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"Vera? Vera, lo so che sei lì dentro! Perché non mi apri? Per quanto tempo ancora vuoi continuare così? Guarda che l'auto isolamento che ti sei imposta non ti aiuterà a risolvere un bel niente!".
Da quando sono stata dimessa dall'ospedale, dopo essere completamente guarita dai lividi e dalle costole incrinate, mi sono chiusa a chiave dentro il mio appartamento e non ho più messo piede fuori; non sono più uscita né per fare la spesa né per recarmi in palestra né per bere qualcosa al The Blue Lagoon né per trascorrere una serata da qualche parte in compagnia di Andy.
Non sono più uscita neppure per andare al lavoro, perché il Caso Sharapova non è più di mia competenza.
Alla fine, dopo più di una settimana dal mio ricovero in ospedale, ho visto mio padre, ma la sua è stata tutta l'opposto di una classica visita da parte di un genitore estremamente preoccupato per la sua unica figlia e pronto a fare qualcosa per lei: non solo non si è interessato delle mie condizioni fisiche e mi ha tolto il caso più importante della mia carriera per affidarlo a Rosalie Parker, ma si è divertito a rigirare il dito nella piaga accusandomi di essere l'unica e sola responsabile di quello che mi è successo; secondo lui, dal momento che quella sera sono uscita per una cena insieme a George, nulla di tutto questo sarebbe accaduto se non avessi iniziato a frequentare un personaggio pubblico.
Neppure ha voluto fare lo sforzo di ascoltare la mia versione dei fatti e le mie supposizioni.
Inutile dirlo, non ci parliamo dal giorno della sua visita in ospedale, l'ultima in generale che ho ricevuto: quando lui se ne è andato, ho chiamato un'infermiera ed ho espressamente richiesto di non voler ricevere alcuna visita, e così è stato fino al momento delle mie dimissioni; la mattina in cui sono stata dimessa, me ne sono tornata a casa da sola, e dal preciso istante in cui ho varcato la soglia del mio appartamento è iniziato il mio auto isolamento da tutto e da tutti, dal mondo intero.
Da quando sono tornata a casa, non solo non sono più uscita per qualunque motivo, ma ho smesso di rispondere a qualunque chiamata, sia a quelle che mi arrivano sul cellulare che quelle che mi arrivano sul telefono fisso; ed immagino che sia proprio questo il motivo che abbia spinto la mia amica, la mia unica amica, a venire qui di persona ed iniziare a tempestare di pugni la povera porta d'ingresso del mio appartamento.
"Vera? Vera, per favore, puoi rispondere? Guarda che sto iniziando a preoccuparmi seriamente! Ascolta, se non mi rispondi, sarò costretta a chiamare la polizia e qualcuno dovrà buttare giù la porta d'ingresso per entrare ed assicurarsi che tu..."
"Non c'è bisogno di adottare misure così drastiche!" mi ritrovo costretta a rispondere, perché so per certo che una persona come Andy sarebbe capace di rivolgersi davvero alle forze dell'ordine se non dovessi darle una risposta, tuttavia non mi alzo dal divano, perché non ho alcuna intenzione di aprirle la porta e di farla entrare: non voglio vedere nessuno, lei compresa, voglio solo essere lasciata in pace "sono qui, sono viva e sono in perfetta salute"
"Ohh, grazie al cielo, perché stavo iniziando a temere il peggio! Apri la porta, per favore, così possiamo parlare!"
"Mi dispiace, ma al momento non ho alcuna intenzione né di vedere qualcuno né di parlare con qualcuno. Voglio essere lasciata un po' in pace, se non ti dispiace. Penso di averne tutto il diritto visto quello che è successo"
"Vera, ma sono quattro settimane che sei rinchiusa in casa e che non rispondi alle mie chiamate! Non puoi restare confinata lì dentro per sempre"
"Non ho detto che sarà per sempre, ma per il momento sto bene qui, e per tutto quello di cui abbiamo bisogno io e Ceece esistono le consegne a domicilio. Sto bene, voglio solo essere lasciata tranquilla. Posso avere un po' di tranquillità dopo quello che è successo? Penso che sia normale, o vuoi dirmi che non ne ho alcun diritto? Non posso avere diritto ad un po' di tranquillità?"
"Tu non stai affatto bene, Vera, stai dicendo queste parole per cercare di convincere te stessa, ma sai benissimo che la verità non è questa. Nessuna persona che sta bene si chiude letteralmente in casa per quattro intere settimane e non risponde più alle chiamate! Devi fare qualcosa a riguardo, Vera! Prima di tutto, hai bisogno di prendere una boccata d'aria! Devi tornare in mezzo alla gente!"
