Capitolo 34 - Brutti ricordi

~Wren~

Tremavo. Troppo freddo, e la temperatura scendeva. Perché? Perché mi sentivo disperata all'improvviso?

Venivo spinta bruscamente lungo uno stretto corridoio che conoscevo fin troppo bene. Me lo ricordavo.

Era Magnus a spingermi, pensavo. Ricordavo di cosa ero spaventata, cosa pensavo potesse fare. Non stavolta. Stavolta era qualcosa di peggio.

La me di dodici anni non resistette molto, quindi non potei fare altro che guardare attraverso i miei stessi occhi mentre Magnus si allungava per aprire la porta davanti a noi, per poi spingermi nel buio. Nel freddo. Nella paura.

Vidi le sbarre in mezzo alla stanza nel breve attimo in cui la bacchetta di Magnus illuminò l'ambiente. E vedevo i Dissennatori, mezza dozzina di loro, che tentavano in tutti i modi di passarci attraverso. Non ricordo se all'epoca sapevo o meno cosa fossero i Dissennatori, ma corsi disperata contro il muro opposto, all'improvviso tremante e gemente e terrorizzata.

"Divertiti," Magnus disse, gnignandomi contro. "Tornerò più tardi, se mi ricordo." Poi la porta si chiuse, e la luce sparì.

Crollai a terra, rannicchiandomi il più vicino possibile al muro e cercando di non piangere. Tutto sembrava più tetro del solito. Potevo sentire il respiro rasposo dei Dissennatori dall'altro lato della stanza, e serrai gli occhi e mi tappai le orecchie, come se ciò potesse bloccare il rumore. Forse veniva dalla mia mente.

E all'improvviso avevo undici anni, nel bel mezzo di un corridoio buio della scuola, in piedi davanti a Rose Weasley con l'orribile sensazione che ero io il motivo per cui era stesa a terra, tremante e priva di sensi. Mi girai e corsi via.

Ma poi stavo correndo da un'altra parte, un corridoio diverso, verso una stanza che mi avrebbe dato tutto ciò di cui avevo bisogno, inclusa una via di fuga. Ma avrei dovuto pensare al fatto che avevo bisogno che nessuno mi seguisse, ed era troppo tardi e sentii i miei amici dietro di me e non c'era più nulla che potessi fare. E mi girai nonostante tutti i miei istinti mi urlassero di correre e basta e all'improvviso tutto ciò che vedevo era lo shock e il dolore e la confusione e la delusione negli occhi di James ed Astra e lui diceva, "Wren?" in quella orribile voce da cuore spezzato che mi infestò gli incubi per anni a seguire.

"Perché?"

"Mi dispiace..." La mia voce parlava, ma non la controllavo. Non potevo fermare tutto ciò, farlo andare via. "Io... Io non avevo scelta... Non volevo..."

"Come hai potuto?" Astra era furiosa, e sull'orlo delle lacrime, e all'improvviso la mia coscienza colpevole mi pugnalava al cuore con tale forza che avrei urlato se non fossi solo una spettatrice.

"Io-io non posso spiegare," dicevo. "Non ancora... Non adesso..."

"C'eri tu dietro a questo per tutto il tempo." Rabbia giusta. Me la meritavo, me la meritavo, me la meritavo.

"Io... Sì..." Ero sul punto di piangere, ma non me lo ero concesso. Non me lo meritavo.

La scena continuò. Guardai ogni dettaglio orribile, tutto ciò che feci di sbagliato, ogni occasione che ebbi per implorare perdono e aiuto, ogni occasione di restare. Ogni occasione che non colsi. Quella era la cosa più brutta di questo ricordo. Non il fatto che avevo sinceramente provato ad usare la maledizione Cruciatus, anche se era orribile. Non il fatto che Astra fosse così arrabbiata, per buoni motivi. Era il fatto che avrei potuto fare la cosa giusta, ed avevo troppa paura.

