The other's life
"Forse dovresti fare shopping".
Ecco la frase che il vecchio Verplaeits è riuscito a rivolgergli, dopo due giorni nei quali Abel non ha assolutamente aperto bocca. Il giovane non si sente bene; sospetta che il tempo debba essere l'unico possibile rimedio al suo stato. Il dolore che lo affligge va oltre il fisico e addirittura supera il suo spirito: poco meno di trentasei ore prima Verplaeits è entrato nello scantinato che aveva acquistato e trasformato in sala allenamento e l'ha trovato in una condizione incredibile. Dai pori della sua pelle usciva fumo viola, che lo circondava in mille lingue danzanti, e i suoi occhi avevano mutato completamente aspetto. Riusciva ad esprimersi solo attraverso grida spaventose, che continuava ad emettere mentre colpiva il sacco da boxe ormai più che distrutto senza alcun controllo o traccia di umanità: Verplaeits, per la prima volta nella sua vita, s'è chiesto chiaramente chi - o cosa - fosse il giovane che Sumner gli aveva affidato.
Evitando la descrizione del pezzo di armadio che Verplaeits ha dovuto lanciargli addosso per stenderlo e di come subito dopo sia corso a soccorrerlo, intendo chiarire che è proprio l'energia violetta coltivata da Bison ad aver agito sulla psiche di Abel. Essa è ancora presente e a causa di un esperimento fin troppo ben riuscito in qualche base sperduta nel Pacifico, ha fatto sì che il "Sesto Corpo" perdesse il controllo durante l'allenamento giornaliero. Ogni singola volta che s'impegna a controllarlo è come la prima e per quanto ci provi non si abituerà mai a quelle emozioni letteralmente indefinibili che il potere viola provoca.
Da due giorni il giovane non trova il coraggio di riprovarci, di tentare di controllare lo psycho power per poterlo usare in caso di necessità contro coloro che gliel'hanno messo addosso. Sente una tachicardia continua, i nervi costantemente tesi, non ha appetito e come accennato prima non riesce a spiccicar parola. È consapevole che, anche senza risvegliarlo di proposito, esso potrebbe tornare a prendere il sopravvento. Ma teme davvero che ricapiti e si sa che la paura è il contrario esatto della razionalità.
In giro per la città, per ora, Abel osserva con attenzione le vetrine. Se gli è stato consigliato di fare shopping, forse è quello di cui ha bisogno; in caso contrario non ci avrà perso nulla. Solo un pomeriggio altrimenti passato sul divano... Non può sapere che in quelle medesime strade è cresciuto e che un tempo ogni commesso conosceva il suo nome. Lo ignora, per lo meno al momento: ci vorrà qualche tempo perché trovi la forza di indagare. O - più che tempo - un punto dal quale iniziare, che non siano le innumerevoli chiacchiere del suo unico conoscente: Édouard Verplaeits, il vecchio Verplaeits. Egli è tale solo nell'animo e sulla carta: in testa ha un'incredibile massa di capelli di un adorabile marrone chiaro e le sue spalle hanno la stessa ampiezza della porta d'ingresso a casa. Si veste soltanto d'azzurro, perché dice di sentirsi più libero quando assomiglia al cielo. Ha sempre un sorriso sottile stampato in viso, anche quando parla delle cose più tristi e più vere - persino quando Abel ha suonato al suo campanello e poco dopo gli ha raccontato la terribile fine fatta da Ben Sumner, l'unica cosa che ha lasciato trasparire le sue vere emozioni sono stati gli occhi. Occhi ben meno gentili di quelli dell'amico, ma comunque graziosi. E scuri come il legno che arreda la sua abitazione.
«È morto dov'è nato; si trova dove mi ha sempre detto di voler tornare.»
Verplaeits ha accettato da subito di ospitare il giovane presso di sé, a qualche via di distanza dal primo porto francese. Abel non gli ha detto nulla riguardo chi sia: non ha mai l'umore giusto per parlare,e soprattutto per narrare il suo breve passato.
Il vecchio Verplaeits, insegnante di pallavolo dacché ha smesso di praticarlo come giocatore, al contrario suo ha sempre avuto tanta voglia di raccontare: non c'è mai stato però chi lo volesse ascoltare, perché a nessuno interessa la vita altrui. Per questo trovarsi in casa un giovane che lo segue con tanto interesse è per lui un'autentica gioia - la solitudine è stomachevole, ma anche la compagnia deve avere un qualche motivo di essere. E l'accoppiata funziona perché ad un chiacchierone non può andar meglio che incontrando un taciturno e viceversa. Quando Verplaeits è convinto di avere annoiato l'ospite e si ferma dal parlare, il giovane gli pone una serie di domande e continua ad ascoltare ad occhi spalancati, come vivendo le vicende che ascolta. Tra loro si instaurerà un rapporto, insomma, più simile a quello che lega nipoti e nonni, piuttosto che padre e figlio. Ma si definiranno sempre e soltanto "amici".
