Giorno U N O

"La follia nei singoli è qualcosa di raro,
Ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola."
-Friedrich Nietzsche, 1886

Giorno uno - ottobre 1955

Ho visto. E loro sanno che ho visto tutto. Mi stanno venendo a prendere.


Due presunte guardie stavano trascinando la ragazza lungo un corridoio grigio e spoglio. Questa si dibatteva, cercando di opporsi con tutte le sue forze; ad un certo punto piantò con forza i piedi sul pavimento e con il viso arrossato dallo sforzo gridò rivolta verso l'uomo che la strattonava per il braccio destro.

-Lasciatemi andare. Io non sono pazza. Perché mi avete portato qui?-
Grosse ciocche di capelli sfuggivano ribelli dalla treccia che penzolava inerme sulla schiena della ragazza.

-Sta' zitta e cammina. Ogni pazzo è convinto della sua normalità-, la guardò di sfuggita negli occhi -motivo per cui non vi diamo retta.-

Un ragazzino dallo sguardo vacuo li osservò passare dinnanzi, con la bocca semiaperta da cui colava un liquido giallastro. Le mani ossute congiunte in grembo.

La ragazza lo osservò schifata e con orrore constatò che più procedevano verso l'interno della struttura, più vi erano persone che danzavano sull'invisibile linea  della pazzia e normalità.

Una donna ferma davanti ad una griglia di ferro che dava sul cortile, si strappava con violenza ciocche di capelli bianchi, e dopo averli baciati li lanciava al vento con un sorriso sognatore dipinto sulle labbra sottili.

Appena vide passare i due uomini si appiattì al muro con un insolito terrore, cercando di nascondersi. Sussurrava parole sconnesse mentre il corpo ricordava qualcosa in un tremolio.

La reazione della vecchia signora lasciò molto sorpresa la ragazza. Cercò di avvicinarsi a quest'ultima ma un ennesimo strattone al braccio la scuoté violentemente, ricordandole che era impossibilitata a fare qualunque movimento che andasse contro la volontà dei due uomini al suo fianco.

-Non abbiamo tutto il giorno per i tuoi porci comodi. Non costringerci a legarti ad un letto con delle fottute cinghie, ragazzina.- Sul viso della guardia sulla sua sinistra, spuntò un sorriso lascivo.

Il rimbombo dei loro passi si fermò improvvisamente davanti ad una stanza dalla porta in metallo arrugginito. N.1778.

Fu in quel momento che Madison realizzò effettivamente la gravità della situazione in cui si trovava. Era reale. Era tutto maledettamente reale.

-Lasciatemi andare, vi prego. Non ho fatto del male a nessuno- mormorò lei, ormai in preda al panico.

Uno dei due tenne aperta l'entrata dello stanzino mentre l'altro spingeva la ragazza al suo interno, dopodiché si chiuse la porta alle spalle.

-Senti, Gohar... non è che potremmo... sai, assaggiare il dolcetto?- disse fissando la ragazzina che cercava di allontanarsi da loro due.

Gohar si grattò il mento, pensieroso. -Sai che il Dottore li vuole perfettamente integri. Soprattutto se giovani.-

-Basta! Aiuto!- gridò Madison cercando di ribellarsi per l'ennesima volta proprio mentre una mano le tappava la bocca.

-Urlare non ti servirà a nulla, ragazzina. Sei solo una matta che si è ritrovata in una gabbia per matti. Prima lo capisci meglio sarà!- disse Gohar.

-Bisogna farle capire come funzionano le cose qui- aggiunse l'altro facendo un cenno con la testa. Gohar intese.

La trascinò verso una porticina che dava su un piccolo presunto bagno, all'interno della stanza. Spintonò la porta per lasciar passare il proprio collega e poi vi introdusse Madison all'interno.

L'aria dentro allo stanzino era stagna e nauseante. Gohar aprì un getto d'acqua appeso malamente al muro scrostato che avevano di fronte. Alcune gocce gelide schizzarono sul viso di Madison, mentre lei istintivamente si portava le mani sul volto. Brividi di freddo la percorsero tutto il corpo fin dentro le ossa. Annaspò, cercando di introdurre una gran boccata di ossigeno nei polmoni.
L'altro uomo spinse la ragazza sotto al getto d'acqua gelato, ormai aperto al massimo. Un urlo uscì dalla bocca della ragazza mentre cercava di togliersi dalla portata dell'acqua, ma delle mani la trattenevano lì sotto, impedendole di muoversi. Sembrava come se miliardi di spilli le stessero penetrando il corpo, contemporaneamente.

Qualche istante dopo il cervello si era inebetito arrivando quasi a congelare, il flusso dei pensieri.
Non si rese nemmeno conto del fatto la stessero portando di nuovo nella stanza. Vide solo alcune mani avvolgerle delle cinghie in pelle attorno al corpo, immobilizzandole del tutto le spalle e il bacino.

Non si accorse neppure dell'improvviso silenzio calato nella stanza.

Vide solo la porta chiudersi dietro di loro e udì distrattamente il rumore del battente che veniva chiuso con il lucchetto.

E mentre cominciava a tremare dal freddo con la mente intorpidita, notò casualmente i profondi solchi sulla porta. Forse lasciati da unghie che avevano graffiato in modo disperato per cercare una via d'uscita da quel posto.

Un piccolo e fradicio quadernetto le stava appiccicato alla gamba sinistra, sotto alla gonna, all'interno dei collant scuri. Stava lì, freddo e rigido, a testimoniare l'ennesima conferma che tutto ciò che stava vivendo era reale.

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