-CAPITOLO IV-
Per un pugno di alidoro
Il lume delle candele era tutto ciò che dissipava le ombre della stanza, tremolando lungo i drappi delle coperte scomposte, scivolando lineare sulle assi di legno corroso dalla polvere e dai tarli, sino all'umile scrivania ove la fiamma più viva rivelava i solchi impressi sulla cera: "Quattordici alidoro, centosedici beccargenti e trenta artiglirame." Il riflesso delle fiamme si rifrangeva sul metallo prezioso delle monete, proiettando barbagli di luce contro il soffitto e le pareti; annegando infine nella traslucida consistenza della cera, disciolta in goccioloni lungo il fusto delle candele.
«Sottraendo i costi dell'alloggio, quaranta artiglirame,» mormorò fra sé e sé Zweihander, descrivendo la sottrazione con uno stilo «e quelli del vitto, che sono altrettanti, rimango con un totale di duecentoventi artiglirame, centosedici beccargenti e quattrodici alidoro.»
Il mercenario sbadigliò, operando gli ultimi calcoli «Infine, con la conversione, rimangono quindici alidoro, diciotto alidargento e venti artiglirame.»
Si stiracchiò lungo lo schienale della sedia, riponendo poi le monete nelle saccocce. Aveva lasciato fuori solo ciò che avrebbe dovuto pagare all'oste di quella squallida taverna di confine.
Ai piedi del tavolo la bambina dai capelli rossi era intenta a ingozzarsi come se non avesse mai visto cibo negli ultimi tre anni; non si curava degli stralci di carne e spicchi di cavolo che le rimanevano appiccicati intorno alle labbra, né delle molliche di pane che si incastravano fra una ciocca e l'altra della sua chioma tempestosa. Il mercenario sentì l'ombra di un sorriso farsi largo lungo la bocca avvolta di barba nera: serbava dentro di sé una sorta di strano orgoglio, nello star rimettendo in salute quel frugoletto che fino a qualche settimana prima era tutto pelle ed ossa.
Ma il suo compiacimento svanì immediatamente, quando uno scalpicciare di passi si fece vicino alla porta della sua camera, risuonando attraverso le pareti sottili. La mano corse rapida allo spadone: aveva dato indicazione all'oste di non disturbarlo per nessuna ragione al mondo, e conosceva abbastanza bene l'effetto che faceva sulla gente, da sapere di essere stato convincente.
La soglia si scostò, i cardini gemettero, sino a quando di fronte agli occhi di Zweih non si palesò un uomo di bassa statura, cinto in una lorica a piastre di ferro, istoriata con intarsi d'oro. La presa sull'arma si distaccò lentamente, mentre lo osservava avanzare seguito da un mantello porpora foderato di ermellino. Il viso ossuto era illuminato da un paio di occhi castani, e contratto in un sorriso sagace che dava l'impressione di non andarsene mai da quel paio di labbra.
«Publio.» scandì il mercenario, in un breve cenno di saluto.
«Mio buon Zweihander,» ricambiò il Rimli, con la voce calda, mentre trascinava una sedia sgangherata alle soglie del tavolo «ho saputo che il tuo ultimo contratto è andato a meraviglia. Inizio a credere che quello che si vocifera su voi Swordlinger sia vero:» inarcò il sopracciglio destro «uno solo di voi, vale quanto venti legionari ben addestrati.»
Zweih fece spallucce «Esagerazioni della plebe, te lo dico io. Comunque,» disse, sporgendosi verso il suo interlocutore «che diavolo vuoi Publio?»
«Dritto al punto come piace a me.» sospirò «E va bene, parliamo di affari: ho un nuovo contratto per te, vecchio mio.»
Zweih grugnì, incrociando le braccia.
Publio cavò un pregiato rotolo di pergamena, scoprendolo dinanzi agli occhi del guerriero: sulla cartapecora era stata abbozzata la mappa di un territorio cinto a nord e a sud da montagne, con due stretti passaggi ad est e a ovest. Al centro figurava, in caratteri Rimli, la dicitura WALLACCA.
«Devi sapere che già da tempo abbiamo messo gli occhi su questa terra. È un avamposto fertile e facile da difendere, l'opera di colonizzazione è iniziata già da qualche mese. Tuttavia...» continuò, giungendo le mani «è sorto un problema piuttosto increscioso.»
Zweih mugugnò, in attesa.
«Pare che numerosi coloni abbiano denunciato la presenza di creature demoniache a spasso fra le foreste. Per quietare le superstizioni abbiamo dislocato in zona un convento, ma sembra non sia stato sufficiente a quietare gli animi.»
Il guerriero si accigliò «Davvero, Publio? Mi mandi a caccia di mostri? Non avete i vostri chierici per occuparvi di simili faccende?»
Il Rimli sorrise, denegando appena «Dovresti conoscermi, Swordlinger. Non sono un uomo di fede, io. Credo in ciò che posso vedere con i miei stessi occhi, e per la mia esperienza è più probabile che si tratti di un gruppo di banditi particolarmente astuti, piuttosto che di una fuga di demoni e spiriti maligni dagli inferi.»
«Quanto me ne viene?» domandò Zweih, soddisfatto per la spiegazione.
«Quaranta alidoro, abbastanza per sistemarti a vita in una bella villa.» i suoi occhi volsero alla bambina, che ricambiò lo sguardo con qualcosa di simile a un ringhio ferino «Magari insieme con la tua schiava.»
Zweih gli rivolse un'occhiata di ammonimento «Uno swordlinger combatte per tutta la vita, caro il mio Rimli. Nessuno di noi crepa di vecchiaia, zeppo di carne e vino.»
Lui sospirò «Tuo il denaro, tua la scelta di che farci. Comunque, perché non dai una sistemata ai capelli di quella mocciosa Kelta? Sembra più un animale che un essere umano.»
Il mercenario rise, facendo sussultare l'ampio petto «Credi non ci abbia provato?» replicò, mostrando la sua mano sinistra, lì dove dell'anulare non era rimasta che una singola falange rosicchiata.
Gli occhi di Publio si sbarrarono per un singolo istante, prima di tornare alla loro espressione placida «Il tuo gusto per la servitù lascia molto a desiderare, amico mio.»
Continuarono per qualche altro minuto, fissando termini e scadenze per il contratto, fino a che il generale non si congedò, battendosi una mano sul petto e uscendo trafelato.
Zweih, rimasto solo con la piccola, si accorse che lei lo fissava con i grandi occhi verdi corrucciati.
«Pronta per rimetterti in viaggio, Boudicca?»
«'Unghi.» sentenziò, in una dura e sgraziata imitazione della lingua Rimli. Le dita di Zweih si serrarono intorno al sacchetto che teneva appeso al collo, lo stesso che le aveva sottratto dopo il loro primo incontro.
«Si pronuncia funghi.» la redarguì, con tono severo «E no, non se ne parla. Questa roba ti fa male, lo sai bene.»
Lei alzò gli occhi al cielo, prendendo a borbottare in lingua Kelta e dandogli le spalle. Il guerriero si stropicciò gli occhi con l'indice e il pollice: il viaggio che li aspettava sarebbe stato davvero, davvero lungo.
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