Capitolo 6

Marinette's POV

Singhiozzai, portandomi una mano sulla bocca, mentre lacrime di incredulità bagnavano il mio viso.

-Non è possibile…- mormorai, continuando a piangere, ma mi costrinsi ad alzarmi, fissando con occhi sgranati la piccola scatolina di legno scuro, ornata da antichi simboli rossi.

Una scatolina a me molto più che familiare.

La presi con mani tremanti, rilasciando un sospiro tremante prima di aprire il coperchio, venendo subito invasa da una luce rossa accecante. Appena essa svanì un paio di orecchini si rivelarono all'interno della scatola, ed una piccola creaturina rossa era sospesa a mezz'aria, accovacciata su se stessa.
Il kwami lentamente aprì gli occhi, e fu a quel punto che non riuscii più a trattenermi dall'esplodere.

-Tikki…- mormorai il petto scosso da forti singhiozzi e la vista appannata dalle lacrime.

Mi guardò confusa prima di sgranare lentamente gli occhi, ricordando ciò che il mio cuore non aveva mai rinunciato dal custodire gelosamente.

-Marinette!- urlò la sua vocina, scattando subito verso di me e spalancando le sue piccole braccia, schiacciandosi contro la mia guancia bagnata, e prendendo anche lei a piangere rumorosamente.

Restammo per un tempo infinito lì, a cercare di colmare il vuoto che aveva riempito il nostro petto con il calore che per anni non eravamo riuscite a scambiarci.

-Tikki… com'è possibile?- singhiozzai mentre la ospitavo nelle mie mani unite.

-Il maestro Fu…- rispose, asciugandosi le lacrime.

-Dov'è in questo momento?- feci altrettanto, decisa a far sparire ogni traccia del dolore che fino a quel momento mi aveva tormentata giorno e notte.

-Nel suo negozio, ma non andare ora, ha bisogno di riposo- mi consigliò.

Un ampio sorriso si aprì sul mio volto mentre realizzavo per la prima volta quanto bisogno avevo avuto di ascoltare nuovamente la sua sottile vocina, e la portai contro la mia guancia in una specie di abbraccio.

-Oh, Tikki, devo raccontarti così tante cose…- sussurrai chiudendo gli occhi, sentendomi finalmente in pace.

-Non ne dubito, Marinette, ma credo che prima di questo ci sia un'altra cosa che il tuo cuore non cessa di richiedere- disse dolcemente.

-Chat Noir…- mormorai subito, e il mio essere subito ripose al nome che da tempo non avevo avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce, scuotendo il mio corpo da parte a parte.

-Ma… come posso incontrarlo?- le chiesi, timorosa.

-Devi solo pronunciare due paroline magiche- mi fece scherzosamente l'occhiolino, un sorrisetto malizioso a ornarle il piccolo viso mentre indossavo il miraculous della coccinella.

-Tikki, trasformami!-


Adrien's POV

Appena entrai in casa richiusi la porta alle mie spalle, scalciando via le scarpe e dirigendomi in cucina, dove iniziai a riporre i vari alimenti che avevo appena finito di acquistare nonostante fosse da tempo calata la notte; quindi mi feci una veloce doccia per alleviare la stanchezza e andai in camera mia, dove mi buttai malo modo sul divano, cercando pigramente con lo sguardo il telecomando del televisore sul tavolino posto davanti a me.

I miei occhi incontrarono però un altro oggetto, che mi fece all'istante mozzare il fiato e socchiudere le labbra. Come una scheggia afferrai la piccola scatolina, aprendola con uno scatto e serrando gli occhi quando una forte luce verde scaturì da essa, aprendoli poi di scatto quando avvertii che fosse svanita. Al suo posto un piccolo essere simile ad un gattino nero stava sbadigliando rumorosamente, stiracchiandosi e grattandosi pigramente la schiena.

-Dov'è il mio camembert?- chiese con fare scocciato, iniziando a guardarsi intorno.