Tornando alle strade tranquille di Marsiglia, vediamo Abel passeggiare con apparente tranquillità sotto un cielo minaccioso. Dopo suppergiù quaranta minuti per decidere quale porta a vetri attraversare, una volta dentro un negozio, prende in esame ogni possibilità. Infine col permesso della commessa porta in camerino una canotta bianca, dei jeans scuri, un chiodo nero e un paio di occhiali da sole. Prova il completo, si mira e si rimira, e poi sbuffando toglie tutto, lanciandolo sulla seggiola. No, quello non è lui - né potrebbe diventarlo.
Così conciato è soltanto uno della folla - stravagante, ma uno qualsiasi. Mentre si rimette la Kurtka azzurra, lancia un'altra occhiata al cumulo di abiti che giace in un angolo della cabina. Sente una presenza elogiarlo sottovoce per la sua scelta: forse il "vecchio io", l'Abel ucciso da Caino, o forse qualcuno che non riesce a ricordare... Forse, addirittura, quel Jacques di cui si era innamorato.
È un sussurro continuo, una voce rassicurante che suggerisce ciò che gli serve per potersi costruire un futuro. La sincerità. Essa è quanto deve ricercare, per poter procedere sulla strada del suo stesso passato: comprendersi, rispettarsi, conoscersi iniziando dall'esterno e fino all'angolo più remoto del suo cuore.
Non sarà facile; ma è tutto quanto può fare per tornare a vivere.
«Grazie.» Con un tono da funerale, porge alla commessa il mucchio di cose che aveva preso in esame; senza ulteriori sprechi di fiato poi, si dirige alla porta - accorgendosi che di fuori ha iniziato a piovere. «Vende anche ombrelli, per caso?»
«Ma certo.»
È fantastico poter parlare francese, per il giovane. Quasi non pensa prima di aprire bocca; le parole escono in modo totalmente naturale e può esprimere ogni concetto senza doverlo semplificare - con l'inglese ogni cosa è leggermente più macchinosa, spesso ha bisogno di ridurre le idee a qualcosa di più facilmente esprimibile per essere compreso.
Dopo aver acquistato un ombrello abbastanza grande da poter coprire agevolmente le sue spalle smisurate, sorride alla giovane che sta in piedi dietro alla cassa.
«Arrivederci, dunque. Lei è stata molto gentile»
Anche la giovane gli sorride dolcemente: non ha mai incontrato qualcuno di così "imponente" e al contempo cordiale.
«A presto!»
Una volta fuori, si permette persino di salutarlo con la mano, gesto al quale il ragazzo risponde con un movimento della testa. Ed al sorriso della nuova conoscenza, dai denti bianchi come perle e le labbra rosa ad incorniciarli, si rivolgono i pensieri di Abel lungo la strada del ritorno. Sì, sembra che lo shopping abbia rimediato almeno un poco al suo malumore; quasi si sente intoccato dalla malinconia ispirata dal tempo atmosferico freddo e umido e un nonnulla basta ad attirare la sua attenzione. Ad esempio, il bel colorito verde che sta assumendo l'erba nelle aiuole; il profumo della pioggia, che non scendeva da un po' e finalmente può pulire l'aria; un cucciolo di Fox-Terrier bianco, che sta piangendo al margine del marciapede. Fradicio di pioggia, e completamente solo.
Povera creatura!
«Ehi, piccoletto. Vediamo di tenerti all'asciutto per un po'. Dov'è la tua mamma? Non vedo altri cani nei paraggi. E non hai il collare...»
Commosso dalla situazione del trovatello, allunga una mano per accarezzargli la testolina e non incontrando resistenza lo prende persino in braccio.
«Sei tutto solo, vero?»
Lo sguardo del cagnolino è molto più eloquente di qualsiasi parola. E poi gli si contano le costole sotto il pelo incollato alla pelle, annodato e sporco. Dare una mano a un essere bisognoso sembra al giovane un ottimo gesto per ricominciare: così, cullandolo e parlandogli proprio come se potesse essere capito, se lo porta fino a casa, sperando che a Verplaeits non dispiaccia.
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