrava sollevata, e onestamente, un po' lo ero anche io. Mi ero preoccupata per Colette, quando avevo saputo che aveva ricominciato a creare incantesimi. Almeno, adesso, non c'era il pericolo che venisse cacciata dalla scuola per questo, ed era molto meno probabile che facesse esplodere il castello. Prima o poi si sarebbe abituata all'idea, specialmente lavorando con la professoressa Edwards. Okay, Haverna non era il massimo, ma Colette era l'unica tra noi a cui sembrava fregare qualcosa della teoria, il che era l'unica cosa che aveva in comune con Haverna, quindi magari si sarebbe abituata anche a questo.
James ed io ce ne andammo mentre Colette spiegava con riluttanza l'incantesimo a cui stava lavorando. Con tutto quel caos, il mio torpore era svanito completamente. Quando James mi chiese se mi andava una partita a scacchi dei maghi in sala comune, mi accorsi che in effetti ne avevo voglia. E assaporai quella sensazione.
Spigolo autore
Se la storia vi piace, vi chiedo di lasciare un voto, un commento, e di andare a leggere l'originale che merita davvero.
Alla prossima!
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