-Plagg!- esclamai, buttandomi subito addosso al kwami e stritolandolo, udendo teatrali lamenti a cui non prestai attenzione.

-Scollati, ragazzo- sfuggì dalla mia presa, sbuffando infastidito -I Chat Noir d'oggi non sanno che cosa sia il rispetto- borbottò con irritazione, spolverandosi vestiti immaginari ed evitando il mio sguardo lucido di lacrime represse.

-Plagg…- mormorai nuovamente, lasciando al primo singhiozzo il permesso di pervadermi da capo a piedi.

-Non ti metterai a frignare, spero- sbuffò, facendo incontrare per la prima volta i nostri occhi, ma un luccichio nel suo sguardo tradì il suo tono scocciato.

-Ha parlato quello che ha ammesso di non ritenermi poi così male- ribattei a tono, incrociando le braccia al petto e tirando velocemente su col naso.

-Non è vero, non ho mai detto una cosa simile, e anche se fosse sarebbe una bugia- protestò subito, alzando altezzosamente la piccola testolina.

-Certo, certo…- annuii, lasciando intendere che non credessi ad una sola parola di quelle che aveva pronunciato.

-Certo che diventi sempre più brutto,- commentò squadrandomi da capo a piedi, per poi annusarmi -e l'odore non migliora la situazione- aggiunse con fare disgustato.

-Ripeto, dov'è il mio camembert?-
Proprio in quel momento, attraversa la gigantesca vetrata davanti a me, vidi Ladybug destreggiarsi insieme al suo yo-yo tra le strutture di Parigi, diretta verso una direzione che sapevo bene dove portava.

Restai lì, imbambolato, per qualche secondo, fino a quando mi affrettai ad indossare l'anello che mi era mancato come fosse stato una parte di me, per poi allungare il pugno davanti a me.

-Plagg, trasformami!- esclamai subito.

-Oh, andiamo... non ho neanche mangiato…- si lamentò prima di venire risucchiato dal miraculous, trasformandomi per la prima volta in troppo tempo in Chat Noir.

Premetti le labbra tra di loro per evitare di scoppiare a piangere come un poppante, quindi aprii velocemente la finestra della mia camera e impugnai il mio bastone, lanciandolo una pio di volte e facendolo atterrare sul mio palmo aperto.

-Il gatto è tornato, bellezze-

Saltai fuori casa, assaporando finalmente il gusto della libertà, mentre saltavo da un tetto all'altro verso la torre Eiffel, pronto a rincontrare la mia lady.

Atterrai alle sue spalle, a qualche metro da lei, e subito capii che il mio amore nei suoi confronti non si era attenuato nonostante il passare del tempo, anzi: il modo in cui il mio cuore prese a battere più velocemente del normale non fece altro che farmi capire che i miei sentimenti per lei non potevano che crescere, ed era quello che avevano fatto nei due lunghi anni in cui eravamo stati separati.

-My lady…- mormorai, come non voler rischiare di rompere la quiete atmosfera della notte.

Ladybug si girò lentamente, facendomi notare per la prima volta il suo volto rigato di lacrime, oltre che i grandi cambiamenti che il suo corpo aveva effettuato nel corso del tempo, ora più formoso e maturo.

-Chaton…- mormorò tra le lacrime, iniziando a correre verso di me prima di saltarmi letteralmente addosso, tenendomi stretto a se.

Subito ricambiai la presa, rilasciando un tremante sospiro di sollievo quando il suo familiare profumo mi invase i polmoni, colmandomi del vuoto che prima di allora non aveva accennato a sparire.

-Scusami… ti prego scusami…- mormorò, stringendo ancora più saldamente le braccia attorno al mio busto -scusami per tutte le volte in cui ti ho ferito, sostituendo il "ti amo" che tanto bramavo dal pronunciare con parole che non facevano altro che demoralizzare entrambi, allontanandoci l'uno dall'altra- mormorò contro la mia spalla, facendomi paralizzare.

