Sestry

Due bambine che si fissavano, ecco cosa doveva sembrare dall'esterno quella scena. Due bambine in un immenso prato, sedute a studiarsi a vicenda.
Ricordo ancora il mio stupore quando vidi per la prima volta quella bambina dagli occhi di ghiaccio, dello stesso colore delle sue terre, anche se quello lo avrei scoperto mesi dopo. Se dovessi scegliere una parola per descrivere come era parsa ai miei occhi in quel momento sceglierei candida. Candida, come un angelo. Peccato che angelo non era più.
Era apparsa all'improvviso; una macchia chiara in mezzo all'arcobaleno di colori che c'era in quel parco. Sembrava smarrita, così indifesa e così diversa. Si, perché lei era diversa, impossibile da non notare.
La osservavo muoversi piano, sotto lo sguardo vigile dei suoi genitori. I suoi movimenti, come i suoi passi, erano incerti, timorosi. Una marea di cose nuove si presentavano davanti ai suoi occhi e lei ne aveva timore, eppure ne era affascinata. Un nuovo mondo, una nuova avventura per lei, in attesa solo che ci si buttasse a capofitto, ma l'attesa doveva durare ancora un po', vista l'insicurezza nel suo sguardo.
Io stessa ero timorosa: era diversa, sconosciuta, così aliena da quello a cui ero abituata. Avevo amici di tutti i colori e di tutti i continenti, di ogni carattere e tradizione possibile, ma non avevo mai visto nessuno come lei. Ne avevo visti di bambini che emanavano un'aura di solitudine, eppure nessuno di loro mi attirava così tanto. Mi sentivo come un'incauto marinaio nell'udire il canto melodioso di una sirena; spaventoso e misterioso, eppure magnifico.
Così, raccolsi tutto il mio coraggio, ben poco a dir la verità, e presi il mio tirannosauro di plastica verde. Con piccoli passi decisi mi avvicinai, rallentando ad ogni metro, come se avessi paura di farla scappare.
A pochi metri di distanza, forse cinque, forse dieci, allora il mondo appariva così grande e maestoso, lei si accorse di me e mi puntò con il suo sguardo ceruleo. La mano al petto, perché il mio cuore batteva così forte?, e continuai ad avanzare, ma con passi più leggeri, delicati, ormai la durezza non serviva più.
Con un tacito accordo, ci sedemmo, a pochi centimetri di distanza. La osservavo, sorpresa e curiosa, e lei faceva lo stesso con me. Il suo sguardo si era posato dapprima suoi miei occhi, poi sui miei capelli e sul mio vestito, probabilmente uno di quelli che facevano sembrare chiunque una bomboniera sfarzosa di matrimonio con tutti quei fiocchetti rosa e bianchi, siano sempre benedetti i gusti delle madri, per finire poi sul mio giocattolo. A quel punto piegò la testa di lato, assottigliando le labbra e corrucciando leggermente la fronte lattea e, di conseguenza, le sopracciglia biondissime. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, come indecisa se rivelare la sua voce, o far permanere quel momento di religioso silenzio. Con un piccolo sbuffo rinunciò a qualsiasi tentativo, incrociando le braccia un secondo più tardi, forse frustrata.
Io guardai verso la mia mano sinistra, quella con in mano Elviro, la fantasia per i nomi credo che me la porterò avanti a vita visto il nome del mio nuovo pesciolino Alvarizio, e riflettei un attimo. Che lo volesse? Probabile. Di norma ero una bambina generosa, che cadeva tutto agli altri tranquillamente, ma Elviro... Era il mio giocattolo preferito non solo per il mio amore non corrisposto verso i dinosauri, ma anche perché me lo aveva regalato mio padre, sempre in giro per lavoro.
Per me, vederlo due volte all'anno era tanto e non si ricordava mai una data che fosse una, caratteristica sfortunatamente ereditata anche da me, ma al compimento dei miei tre anni, beh, quello se lo era ricordato.
Era in Svizzera, all'epoca, eppure un pacco quel giorno mi era arrivato, con mia grande sorpresa. Era una scatola gialla con delle scritte blu ai lati, e sopra il nome di mia madre, unica scritta che ero in grado di riconoscere. Non avevo idea di cosa fosse, ma curiosa com'ero, lo aprì e conteneva Elviro, da allora non lo avevo più mollato.
Però quella sconosciuta intrigante lo voleva, o almeno era interessata ad esso. Sbatté più volte le ciglia corte e così chiare da sembrare trasparenti, dubbiosa.
Finalmente, per qualche inspiegabile ragione, si decise a rompere quel silenzio carico dei miei dubbi giovanili irrisolti, e indicò il mio giocattolo con il suo piccolo e sottile dito indice destro. Poi prese fiato e assunse una strana espressione, come se si stesse notevolmente sforzando, cosa molto probabile, ma che avrei capito solo tempo dopo.
