Ora d'oro

So move me, baby
Like you've nothin' left to lose
And nothin' to prove

Shake like the bough of a willow tree
You do it naturally
Move me, baby

La convivenza non è affatto come la ricordava. Remus si sente spesso inghiottire dal pavimento quando Sirius è di cattivo umore, schivo e indifferente verso il mondo in generale. Queste giornate vengono riequilibrate da sprazzi di vivacità: ascolta la radio, legge un romanzo, passeggia con Remus in forma animale. Quando la luna piena si avvicina inizia ad essere più mansueto ed attento. Si assicura, insieme a Lyall, che il vecchio bunker sotto il capanno nel giardino sul retro sia ancora sicuro, come quando era bambino. Insieme si adoperano per ristabilire tutti gli scudi magici necessari. Remus si sente in colpa, come sempre, perché la sua malattia distrae tutti ancora una volta dalle cose importanti. È lui questa volta a chiudersi al resto, a ritirarsi in una morbida autocommiserazione.

Il 6 novembre, quattro giorni prima della luna piena, Padfoot gli si accoccola di fianco. Gli fa compagnia durante un attacco di emicrania, da sempre un pessimo presagio: Remus capisce che questa luna piena sarà particolarmente dura da superare. Lyall aveva deciso di andare a Dublino, in Merrow Street, una Diagon Alley molto più vivace e caotica, per recuperare erbe medicali e pozioni necessarie, nonché abbastanza vettovaglie per un paio di settimane.

Remus tenta di opporsi. «Sarebbe sospetto vederti ricomparire in Merrow Street dopo così tanto tempo, per di più per fare una scorta di medicamenti sufficiente per una squadra di rugby.»

«M'inventerò qualcosa. Un viaggio dell'ultimo minuto in terre esclusivamente babbane... qualcosa del genere.»

«Ora capisco da chi viene l'ingegno di Remus, signor Lupin,» aveva aggiunto Sirius con un ghigno. Remus lo aveva guardato di sfuggita con un accenno di risata.

Tra i due si era instaurato un rapporto particolare, basato sull'interesse comune per le lingue morte e la Difesa contro le Arti Oscure. Era abbastanza evidente che Sirius apprezzasse la sua confidenza genuina e affettuosa, rispetto all'austerità - condita da una buona dose di crudeltà - di Orion Black.

Quella sera, davanti al camino, approfittando del fatto che Sirius si stesse facendo una doccia, suo padre gli dice: «Quando andrò via, sii paziente con lui, Moo. È un bravo ragazzo.»

«Lo so papà. Non l'avrei aiutato, altrimenti.»

Suo padre si sistema sulla vecchia poltrona per guardarlo meglio. «Forse non ne sei veramente cosciente. Anche quando litigate e lui ti offende, sai, è perché non ha altri modi. Ho provato a parlarci nei giorni scorsi, quando tu uscivi a leggere. Ha voluto assicurarsi che io sappia che non è un attaccabrighe.»

«Per questo non reagisco quando mi provoca,» risponde, sperando di chiudere la conversazione in fretta.

«Sbagli a comportarti così, Moo. Confermi la sua paura di non essere ascoltato. Non sarà molto maturo da parte sua, ma sta cercando di mandarti un messaggio.»

Sospira e guarda a terra. Sirius desidera sempre essere al centro dell'attenzione, nel bene e nel male, e talvolta Remus non riesce ad assecondarlo. L'egocentrismo del ragazzo è un'arma a doppio taglio, lo rende estremamente irritante ma anche estremamente attraente - dal modo in cui si veste alla sicurezza con cui parla. E dato che non vuole illudersi di provare altro dall'amicizia - il confine è labile del resto, vero? - si concentra sulla repulsione per quel tipo di atteggiamento.

«Dovrete parlarne, prima o poi,» conclude Lyall. «E- hey, non sbuffare.»

«Non ho sbuffato!», lo dice con un accenno di broncio. Stanno in silenzio un secondo e scoppiano a ridere.

Le parole di Lyall gli danno da pensare. Possibile che non avesse mai pensato a cosa era dovuta l'irascibilità di Sirius, e con Remus in particolare?

James diceva che erano entrambi testardi e non perdevano occasione per dimostrare di avere ragione. Si era accontentato di quella giustificazione, accettabile a quattordici anni. A ventuno decisamente no.

Avrebbe voluto approfondire, chiedere qualche consiglio in più a suo padre, una roccia che spesso aveva dimenticato essere sempre al lato della sua strada. Ora sta facendo le valigie davanti a lui, raccoglie i pochi vestiti e qualche libro.

«Ci sentiremo via telefono. Il Ministero non avrà ancora imparato ad intercettare le telefonate, ne sono abbastanza sicuro. Ti ho lasciato sul bancone in cucina tutti i contatti utili... il Basil and Mint per le erbe da pozione... insomma,» si solleva dalla valigia con una smorfia di dolore. «Stai attento,» gli mette una mano sulla spalla, «Ad invecchiare ci vuole un attimo, Moo.»