-Ti amo…- si staccò, guardandomi negli occhi pieni di lacrime -E te lo dirò fino alla nausea, anche se tu non ricambierai, anche se ti stuferai di me, anche se arriverai al punto di non volere altro a parte la mia lontan…- cominciò a dire con voce rotta, ma la interruppi con un bacio che ricompose all'istante i pezzi del mio cuore spezzato, invadendomi di un calore che pensavo non avrei mai provato, colmandomi di un amore che non credevo sarebbe mai stato corrisposto.

Ci baciammo per quella che sembrò un’eternità, ma nemmeno quella sembrò abbastanza lunga quando ci staccammo in cerca d’aria.

Poggiai la mia fronte sulla sua, pieno di una felicità che non mi era mai appartenuta pienamente, che mi era sempre stata messa sotto al naso, per poi strapparmela via all’improvviso, riportandomi alla dura realtà.

-Adrien- mormorò, facendomi boccheggiare.

“Ha scoperto la mia vera identità?! Questo vuol dire che mi conosce anche senza la maschera?!” iniziai a domandarmi, ansioso.

-Ti ricordi quando ti avevo detto che amavo un ragazzo?- continuò, facendomi pian piano realizzare -parlavo di Adrien Agreste, per cui provo tutt’ora qualcosa- rivelò d’un fiato.

Mi lanciò un’occhiata timorosa, ma non vide nient’altro che un ampio sorriso e degli occhi luccicanti di gioia, cosa che le fece corrugare le sopracciglia.

Davanti al suo sguardo quasi offeso mi riscossi, schiarendomi nervosamente la gola.

-Tu invece ricordi quella ragazza di cui ti avevo parlato? Quella a cui facevo spesso visita?- le domandai, deciso a mettere tutte le carte in tavola.

-Si, Marinette Dupain Cheng, se non sbaglio- annuì stranita, non riuscendo a capire a cosa volessi andare a parare.

-Beh, provo qualcosa per lei- dissi velocemente -qualcosa di più profondo di una semplice amicizia- specificai con leggero timore.

Inarcò un sopracciglio, perplessa, facendomi confondere a mia volta: perché stava esibendo quel sorrisetto sfacciato?

-Voglio rivelarti chi sono- se ne uscì all’improvviso, spiazzandomi.

-Cosa?! Ne sei sicura, my lady? Non devi sentirti obbligata o in dovere di farlo- dissi a malincuore, seppur fosse l’unica cosa che in quel momento volessi davvero.

-Non ho intenzione di sprecare altro tempo che potremmo passare insieme- scosse la testa, convinta, quindi lasciai la presa sulle sue cosce, lasciandola andare, e mettemmo qualche passo di distanza tra noi, facendoci avvertire all’istante il freddo di quella notte d’ottobre.

-Ritrasformami- dicemmo all’unisono, e quando i bagliori rossi e verdi svanirono, capimmo che il patto che avevamo sugellato non sarebbe stato poi così tanto complicato da rispettare.

-Siamo dei cretini, vero?- chiese Marinette, avvicinandosi a me e circondandomi il collo con le braccia, mentre io facevo la stessa cosa con la sua vita.

-Sarò anche un cretino, ma un cretino che ti ama con tutto se stesso- mormorai ad un palmo dalle sue labbra, vedendola sorridere.

-Resta il fatto che sei un cretino- ribatté scherzosamente, avvolgendo una ciocca dei miei capelli attorno al dito.

-Così mi offendi, my lady- sfoggiai un sorrisetto sornione, ottenendo la stessa cosa da parte sua.

-Ah si, micetto? E sentiamo un po, come potrei rimediare a mio tale errore?- chiese innocentemente, sebbene una scintilla di malizia lampeggiava nel suo sguardo.

-Credo di avere un’idea…- mormorai rocamente prima di far congiungere le nostre labbra in una danza che non avevo intenzione di far finire presto.

Avevamo perso due anni, ma avevamo davanti a noi tutto il resto della nostra vita.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top