Capitolo 3. Un pensiero fisso

Marina mordeva la sua penna, senza ascoltare molto della lezione che si stava svolgendo in classe. I suoi pensieri erano tutti rivolti allo studente giapponese. Per qualche motivo, gli era molto familiare, ma non riusciva a capire da dove...

"Chi è lui? Perché mi sembra di conoscerlo? Questa cosa mi farà diventare matta, forse dovrei chiederglielo..."

Ma nonostante l'avesse pensato, probabilmente non l'avrebbe mai fatto. Non si sentiva abbastanza fiduciosa da parlare con lui viso a viso. Solo pensare alla sua stazza le metteva ansia... Era fin troppo alto per lei.

-Fitzgerald.-

-Presente!-

Rispose Marina.

-Non ti distrarre troppo... Queste cose le chiedo all'esame.-

-Certamente... Mi scusi tanto.-

Il professore si rigirò e continuò la lezione.

"Non posso pensare a lui ora come ora. Anche se è l'unica cosa a cui penso ultimamente... Voglio scoprire perché mi sembra tanto familiare."

Finita la lezione, Marina e Caroline tornarono al loro appartamento. Era piuttosto stretto, ma loro ci stavano bene lo stesso. La cucina e il salone erano uniti ed il bagno era piccolo. Caroline lasciò la borsa sul letto e sospirò.

-Quanti anni erano per chimica farmaceutica?-

-Ma che ne so io?-

Disse Marina, riguardando i suoi appunti disordinati. Non avevano nessun senso.

-Non può essere... Come ho fatto a distrarmi così tanto?-

-Che hai fatto?-

Chiese Caroline, stendendosi sul divano.

-Ero così impegnata a pensare a... Altro che non mi sono concentrata sulla lezione...-

-Eheh... Jotaro ti ha distratta?-

-Che? No.-

-Hai esitato.-

-Non è vero!-

-Quanto sei fortunata ad averlo in facoltà... Sono un pochettino gelosa, anche molto se devo dirla tutta!-

-Non è per quello che... Ugh! Non so perché, ma mi sembra di conoscerlo.-

-Conoscerlo?-

Marina annuì, sdraiandosi per terra accanto al divano.

-Viene dal Giappone! Dubito vi siate mai visti prima...-

-Lo so bene, però... Forse da quella volta che sono andata in Giappone...-

-Ah sì, era all'inizio dell'anno, no?-

-No, in primavera. Ho incontrato un bel po' di persone... Dove l'ho già visto?-

Marina mugugnava lamentosamente, cercando di ricordare. Caroline stava seduta sulle sue ginocchia ed ebbe un'idea: acchiappò il telefono di casa e lo porse alla sua coinquilina.

-Chiamalo.-

-Sei impazzita?-

-L'università è cominciata da un paio di settimane e conosco una ragazza che è riuscita a trovare il suo numero. Tieni, me lo sono scritto proprio qui.-

Disse, tirando fuori un fazzoletto di carta con il numero scritto sopra. Marina lo fissò.

-Siete disgustose... Ci credo che lo infastidite tanto.-

-Come fai a dire se è infastidito o meno? È così stoico... Non mostra nessuna emozione. La sua faccia è impeccabilmente impassibile.-

Marina alzò gli occhi al cielo.

-Perché sono tutte ossessionate da lui?-

-Mi stai dicendo che non lo trovi fregno?-

-Per essere fregno, è fregno. Questa gliela concedo. Ma non è che parli così spesso... Riusciresti a starci in una relazione con lui?-

Caroline rise schioccò la lingua.

-Se è bravo a baciare almeno la metà di quanto è gnocco, non vedo perché no.-

Marina le tirò un calzino da terra.

-Che schifo!-

-Guarda che quello è tuo!-

Risero divertite. Caroline le porse di nuovo il telefono.

-Tu gli chiedi di passarti gli appunti di ciò che avete fatto in classe e poi, se è in vena di parlare, gli chiedi anche se si ricorda di te.-

-È un pessimo piano.-

-Non lo saprai mai finché non ci provi.-

Marina ci pensò per qualche secondo e poi lo afferrò.

