Capitolo 1
Adrien's POV
Avvistare da dietro il finestrino dell'aereo la torre Eiffel fu come prendere una boccata d'aria fresca, dopo aver trascorso due lunghi anni in America.
Subito mi si illuminò lo sguardo, e l'ombra di un sorriso malinconico si fece strada sul mio volto tirato, consapevole che, finalmente, ero tornato nella mia città natale.
Se Plagg fosse stato lì con me di certo avrebbe fatto qualche battutina, dandomi della femminuccia e del piagnucolone, per poi ordinarmi di dargli del camembert; ma non c'era. E dovevo farmene una ragione.
Dopo lo scontro con Papillon il miraculous della farfalla e del pavone erano tornati nelle mani del maestro Fu, così come il miraculous del gatto nero e quello della coccinella, entrambi ospitanti una crepa sulle loro superfici.
Dopo quel giorno il maestro era improvvisamente scomparso, portando con se soltanto la scatola dei miraculous, e lasciando a Ladybug la custodia della sua casa.
Mio padre, Papillon, aveva deciso di arrendersi, ponendo fine agli attacchi delle akuma. Aveva deciso di dare una degna sepoltura a mia madre, spiegandomi il reale svolgimento dei fatti, e rivelando tutta la verità.
Non era cambiato, era rimasto il solito genitore freddo e distaccato, e non aveva nemmeno deciso di trascorrere più tempo in mia compagnia, né aveva cercato di farsi perdonare in qualche modo; ma glielo avevo concesso, tutto sommato potevo dire di capirlo.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata quando mi aveva praticamente costretto a salire su un aereo diretto in America, senza lasciarmi possibilità di scelta.
Avevo cominciato a frequentare un liceo americano, rassegnandomi all'idea che anche se mi fossi opposto non avrei ottenuto nulla.
Mio padre aveva subito guadagnato fama, diventando uno dei stilisti più conosciuti in tutto il continente, grazie anche all'aiuto di Nathalie. A quanto avevo capito, l'ex portatore del miraculous della farfalla stava cercando di voltare pagina, iniziando ad instaurare una relazione romantica con la sua segretaria.
Dovevo ammettere che però non mi sarebbe dispiaciuto poi così tanto avere Nathalie come matrigna: era l'unica persona che si era occupata di me, durante la permanenza in casa Agreste, e le volevo un bene dell'anima.
Poi, all'improvviso, dopo ben due anni, Gabriel Agreste mi aveva detto che, se lo desideravo davvero, potevo tornare in Francia, e continuare lì i miei studi. Ovviamente accettai all'istante, rifiutando di portare con me il mio bodyguard, preparando subito il primo volo disponibile per la mia città preferita: Parigi.
Mio padre ovviamente non era venuto con me, in parte per i suoi innumerevoli impegni lavorativi, in parte perché aveva confessato di trovarsi davvero bene in America, cosa che ovviamente era stata influenzata anche dalla sempre più costante presenza di Nathalie.
Il periodo vissuto lontano da casa era stato a dir poco straziante: non sentivo più le noiose chiacchierate di Plagg sul camembert, non potevo più vantare la presenza dei miei amici, non potevo più trasformarmi in Chat Noir e correre da un tetto all'altro per cercare di sfogare, in parte, la tensione che accumulavo durante la giornata; e, soprattutto, non potevo più incontrare la mia lady.
Dal giorno in cui avevamo sconfitto Papillon, non l'avevo più incontrata, e a volte mi rammaricavo di non aver aperto gli occhi e non aver scoperto chi si celasse dietro quella maschera. Forse, se lo avessi fatto, le cose sarebbero andate diversamente...
Scesi la scaletta dell'aereo con una lentezza estenuante, assaporando ogni singolo istante del mio ritorno a casa; però, quando il volto sorridente di Nino entrò nel mio campo visivo, non potei fare a meno di ricambiare e iniziare a correre per raggiungerlo, rischiando più volte di cadere e rompermi l'osso del collo.
Il ragazzo tese una mano verso di me, quindi mi affrettai a stringerla con la mia, per poi tirarlo verso di me e abbracciarlo con quanta più forza avessi a disposizione.
Certo, avevamo continuato a sentirci per telefono, ma incontrarlo dal vivo per la prima volto dopo anni per poco non mi fece piangere: mi era mancato infinitamente.
