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In quell'ultimo anno di vita Paperjam aveva sofferto e superato dolori immensi, folgoranti come l'esplosione di un deposito di metano e che gli stagnavano ancora nel cuore.
Dopo la morte dei suoi genitori era precipitato in una solitudine così sconfinata e ottusa da lasciarlo idiota per mesi, ma nemmeno una volta, nemmeno per un secondo l'idea di farla finita l'aveva sfiorato, perché avvertiva che la vita é più forte di tutto.
Paperjam, nella sua inconsapevolezza, intuiva che tutti gli esseri di questo pianeta devono vivere.
Questo é il nostro compito, questo é stato scritto nella nostra carne.
Bisogna andare avanti, senza guardarsi indietro, perché l'energia che ci pervade non possiamo controllarla, e anche disperati, menomati, ciechi continuiamo a nutrirci, a dormire, a respirare contrastando il gorgo che ci tira giù.
Eppure, lì in quella steppa, questa certezza vacillò.
Quella frase pronunciata così duramente gli spalancò nuovi e più limpidi orizzonti di dolore.
Ebbe la sensazione che il cuore gli si seccasse nel petto come un fiore in una fornace, mentre il sangue che gli riempiva le vene si riduceva in polvere.
Uno dei maggiori sorrise soddisfatto.
L'altro ghignò.
I ragazzini cominciarono a ridere imitando i maggiori.
Paperjam chinò il capo, sconfitto.
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