-'Sti cazzi. Io ci provo.-

-Brava ragazza!-

Digitò il numero con mani tremanti e si portò la cornetta all'orecchio, con gli occhi incerti e il cuore che batteva forte.

-Ehi, voglio sentire.-

Commentò la coinquilina sporgendosi dal divano per avvicinare anche il suo orecchio, mentre Marina cercava di spingerla via. Ma appena sentì la sua voce, si fermò:

-Vecchio, sei tu? Ora sto studiando.-

Cadde il silenzio. Caroline le fece cenno di parlare.

-Allora? Chi parla?-

-Io... Coff. Sono Marina Fitzgerald. Dell'università.-

Questa volta, il silenzio si sentì dall'altro lato della cornetta.

-Come hai fatto ad avere questo numero?-

-Una mia amica. Ti ricordi di Cassidy, no?-

-Oh. Lei. E lei come ha fatto ad avere questo numero?-

-Non sta andando benissimo...-

Le sussurrò Caroline un po' preoccupata. Marina le fece cenno di tacere.

-Che ne so, però capita bene. Volevo chiederti una cosa.-

Ci fu altro silenzio. Le due ragazze si guardarono, mimando con le labbra:

-Parla poco, non è così?-

-Che vuoi?-

-Non ho... Fatto molta attenzione oggi. Puoi dettarmi i tuoi appunti?-

Marina lo sentì, anche se era basso; un sospiro stizzito.

-Avresti dovuto fare attenzione in cla...-

-Ho capito, ti sto innervosendo, scusa, ciao!-

E riattaccò di botto, senza dargli il tempo di rispondere. La sua coinquilina la fissò, basita.

-Scusa, ma perché l'hai fatto?-

-Si stava innervosendo...-

-Ma come cavolo fai a capire quando è nervoso? Perché sei così ossessionata dall'idea che sta infastidito tutto il tempo?-

-Non lo so il perché... Lo percepisco e basta.-

-Sì, come no...-

-Non sto scherzando! Non mi chiedere il perché, ma guardandolo negli occhi riesco a leggere cosa sta provando... O almeno credo.-

Caroline annuì.

-E quindi sei tu la ragione te la quale nessuno ci ha ancora provato.-

-A me nemmeno interessa. Però riesco a capire come si sente.-

Caroline riprese il telefono e lo agganciò.

-Vabbè, amica, ma almeno provaci tu a chiedergli di uscire...-

-Dovrei? Non dovrebbero essere i maschi a fare la prima mossa?-

La sua amica sbuffò, mentre si alzava per dirigersi verso il frigo.

-Quello è un concetto superato... E poi, se stai ad aspettare lui... Potrebbe sempre chiedere ad un'altra.-

-Non credo che lo farà...-

Disse Marina, gli occhi rivolti ai suoi piedi.

-Non lo saprai mai. Che c'è da mangiare il frigo?-

Chiese Caroline mentre lo apriva.

-Un attimo: non volevi provarci tu con lui?-

-Nah. Mi sono arresa. Ne ho uno carino in facoltà, può darsi che ci provi con lui. Mh... C'è il ketchup...-

-Sai cosa? Forse lo farò!-

-Alla grande, Marine!-

Marina sorrise.

-Devo solo trovare il coraggio di chiederglielo!-

Caroline ridacchiò, mentre beveva il ketchup dalla bottiglietta.


Intanto, nell'appartamento di Jotaro, dopo che la ragazza aveva attaccato, lui era rimasto con la cornetta in mano per qualche secondo.

"Ha capito come mi sentivo ed ha preferito riattaccare piuttosto che infastidirmi?"

Scosse la testa.

"Chi se ne frega. Ho da fare ora."

Lanciò il telefono sul sofà e tornò a rileggere i suoi appunti, talvolta ripetendoli sovrappensiero. Non guardò più l'orologio finché non suonarono alla sua porta.

-Sono già le sei...-

Si alzò per andare ad aprire e trovò Joseph sorridente dietro la porta.

-Sorpresa!-

Jotaro aspettò qualche secondo e poi tentò di richiudergliela in faccia.

