Capitolo 44 - Love song (Pt. 5)
Dispiegò il foglio della lettera che lui stesso aveva vergato sei anni prima, in quella stessa casa. Gli tremarono un po' le mani nel farlo: dopo averla scritta, non l'aveva mai più riletta. Un po' temeva nel rileggere ciò che ci avrebbe trovato nero su bianco su quella pagina, parole che forse non gli appartenevano più ma che erano state di un sé precedente.
"Ero una persona così diversa da adesso".
Si fermò per qualche secondo, indeciso su cosa fare. Aveva pensato di aver perso quella lettera, infilata chissà in quale cassetto. Era stato convinto che non l'avrebbe mai più rivista, ma a quanto pareva il destino o chi per lui aveva deciso diversamente. Gli ci volle un altro minuto prima di prendere la decisione di leggerla, la curiosità e la voglia di ricordare più forti del timore.
"Non so tra quanto leggerai questa lettera. Potrebbe passare un anno, così come una decina, o forse anche più. Magari la perderai e, anche se in un angolo della tua memoria ne rimarrà il ricordo sfocato, non rileggerai mai queste parole. Probabilmente però, conoscendoti, la terrai nascosta da qualche parte al sicuro: chissà, forse un giorno di un anno non ben precisato ti verrà voglia di rileggere cosa ti passava nella mente del te stesso venticinquenne".
Ad Alessio venne da ridere: il suo difetto di perdere le cose non era affatto cambiato nel corso degli anni. Non si stupì affatto che l'Alessio di sei anni prima avesse preventivato l'ipotesi che quella lettera andasse persa, come era effettivamente successo.
Ricordava il giorno in cui l'aveva scritta: una calda giornata di Giugno, quella della sua laurea magistrale. E anche quella di Pietro. Ricordava di essere tornato in quella casa, in quel momento deserta, e di aver provato un senso di vuoto e di trionfo che insieme cozzavano tra loro, ma con il secondo che aveva infine prevalso.
Quello che lesse poi non fece altro che confermargli quelle memorie, quel disperato bisogno di rivalsa che aveva cercato per anni – da quando suo padre se ne era andato dalla sua vita, e da quando si era visto sottrarsi sotto agli occhi tutti i suoi sogni futuri.
"Ricordati quanto dolore e quante fatiche hai dovuto affrontare per giungere fino a dove sei arrivato – e sono sicuro che, per il tempo in cui starai rileggendo questa lettera, sarai arrivato ancora più lontano di ora-, e ricordati della persona che sei diventato anche grazie a tutto questo".
Avrebbe voluto dire al sé stesso di sei anni prima che, se da una parte aveva avuto ragione, dall'altra era stato troppo cieco. Aveva guardato troppo a se stesso senza accorgersi di ciò che aveva attorno, delle persone che aveva ferito.
"È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, libero di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta".
Si ritrovò a ridere amaramente, trovando ancora della verità in quelle parole.
"Ma non ti eri ancora reso conto che non eri ancora del tutto libero lo stesso".
Aveva lavorato sodo per avere la sua azienda, per costruire tutto quello che aveva desiderato e che ora aveva, ma avrebbe voluto dire al se stesso di sei anni prima che non era tutto lì. Che c'era anche altro da poter desiderare, e che forse, in fondo, anche lui si meritava quel qualcos'altro.
Fece per ripiegare la lettera nel momento stesso in cui suonò il campanello. Alessio sobbalzò per l'improvviso spezzarsi del silenzio che lo circondava, ma fu svelto a riprendersi. Ripiegò la lettera e la rimise nella busta, lasciandola in cima alla pila di fogli che avrebbe tenuto; solo dopo averlo fatto si alzò dal letto, muovendosi velocemente per arrivare all'ingresso.
Sapeva perfettamente chi avesse appena suonato, per questo non indugiò oltre ad aprire la porta.
-Sì, lo so, dovevo arrivare mezz'ora fa, ma ci sono stati dei casini- Pietro esordì così, senza nemmeno dargli il tempo di salutarlo. Alessio si fece di lato per lasciarlo passare, piuttosto confuso.
-Non mi sono neanche accorto di che ora fosse- disse, chiedendosi quanto tempo fosse in realtà passato da quando aveva iniziato a svuotare la sua stanza – Che casini?-.
Richiuse la porta d'ingresso, voltandosi verso Pietro. Era rosso in viso, probabilmente accaldato perché aveva camminato veloce, ma c'era anche una certa vena infastidita che gli disegnava diverse rughe sulla fronte.
-Qualche teppistello che si è messo a lanciare insulti davanti al centro- spiegò.