Avevo dodici anni e piangevo, rannicchiata contro il muro del sotterraneo, pregando Dio o il vuoto di far fermare tutto, farlo sparire, farlo finire, ma nulla accadde. Rimasi dov'ero, a rivivere ogni orribile momento della mia vita, dei quali ce n'erano già troppi.

E avevo anche sedici anni, intrappolata nella mia stessa mente. Per quanto mi sforzassi di svegliarmi, i ricordi continuavano inesorabili. Mi tormentavano. Cose che i Dissennatori non mi mostrarono quando avevo dodici anni, ma che l'oscurità sempre in agguato sull'orlo dell'abisso, il mio Dissennatore personale, mi mostrava.

Venivo costretta a scrivere una lettera ad Astra, pregando solo che non mi credesse, che mi odiasse ancora abbastanza da consegnarla, che almeno notasse il messaggio che vi avevo nascosto. Una lettera che l'avrebbe letteralmente condannata, se l'avesse presa sul serio.

Ero sempre con Magnus, mentre mi costringeva in qualunque stanza potesse essere chiusa a chiave e mi diceva di star zitta, di non far rumore, mi diceva che avrebbe fatto meno male se avessi fatto ciò che chiedeva.

Venivo torturata, manipolata, ferita in modi che ancora non trovato le parole per descrivere. E facevo del male ad altre persone. Uccidevo. Cercavo di evitarmi dolore infliggendolo agli altri. Mi beavo degli occasionali complimenti della mia famiglia mentre la mia coscienza colpevole mi strozzava. Stavo diventando la persona che temevo, e stavo capendo che le mie scelte erano o accettare tutto ciò, o morire.

O scappare. Scappai.

Ero seduta davanti al Wizengamot, che mi sembrava l'intero mondo magico, guardando inerme mentre decidevano il mio destino. Ero spaventata, ma la paura iniziava a perdere efficacia. Ero incredibilmente apatica. Preoccupantemente apatica. Azkaban non poteva essere peggio, mi dicevo. Azkaban non può essere peggio. Poteva, e lo sapevo, ma ero così stanca che non riuscivo nemmeno ad avere paura.

Ma avevo di nuovo sedici anni, mentre il mondo crollava attorno a me e incantesimi venivano lanciati in ogni direzione, la sala d'attesa del Ministero diventava un sanguinoso campo di battaglia. Avevo paura di nuovo perché avevo appena incrociato lo sguardo con una strega bionda che sembrava volermi distruggere. Avevo paura perché sapevo che poteva.

Ero in due posti insieme, o mille. Vedevo tutto avvenire davanti a me, come un film proiettato attraverso i miei stessi occhi. Ero anche rannicchiata nel sotterraneo, piangendo mentre mi allontanavo il più possibile dal respiro crepitante dei Dissennatori appena a qualche metro di distanza. Avevo sia dodici che sedici anni, e mi nascondevo dai miei peggiori ricordi. Ma mi trovavano lo stesso.

"Hey, Wren, svegliati," una voce intervenne.

Qualcuno mi scuoteva. Mi misi seduta, guardandomi intorno frenetica. Era reale? Non riuscivo a capirlo. Non riuscivo a pensare. "Dove sono?"

"Dov'è chi?"

Era Astra. La fissai, mi concentrai su di me. Non faceva più freddo. "È... È tutto reale? Sono sveglia?"

Lei annuì lentamente. "Sì, è tutto reale." Inclinò la testa. "Stai bene?"

La realtà cominciò a fare effetto. Nessuna di quelle cose era reale. Beh, suppongo lo fossero. Un tempo. Ma non più. Feci un profondo respiro, sbattendo gli occhi. Mi guardai attorno nel dormitorio, così familiare e confortevole alla luce lunare. Lentamente, annuii, poi scossi la testa. "Non lo so."

Astra si sedette sul mio letto. "Vuoi parlarne?"