-Aspetta, aspetta, aspetta! Scusa, so che avrei dovuto avvertire, ma è solo per questa volta!-

Fece l'uomo bloccando la porta con il piede.

-Ugh. E va bene. Entra.-

Dopo qualche minuto, Jotaro portò il tè per entrambi e si sedettero sul sofà a berlo.

-Sei completamente concentrato sui tuoi studi ora.-

Jotaro annuì.

-Bene, bene... E a scuola ti stai facendo degli amici?-

-Tsk.-

Jotaro alzò gli occhi al cielo.

-È da quando sono in facoltà che ricevo telefonate dalle ragazze. Mi sto seriamente incazzando... Secondo me, faccio meglio a cambiare numero.-

-Quindi nessun amico?-

Jotaro evitò lo sguardo di suo nonno mentre finiva di bere.

-Jotaro: pensavo ne avessimo già parlato. Avevi promesso che avresti fatto uno sforzo...-

-Ma qual è il senso, vecchio?-

-Le circostanze nelle quali hai incontrato Avdol e gli altri non erano delle migliori, però...-

-Quindi tu sei venuto qui solo per farmi la morale?-

Strillò Jotaro, alzandosi a pugni stretti.

-Assolutamente no! Ho fatto un affare qui in Florida ed ho pensato bene di venirti a trovare!-

-Ed hai comunque pensato che aprire questo discorso sarebbe stata una buona idea?-

-Com'è che ogni volta che parliamo, noi due, ultimamente finisce sempre che urliamo?-

-Prova a indovinare!-

Seguì una leggera pausa di silenzio.

-Io mi preoccupo per te, Jotaro...-

Il ragazzo diede le spalle a suo nonno per non guardarlo, sospirando.

-Devi smetterla di pensare che puoi tirare avanti tutta la tua vita da solo! Hai Polnareff, dico bene? Tu e lui siete amici.-

Jotaro si volse, ma prima ancora che potesse parlare, Joseph lo bloccò:

-Non provarci nemmeno a negarlo! L'ho sentito al telefono e mi ha raccontato che passate un sacco di tempo a parlare.-

Lo studente si morse il labbro.

-Lui è l'unico. Ha uno stand. Abbiamo passato insieme quarantotto giorni a combattere un vampiro, vecchio! Non puoi aspettarti che io leghi con qualcun altro così tanto!-

-Hai detto che avete legato?-

Chiese Joseph con un sorrisetto. Questo fece infuriare Jotaro ancora di più.

-Se lo dici a qualcuno, ti uccido.-

-Come no, ci credo...-

Fece, sempre ridacchiando. Il giovane sospirò.

-Ascolta. Non sto dicendo che tu debba avere lo stesso rapporto che hai con Polnareff con i tuoi compagni di facoltà. Quello mai. Ma almeno parlaci, riconosci la loro esistenza... Qualsiasi cosa, Jotaro!-

-Se sai qual è il mio problema, allora perché continui a girarci attorno?-

Joseph guardò suo nipote negli occhi: era cristallino capire cosa stesse pensando.

-Jotaro. Io voglio che tu sia felice. E lo vuole anche tua madre, tua nonna e pure Polnareff. Hai già così tante persone che ti vogliono bene... Ma non puoi continuare così.-

Jotaro si strofinò gli occhi, stanco.

-Voglio dormire.-

-È presto, ancora.-

-Vecchio. Io non... Non è così che funziona. Uno non va semplicemente a farsi degli amici dopo quello che...-

Mugugnò, strofinandosi gli occhi esasperato, cercando di trovare le parole per parlare.

-Lo capisco bene, Jotaro. Ma non condannare tutti. Dai a qualcuno una possibilità.-

Jotaro guardò suo nonno negli occhi: poteva vedere benissimo quanto era preoccupato. Sospirò di nuovo.

-Santo cielo... E va bene. Lo farò.-

Joseph sorrise ed andò ad abbracciarlo. Jotaro non ricambiò, ma lo lasciò fare.

-Io devo tornare a New York. Tu chiamami di tanto in tanto!-

-Certo...-

Disse Jotaro con un tono triste e stanco. E poi chiuse la porta.