Dato che quella settimana e la successiva Giada sarebbe rimasta ad Udine, con Giacomo e Giorgio al seguito, Pietro aveva passato un po' di ore del pomeriggio al Rose Mary, a sbrigare qualche faccenda e seguire un incontro incentrato sull'identità di genere aperto a chiunque fosse interessato. Probabilmente si era dovuto trattenere di più per scrivere il pezzo che poi avrebbe pubblicato sul blog del centro riguardo a quell'incontro, ma la storia dei teppisti – come li aveva chiamati lui- ad Alessio suonò nuova. E non molto incoraggiante.
-Avete chiamato la polizia?- gli chiese.
Pietro scosse il capo:
-No, figurati ... Ci direbbero di tapparci le orecchie e fare finta di niente, tanto prima o poi si sarebbero stancati- sbuffò, piuttosto amareggiato – Qualcuno è andato fuori a mandarli a fanculo. Si spera che basti e non si facciano più vedere-.
Era ciò che sperava Alessio, ma per quanto in vita sua fosse sempre stato piuttosto fortunato a non subire certi attacchi, sapeva comunque che talune persone non si stancavano affatto in così poco tempo.
-Fa attenzione lo stesso le prossime volte che vai- mormorò – Certi tipi fanno presto a passare dalle offese alle mani-.
-Non mi fanno paura-.
Pietro lo disse con forza e con determinazione, ma dovette rendersi conto dello stato di apprensione in cui stava versando Alessio in quel momento: gli si avvicinò prendendogli il viso tra le mani, allungandosi per lasciargli un bacio a fior di labbra.
-Però farò attenzione, ok? Non agitarti- gli disse con un sorriso, prima di allontanarsi di nuovo. Ad Alessio non rimase altro che annuire, e fidarsi di lui.
-Stavi continuando a riempire scatoloni?-.
Alessio annuì ancora una volta:
-Sì, ero in camera a sistemare le mie cose-.
Fu lieto di poter cambiare argomento, anche se l'ombra di preoccupazione per le ultime notizie raccontate da Pietro non si sarebbe dissipata così in fretta come avrebbe voluto.
-Mi dovrai aiutare a svuotare l'armadio-.
Pietro alzò un sopracciglio:
-Hai aspettato me per farlo, Lentiggini?-.
Mentre si avviava di nuovo verso la sua stanza, Alessio rise debolmente:
-Almeno ti sfrutto un po'-.
Non si girò per guardare Pietro, ma sapeva che probabilmente stava ridendo anche lui.
-Ci mancherebbe altro-.
-Qua non rimane più niente- Pietro si allungò sulle punte dei piedi per controllare il fondo dei ripiani più alti, prima di tornare a voltarsi verso il letto. Era un disordine unico, vestiti ad ogni angolo del materasso, su pile che sembravano restare in piedi per miracolo.
-Quelli lì pensi di buttarli?- chiese, indicando una pila che Alessio stava ignorando.
-O darli in beneficenza. Almeno quelli in buono stato- gli rispose, distraendosi a stento dall'impresa di impacchettamento che stava portando avanti con una certa lena – Il resto sì, lo butterò-.
Alessio si rimise dritto, dopo essere rimasto a piegare vestiti e insacchettarli per diversi minuti. Si stiracchiò la schiena dolorante, guardando dall'alto l'opera che lui e Pietro avevano portato avanti fino a quel momento. Erano a buon punto, ma di certo non sarebbero riusciti a finire prima che arrivasse l'ora di uscire per andare a casa di Nicola e Caterina.
-Rimane solo questa sezione, e poi ... -.
Pietro fece per aprire l'ultima anta dell'armadio, la più vicina alla finestra, ma si bloccò a metà movimento, l'attenzione rapita da qualcosa che aveva intravisto nello spazio vuoto tra l'armadio e la parete. Alessio ebbe qualche sospetto di sapere cosa stesse guardando, ed ebbe un brivido di paura che gli corse lungo la schiena.
-Oddio, non sapevo l'avessi ancora qui- mentre Pietro lo diceva con sorpresa ed entusiasmo a gonfiargli la voce, tirava fuori dall'angolo dov'era rimasta fino a quel momento la custodia della chitarra – Non mi sono mai accorto che fosse nascosta qua-.
-Perché non ti sei mai avvicinato a quell'angolo- replicò Alessio, scuotendo la testa – Beh, direi che mi porterò dietro anche quella. O forse dovrei riportarla a casa di mia madre-.
Pietro lo guardò come se avesse appena pronunciato un'eresia:
-E privarmi così di serenate cantate e suonate da te? Sei crudele, Lentiggini-.
Alessio rise, piuttosto divertito:
-Non suono da anni. Non so se ci riuscirei ancora-.
Seppe di essersi fregato con le sue stesse mani un secondo dopo, quando Pietro gli lanciò un'occhiata di sfida, probabilmente pronto a proporgli ciò che Alessio aveva temuto sin dal primo secondo in cui si era reso conto che aveva ritrovato la sua vecchia chitarra.
-Fai una prova-.