"Davvero non è niente di che." Mi guardai attorno nella stanza. Tutte le altre sembravano dormire serenamente. "Non c'è bisogno che ti preoccupi-"

"Sicura?"

No, non ero sicura. Insomma, era una cosa seria. Lo sapevo. Però non pensavo di volerne parlare. Era troppo. Volevo solo dimenticare tutto.

"Non lo so," sospirai, scuotendo la testa. "Non lo so. Mi dispiace."

"Possiamo andare di sotto, se vuoi," Astra suggerì. "Trovare una distrazione, magari? A meno che non preferisci tornare a dormire." Scossi subito la testa. L'angolo della bocca di Astra si sollevò in qualcosa che somigliava ad un sorriso, e mi offrì la mano.

La sala comune era vuota alle due del mattino di lunedì. Affondai in uno dei divani, notando solo di sfuggita che Astra aveva esitato e aveva guardato le scale. I miei pensieri correvano, pieni di tutto ciò a cui non volevo pensare. Era normale dopo un incubo, ovviamente, ma non volevo aspettare le parecchie ore che ci volevano perché si calmassero. Onestamente, volevo piangere e addormentarmi.

"Ce la fai per un minuto?" Astra chiese.

Alzai lo sguardo, confusa. Pensavo volesse parlare. Tuttavia, io non lo desideravo poi tanto, quindi annuii. "Sì. Grazie."

Astra sorrise rapidamente, poi corse via. Forse si era dimenticata qualcosa? Non riuscivo a immaginare cosa.

Non era importante. I miei ricordi mi avevano seguita. Mi guardai attorno nella stanza, cercando qualunque altra cosa a cui pensare. Conta le strisce sul tappeto; non pensare a Magnus Caldwell. Guarda la lancetta dei minuti dell'orologio fare il suo giro; non pensare ai Dissennatori. Guarda come la luce lunare filtra attraverso le aperture nelle tende; non pensare a tutte le persone a cui hai fatto del male.

Tutte le persone. I loro volti e nomi per sempre scolpiti nella mia memoria. Così tanti compagni di scuola, ovviamente. Mi avevano perdonata, sostanzialmente. Per qualche motivo.

Ma c'erano altri. Altri a cui non mi piaceva pensare. Altri di cui non avevo parlato a nessuno. Quelli erano i ricordi che avevo sepolto più a fondo, nell'angolo più lontano della mia mente. I ricordi che facevano male non perché ero io la vittima, ma perché ero la carnefice. Ce n'erano alcuni in cui avevo avuto una bacchetta puntata contro la schiena, a forzarmi la mano, ma la stragrande maggioranza erano ricordi in cui avevo ceduto. Avevo scelto di fare la cosa sbagliata.

Delle persone erano morte per mano mia.

Piangevo. Avevo bisogno di smetterla di pensarci, perché in caso contrario non sarei riuscita a vivere con me stessa. Leggi i titoli dei libri sugli scaffali. Conta quanti dei disegni di Luke erano appesi per la stanza. Cerca di capire quanti dei libri impilati sul tavolino nell'angolo dovevano essere restituiti alla biblioteca tempo fa. Ma non pensare, non pensare, non pensare.

"Wren?"

Astra era tornata. Vidi il suo volto preoccupato apparirmi davanti. Mi asciugai subito le lacrime, scuotendo la testa. "Mi spiace."

Lei si sedette al tavolino, rivolta verso di me. "No, va bene. Insomma, sai che anche io piango quando ho incubi, a volte."

"Stai bene?" Sussultai, anche se la voce di James mi fece sentire un po' più calda. Mi girai subito e lo vidi in piedi a qualche metro da me, con un'espressione un po' imbarazzata e preoccupata al tempo stesso, una combinazione che prima d'ora non sapevo esistesse. "Posso sedermi vicino a te?"

Annuii, spostandomi leggermente per fargli spazio. Astra mi rivolse un sorriso di scuse. "Spero non ti dispiaccia. Pensavo ti avrebbe fatto piacere vederlo. Non so."