Sono giorni che suo padre ripete frasi del genere, e insieme alla breve conversazione davanti al camino, Remus non sa più che significato attribuirvi. Suo padre non è solito lasciarsi andare a profondi sentimentalismi: è un uomo sensibile certamente, ma mai plateale nell'espressione delle emozioni. Dev'essere stata la morte di sua madre a renderlo un libro aperto, si dice. È pungente accorgersi che lo stesso evento abbia provocato in lui l'effetto opposto.

Sirius aiuta Lyall a portare la valigia all'ingresso. Il ragazzo non lo guarda in faccia, evidentemente abbattuto, è chiaro che senza di lui sarà tutto più difficile.

Si salutano sulla soglia con un abbraccio, senza aggiungere altro. Lyall si trascina dietro le sue cose e con il favore della notte si inoltra nel bosco, di modo da lasciare la propria traccia magica dopo la Disapparizione lontano dal cottage. 

Appena sparisce alla vista, Remus si chiude la porta alle spalle e resta immobile qualche secondo. Sente già gli equilibri tra lui e Sirius oscillare come spighe di grano al vento.

In quei giorni era stato più facile evitarsi per la maggior parte del giorno. È rimasto loro solo il passato, e se da una parte Remus ha il terrore di dimenticare, non riesce neppure a ricordare senza sentire parti di sé deperire, attimo dopo attimo. Ora si volta e Sirius lo guarda con gli occhi iniettati di paura e di stanchezza, ancor più grigi di come li ricordava, ma Remus è sicuro sia un'impressione.  

«Cosa vuoi fare?» domanda Sirius, incerto.

«Dovremmo iniziare a pensare ad un piano... nel caso in cui le cose non vadano per il meglio.»

Dentro di se spera che Sirius si opponga. Remus vorrebbe solo dormire, non perché non senta il desiderio impellente di trovare una soluzione ma perché conosce i suoi limiti. La luna piena è sempre più vicina, e lui ha il dovere verso se stesso - e verso Sirius - di preservarsi quanto più possibile. 

«Credo di essere troppo stanco per quello. Possiamo pensarci domani?»

«Okay, certo.»

Remus mentre sale le scale aggiunge: «La stanza di mio padre è vuota. Puoi dormire lì, se vuoi.»

«Ci penso,» accenna un sorriso. Remus ricambia senza accorgersene. «Buonanotte, Pads.»

«'Notte, Moony.»

Remus si fa una doccia veloce e si mette a letto immediatamente. Rinuncia all'appuntamento serale con Kerouac per tentare di prendere sonno il più in fretta possibile, anche se viene distratto dalla luce della luna che entra dalla finestra. Si volta per guardarla meglio. Dovrebbe alzarsi per tirare le tende, ma non lo fa. Sente una civetta in lontananza, vede le chiome degli alberi agitate dal vento notturno, che tuttavia è troppo debole per essere udito. Quando si concentra sulla luna all'improvviso diventa consapevole dei minimi movimenti del suo corpo. Ogni goccia di sangue, ogni molecola d'aria, ogni impulso dei nervi fa un rumore assordante. Può sentire i suoi muscoli irrigidirsi di minuto in minuto, dimentichi del fatto che non servirà a niente farsi più duri: la trasformazione avverrà come sempre. Dolorosa e terrificante.

Sopraggiunge la paura, una gelida sensazione che lo ricopre di tensione e adrenalina insieme. Madame Pomfrey, la prima in assoluto ad essersi presa cura di lui dopo le lune piene - al di fuori dei suoi genitori, ovviamente - gli aveva insegnato delle tecniche per calmare la mente in situazioni come quella.

«Più cerchi di non pensare o non sentire la paura, più questa diventa forte. Trova qualcosa che ti distragga, magari la voce o l'abbraccio di una persona a cui vuoi bene. Niente ti fa sentire più al sicuro dell'amore.»

Ad Hogwarts gli bastava sollevarsi dal materasso e passare gli occhi sulle figure addormentate dei suoi amici, ricordando a se stesso un momento felice della giornata appena passata. La risata di James, le buffe espressioni di Peter, gli sguardi di Sirius.

Tornato a casa per l'estate gli bastava chiedere un abbraccio alla madre o al padre, farsi raccontare qualche aneddoto di quando era bambino e sforzarsi di ricordarlo. Si addormentava sempre prima di esserci riuscito.

Sente bussare alla porta, che si apre piano. Sirius sbircia dentro, e quando si accorge che Remus si è seduto sul letto gli chiede scusa per averlo svegliato.

«Non preoccuparti, tanto non riesco a dormire.»

«Neppure io. È normale che io abbia più paura adesso che non c'è più tuo padre nei paraggi?»

Annuisce con un sorriso, poi aggiunge un "Mh, mh", realizzando che nel buio della stanza Sirius non riesce a vederlo. «Tende a fare questo effetto. È un po' un Atlante, mio padre. Sembra che senza di lui il cielo mi debba cadere in testa da un momento all'altro.»

Non sa perché l'ha detto. Forse è stanco. Forse i discorsi di Lyall hanno iniziato a fare effetto.