-Sul serio?- Alessio scosse il capo, ridendo istericamente – Non la farò-.
-Solo una canzone- insistette Pietro – Cucino io la cena, se mi suoni qualcosa-.
-Un'offerta allettante, ma non so se basterà-.
In verità quella era una proposta anche sufficiente a convincerlo, ma era curioso di sapere fino a dove Pietro si sarebbe spinto per convincerlo.
-Devo anche farti gli occhi dolci?- gli chiese, guardandolo però con fare sarcastico.
-Può darsi- Alessio rincarò la dose senza alcun rimorso, guadagnandosi, anziché gli occhi dolci promessi, un'occhiataccia che lo fece ridere. E anche cedere.
Prese dalle mani di Pietro la custodia, stendendola a terra: fece scorrere la cerniera, ritrovando la vecchia chitarra che era stata sua fedele compagna per diverso tempo, anni prima. Erano state rare, se non nulle, le volte in cui l'aveva ripresa in mano da allora, ma la sensazione delle corde sotto le dita, a premere contro la pelle non più abituata dei suoi polpastrelli, fu qualcosa di conosciuto e famigliare.
Si sedette sul bordo del letto, nello spazio ridotto lasciato libero dalle pile di abiti da smistare, imbracciando la chitarra e mettendola in posizione. Pietro rimase ad osservarlo per qualche secondo, piuttosto soddisfatto, prima di andare a sederglisi accanto; Alessio gli lanciò un'occhiata veloce, e lo vide con gli occhi pieni d'aspettativa, e anche curiosità.
-Vediamo cosa potrei fare ... - mormorò, con un po' d'impaccio. Non voleva deludere Pietro, ma si sentiva davvero arrugginito. Ricordava tutte le note, ma la poca pratica fatta in quegli anni si sarebbe di sicuro fatta sentire.
-Canta qualcosa di romantico- gli suggerì Pietro, stavolta guadagnandosi a sua volta un'occhiataccia. Rise anche lui, ed Alessio si rese conto di essere troppo debole per opporsi.
Rimase a rimuginarci su qualche altro secondo, prima di tentare di suonare qualche nota. Non aveva un plettro a portata di mano, e poteva fare affidamento solo sui suoi polpastrelli.
-"On my pillow can't get me tired, sharing my fragile truth that I still hope the door is open 'cause the window opened one time with you and me. Now my forever's falling down wondering if you'd want me now"-.
Non osò voltare lo sguardo verso Pietro, tenendolo fisso verso le corde e le sue dita che si spostavano sulla tastiera della chitarra.
-"How could I know one day I'd wake up feeling more, but I had already reached the shore ... Guess we were ships in the night, night, night"-. [1]
Continuò a cantare fino a quando non ricordò più il testo, limitandosi a suonare la melodia ad orecchio, probabilmente sbagliando più di una nota. Pietro non sembrò farci caso: quando Alessio finì, rosso in viso e senza avere la minima idea di cosa aspettarsi, azzardò a voltarsi nella sua direzione, trovandolo sorridente.
-Sei ancora bravo- gli disse, portando una mano ad accarezzargli la nuca – E canti ancora bene-.
Alessio lo guardò scettico:
-Sono a malapena mediocre, ormai-.
In tutta risposta, Pietro sbuffò:
-Non è vero- non cedette, per poi addolcire di nuovo la voce – Non portarla da tua madre. Potrei voler chiederti ancora qualche canzone-.
"Dovrò esercitarmi, allora".
-Solo perché sei tu a chiedermelo- Alessio lo disse ridendo debolmente, allungandosi per lasciargli un bacio su una guancia – Su, alziamoci. Dobbiamo andare a prendere i bambini, o Caterina e Nicola cominceranno a pensare che abbiamo deciso di abbandonarli a casa loro-.
[1] V - Sweet night
NOTE DELLE AUTRICI
Avevate indovinato cosa potesse mai aver ritrovato Alessio?
Ebbene sì, è proprio la lettera che lui stesso ha scritto nel capitolo 27 di Growing, nello stesso giorno della sua laurea magistrale. Una lettera che era finita dimenticata da lui stessa, e ora ritrovata dopo anni. Inutile dire che molte riflessioni sono nate in Alessio nel rileggerla, e nel ritrovarsi molto cambiato rispetto al momento in cui l'aveva scritta.
Ma la lettera indirizzata al se stesso del futuro non è l'unico ritrovamento storico di questo capitolo: vi ricordavate anche della chitarra che ha suonato in diverse occasioni in Youth? Beh, eccola di nuovo qui 😂
Tra ritrovamenti dolceamari i preparativi del trasloco proseguono ... Chissà che al prossimo capitolo non vedremo Alessio e Pietro riuniti di nuovo sotto lo stesso tetto!
Ci rivediamo mercoledì prossimo con l'inizio di un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy
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