-CAPITOLO III-

Morrigan Agrippa Diaan

Anche attraverso il tessuto spesso della stola, candida come la neve dell'inverno più freddo, Morrigan poteva sentire la stretta gelida del cingulum tempestato di lapislazzuli. Il viso nello specchio le restituiva un'aria imbronciata, dall'incarnato verde scuro.

Perché era così? Perché doveva essere tanto diversa dalle altre bambine, con la loro pelle rosea e graziosa. Fino a qualche tempo prima non avrebbe mai creduto di poter arrivare ad odiare il colore della propria carne, persino quel "rospetto" pronunciato da Cornelia ogni volta che litigavano non l'aveva mai scalfita. Eppure adesso ciò che desiderava più disperatamente era poter essere normale.

Richiuse nella sacca da viaggio i suoi effetti personali, in un gesto automatico, compiuto senza pensare. Poiché nella sua mente si rinnovava lo scambio di parole avuto con suo padre qualche sera prima.

Sedeva freddo e altero nella sua tunica broccata d'oro.
«Devi capire, Morrigan, che questa è la tua unica occasione per vivere una vita degna di questo nome.»
«Ma padre,» aveva risposto, combattendo contro il timore reverenziale che quel viso intagliato nella pietra le infondeva «io non ci voglio andare... lasciate che rimanga qui.»
«È così che mi ripaghi?» aveva sbottato lui, gli occhi sbarrati in un impeto d'ira «Ho affrancato tua madre dalla schiavitù, ti ho legittimato dinanzi a Dio e alla Legge degli uomini, affinché potessi portare il mio nome. Guardati, figlia: nessun uomo ti prenderebbe in moglie e io non ti lascerò diventare una vecchia zitella.»

Il suono di quelle parole le bruciarono dentro come se le stesse ascoltando in quell'istante. Con un sospiro prese la catenella e se la mise intorno al collo, percependone per intero il fardello: sul suo petto brillava ora un piccolo crocifisso d'oro zecchino, intarsiato con pepite d'argento.
Si avviò per i corridoi del palazzo, lì dove le effigi dei suoi nobili antenati la scrutavano passare. Le bocche di marmo contratte, quasi fossero sul punto di parlare, dal pulpito dei loro colonnati.
A pochi passi dall'uscita la attendeva Cornelia, le braccia giunte dinanzi al bacino e i riccioli domati da pettini di conchiglia. Sulle sue guance rosse si intravedevano i solchi che le lacrime avevano lasciato.
Morrigan frenò il passo, non sapendo bene come dirle addio. Per sua fortuna fu lei a parlare per prima, levandola da quell'impaccio.
«Addio, rospetto.» disse, rimanendo rigida lì dov'era.
«Addio, spilungona.» replicò a tono Morrigan, con un piccolo sorriso che nonostante tutto non riuscì a trattenere.
Passò qualche istante, e la recita crollò così com'era stata messa in piedi, abbandonando le due sorelle in uno stretto abbraccio.
La voce di Cornelia, acuta e melodiosa, era sul punto di spezzarsi in singhiozzi.
«Te la caverai, chiaro? Metti sotto-sopra quel convento e mostra a quel branco di vecchie megere chi comanda lì dentro.»
Morrigan strinse con più forza, come se volesse conservare in sé ogni filamento di quel calore, ogni anelito del profumo d'estate che sua sorella si portava addosso.
Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, me le ricacciò indietro: suo padre non avrebbe detto addio a una bambina moccolosa, ma ad una donna fatta e finita. Per quanto si potesse esser fatte e finite a tredici anni.

Varcò l'ingresso, mettendo piede nel cortile interno, dove lo sterrato procedeva ampio e squadrato intorno a piccole isole di verde, delimitate da muretti di ciottoli. La brezza della bella stagione le portò al naso il profumo dei fiori variopinti, disposti in schieramenti compatti sul suolo erboso delle aiuole. Morrigan tirò un profondo respiro, quasi a voler intrappolare nei polmoni un ultimo sprazzo di primavera.
Suo padre era lì, dinanzi a lei, i riccioli brizzolati simili a una malmessa corona sul capo. Andava scambiando chiacchiere di circostanza con una donna piuttosto avanti con l'età: la stola di stoffa grigia copriva il corpo decadente, tenuta stretta da un cingulum di cuoio usitato. La testa e le spalle avvolte da un velo azzurro dai bordi istoriati di croci ricamate. Il suo viso appariva impastato nella creta non ancora asciutta: un volto umano abbozzato, con gli occhi incavati e le sopracciglia rarefatte sui lati.

L'anziana si zittì alla vista della bambina, sfiorando in un riflesso inconscio il crocifisso di legno che le pendeva al collo. Poi tutto a un tratto sembrò ricordarsi di fronte a chi si trovasse, e accennò un breve inchino.
«S-Signorina Agrippa, sono Iulia Pia dal Convento di Wallacca. La madre superiora mi ha incaricato di venirvi a prendere.»
«So già perché siete qui.» la zittì Morrigan, sollevando leggermente il mento. Spostò i suoi occhi color ossidiana sul viso altero del genitore.
Lo fissò, con sguardo immobile e labbra serrate, in attesa che le rivolgesse il commiato.
«Porta alto il nome della tua gens, Morrigan Agrippa Diaan.» disse a un tratto lui, incrociando le braccia dietro la schiena.
Niente di più di ciò che avrebbe potuto dirle con una lettera o per via di un messaggero, eccolo lì l'unico addio che suo padre sapeva darle. Non un bacio, non un abbraccio, neanche l'accenno di una carezza.
«Lo farò, padre.» rispose con voce atona, senza lasciar trasparire ciò che le scalpitava dentro: avrebbe voluto urlare, graffiarlo, picchiarlo persino! Qualsiasi cosa, pur di mutare anche di un centimetro quell'espressione altera. Si sarebbe accontentata anche di una minuscola traccia di rimorso per il destino senza uscita cui l'aveva condannata.

Mentre si avviava in direzione del calesse che la attendeva a pochi metri fuori dalla villa, Morrigan si voltò indietro per un'ultima volta: per un solo istante le sembrò di scorgere il cupo spettro della sua defunta madre. Ma ella non era come appariva negli sparuti mosaici e ritratti che suo padre custodiva, no, non era intrappolata nella gabbia delle sobrie vesti Rimli. Il suo spettro era ancora libero e selvaggio: tinture nere cerchiavano i suoi occhi, pelle di animali e viticci rinsecchiti avvolgevano il suo corpo slanciato. Fiera e orgogliosa, come doveva essere stata quand'era ancora una sacerdotessa dei bellicosi Norward. Prima che diventasse una schiava, prima che diventasse l'amante di suo padre, prima che la mettesse al mondo diventando sua madre.

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