"Grazie," dissi, facendo un profondo respiro. Ci voleva un po' troppo sforzo quando sorridevo, e penso che entrambi lo notassero.

"Quindi... Hai avuto un incubo?" James chiese, sedendosi lentamente. Annuii, muovendomi un po' più vicino a lui, un invito silenzioso per dirgli che andava tutto bene, che non mi sarebbe dispiaciuto se avesse voluto abbracciarmi o altre cose che sapevo voleva fare.

"Vuoi parlarne?" Astra chiese.

"Non proprio," dissi monotona, appoggiandomi alla spalla di James. Abbassai lo sguardo sulle mie mani, rigirandomi tra di esse l'orlo del maglione e lasciando andare l'ansia e la paura e la colpevolezza e qualunque altra cosa mi attraversasse la mente.

"Io... Penso che potrebbe essere una buona idea," Astra disse piano. "Farlo uscire dalla tua testa. Altrimenti resterà bloccato, non andrà da nessuna parte."

Wow, se non era vero. Provai a pensare ad una ragione per cui non avesse senso, ma non la trovai. Invece, sospirai. "È difficile."

"Lo so," James disse, stringendomi la spalla. "E se proprio non vuoi, non ti costringeremo mica. Ma siamo qui per te, okay?"

Mi accoccolai più vicina a lui. Sapevo che avevano ragione. Ma ciò non lo rese più facile. Feci un respiro tremante. Se fossi riuscita a far uscire una cosa, magari il resto l'avrebbe seguito. "Non... Non era solo un brutto sogno. Era una cosa successa davvero." Astra annuì in segno di incoraggiamento, ed io feci un respiro profondo. "I Dissennatori. La prima volta."

Vidi solo la reazione di Astra, con occhi sgranati e orrore o comprensione o empatia in volto. James invece si mosse, tirandomi un po' più vicino. "Oh."

Annuii, abbassando lo sguardo. "Ehm... Mi ci portò Magnus Caldwell là sotto. Avevo paura che avrebbe... Fatto altro. Ma... Credo che i Dissennatori fossero peggio."

"Hai visto tutti i tuoi peggiori ricordi?" Astra indovinò.

"Non direi tutti," dissi. Una vuota risata. "Stanotte erano forse una dozzina o giù di lì. Non tutti di quando avevo dodici anni."

"Okay," James disse piano. "Te li ricordi?"

Certo che sì. Nessun dettaglio si fece fumoso, come in un sogno normale. Forse perché erano ricordi che avevo già. "C'era la notte in cui ho usato la maledizione Cruciatus su Rose. E so che non ero davvero io, e che ero sotto Imperius, ma Sulcan la rimosse quasi subito e mi fece vedere cos'era successo, e rimasi terrorizzata. Perché sarei dovuta riuscire a liberarmi, o fermarlo in qualche modo..."

Astra scuoteva la testa. "Avevi undici anni. Lui aveva esperienza con quell'incantesimo. Non è affatto colpa tua."

"A me sembra di sì." Feci spallucce. "Suppongo non importi. Ehm... Poi c'è stata la notte in cui sono scappata, quando voi due mi avete seguita fino alla Stanza delle Necessità."

Lentamente e con molte esitazioni, parlai di ogni ricordo. Beh, quasi tutti. Tutti tranne il peggiore. James ed Astra mi ascoltarono con empatia, parlando solo quando mi fermavo, per incoraggiarmi a continuare. E forse mi stavo sentendo un po' meglio. Quei pensieri sembravano un po' meno brutti ora che non erano confinati nella mia mente.

Ma una parte la stavo evitando. In un paio di occasioni ci andai vicino, ma non ci riuscii. Non riuscii a dirlo a voce alta. Le persone a cui avevo fatto del male, mi tormentavano in modi che mio zio e Sulcan e Magnus Caldwell non avrebbero mai potuto replicare. Mi tormentavano perché me lo meritavo.