~

Era soleggiato. Freddo, ma soleggiato. Pessimo tempismo, pensò Jotaro. C'era stato il sole durante tutto il funerale. Joseph stava parlando con la signora Kakyoin: si vedeva chiaramente da chi il ragazzo aveva ripreso i capelli. Anche il padre aveva i capelli rossi, ma più corti, ed indossava gli occhiali, una cosa che per qualche ragione infastidiva Jotaro.

-Quello è mio nipote Jotaro. Lui e Kakyoin erano compagni di scuola.-

Tutte le parole che uscivano alla bocca del nonno gli sembravano delle bugie, sebbene fosse in parte la verità. Però nascondere il vero motivo della sua partenza ai genitori... Non è che avessero molta scelta, però. Sarebbero sembrati due pazzi se avessero spiegato di DIO.

-Quindi Jotaro era amico del mio piccolo Nori?-

Joseph diede un'occhiata al nipote che lo stava ignorando, anche se stava segretamente origliando l'intera conversazione.

-Sì. Erano amici.-

-Sono così contenta... Noriaki non aveva mai avuto amici prima d'ora, ma almeno...-

Fece la madre sorridendo tra le lacrime.

-Mi solleva sapere che ne avesse uno.-

-Ne aveva cinque.-

Si lasciò scappare Jotaro, seccato.

-Che ha detto?-

-Nulla, signora. Jotaro mi ha raccontato che a Kakyoin piaceva molto studiare.-

-Era un bambino così curioso... Ma ancora non capisco perché se n'è andato senza dirci niente...-

La madre scoppiò a piangere ed il marito la abbracciò per confortarla. Joseph ci si stava impegnando per trattenersi: non avrebbe voluto piangere davanti ai genitori. Lui non l'avrebbe voluto.

-Non lo so, signora, dico davvero...-

-Se erano amici, allora lo dovrebbe sapere Jotaro!-

Commentò il padre.

-È inaudito che ci abbiamo impedito di vedere il corpo!-

"Oh, fidati, non vuoi vederlo davvero..."

Pensò Jotaro, mentre si stava stizzendo sempre di più.

-Ma cosa dici, caro? Certo che ce l'hanno fatto vedere.-

-Sì, ed era coperto di bende! Non si vedeva niente!-

-Perché? Tu volevi vedere la ferita? Ma ti è sfuggito quanto sangue c'era? Il nostro bambino è stato probabilmente assassinato!-

Fece la madre, avendo un altro collasso.

-Ma cosa avrebbe potuto fare una ferita così grossa?-

Mi dispiace, signo Kakyoin, ma se la Speedwagon non ha trovato niente, ho paura che non lo sapremo mai..-

Nessuno parlò per un minuto buono, dove l'unico suono che si sentiva erano i pianti della madre.

-Mi dispiace davvero.-

Joseph non riuscì più a trattenersi ed anche lui cominciò a piangere. Jotaro distolse gli occhi da quello spettacolo pietoso per guardare la tomba.

"Noriaki Kakyoin. Nato il 1971- morto il 1989"

"Ora che ci penso... Cos'è che abbiamo scritto sulla tomba di Iggy ed Avdol?"

Chiude gli occhi per cercare di ricordarsi la sua conversazione con Polnareff:

-Iggy dimostrava quattro anni, non ti pare?-

-Ma a chi cazzo frega?-

-Non vorrei sbagliarmi... Lui si offenderebbe.-

-È morto, Polnareff. Dubito che possa offendersi.-

-E mi mancherà quando lo faceva.-

-Ma quanti anni aveva Avdol?-

-Stava alla fine della sua ventina... Forse già trenta. Oppure ne aveva ventotto. Dovremmo chiedere a monsieur Joestar.-

Jotaro riaprì gli occhi. Pensare a quelle cose lo feriva. Ed anche guardare quella tomba lo feriva.

-Vecchio!-

-Non urlare... Siamo in un cimitero.-

Gli bastò uno sguardo per capire cosa stesse pensando il nipote. Salutò i Kakyoin e tornò a casa con lui.


















.....
Voi non avete idea di quanto faccia male scrivere questo e poi doverlo pure rileggere.

Capitolo pesante oggi... Il prossimo, tranquilli, è più leggero.

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