Dora, 1978 - 1994

I got some colour back, she thinks so, too
I laugh like me again, she laughs like you

Il 3 novembre 1978 i Malandrini, più Lily Evans, sono ospiti della famiglia Tonks. Il gruppo si sposta tramite Metropolvere e per qualche tipo di distrazione, Remus si presenta venti minuti prima dell'orario deciso, per di più scusandosi per il solito ritardo di Sirius, ancora sotto la doccia. Andromeda lo accoglie con una risata, gli dice che almeno si renderà utile per finire di apparecchiare la tavola. Dando un'occhiata alla tovaglia scura e agli eleganti centrotavola di fiori secchi, Remus vede spuntare una testa rosa: a quanto pare anche Nymphadora cerca di fare il suo, per quanto indubitabilmente goffa. La madre si premura di non darle in mano niente che possa rompersi. 

«Ciao Remus,» lo saluta con la voce squillante. La ricorda quando aveva appena tre anni, scorrazzava in quello stesso salotto a braccia spalancate, imitando, secondo lei, Tyto in volo. A Sirius era venuto un colpo quando lei gli era saltata in braccio e aveva trasformato le proprie iridi negli occhi scuri e tondi di un gufo. 

Tra un tovagliolo e un bicchiere, Andromeda domanda a Remus del lavoro - barista a chiamata in una locanda in Diagon Alley - e dell'appartamento condiviso con Sirius, come se già non sapesse tutto tramite innumerevoli carteggi. Si ritrova sempre un po' impacciato intorno a lei, così elegante eppure così spontanea. Gli occhi e i capelli nero notte le incorniciano le gote pallide, gli zigomi affilati seguono il taglio degli occhi, leggermente all'insù. Non ha niente a che fare con le altre due sorelle, che a quell'aria regale danno il tono di una Maria Sanguinaria. Ted compare dal corridoio con un sorriso timido che accentua un rossore da rasatura. Andromeda esclama di gioia: «Oh! Finalmente. Remus, digli anche tu che i baffi stanno passando di moda.»

Quando si sposta in cucina, Ted alza le spalle con condiscendenza, come a scusarsi con per la brutta figura. Remus accenna una risata ma non osa.

Il festeggiato arriva poco dopo, e Remus scoppia a ridere, questa volta, per il volto di Andromeda quando scopre che invece Sirius i baffi li ritiene di moda, e pure il pizzetto, pare. 

Una forte fiammata verde anticipa prima Lily e poi James, ad un minuto l'uno dall'altra, infine arriva Peter. Sono settimane che i Malandrini non riescono ad incontrarsi al completo. Tra Euphemia e Fleamont Potter sempre più anziani che James va a trovare quotidianamente, il lavoro di Peter al ministero e i primi mesi di allenamento per Sirius nell'accademia Auror, di tempo ce n'era stato ben poco. Essersi ritrovati genera in Remus un senso di calore che non provava da Hogwarts, unito alla solita incredulità nei confronti della fortuna di aver trovato amici tanto speciali.

Lily lo abbraccia stretto, e lui ondeggia da una parte all'altra mentre la stringe, mentre la ragazza ride con il viso sprofondato nel suo maglione.

«Il solito rubacuori. Quando ci sei tu, Lily si dimentica anche come mi chiamo.» 

Remus si fa avanti e sorride a James prima di stringergli la mano e poi attirarlo scherzosamente in un abbraccio. La scena si ripete pressappoco uguale per Peter. 

«Ehm, ehm.»

I presenti si voltano verso Sirius, in piedi in testa al tavolo. «Nessuno l'ha notato?» e non si capisce bene se si stia riferendo agli occhiali da sole a goccia o alla scritta a spray-magica-brillantinata sul suo giubbotto di pelle, mostrata con una drammatica piroetta: "In anni canini sono morto". 

Peter tira teatralmente un sospiro, «Allora i tuoi regali ce li possiamo tenere.»

«Divertente davvero,»  si mette le mani su i fianchi e ride falsamente, «Ma non ci provate.»