Astra e James ad un certo punto si accorsero che stavo tralasciando qualcosa, penso. Quando alla fine mi zittii, avendo terminato tutto il resto, James mi accarezzò il braccio. "È tutto?"

Esitai, il che voleva dire no. Non volevo mentire, ovviamente, ma non potevo parlarne. "Non... Non importa." Anche quella era una bugia.

"Beh, allora non dovrebbe essere difficile parlarne," Astra disse, sorridendo leggermente."

"Lo è," dissi subito, abbassando lo sguardo. Scossi la testa. "Non... Non posso. No."

Astra si allungò e mi accarezzò il ginocchio. "Va tutto bene."

"No, non capisci. Non... Non riuscirete più a vedermi allo stesso modo."

Vidi Astra guardare James con un'espressione confusa, una che sicuramente lui replicava. "Non è vero," disse lui. "Sul serio, siamo qui per te."

Mi allontanai, girandomi per guardarli entrambi. Forse ci sarei riuscita. Uno sguardo nei loro occhi, però, vedendo la loro fiducia, sussultai e scossi la testa. "Ho... Ho fatto del male a delle persone, James."

"Lo sappiamo," disse in tono calmante. "Non avevi scelta."

"Non parlo del primo anno," dissi, scuotendo di nuovo la testa. "Ce l'avevo una scelta."

Si guardarono di nuovo l'un l'altro, ancora confusi e preoccupati. Okay..." Astra disse piano. "Allora perché non ce ne parli?"

Non volevo farlo. Ad essere del tutto onesta, volevo raggomitolarmi e morire. Almeno per scuotere la testa e tornare a dormire. Ma non meritavo di risparmiarmelo. "Beh... Penso sia cominciato poco dopo che ho fatto tredici anni. Credo che Stillens cercasse di convincermi in un altro modo, perché stavo iniziando ad essere... Rassegnata a tutto, direi. E voleva che fossi parte di tutto questo. Era una questione di famiglia. Quindi ha cominciato a costringermi a fare del male alle persone. Mi puntava la bacchetta contro la schiena, costringendomi ad usare la maledizione Cruciatus o altri incantesimi oscuri. E in quei momenti non avevo molta scelta. Era come a scuola: obbedire o morire. Non volevo morire."

"Ma certo," James disse. "Non è colpa tua, vedi?"

"Non ho finito," dissi piano. "Questo era l'inizio. Dopo un po', la bacchetta dietro la mia schiena sparì. Mi diceva solo cosa fare. Poi non era nemmeno presente, e c'era mia madre o mio padre. E quando esitavo ancora, non minacciavano nulla. Mi incoraggiavano solo." Abbassai lo sguardo. "I miei genitori non mi avrebbero fatto del male. E io lo sapevo. Quindi non ho una scusa. Forse c'era una parte di me che aveva paura di cosa sarebbe successo se non lo avessi fatto, ma volevo anche rendere fieri i miei genitori. Volevo che la mia famiglia mi amasse. E iniziavo a chiedermi se magari avessero ragione. Quindi ho solo fatto ciò che mi si chiedeva. L'ho scelto. Ho scelto di fare del male alle persone. Dozzine di loro. E... E ho anche ucciso tre persone. E nessuno di loro sotto qualunque forma di minaccia."

Non potevo alzare lo sguardo. Non potevo affrontarli. Tremavo, tentando di non piangere. Se avessi pianto, avrebbero potuto avere pietà di me, e non volevo questo. Non me lo meritavo. Mentre il silenzio durava per parecchi eterni secondi, aspettai tesa. La loro reazione. La loro sentenza.

"Oh," James disse finalmente. "Wren, comunque non è colpa tua."

Scossi la testa. "Per favore non mentire per farmi stare meglio, okay? Non sono una bambina."