-Amico, come va?- esclamò gioiosamente quando ci staccammo, un luccichio di felicità negli occhi.
Non era cambiato più di tanto: era diventato più alto e muscoloso, aveva iniziato ad usare più spesso i jeans, e aveva fatto crescere un poco i suoi capelli perennemente accorciati, ma le cuffie da DJ erano ancora appese al collo e il suo carattere rimasto lo stesso, cosa che si poteva vedere a chilometri di distanza.
-Alla grande, tu?- sorrisi ampiamente, afferrando la valigia e cominciando a camminare insieme a lui verso un taxi.
-Alla grande!- mi imitò con una risata, mentre apriva la portiera della macchina.
Diedi delle veloci indicazioni al tassista, quindi mi accomodai nei sedili posteriori, accanto a Nino.
-E gli altri? Come se la passano?- mi incuriosii, dato che l'unico con cui non avevo perso i contatti era il ragazzo al mio fianco.
-Come sempre, amico- sorrise -la classe è rimasta la stessa: nessuno se ne è andato e nessuno di nuovo è arrivato. Kim continua a scommettere con Alix, che accetta di buon grado e si prepara a fargli il culo a strisce; Milenne e Ivan continuano ad essere una coppia dolcissima; Lila non ha smesso di rifilare alla gente montagne di bugie, affermando persino che ti è venuta a trovare in America e che tu le hai chiesto di essere la tua ragazza; Rose e Juleka sono ancora amiche affiatate, e Max è il solito genio; Nathaniel continua a scrivere fumetti fantastici; e Chloe e Sabrina... beh, sono rimaste Chloe e Sabrina- rise infine.
"Appena la incontrerò devo fare una bella chiacchierata con Lila..."
-Che mi dici invece di Alya?- gli scoccai un'occhiata maliziosa, facendolo arrossire e borbottare qualcosa.
-Questo è un colpo basso, amico- distolse lo sguardo.
-Dai, scherzavo- gli diedi un'amichevole gomitata, cacciando una risata.
-E' fantastica, come sempre- sospirò sognante.
-Deduco che state ancora insieme- ghignai sarcasticamente.
-Puoi dirlo forte- annuì serio.
-E Marinette?- cambiai argomento.
-Marinette probabilmente è l'unica che è cambiata- si rabbuiò all'improvviso.
-Cosa? Che vuoi dire?- mi preoccupai.
-Ti ricordi la Marinette ritardataria e sempre con il sorriso sul volto? La Marinette goffa e impacciata, che cominciava a balbettare senza sosta da un momento all'altro?- mi chiese in sospiro triste.
-Certo, come potrei scordarmene?- sussurrai confuso.
-Ecco, quella Marinette è scomparsa qualche giorno prima che tu partissi, ma non lo puoi sapere, visto che in quei giorni non sei venuto a scuola- mi rivelò.
-Nino, che vuoi dire?- corrugai la fronte, sempre più preoccupato.
-E' da allora che è sempre puntuale, raramente puoi scorgerle un espressione sinceramente felice sul volto, e spesso rifiuta di uscire con gli altri, tirando fuori impegni palesemente inventati sul momento. E' sempre triste e pensierosa, e nemmeno Alya riesce a farle rivelare cosa la turba da due anni a questa parte: Marinette dice solo di essere stanca, cosa probabilmente vera, in parte, dato che ha sempre delle terribili occhiaie sotto agli occhi-
"Questa descrizione non dovrebbe essere mai associata al nome di Marinette... devo scoprire cosa le sta succedendo..." decisi mentalmente, non disposto a restarmene con le mani in mano, quando l'amica che c'era sempre stata per me, sembrava aver bisogno di aiuto.
-Comunque- cambiò argomento, tirando fuori un sorriso -anche se i caratteri sono rimasti gli stessi, i loro aspetti sono a dir poco cambiati; quindi non sorprenderti più di tanto quando li incontrerai, più tardi- mi avvertì giocosamente.
-Più tardi?- inarcai un sopracciglio.
-Certo!- esclamò ovvio -sei appena tornato dall'America e ti aspetti che il tuo fratello non abbia invitato tutti per una riunione di classe?- ghignò innocentemente, facendomi sospirare con fare teatralmente esasperato.
-Non sei cambiato di una virgola, amico-
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