«Va bene, va bene, applausi agli attori. Ora mangiamo, mh?» dichiara Andromeda.

Il pranzo è spaventosamente simile a quelli di Hogwarts. In un attimo a Remus passano davanti le risate e le discussioni seduto a quella lunghissima tavolata. Niente è cambiato, si dice. Ha James davanti, accanto a Lily e Peter, e Sirius alla sua sinistra. A destra manca Marlene, al suo posto c'è Nymphadora che si riempie la bocca di patate, prende il bicchiere d'acqua con due mani e se lo porta alla bocca, rovesciandosene un po' sulla maglietta tutta margherite. Quando arriva il momento della torta, salta giù dalla sedia e si intrufola tra lui e Sirius.

«Siree, posso?»

Il ragazzo se la mette sulle ginocchia e le bacia la testa. Battono le mani sopra "tanti auguri" e insieme spengono le candeline. Remus si perde a guardare la gioia negli occhi di Sirius, raramente così docile e disponibile, per di più senza accenni di sarcasmo.  C'è qualcosa di tremendamente rassicurante in quella certezza: nelle mani che tagliano piano la torta, nei capelli legati in una mezza coda, nella collana che gli scende sul petto magro: è una semplice targhetta in metallo che recita cane cavem, e se toccata due volte di seguito produce un latrato alquanto lugubre.

Nymphadora incrocia il suo sguardo, e se non fosse una bambina sarebbe stato imbarazzato di essere colto sul fatto. Quale fatto, beh, non ha il coraggio di chiederselo. 

«Sono vere?» e in un attimo si allunga e con le mani ancora sporche di olio e rosmarino gli sfiora il viso, le cicatrici, prima che Sirius la ritragga prontamente a sé. 

«Dora, comportati bene, e chiedi scusa,» mormora, accertandosi con un cenno che Andromeda non abbia visto. Remus non riesce a dire niente. Guarda prima Nymphadora, poi Sirius, che ricambia con le sopracciglia corrugate. 

«È okay, non preoccuparti,» dice alla bambina, ma con gli occhi su Sirius. Poi, con un'altra onda di sgomento, si accorge che lei si è fatta comparire sul viso dei segni identici ai suoi. Gli sorride come se fosse un gioco. È la prima volta che Remus pensa che forse, solo forse, se una bambina non lo ritiene spaventoso, allora è probabile che lui non sia affatto un mostro.

«Qui c'è la mia camera... e questa è la tua. Era il mio studio, ma sono riuscito a recuperare dei mobili usati. I mercatini delle pulci restano il mio forte.»

Sirius si guarda intorno, in silenzio. Chissà cosa gli deve sembrare il mondo, dopo dodici anni confinato in quell'inferno di prigione.

Da quando Sirius è tornato e Silente ha chiesto a Remus di ospitarlo mentre si cercava una soluzione alternativa, non credeva, dentro se stesso, che avrebbe accettato. Non era pronto a stravolgere la sua quotidianità proprio in quel momento. Avrebbe dovuto dare spiegazioni e raccontare trascorsi: tutto sarebbe suonato come una giustificazione, e in effetti lo era. Ogni passo verso Nymphadora era stato un passo più lontano da Sirius, un Sirius che non sarebbe tornato mai più. Che era un traditore. E un assassino. E il suo primo amore.

Ovviamente aveva fatto il possibile per circoscrivere i danni. Aveva chiesto a Nymphadora di stare lontana dal loro appartamento per almeno qualche giorno, il tempo necessario perché Sirius si ambientasse, per dargli la notizia senza mandarlo in una spirale di confusione. 

«Sai, è sempre stato così affettuoso nei tuoi confronti... e noi abbiamo un'età diversa... vorrei essere io a parlargliene.»

La ragazza non aveva idea del resto delle motivazioni, e Remus si era deciso a tenerle per sé stesso. 

