Giorno T R E [Quarta parte]

"Di fatto, non esiste pazzia senza giustificazione e ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo, coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini."

-Alda merini

Giorno T R E [Quarta parte]

Lo sguardo di Madison, attento e indagatore, era in cerca di quel attimo in cui quella guardia si sarebbe tradita, dimostrando come le piccole attenzione che le stava dedicando in quel momento, fossero in realtà, semplicemente una farsa per portarla all'umiliazione ancora una volta.

Il ragazzo continuava a parlare intanto, sembrava quasi come se un qualche meccanismo della sua bocca si fosse improvvisamente sbloccato, arrugginito e immobile da troppo tempo. La sua voce cigolante come un vecchio macigno accennava a discorsi futili, mentre lui continuava a saltellare da un discorso all'altro alla stregua di una piccola ape schizzinosa che svolacchiava pigramente da un fiore all'altro.

La cosa di cui Gohar non si rendeva conto era del fatto che da molti minuti ormai, stesse portando avanti un mongolo con sé stesso, difatti, Madison non sembrava certamente intenzionata a partecipare alla conversazione con la guardia; lo aveva perciò lasciato parlare e discutere a ruota libera, mentre lei consumava la propria "colazione", intanto sperava inutilmente di capire la motivazione il suo insolito comportamento.

Passarono altrettanti minuti.

La pazienza di Madison si sgretolò. -Ma tu, che cosa vuoi?- Sbottò infine la ragazza, braccia incrociate la petto e sguardo severo e inquisitore negli occhi. Per quanto ne sapeva lei, non vedeva l'ora che la guardia chiudesse quella bocca e la portasse dal Dottore, in modo che lei potesse decretare la fine dei suoi giorni oppure cominciare a crescere un piccolo seme di speranza per uscire da quel posto.

Il ragazzo si ritrovò assolutamente spiazzato dalla sua domanda. Si bloccò improvvisamente, come se quella domanda lo avesse risvegliato da uno stato di trance.

-Io ehm... Hai finito di mangiare, giusto? Andiamo allora.- prese il vassoio dentro cui vi erano posati l'ormai vuota scodella del latte e il piatto contente ancora qualche briciola di pane raffermo, appoggiato sulla sedia e si diresse verso l'esterno della stanza facendo cenno alla ragazza di seguirlo.

Madison si chiese se non avesse usato un tono troppo duro, ma poi si ricordò che la persona che aveva davanti era la stessa che nemmeno due giorni prima l'aveva legata ad un letto infreddolita, dopo una doccia forzata. Non riusciva proprio a collegare quei due aspetti così diversi racchiusi in una sola persona. Continuò a fissarlo con i suoi occhi chiari e limpidi, in attesa della risposta alla sua domanda di qualche attimo prima.

La guardia ignorò il suo sguardo e si incamminò lungo il corridoio, visibilmente a disagio. Lei lo seguì, finché ad un certo punto, fermatosi sotto una finestra, le ordinò di aspettarlo, che lui avrebbe dovuto andare a restituire il vassoio nelle cucine. A quanto pare si fidava di lei, perché non avrebbe mai lasciato da solo un paziente qualunque.

Madison rimase immobile per tutto il tempo in cui Gohar se ne stette via, senza cercare alcuna via di fuga; voleva uscire da quel posto a testa alta sapendo di avere le carte in regola piuttosto che fare la figura della vigliacca, scappando a gambe levate.

Quel giorno sembrava prospettarsi ricco di sorprese; dopo lo sfogo notturno, era riuscita a levarsi in gran parte la negatività e in quel preciso momento, cominciava anche a sperare che potesse succedere qualcosa di straordinario in quella giornata.

Fissò il muro grigio che aveva di fronte, rigato ripetute volte da qualche strano oggetto nella parte bassa, segni in parte ricoperti da diverse chiazze di muffa scura che poi si espandevano verso l'alto. Come un nuvola di fumo denso che piano piano avvolgeva ricoprendo ogni cosa.

Gohar fu presto di ritorno, la cominciò a guidare all'interno della struttura verso il "l'Ambulatorio" del Dottore K.

Lo vide fermarsi improvviso davanti ad una delle tante stanze che costeggiavano il corridoio.

-Aspettami qui- le disse il ragazzo, mentre apriva la porta della stanza numero 365.

Ne uscì subito dopo, mentre spingeva una carrozzina sopra cui stava seduto un ragazzino con il capo abbandonato sulla propria spalla.

Un viso piuttosto familiare alla memoria di Madison. Dopo qualche istante, lo riconobbe a pieno: era lo stesso ragazzino che aveva intravisto il giorno in cui era stata portata al St Elisabeth's.

Anche in quel momento, un filo sostanzioso di bava giallastra gli stava rigando il mento orizzontalmente, e anche negli occhi, lo sguardo vitreo e senza vita non era cambiato.