«Esso... Cosa... Cosa è?» chiese, con uno strano accento. La fissai, leggermente divertita, cosa che alla sconosciuta non piacque, visto come gonfiò le guance, allo stesso modo di uno scoiattolo con in bocca una ghianda. Smisi subito, allora, non volevo che se ne andasse, per qualche motivo mi piaceva quell'angelo mancato.
«Lui è un t-rex. È un tipo di dinosauro, sai?»le risposi brevemente. Da piccola parlavo molto, fino a stordire le persone spesso e volentieri, ma in quell'occasione era diverso; non che non mi sentissi a mio agio, semplicemente volevo che parlasse ancora. Il suo modo di esprimersi, la sua espressione e il suo accento duro erano nuovi e strani per me, ma erano belli e affascinanti. Li volevo sentire ancora.
«Di... Dinosaro?»chiese, piegando la testa. Ormai avevo compreso che quel gesto indicava il suo non capire qualcosa. Annuì vigorosamente. Alzai con entrambe le mani l'oggetto di plastica verde che custodivo gelosamente per farglielo vedere meglio.
«Di-no-sa-u-ro.»marcai bene, indicandolo e gesticolando frettolosamente, come era mio solito fare. La bionda assunse un'espressione di pura concentrazione.
«Di-no-sa... Dinosa-uro. Dinosa-uro!»esclamò, con evidente sforzo. Squittì felice, in segno di approvazione e le presi le mani felice, lasciando cadere il povero Elviro. Sorrisi gioiosa, non sapendo nemmeno il perché, ero solo felice che quella sconosciuta fosse riuscita a dire una parola.
La bambina arrossì, non abituata ad un contatto del genere. Sulle prime cercò di liberarsi, ma poi intuì le mie intenzioni bonarie e si lasciò andare in un piccolo sorriso.
Dopo averci giocato un po', muovendole principalmente su e giù, a destra e a sinistra, le lascia le mani, ponendo le mie, improvvisamente diventate di troppo, in grembo. Lei le guardò, come se all'improvviso fossero cambiate, e poi, timorosa, guardò me.
Prese un lungo sospiro e mi mise un dito in fronte, tremando leggermente.
«Sestra.»disse semplicemente, con quel suo accento duro che mi affascinava molto. Questa volta fu mio il turno di piegare la testa di lato.
«Io Francesca.»dissi indicandomi e non capendo. Cosa voleva dire quella parola? Che se la fosse appena inventata?
Lei si indicò.
«Io Anna.»si presentò, poi indicò di nuovo me.«Tu Fran...Franc-sca.»riuscì con fatica. Sorrisi appena, cercando di non farmi notare.«Tu svoyego roda... Io e tu sestry.»disse, con difficoltà e con tono abbastanza solenne. Io continuavo a non capire.
Non avevo mai sentito quei termini e non avevo idea di quale lingua facessero parte, ma ero certa che non mi stesse offendendo e che quello che aveva detto era importante. Così feci l'unica cosa che mi veniva naturale: sorrisi.
Poi le presi la mano e feci intrecciare le nostre dita.
«Io e te amiche, Anna. Va bene?»le dissi. Lei pensò un attimo, evidentemente cercava quel vocabolo da qualche parte della sua giovane e disordinata mente. Poi, come colta da un'illuminazione improvvisa annuì con forza.
Così, due bambine, appartenenti a mondi e con storie molto diverse, con caratteri e modi differenti, dalle lingue e dalle vite aliene, strinsero un legame.
La fredda e lontana Siberia incontrò per caso la calda e solare Italia, e non se ne seppe più separare. Perché ormai eravamo sestry, ossia sorelle per la vita.

Ciambella198 parla a vanvera(il quale sembra rispondere solo a Chuck Norris):
Salve gente(?),
Questa storia, o qualunque cosa sia, partecipa al concorso wattpad challenge di Mati_cicci.
Il tema era il primo incontro con qualcuno e io ho scelto quello con una mia carissima amica, che per me è praticamente una sorella.
Non si chiama Anna, per motivi di privacy ho cambiato il suo nome, e le parole in russo non so se siano le stesse che mi abbia detto allora, so solo che qualche tempo dopo me le aveva tradotte e quindi, sapendole in italiano, le ho tradotte io in russo. So di per certo che mi avesse detto sistra perché ancora oggi a volte mi chiama così.
Le protagoniste, ossia io e la mia amica, avevamo 5 anni all'epoca, forse lei 6.
Viene dalla Russia e i riferimenti al suo non essere più un angelo sono dovuto al suo triste passato tormentato sul quale non mi soffermerò.
Che altro dire... Spero vi sia piaciuta!😁
See ya!

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