First captivity day
Gli occhi del giovane si sono aperti su un paesaggio cangiante ed incredibilmente calmo. Sopra di lui una distesa monocroma di intonaco candido, un soffitto; sotto... Qualcosa di simile ad un pavimento.
Pian piano, Abel s'è tirato a sedere ed ha osservato cosa lo circondava. Le pareti erano coperte da pannelli di plastica di un giallo vagamente aranciato, e formavano attorno a lui un quadrato perfetto; una di esse era "abbellita" da un'enorme vetrata, oltre la quale si vedeva un altro muro grigio tendente al nero a causa del materiale di cui era fatto, neanche raffinato e quindi irregolare.
L'arredamento della cella in cui si era risvegliato non era sgradevole, ma eccessivamente minimalista. Oltre al marmoreo letto che non aveva ancora abbandonato, infatti, c'erano un tavolo bianco, una sedia di legno e una chaise longue di compensato. La luce, così bianca da attentare letteralmente alla sua vista, derivava da due lampadari di forma cubica posti agli angoli del soffitto più lontani dalla vetrata.
Infine, in un canto, erano stati gentilmente posti un lavandino accessoriato con spazzolino, saponetta e asciugamano da ospite, e un cesso; evidentemente non era destinato ad uscire presto da quella stanza che iniziava già, ovviamente, a nausearlo.
Avvertendo finalmente un certo fastidio, Abel ha abbassato lo sguardo su di sé. E non ha potuto evitare di spaventarsi per la sua situazione, che aveva fino ad allora ignorato - non aveva idea di come fosse finito là, poiché tutto quel che ricordava era il viso del pugile di colore che diceva «Sarò il tuo ultimo ricordo» e poi un paio di occhi senza pupille, sui quali si rifletteva una luce viola. E un dolore sordo, e l'impossibilità di rimediare ad esso in alcun modo. Non aveva memoria neppure di essersi messo quanto indossava, ovvero un camice cachi in stile ricoverato-in-ospedale-per-qualcosa-di-grave e null'altro - né calzini né scarpe, letteralmente niente.
Le gambe che spuntavano da sotto l'improbabile mise, ancora mezze coperte dal lenzuolo che qualcuno doveva avergli rimboccato ore prima, si presentavano gonfie e di uno strano colorito pallido, sul violaceo a tratti. Sentendole percorrere da un antipatico formicolio, ha scostato i lembi di tessuto che gliele celavano, scoprendole costellate da profondi tagli non ancora rimarginati che avevano sporcato - ora se ne rendeva conto - sia le coperte che il camice.
Anche sul resto del corpo, ha constatato, gli erano state praticate quelle mostruose aperture: ce n'era una sul sopracciglio destro, una alla base del collo, una sul davanti e una sul retro del braccio...
Forse a causa dell'inquietante scoperta o forse per la mancanza di idee o ricordi di cosa potesse essere accaduto, il suo evidente nervosismo si è tramutato di punto in bianco in un feroce mal di testa. Afferrando la sommità del capo e non reprimendo un lamento, si è sforzato di appoggiare la schiena al muro gelido. S'era accorto dell'ennesima novità: qualcuno aveva rasato i suoi capelli biondi, morbidi al punto che tutti i suoi amici avevano preso un certo gusto ad accarezzarli.
I suoi amici...
Abbandonando le braccia ai lati del corpo e non osando alzarsi, si è sentito prendere dallo sconforto più totale. Aveva dato per scontato che avrebbe lottato con tutte le sue forze per evitare di trovarsi ancora in uno stato del genere - ma al pensiero appena soggiunto che avrebbe dovuto farlo tutto da solo... Si è sentito mancare sul serio le forze.
La testa ha acuito il dolore quando ha provato a riportare alla memoria il viso o la voce di chi, fino a poche ore prima, era un suo caro amico o addirittura un familiare. Persino il ricordo di Petit gli faceva male, non solo al capo: anche al cuore.
Come avrebbe potuto conservare delle forze per combattere, senza giocarle tutte nello sforzo di sopportare queste ferite brucianti?
Uno strano rumore lo ha raggiunto da dietro, facendolo voltare immediatamente.
Nel bel mezzo di una parete s'era aperta una porta segreta, la via d'uscita che non aveva ancora fatto in tempo a chiedersi dove fosse.
«Tempo di lavorare. Prego.»
Un omino tutto scuro - la divisa, i capelli, la voce - gli ha teso una pila di abiti di ricambio, e appena dopo averli consegnati si è voltato sui tacchi ed è uscito con sussiego, lasciando l'uscio spalancato.
In pochi secondi, l'incuriosita cavia ha indossato i pantaloncini bianchi ricevuti, lasciando il camice sul letto sfatto; è uscita dalla stanza sperando di non perdersi, e percorrendo un corridoio dotato unicamente di svolte a sinistra, s'è ritrovata al punto di partenza.
Ovviamente in quel settore tutte le porte erano nascoste, proprio come quella della sua "cuccia". Ecco infatti un altro pezzo di muro prendere vita, e un impiegato diverso da quello già incontrato venirgli incontro.
«Da questa parte.»
La sua voce era atona proprio come il suo sguardo; Abel non ha mosso un muscolo.
«Perché?»
L'omino è andato diritto per la sua strada senza degnarlo del minimo cenno di risposta; mentre lui, incerto sul da farsi ma comunque deciso a non assolvere quanto gli veniva così sgarbatamente imposto, si è diretto all'unico posto che sentiva un pochino familiare, cioè il letto, e ci si è adagiato.
Dopo un paio di minuti, comunque, è stato raggiunto da una coppia di armadi che senza fiatare l'hanno afferrato per le spalle - «Lasciatemi andare! Laissez-moi!» - e l'hanno scaraventato in una stanza mai vista prima. Là lo attendeva lo studioso del "seguimi", che senza un fiato (ma con l'aiuto di uno scimmione) gli ha attaccato al polpaccio destro una specie di voluminoso bracciale nero.
«Iniziamo con cinquanta flessioni.»
I due armadi l'hanno finalmente lasciato andare, e così l'anguilla ha potuto incrociare le braccia.
«Va te faire foutre.»
Dal dispositivo applicato alla gamba è partita una scossa: ecco il poco originale modo di costringerlo a collaborare usato dalla Shadaloo...
«Cinquanta.»
L'unico segnale da parte del nuovo arrivato è stato l'arricciarsi del naso accompagnato da un movimento dello sguardo, che è andato a piantarsi direttamente in quello dell'allenatore.
Il bracciale ha rilasciato una scarica veramente dolorosa; ma la cavia "ribelle" non ha mosso ciglio, costringendo lo scienziato ad uscire dalla stanza. E appena ha superato la porta, i due omoni - che si erano appiccicati alla parete di fondo - hanno sfogato senza esitare tutto il loro potenziale sulla carne ancora così tenera del Sesto Corpo, lacerata in aggiunta, ad intermittenza, dal maledetto bracciale.
Per quanto si sforzasse di difendersi e di opporsi, Abel non ha potuto che soccombere; e allo stremo delle forze, col dispositivo nonostante tutto saldamente ancorato alla gamba, è stato riportato "a cuccia".
«Ci rivediamo tra quattro ore.»
***
Spero che leggere sia per te divertente almeno la metà di quanto lo è per me scrivere. Anzi, non divertente: emozionante-- povero Abel, secondo me un abbraccio è quello che gli servirebbe. Sto male per lui.
Hahah...
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top