Alla sua vista, Madison arricciò il labbro superiore, mentre le viscere venivano sconquassate da un improvviso moto di disgusto e compatimento. Si strinse tra le proprie braccia, a disagio. Una domanda sola le vorticava nella testolina: "Era stato quel posto a ridurre quella povera anima fino a quel degrado?"

Gohar sistemò come meglio poteva il corpo inerme del ragazzino sulla sedia a rotelle, e con movimenti calcolati e freddi, gli passò attorno al busto il paio di spessi lacci che stavano penzolando ai lati della sedia; lo legò in modo tale da impedirgli qualsiasi movimento azzardato. Sistemate le sue esili braccia sopra braccioli in metallo della sedia, bloccò anche questi tramite dei cinturini. Madison notò come un piccolo scintillio fosse improvvisamente luccicato negli occhi della guardia. Fu un attimo ed era già scomparso, come sotterrato da una caterva di altri pensieri ed emozioni.

Il ragazzo spinse la carrozzina per qualche metro fino a fermarsi sotto una delle grandi finestre dala quale in quel momento, proveniva una flebile luce autunnale. Lo lasciarono lì, a contemplare una vista che di cui forse il ragazzino, non aveva coscienza. Prima di allontanarsi definitivamente, con un unico movimento deciso, gli ripulì la bocca con un pezzo di fazzoletto di stoffa ripescato dalla propria tasca.

-Adesso possiamo andare dal Dottore- disse Gohar avviandosi verso una grande scalinata che si intravedeva in fondo al corridoio.

Camminarono in silenzio fino a giungere al primo gradino delle enormi scale. Madison era tentata di chiedere alla guardia chi fosse il ragazzino, oppure come fosse finito in quel posto. Era curiosa di conoscere la sua storia. Ma poi si ricordò che non sarebbe sarebbe servito a molto conoscere la gente di quel posto, aveva la certezza che presto lei ne sarebbe stata fuori.

I loro passi riecheggiavano lungo la scala producendo un suono sordo e allo stesso tempo muto. I gradini bassi e levigati dal tempo rendevano la sensazione di non finire più. O forse semplicemente era un effetto prodotto dall'ansia che in quel momento stava rodendo le membra di Madison. Ma sul suo viso, non si trapelava altro che una maschera di dura indifferenza. Gli occhi concentrati e seri sembravano dire "Siamo qui. Non potete farci nulla."

Le scalinata finì: erano al primo piano dell'edificio.

Gohar si voltò un paio di volte verso la ragazza come per dirle qualcosa, ma all'ultimo momento si rimangiava la parola, dando a Madison la sensazione di non riuscire a parlare.

Infine, rallentò il passo e prese un leggero fiato. -Madison. Io non so tu perché tu ti trova qui, o quale sia il contesto da cui vieni, non so nulla di te. L'unica cosa di cui sono certo è che tu sia assolutamente sana di mente. E la cosa ovvia per una persona normale che si trova in un manicomio è la voglia di uscirci, a qualsiasi costo. Lavoro qui da anni e l'unica cosa che ho capito è che ribellarsi non serve a niente; in te vedo uno spirito ribelle. Spero per te, che tu riesca a tenerlo sotto controllo. Non so quanto io ti possa sembrare affidabile, ma ti consiglio di fidarti, anche perché non hai molta scelta qui.

-Qualunque cosa ti chieda il Dottore, Madison, digli le cose come stanno. Non ribellarti. Qualunque cosa decidano di farti, accettalo, sei una cosa loro. Ti danno del cibo e del tetto sotto cui stare. Questo li porta a considerarci un soggetto di loro proprietà.-

Furono parole che raggelarono l'animo della ragazza. Non seppe dargli una risposata diversa da uno sguardo circospetto mentre annuiva con il capo. Decise di fidarsi. Forse per il fatto che aveva l'impressione che quel ragazzo venisse trattato alla pari dei pazienti. Erano simili per certi aspetti.

Gohar si fermò a qualche passo da una porta in legno scuro. -Cosa più importate, non devi mai- venne interrotto dalla porta dell'ambulatorio che veniva aperta dall'interno.

Un ragazzo dalla testa rasata varcò la sua soglia. Lo sguardo cupo era severo e arrabbiato. Le braccia avvolte in spesse bende di lino. Le spalle larghe si abbassavano e rialzavano per via del respiro affannato.

Se per il ragazzino del piano inferiore aveva messo qualche attimo per riconoscerlo, per questo ragazzo qui non ci mise nulla. Lo riconobbe all'istante in cui si incrociava il loro sguardo, era lo stesso ragazzo seduto in mensa. Lui era come lei. Normale.

Madison avvertì un leggero brivido correrle lungo la spina dorsale.

-Non raccontargli nulla di te. MAI- le mormorò in un sussurrò mentre le passava accanto. Una voce roca e profonda che si bloccò sulla bocca dello stomaco della ragazza.

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