-CAPITOLO V-

Il valore di  uno schiavo

La Piazza delle villae, come la chiamavano i Rimli, era un ampio spazio aperto, nel quale confluivano molte delle vie secondarie di Capuara. Delimitata da verdi siepi potate in guisa di uccelli rapaci, su ciascun lato della piazza erano eretti palchi di legno, sui quali svettavano lunghi pali dalla punta smussata. Lì, assicurati con tre giri di catena, erano legati i prigionieri sbarcati dalle navi – nome col quale i Rimli solevano indicare le loro zattere.

Vlad si guardò intorno, scuotendo appena le braccia anchilosate dietro la schiena: gli unici maschi che vedeva erano anziani o malmessi, troppo gracili per sperare di impugnare un'arma. Per il resto i suoi compagni di sventura erano bambini della sua età o giù di lì, se non persino più piccoli. C'erano inoltre donne dall'aspetto non proprio gradevole: appassite dall'età o dal dolore.
Lungo i lastricati, si aggiravano i Rimli, avvolti in toghe che spaziavano dal bianco latte, al porpora più acceso, sino ad un viola brillante. Conversavano fra loro, masticando le parole, ingoiando le lettere e fondendo le frasi in un brusio impossibile da districare. Ai cigli dei palchi, funzionari vestiti di cuoio attiravano i clienti, descrivendo le qualità di questo o di quel prigioniero, agitando le mani come ridicoli ciarlatani o banditori di paese. Gli acquirenti, come pesci all'amo, risalivano per le basse scalinate in legno e si mettevano allora a ispezionare la merce di carne, ossa e sangue loro offerta.

Voltandosi, Vlad vide una donna non più giovane del suo villaggio, venir tastata lungo le braccia e le gambe, fin nel sesso, da uno di quei disgustosi umani ben vestiti.
Il bambino ingollò un boccone di saliva, sentendo la bocca impastata dalla bile: il sole pensiero di essere anche solo sfiorato da quelle mani sudaticce gli rivoltava le viscere.

Il tempo passò, col sole che a poco a poco giungeva allo zenit. Il calore, assorbito dalla pelle scura dell'alfheim, si irradiava in tutto il corpo. Le braccia cominciavano a soffrire l'immobilità. La vista, sino ad allora nitida e chiara, di tanto in tanto si appannava, minacciando di strapparlo ai suoi sensi. Vlad scosse il capo madido di sudore, respirando a pieni polmoni.
Fu a quel punto che un uomo si avvicinò a lui: celato sotto la toga porpora, v'era un corpo robusto, con braccia forti e clavicole in vista. Le mascelle dal taglio spesso e deciso, si congiungevano in un mento con la fossetta centrale. Fra le dita questi stringeva una bacchetta di nerbo di bue, fittamente intrecciata. Lo sentì picchiettare contro le guance, studiare le costole sporgenti e sfidare la fermezza delle sue gambe claudicanti.
L'uomo emise un mugugno indecifrabile, prima di voltarsi di sbieco verso un ometto rachitico alle sue spalle, cinto degli stessi abiti del funzionario alla banchina.
«Sembra in salute, Musone. Ma te l'ho detto: stavo cercando una femmina delle Isole delle Rupi per farla accoppiare con il mio maschio.» disse, con voce profonda e ben scandita.
«Tiberio, Tiberio, amico mio» squittì l'altro «ma quelle vengono portate alle piazze dei lanisti. A stento le si distingue dagli uomini,» ridacchiò, tirando su col naso «a quest'ora le avranno già prese e messe sulla via per le scuole gladiatorie.»
Tiberio sospirò, massaggiando la fronte corrugata «Già, ma io che dovrei farmene di questo negretto?»
«Ah,» gracchiò Musone, posandogli una mano sulla spalla «questi qui sono grandi lavoratori, possono trascinare gli aratri meglio di una coppia di buoi e mantenerne uno costa decisamente meno! E poi, pensaci: è giovane, quindi ti durerà molto più a lungo di uno adulto.»
Tiberio si passò le dita sul mento, scavando col pollice nella sua fossetta. Gli occhi che squadravano da capo a piedi ogni centimetro del corpo di Vlad.
Se solo avesse potuto, l'alfheim gli sarebbe saltato alla gola: come potevano quei mostri trattare degli esseri senzienti come bestie da soma?!
«Quanti anni ha?» mugugnò ad un tratto il Rimli, spostando il peso sulla gamba sinistra. Musone fece per aprir bocca, ma Vlad lo anticipò.
«Dodici anni.» disse, corrucciando le sopracciglia argentate.
Non aveva dimenticato il monito datogli al porto, ma che gliela tagliassero pure quella dannata lingua! Sarebbe stato un muto, certo, ma un muto con ancora la sua dignità. Non se ne faceva nulla della benevolenza di quei maiali.
Gli occhi di Tiberio si scoprirono un poco.
«Parla la nostra lingua, questo non me lo avevi detto.» commentò.
Musone si strofinò le mani, rosicchiandosi le labbra «Non credevo fosse rilevante.»
Un mesto sorrisetto si fece largo sulla bocca del Rimli «Non sono io a doverti insegnare il mestiere, Musone. Ma è un dettaglio assai rilevante: non si perde tempo prezioso ad istruirli e capiscono con più chiarezza gli ordini. Beh, a quanto me lo vendi?»
Musone sembrò rifletterci un poco, prima di contrarre la bocca in un sorriso melenso «Cinque alidargento, solo per te vecchio mio. Posso assicurarti che è un ottimo investimento, non te ne pentirai.»
Con aria annoiata Tiberio cavò dai risvolti della toga delle monete di metallo luccicante, facendole scivolare una ad una fra le dita rachitiche del funzionario. Musone, con gli occhi che brillavano per l'avidità, se le intascò, per poi arrabattarsi a svolgere l'intrico delle catene.

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