"Ma lo eri. Quando è successo tutto questo, lo eri." James voleva prendermi la mano, ma io sussultai, e lui posò la mano sul divano in mezzo a noi. "Eri una bambina che è stata manipolata e torturata e ferita, ed è un miracolo che tu sia impazzita. Per forza hai ceduto, e hai fatto ciò che volevano farti fare. Era la tua stessa famiglia che ti manipolava."

"Avrei dovuto fare meglio. Non avrei dovuto cedere."

"Forse sì," Astra disse. "Ma devi darti un po' di tregua. Eri in una posizione orribile. Non c'erano molte opzioni buone."

"E alla fine sei scappata. Non è che l'hai mai accettato," James mi fece notare. "Hai notato subito che non potevi continuare a vivere così, e sei scappata."

Scossi la testa. "No. Ho fatto l'egoista."

Astra scosse la testa. "Okay. Diciamo che hai ragione, e nulla di ciò che abbiamo detto è vero. Non cambia il fatto che adesso sei più forte. Sei cambiata, Wren. Non sei più quella persona. Quindi anche se lo eri all'epoca, non importa."

Finalmente alzai lo sguardo. Davvero non mi odiavano per questo. Non capivo. Oppure loro non capivano. "Non sono diventata magicamente una persona nuova quando sono scappata. La ragazza che ha fatto tutte quelle cose, che ha torturato e ucciso solo per evitare un po' di dolore, è ancora dentro di me da qualche parte. C'è decisamente una parte di me che ancora vuole che i miei genitori siano fieri di me. C'è ancora una parte che farebbe di tutto per sopravvivere, anche, penso. Solo perché non ho avuto bisogno di farlo negli ultimi anni non significa che non ci sia più."

"Ci sono anche delle cose che prima non c'erano," James disse. C'era troppa gentilezza nei suoi occhi; mi avrebbe fatta piangere. "Non saresti mai tornata indietro a spiare la tua famiglia tre anni fa, per esempio. Adesso sei più coraggiosa. Ti importa ancora di più di fare la cosa giusta. E la ragazza che ha ceduto alle pressioni della sua famiglia potrebbe ancora essere dentro di te, ma credo sia sopraffatta dalla ragazza che si rifiuta di farlo, adesso."

Ormai mi cadevano le lacrime. Non potevo fermarle, quindi abbassai lo sguardo. Avevano torto, così tanto. Non volevo che mi odiassero, ma me lo meritavo. Quello, e molto peggio. Avevo fatto cose orribili, e l'avevo fatta franca. Nessuno lo sapeva, e nessuno l'avrebbe saputo mai, e non avrei mai affrontato le conseguenze. Me lo meritavo. Ne avevo bisogno. Scuotendo la testa, dissi, "Basta. Per favore. Smettetela di provare ad aggiustare le cose. State facendo peggio."

"Beh, allora, come possiamo fare meglio?" Astra chiese piano.

"Io... Io non lo so..." Le mie mani tremavano. O forse tremavo tutta. "Non potete."

"Di certo c'è qualcosa," James disse.

"Non c'è." Feci un profondo respiro. Li stavo facendo preoccupare, e ciò non andava bene. "Mi dispiace, non avrei dovuto parlarne."

"No, certo che dovevi," James disse, spostandosi in modo da guardarmi. "Se ti pesa, vogliamo aiutarti a portare un po' di questo peso."

"Non è giusto." Era quello il problema. Nulla di tutto ciò era giusto. Mi erano state fatte cose orribili, e nessuno aveva fatto nulla al riguardo. Quello non era giusto. Avevo fatto cose orribili, e l'avevo fatta franca. Quello non era giusto. L'unica cosa un minimo giusta in tutto ciò era la schiacciante vergogna nel mio petto che mi rendeva difficile respirare o ragionare logicamente.

"Chi se ne fotte se non è giusto," James sbottò. "Guardami, Wren."

