Giorno D U E [Terza parte]

"È così necessaria la follia degli uomini che non essere folli vorrebbe dire esserlo in un altro modo."
-Blaise Pascal, Pensieri, 1670

Giorno due [Terza parte]

La cuoca dai capelli rosso rame rimase per qualche istante impietrita sentendo quel suono metallico che scaturì al contatto con il pavimento marmoreo. Gli occhi si muovevano irrequieti, quelle iridi ghiacciate incastonate in bulbi oculari molto sporgenti rispetto alla linea del viso, vagavano frenetiche per la sala.

Lo sguardo marcato da un sottile paio di sopracciglia, erano falcate pronte a piegarsi per conferire alla donna quell'aria austera e maligna per la quale era conosciuta in quel luogo.

La donna, lentamente, si voltò ad osservare forse quello che già sapeva che avrebbe visto: la brodaglia che la ragazzina avrebbe già dovuto trangugiare, stava lì, tutta schizzata in molteplici direzioni per terra.

Se c'era una cosa che Erwin Hutch sapeva fare in modo diligentemente, dopo anni di esperienza, quello era dimostrare a quel branco di dementi qual era il loro posto.

Avanzò con passo pesante e minaccioso, facendo echeggiare lo strisciare delle sue ciabatte con il tacco ormai consunto, mentre con una mano srotolò con un colpo secco il suo fidato compagno.

Lo fece scoccare un paio di volte, giusto per attirare l'attenzione di coloro che ancora non avessero capito che cosa stesse succedendo. Si avvicinò con una lentezza esasperante a quella insulsa ragazzina che a quanto pareva, non aveva ancora capito le regole di quel luogo, o forse, non aveva capito chi vi comandava. Erwin era intenzionata a fargli capire sia l'una che l'altra cosa.
Con un energico strattone fece schioccare nell'aria il cinturone di pelle scura, ormai consunto in più punti a causa del suo frequente uso, facendogli fare un giravolta intorno alla propria mano paffuta.
Lasciò che il silenzio, e quel suo unico gesto parlassero per lei.
La ragazzina sapeva di essersi cacciata nei guai, guai molto più grossi di lei.
Il divertimento che cercava la cuoca, era arrivato a quanto pareva.

Nemmeno qualche minuto dopo, aveva costretto la ragazza a mettersi in ginocchio, in un angolo della sala rialzato rispetto al resto della mensa, così da avere una visuale completa sulla stanza per chi vi stava sopra e viceversa, tutti presenti potevano vedere senza sforzi coloro che stavano innanzi al piano rialzato.
Una targhetta arrugginita recitava in un corsivo tondeggiante: "L'Angolo dell'Insegnamento".

Tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di lei, inginocchiata per terra dando la schiena alla figura che sovrastava dietro di lei, conferendo a questa, un'aria molto più minacciosa di quanto non avesse in realtà.

La donna afferrò per la nuca la ragazza di fronte a lei, facendola inclinare ulteriormente rispetto alla sua posizione già scomoda.

Le mani di lei erano legate dietro la schiena con uno straccetto di spago ruvido che pressava i suoi fragili polsi in maniera crudele. Quando la donna la costrinse ad abbassarsi, spingendole il viso verso terra, la corda di spago si conficcò ulteriormente nella pelle, creando piccoli laceri intono ai polsi della ragazza.

-Hai combinato quel disastro e ora ne paghi le conseguenze. È una delle regole: se fai qualcosa poi le paghi, sulla tua pelle- disse la cuoca con fare fiero, mentre un sorriso sornione le si dipingeva in volto.

-L'avreste fatta pagare anche se non avessi fatto nulla di nulla- rispose lei in un mormorio, forse con un filo marcato di provocazione.

-Devi stare zitta, demente. Non osare aprire ancora quella lurida boccaccia.-
Un ponderoso schiaffò librò dalle mani di Erwin per andarsi a scontrare sul capo scuro della ragazzina.

-Come ti chiami? Fammi vedere il polso!- Con uno strattone le afferrò il polso sinistro, contorcendolo verso l'esterno e aumentando così, la pressione che il filo di spago esercitava sul suo polso, facendo in modo che questo, ormai arrivasse ad essere cerchiato completamente.

Il pallido avambraccio non portava nessun codice di identificazione.

L'espressione della cuoca rossa si fece corrucciata. -Non ti hanno ancora portato dal Dottore. Male.-

Poi in un attimo, ricordatasi del compito che doveva svolgere, sul viso balenò un'aria divertita e severa al tempo stesso, con un luccichio maligno che brillava negli occhi.

-Ti ho fatto una domanda ragazzina insolente. Voglio sapere come ti chiami.- Riprese a torturarla, stringendole il piccolo mento nella mano, lasciando il segno rossastro delle proprie dita sulla mandibola della ragazza.

-Madison Leen.- Rispose questa con la voce ferma, lo sguardo ancora fiero puntato in quello della cuoca, il cui viso si trovava ad una vicinanza tale da permetterle di notare la spruzzata di lentiggini scure che la ragazza aveva sparsa sulle gote e sulla punta del naso.

