Pure hell

Rimasto solo, Abel s'è applicato al fine di non scoppiare a piangere.
Il dolore che avvertiva ovunque era insopportabile, e il bracciale continuava a rilasciare le sue scariche, ogni volta più forti.
Come se non bastasse, poi, ciò che lo aspettava invece che tempo per riprendersi erano cinquanta flessioni...

«Cos'ho fatto per meritarmi questo?!»

Pensando a tutti gli errori commessi nella sua vita, così insignificanti rispetto alla pena che gli era toccata "per redimersi", è scivolato in un sonno inquieto. Al termine del quale è dovuto tornare nella sala allenamento.
«Spero di vedere esaudita la mia richiesta.»
Ha guardato con odio sincero il viso che lo aveva nuovamente sfidato; era il primo viso che rivedeva in quella incredibile e spaventosa circostanza (dato che anche gli scimmioni erano stati sostituiti da un altro paio di colleghi), ciononostante avrebbe preferito di gran lunga non averlo mai incontrato. Per la prima volta l'ha squadrato per davvero, come si fa con un nemico che si è sicuri di dover incontrare ancora tante volte. Quel dipendente della schifosa organizzazione avente per logo un teschio alato, che soltanto dopo un bel po' di tempo Abel scoprirà chiamarsi Shadaloo, aveva il viso oblungo, gli occhi color della notte, le labbra fini e un ridicolo, enorme naso adunco che permetteva di riconoscerlo a metri di distanza. Il suo fisico non era affatto esile, ma probabilmente non aveva motivo di doverlo usare, dato che insieme a loro due non pareva sarebbero mai mancate delle corpulente guardie: ha sentito un moto di disgusto verso tutto ciò che lo circondava, ma dato che non intendeva peggiorare la sua condizione non ha potuto che arrendersi alla richiesta. Si è messo carponi ed ha iniziato le faticosissime flessioni.

«... Quarantotto, quarantanove... I miei complimenti. Per oggi basterà - domani però voglio iniziare sul serio.»
Tenendo lo sguardo al pavimento e i pugni serrati, Abel è ritornato alla cuccia, per la prima volta, sulle sue gambe tremolanti. La fastidiosa voce dell'aguzzino gli è rimbombata nelle orecchie per tutto il tragitto, ma non è riuscito quasi a sentirla perché era sopraffatta dal rumore del sangue che gli ribolliva nelle arterie. Era letteralmente fuori di sé, sembrava che tutti gli sforzi di autocontrollo fatti nel corso della sua adolescenza non fossero mai esistiti; solo che il suo fisico era allo stremo delle forze e per questo non poteva sfogarsi in nessun modo.
Il dispositivo al polpaccio aveva smesso di torturarlo, ma ora quell'arto gli pulsava urtandolo forse peggio di quanto non facesse prima; le ferite misteriose si erano riaperte e dove la pelle era stata intatta, iniziavano a farsi sentire innumerevoli ematomi. La testa, poi, sembrava trafitta da decine di spilli e come se questo non bastasse, girava in modo simile ad un cane che cerca di afferrarsi la coda.
Sembrava davvero l'inferno, e questa volta, nonostante l'ausilio della mancanza totale di luce, la sesta cavia ha avuto bisogno di diverse ore per perdere conoscenza.

**

Gli allenamenti sono durati per ben quattro giorni. Gli esercizi si moltiplicavano esponenzialmente, ma dato che eseguendo quanto gli era richiesto non gli veniva fatto alcun male, Abel ha potuto riprendersi almeno un po'. Come aveva temuto che non fosse più possibile, la sua situazione è migliorata: gli ematomi sono scoloriti e poi scomparsi, le ferite hanno smesso di sanguinare e hanno creato delle gigantesche croste, e la gamba fasciata dal bracciale si è sgonfiata. In compenso, per gli sforzi continui a cui doveva sottoporre i suoi muscoli, avvertiva sempre una certa dose di fastidio nel muoversi.

Il quinto giorno è stato lasciato a riposo; forse avrebbe preferito lavorare, però, perché in assenza totale di cose da fare non ha potuto che pensare a quanto si sentisse solo e in trappola, e a come gli fosse impossibile anche soltanto tentare la fuga. Le porte erano tutte nascoste, e lui non aveva idea di dove dirigersi dopo la palestra; tutta la struttura aveva l'aspetto di un gigantesco labirinto, e non si sentiva pronto ad un altro pestaggio per il fallimento quasi assicurato che lo attendeva su quella strada. Per aprire le porte, infatti, i dipendenti appoggiavano i loro polsi su un punto preciso del muro; molto probabilmente erano stati trapiantati loro dei microchip che con una determinata dose di energia magnetica, o qualsiasi altro tipo di forza, accendevano un luminoso tastierino virtuale. Digitato con cautela un codice su di esso, poi, le porte si aprivano con uno sbuffo; non aveva mai visto un dipendente sbagliare il codice, e quindi ignorava cosa sarebbe accaduto, in quel caso.
No, fuggire non era possibile. Né era previsto, comunque, di lasciarlo uscire vivo da quel lugubre, smisurato bunker; non sapeva perché lo stessero allenando, ma pur non avendo memoria della tortura della poltrona era certo che volessero sottoporlo a qualche tipo di sforzo che necessitava tale lunga preparazione. E non pensava che sarebbe mai stato all'altezza del compito sconosciuto che lo attendeva.
Non sapere... Vivere nell'ignoranza di pressoché ogni cosa su sé stesso, era una situazione orribile. Si trovava ad essere completamente solo, e benché la sua forza aumentasse quasi di giorno in giorno grazie alle estenuanti ore di esercizi, si sentiva un mero oggetto nelle mani di chiunque fosse a capo di tutta l'operazione. E che doveva avere quegli occhi bianchi disgustosi che ricollegava, senza avere la minima idea del perché, ad un dolore fisico sovrannaturale.
Ecco un'altra cosa che odiava della sua situazione: non sapere nulla all'infuori dell'impossibilità che aleggiava sulla sua vita di poter fare nulla. Stavano per usare il suo corpo per qualcosa che ignorava, stavano facendo soffrire chi probabilmente lo stava cercando in tutta Parigi, stavano forse per porre fine alla sua esistenza; e non gli era possibile frenare a tutto questo.
Come una caduta libera dal settimo piano.
Non poteva evitare di sentirsi un piccolo ed insignificante grumo di eventi, un insieme di coincidenze; come se tutta la sua vita fosse un sogno, o un errore sul punto di essere cancellato. 
Aveva paura delle torture che lo attendevano prima dell'ultimo respiro.

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