Lo feci, più per la sorpresa al suo cambio di tono che per altro. James era intensamente corrucciato, e non riuscii a distogliere lo sguardo. "Okay, sì, hai fatto delle cose brutte. Possiamo stare qui a discutere se è colpa tua o no, e nessuno cambierà idea, quindi non voglio parlarne più. Il fatto è che non importa. Sai perché? Tutti ti perdonano. Tutti quelli importanti, almeno."

"E prima che tu dica che non ti meriti il perdono," Astra intervenne, "Se te lo meritassi, non ne avresti bisogno. Quindi quella scusa non regge."

"Esatto," James disse, annuendo concorde. "Quindi, ecco. Ti perdoniamo. Albus e Colette ti perdoneranno. Anche la mia famiglia, e quella di Astra. E Haverna, dato che ti interessa la sua opinione. E sai cosa? Scommetto che perfino Hestia Carrow ti perdonerebbe, e dato che è la vera ministra, questo significa che un governo che non sia completamente pazzo ti perdonerebbe, legalmente parlando."

"James, dici che stiamo facendo qualcosa?" Astra chiese piano.

James sbatté gli occhi, girandosi per guardarla storto. "Silenzio." Scosse la testa, poi mi guardò di nuovo. "Sto dicendo che le persone possono reagire a te in due modi, Wren. Potrebbero punirti per tutte le cose sbagliate che hai fatto, oppure vedere come ti stai impegnando con tutta te stessa per essere buona e fare cos'è giusto e rischiare la tua vita per sconfiggere tuo zio e tutte le altre cose che fai, e decidere di perdonarti per le cose brutte." Si allungò di nuovo per prendermi la mano, e glielo lasciai fare. "Quindi, sarai perdonata, che ti piaccia o no. Non puoi farci niente."

Mi sentivo come congelata. Volevo credergli così tanto. Volevo che la voce accusatrice nella mia testa se ne andasse, che mi desse pace. Volevo che i miei amici mi accettassero, che mi dessero un'altra possibilità. Volevo il perdono.

Ma non potevo, no? Non era giusto. Non era così che doveva andare. Sarebbe stato come cedere, e fare finta che non avessi fatto niente. Sarebbe stato come ignorare tutto. Come dire che non importava nulla delle cose brutte, e che potevo fare ciò che volevo senza subirne le conseguenze.

"È... Sembra sbagliato."

"Lo so." James mi strinse la mano. "Ma non lo è. Non stiamo mica cancellando tutte le cose orribili che hai fatto. Le sto riconoscendo, okay? Hai fatto del male a delle persone. Hai fatto delle cose davvero orribili, a quanto pare. E ti senti responsabile. Ma comunque non ti aggredirò per esse. Non è sbagliato accettare il perdono."

"Hey, insomma, tu ci perdoni di continuo per le nostre cazzate," Astra disse, sorridendo. "È la stessa cosa. Solo in scala più grande."

"Esatto." James annuì. "Nessuno è irrecuperabile, Wren. Specialmente non tu."

Non sapevo cosa pensare. Come sentirmi. Cosa fare. Piangevo senza volerlo, e non riuscivo a fermarmi. Non sapevo nemmeno perché. Mentre James mi stringeva in un abbraccio, l'unica cosa che riuscii a dire fu, "Grazie."

"Ti amo," mi sussurrò tra i capelli. Mi cullava avanti e indietro mentre piangevo sulla sua spalla. E forse era Astra che mi accarezzava la schiena. Non lo sapevo. Tutto stava crollando, e non riuscivo ad inquadrare bene i miei pensieri. Mi limitai ad aggrapparmi a James, all'amore che provavo per lui e per i miei amici, alla consapevolezza che anche loro mi volevano bene.

Se loro potevano perdonarmi, forse, un giorno, sarei riuscita a perdonare me stessa.




Spigolo autore

Se la storia vi piace, vi chiedo di lasciare un voto, un commento, e di andare a leggere l'originale che merita davvero.

Alla prossima!

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