-Bene, Madison. Ora conta con me.- Concluse la cuoca in un sibilo, e mentre si rialzava, si lisciò distrattamente con un mano la gonna color pece, che aveva preso varie pieghe immaginarie quando si era inginocchiata davanti alla ragazzina spocchiosa ancora senza un codice.

-Vergognosa- sussurrò.

Le persone dinnanzi divennero un pubblico di spettatori silenziosi che assistevano imponentemente alla scena, alcuni animi insensibili che rivedevano quel supplizio ormai familiare mentre altri egoisticamente speravano finisse al più presto per riprendere a consumare il pasto.
Anche se oramai era divenuta una cosa abituale l'allungarsi dei pasti fino a qualche ora in più, dovuto a queste "dimostrazioni" in pubblico; un fatto che il personale a comando del luogo, riteneva necessario far comprendere cose che "quelle teste matte non avrebbero mai capito", cose fondamentali come le regole.

Ed era principalmente attraverso le punizioni corporali che comprendevano a fondo il funzionalmente del posto senza troppe spiegazioni o implicazioni, spesso adattandosi per il semplice motivo di evitare ulteriori rogne e guai.

Obbedivano e obbedivano, alla stregua delle marionette. E filava tutto liscio.

Questa era una di quelle cose che, Erwin Hutch aveva scoperto nel corso degli anni, grazie alla sua esperienza in quel campo.

Aveva capito che la paura e il senso di smarrimento nello sguardo di chi stava rinchiuso in quei luoghi erano da sfruttare a suo favore, per tenersi un passo avanti rispetto a loro. Era quello il vantaggio.

Ma non l'aveva capito subito: a braccetto della malignità aveva cominciato ad andarci molto dopo; perché inizialmente, un po' ci aveva tenuto anche a quei poveri pazzerelli che venivano rinchiusi lì dentro con o senza colpe, spesso fino alla fine dei loro giorni.
Tempo dopo però, era arrivata a comprendere a sue spese, che l'unico linguaggio che capivano i pazienti era quello della violenza e null'altro. Se doveva tenerli a bada e al loro posto, quello era l'unico metodo. Negli anni poi, avevano anche cominciato ad additarla come La Cuoca, diventato sinonimo di un soggetto da cui stare alla larga. Lei era diventata una che trovava rogne anche dove non ce n'erano, perchè La Cuoca, le rogne le trovava ovunque per spezzare la monotonia di quella gente fuori dalle righe.

In quel momento una vocina nella testa le sussurrò che forse, stava sbagliando. Che quella ragazzina docile messa in ginocchio davanti alla sua potenza, pronta a ricevere una ponderosa frustata, fosse innocente. Che magari, potesse essere lì per errore. Le sussurrò che Madison era una persona assolutamente sana mentalmente, capace di elaborare concetti e dialogare usando un linguaggio normale. La sua testa funzionava meglio rispetto a molti altri che in quel momento potevano benissimo percepire nell'aria l'attesa lancinante dell'arrivo del colpo che da lì a poco sarebbe risuonato.

La vocina era un campanellino che trillava ogni tanto, accantonato in qualche angolo della mente della cuoca, ridotto ormai ad uno spettro della sua miserabile coscienza.

Solo che Erwin Hutch, da tempo immemore aveva smesso di ascoltare quella vocina fastidiosa e spesso tediosa. Lei era diventata una donna razionale e in quel momento la razionalità le suggeriva di dare una punizione a quella che aveva appena sporcato il pavimento con il pasto che lei stessa aveva preparato per loro, con cura e tanto amore, poco importava poi se per lei il concetto di amore fosse totalmente diverso da ciò che il sentimento stesso comportava realmente.
E fu in quel momento che una scintilla di puro amore e gioia sprizzò nel suo petto ponderoso, quando il cuoio del cinturone sbatté con violenza sulla schiena della ragazzina, percuotendola con uno scossone. Dalle labbra di questa uscì un suono strozzato, incapace di urlare oppure di dire qualsiasi altra cosa.

Subito dopo, un secondo colpo partì nell'aria, fendendola non con meno potenza del primo, per poi adagiarsi lambendo di bruciori la pelle tesa di Madison, coperta sola da una gonna in tessuto di lino.

La soddisfazione della donna venne al culmine quando vide sgorgare copiose lacrime dagli occhi chiarissimi della ragazza. L'aveva in pugno, finalmente.

E mentre abbatteva un colpo dopo l'altro, non riuscì a trattenere una profonda risata di felicità e orgoglio constatando il fatto di avere in pugno tutta quella mandria di deficienti. Ancora una volta.

***
Appunto personale: certi pensieri espressi sopra non li condivido affatto, come il concetto delle violenza che ha la Cuoca. Li ho scritti per farvi calare nella logica del personaggio.
Sembra una cosa banale da chiarire ma certe persone appunto, trovano rogne anche dove non ce ne sono :)

Detto questo, spero che questa parte vi sia piaciuta. A proposito, cosa ne pensate della Cuoca?

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