Non sapeva a che punto della loro storia fosse rimasto Sirius: nella Stamberga Strillante lo aveva abbracciato come se non fosse passato un giorno dal loro addio. Nelle lunghe conversazioni che erano seguite, gli aveva confessato che in nessun momento ad Azkaban aveva messo in dubbio che sarebbe riuscito a fuggire.

«Non sarei morto in quella topaia prima di aver vendicato James e Lily. E prima di tornare da Harry e te, ovviamente.» 

Ovviamente, aveva aggiunto. Le premesse erano devastanti.

Quella domenica pomeriggio, Remus mette il bollitore sul fuoco e guarda fuori dalla finestra. Il quartiere di Brixton non è mai stato così tranquillo, nemmeno sotto un sole tanto abbagliante. Il ristorante indiano dall'altra parte della strada è vuoto, un cameriere fuma una sigaretta sulla soglia. Dal quinto piano, in giornate così, si riesce a vedere anche il London Eye. 

Sirius si affaccia dal corridoio annusando l'aria. 

«Thé al limone e zenzero? Che fine ha fatto l'earl grey?»

«Dopo anni di cibo etnico e sherry ogni weekend, il mio stomaco ha bisogno di una sistemata ogni tanto.»

Porta sul tavolo le due tazze da cui sale un vapore dolciastro e pungente. Sono di una porcellana un po' vecchia, decorata a temi floreali. Sirius le occhieggia ma non commenta.

Remus sospira, non sa da dove iniziare.

«Sono carine, vero?»

Sirius sogghigna: «Beh, sì. Non proprio nel tuo stile, ma non ti giudicherò per questo,» gli fa un occhiolino. 

Remus stringe le labbra in una linea, «In effetti non le ho comprate io. Ecco, magari non te ne sei accorto--»

«Che vivi con una donna? Insomma, Remus, è un insulto al mio ingegno. Ho notato tutti gli orpelli nella tua camera da letto... o gli assorbenti nel mobile del tuo bagno...»

Remus riconosce all'istante quell'ironia tagliente. Arrossisce violentemente e prende un lungo sorso di thé, «Ti avevo chiesto di non entrare e di usare il bagno dall'altro lato del corridoio.»

Sirius accenna un sorriso sempre meno convincente. Poi sposta gli occhi sulla tazza, aggrottando le sopracciglia. Rimangono a lungo in silenzio a finire il loro thé, finché Remus non si alza piano e l'altro lo imita.

«Vorrei non dovertene parlare,» mormora.

«Allora non farlo. Vivrò meglio senza.»

Remus è grato del fatto di non cogliere al volo la sua osservazione, «Che cosa? In che senso?»

Sirius alza gli occhi, come saette lo attraversano da parte a parte. «Niente. Ho sempre più aspettative del consono,» alza la bacchetta e con un incantesimo silenzioso si lega i capelli. 

Ora è chiaro, ora capisce. A Remus tremano le mani. Mette nel lavandino le tazze sporche e lancia un incantesimo affinché si lavino. 

«Sono passati dodici anni, Sirius... Non sapevo neanche se saresti ritornato. Non sapevo neanche se saresti sopravvissuto abbastanza per poterlo fare.»

«Già,» annuisce l'altro, mentre cammina avanti e indietro per il piccolo salotto. La rabbia gli monta tutta insieme, nei pugni serrati e nelle spalle tremanti. «Perché è sempre stato così, no? Io che aspetto che tu abbia le palle di scegliermi. È così da quando avevamo diciotto anni. O forse ti sei dimenticato anche quello?»

Remus si costringe a restare in silenzio. Non ha dimenticato nulla, nemmeno un istante, ed è per questo che è dovuto andare oltre. Il passato gli pesa sulle spalle come il masso di Sisifo.

«Io torno e tu-- tu mi accogli-- e mi ospiti nella tua casa, nonostante  una donna e io devo credere che non mi nascondi nulla?»

"E io devo credere che non mi nascondi nulla?". Remus ha un deja-vu. Agosto 1981, l'ultima discussione con Sirius prima che lasciasse il loro appartamento. Ricorda come le notti prima lo aveva cercato, e Remus non gli aveva permesso di avvicinarsi più di tanto - aveva ragione, non aveva mai avuto le palle per farlo - ed era finito a piangere nel bagno. 