«Dovresti dormirci tu, nell'altra stanza. Il letto è più grande, sai... così riposerai meglio.»

Remus deglutisce, preso in contropiede. Dormire da solo in un letto così grande lo manderebbe ancora più a fondo nella sua spirale di pensieri. 

«Posso dormire con te, se ti aiuta,» aggiunge Sirius, «Come Padfoot, ovviamente,» aggiunge, troppo in fretta per dissimulare l'imbarazzo.

Capisce che Sirius glielo sta proponendo più per il proprio bene che per quello di Remus. È tentato di rifiutare, ma è disposto a fare un tentativo, per lui. Del resto, per lui ha fatto cose ben peggiori.

«Va bene.»

Si alza, lo segue nella camera matrimoniale e si infila sotto il piumone. Padfoot gli si acciambella ai piedi, e qualche attimo dopo - tra i sospiri dell'animale e l'odore di suo padre - Remus si addormenta.

Lo sveglia il servizio delle 10 del giornale radio che giunge a tutto volume dal comodino. L'aveva incantato qualche giorno prima suo padre per essere sicuro di non perdere nessun aggiornamento sulle ricerche di Sirius. 

Ancora nel dormiveglia, si allunga per abbassare il volume di un paio di unità. Realizza che nella notte è finito dalla parte opposta del letto, e che per di più non sente il sospiro pesante di Padfoot. Si volta, e steso alla sua destra non trova più il grande cane nero ma Sirius, steso a pancia in giù, con i capelli spettinati sul cuscino.

Remus ha un colpo al cuore. È convinto di non aver visto mai cosa più bella: il sole che entra dalle tapparelle abbassate lo illumina a malapena, ma gli dona un'aurea estremamente calma ed innocente. 

Il giornale radio termina senza notizie degne di nota, e inizia una canzone dei Ramones di cui Remus non ricorda il nome. Sulle prime note di violino, Sirius apre gli occhi, piano, e si fissano in quelli di Remus.

«Tesoro, ti amo.»

Remus scuote la testa, «Cosa?», è convinto di star dormendo ancora.

«Baby, I love you. La canzone, Remus.»

Remus si lascia ricadere sul materasso. Chissà che cosa si era immaginato. Sirius poteva bersi il cervello da un momento all'altro, no?, e dire "ti amo" senza pensarci granché. Dovrebbe essere disturbato dal fatto che sia tornato in forma umana, durante la notte, ma non vuole biasimarlo. Non deve essere il massimo dormire tutti rannicchiati.

Sirius si mette a pancia in su, fissa il soffitto, e chiede: «Quanto tempo è che non ci svegliamo nello stesso letto?»

Anche Remus. È sveglio da troppo poco per poter affrontare l'argomento. Si limita a socchiudere gli occhi. «Non so. Qualche mese.»

«Cinque,» aggiunge, vagamente piccato. Remus non capisce perché deve essere sempre così, la conversazione. Sirius che lo provoca finché non si urlano addosso, Sirius che si accende una sigaretta e gliene offre un'altra, Sirius che chiede scusa prima di dargli la buonanotte, solo per infilarsi nel suo letto e toccarlo e stringerlo, allo sfinimento.

Non questa volta. Incolpa la luna, incolpa il sonno, incolpa la tristezza. Remus si china su Sirius e lo bacia. E lo bacia. E lo bacia.

In un attimo il corvino gli è sopra, gli sfiora il labbro inferiore con il pollice per poi spingerglielo nella bocca a forza. Con l'altra mano gli abbassa i pantaloni e allunga le dita per raggiungerlo.

Remus ha fatto sesso non più di una decina di volte negli ultimi cinque anni. Ha perso la verginità con la sua ragazza, a sedici anni - una certa biondina di Grifondoro, forse Alyssa? Alya? Non ricorda. Sono seguite altre due ragazze e due ragazzi, tra cui uno di Serpeverde. Non è mai stato un granché durante l'atto, nessuno urlava il suo nome e nemmeno lui urlava quello altrui. Per lo più si trattava di avventure nei bagni dei prefetti o durante le vacanze estive quando i suoi lo lasciavano solo nel weekend. Molto veloci e molto scomode. 

Niente a che fare con quello che Sirius sta facendo in questo momento. È chiaro che abbia esperienza, e Remus vorrebbe proprio sapere quando ha avuto occasione di sperimentare, ma è occupato a trattenere versi e stringergli i capelli. In questo momento è certo, mortalmente certo che farebbe di tutto per lui. Il modo in cui lo prende e affonda è più che abbastanza.

Non gli importa di niente. Sente solo le sue mani, la sua saliva e la luna crescente nella carne.

«Moony,» lo chiama, lo implora, e Remus lo stringe più forte per i fianchi e affonda le unghie. Accoglie il calore delle proprie viscere e lo lascia andare sul corpo dell'altro, sospirando forte nell'incavo del suo collo. Sirius gli viene dentro qualche istante dopo. Si abbandona su di lui e chiude gli occhi.

Non dicono niente. Non c'è niente da dire.

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