«So che cosa provi perché ti conosco.»

C'è un velo di follia in questo monologo, nei suoi occhi immediatamente iniettati di sangue. 

Riesce a farlo tacere compiendo qualche passo verso di lui, che lo osserva ancora febbricitante: «Sirius, tu non ragioni. Sicuramente ti fa male aver perso tutti questi anni, e lo comprendo, davvero, ma ero infelice anche io. Ed è normale che tu ti sia aggrappato ai ricordi. Anche io ho avuto bisogno di aggrapparmi a qualcosa.»

Prende un respiro profondo, ancora e ancora. Si abbandona al gelo della ragione, che l'ha sempre cullato nei momenti di dolore. 

«Spero per lei che sia all'altezza,» mormora.

«Lo è,» risponde veloce. «È Nymphadora.»

Sirius si allunga con uno scatto e spinge Remus da una parte. Potrebbe urlare, mandare a fuoco i mobili, distruggere la casa se volesse. Invece si siede sul divano con la testa fra le mani.

«Dimmi che è un fottuto scherzo, Remus. Davvero. Ti scongiuro.»

«Non lo è. Io lo so che sembra assurdo, e immorale, e fuori da ogni possibile realtà...»

Sirius si passa una mano sulla faccia, premendo forte. «Quanti anni ha lei, adesso? Ventitré?»

A Remus passa un brivido per la schiena, «Ventuno. Stiamo insieme da quando ne aveva diciannove.»

Sirius scuote la testa e ride di pancia. Si torce le mani come se volesse spaccare qualcosa, perciò Remus si premura di avere la bacchetta infilata nella manica, al suo posto. 

«Come cazzo ti è venuto in mente, mi chiedo. Mia cugina, poi, fra tutte le donne di questo dannatissimo pianeta...»

«Io non ho fatto niente,» esclama, come a volersi giustificare. «È stata lei a cercarmi per prima. Andromeda mi ha chiesto di aiutarla per alcune ricerche durante gli studi all'accademia per Auror. Io non avevo alcun tipo di intenzione nei suoi confronti all'inizio.»

«Finché poi non hai pensato che fosse proprio bella, e allora cosa? Te la sei scopata e ti è piaciuto così tanto che hai pensato bene di innamorarti.»

«Tu non sai proprio niente. Non ti permettere di parlare di noi in questo modo--»

«Mi disgusti! Veramente!», Sirius si alza e punta un dito sul suo petto. «Hai almeno avuto il coraggio di dirle questo? Che stai facendo con lei quello che non hai avuto il coraggio di fare con me?»

«Tu, tu parli di coraggio!» ora Remus è furioso.

«Il coraggio è stato accettare di essere io quello sopravvissuto e voi quelli condannati. La felicità mi sembrava un insulto, come l'affetto di 'Dora. Ho dovuto guardarla negli occhi quando mi ha detto con una risata di essere incinta. Ho dovuto farmi forza e dirmi che mi meritavo di essere felice, nonostante tutto. E ora la sposerò, ho deciso,» sente di voler piangere, ma non lo farà. Si sente crudele, ma non ha ancora dato tutto.

«E non mi importa se avete gli stessi occhi. O la stessa risata.»

*

Quando Nymphadora rincasa è l'ora di cena. Apre la porta d'ingresso canticchiando, e nel tentativo di togliersi le scarpe in fretta e furia perde l'equilibrio e quasi rovina sul pavimento.

«Girls just wanna have fun, oh, girls just wanna-- Remus? Sei in casa?»

Fa capolino dal salotto, pallido e cadaverico in confronto alla gioia della ragazza. È emozionata e tremendamente spaventata di rivedere suo cugino dopo così tanto tempo.

«Dov'è?» chiede, baciando alla svelta Remus. Il suo sguardo sconsolato le fa aggrottare le sopracciglia. «Dov'è Sirius?»




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