"Stai cercando di dirmi che dovrei tornare in Studio?" domando, scoppiando in una risata sarcastica "stai certa che quando deciderò di uscire di nuovo, il mio ufficio sarà l'ultimo posto in cui mi recherò. Non ho più alcun motivo per tornare al lavoro, Andy: da quando mio padre mi ha tolto il Caso Sharapova, la mia carriera di avvocato divorzista è finita per sempre. Vuoi sapere come andrà a finire se mai dovessi tornare? O mi ritroverei ad avere tutti casi di poco conto, di cui perfino una novellina potrebbe occuparsene ad occhi chiusi, o mi ritroverei retrocessa come segretaria alla reception... O forse a breve potrei ritrovarmi direttamente licenziata, senza tanti complimenti. Sì, è probabile che a giorni possa arrivarmi una bella lettera di licenziamento. Mio padre ne sarebbe capace visto quello che ha già fatto: se non si è fatto alcuno scrupolo a togliermi questo caso, dicendo che non sono più in grado di seguirlo ed accusandomi di essere stata aggredita solo per colpa mia, perché mai dovrebbe farsene alcuno per sbattermi fuori dal suo Studio legale?"
"E tu vorresti questo?"
"A questo punto, sinceramente, non me ne frega un emerito cazzo. Non sono affatto ansiosa di rivedere mio padre, quindi se dovesse licenziarmi non mi farebbe altro che un grosso favore... E comunque, non sono mai riuscita ad integrarmi lì dentro, perché tutti quanti non hanno fatto altro che etichettarmi fin dall'inizio come una raccomandata che non vale un bel niente... E visto quello che è successo, adesso ne saranno ancora più convinti" mi alzo dal divano non per avvicinarmi alla porta d'ingresso e permettere alla mia unica amica di entrare, ma per raggiungere il frigorifero per prendere qualcosa da bere; quando apro lo sportello, mi blocco all'istante alla vista di una bottiglia di vino rosso che non ricordavo di possedere: deve essere stato George a comprarla, e deve essere stato sempre lui a metterla in frigo in una delle tante sera che abbiamo trascorso nel mio appartamento quando ancora ci frequentavamo.
Anche lui non l'ho più visto da quella sera in ospedale, e non so se tra le numerose telefonate che ho ricevuto in queste quattro settimane alcune fossero da parte sua, perché quando squillava il cellulare non ho mai guardato lo schermo.
Fisso con insistenza la bottiglia e mi ritrovo a deglutire un grumo di saliva; la tentazione di bere qualcosa di alcolico in questo momento è così forte da essere quasi insopportabile, ma alla fine riesco a mantenere il controllo ed allungo la mano destra per prendere il cartone del succo d'arancia, per poi chiudere bruscamente lo sportello del frigorifero, affinché la bottiglia di vino rosso non possa più spingermi quasi a commettere una sciocchezza.
Anzi, penso proprio che più tardi l'aprirò per svuotarla completamente nel lavandino, così non rischierò di esserne tentata ancora.
Mentre riempio un bicchiere con del succo d'arancia, Andy ricomincia a parlare dall'altra parte della porta.
"E quelle che hai appena detto dovrebbero essere le parole di una persona che sta bene? Vera, tu non stai affatto bene, hai subìto un atto orribile, hai paura ad uscire di casa ed è comprensibile, ma io sono venuta qui per aiutarti. Per favore, lasciati aiutare, perché in questo modo non puoi andare avanti. Se adesso me ne dovessi andare, come tu mi hai chiesto, so per certo che nelle prossime settimane non cambierà nulla: tu continuerai a rimanere segregata lì dentro ed andrà sempre peggio. Io posso aiutarti e... E posso aiutarti a trovare una soluzione al tuo problema"
"Cosa intendi per soluzione al mio problema?"
"Beh... Ora, così, su due piedi, non posso offrirtela, ma se mi fai entrare possiamo parlarne con calma e vedere cosa..."
"No, no, no, no. Io sono certa che sai già benissimo tutto quanto e sei venuta qui per parlarmene, e credo anche di avere già compreso in che cosa consiste questa fantomatica soluzione, perché ci sono già passata con mio padre" mi porto il bicchiere con il succo di frutta alle labbra e mando giù un sorso prima di proseguire "tu stai parlando di uno psicologo"
"Io non ho mai..."
"No, non provare a mentire, te l'ho detto che ci sono già passata tempo fa, ed anche in quell'occasione tutto quanto è iniziato con un discorso simile".
Andy resta in silenzio per qualche secondo, ed infine si ritrova costretta a confessare la verità... Proprio come io sospettavo.
"Ascolta, Vera, visto quello che ti è successo e la reazione che stai avendo, credo che forse la soluzione migliore per te sia quella di rivolgersi ad una persona esperta che sia in grado di darti un aiuto concreto! Con me puoi parlare e sfogarti, ma non è la stessa cosa!"
"T'interrompo subito, perché non ho bisogno di sentire altro, come non ho bisogno né di parlare con te né di parlare con qualcuno di esperto. Ci sono già passata, ho già dato e non voglio ripetere un'esperienza simile, grazie. Sto bene. Sto benissimo, desidero solo essere lasciata in pace"
"No, tu non stai affatto bene, perché la Vera che conosco io non parlerebbe mai in questo modo! Aprimi la porta così possiamo parlare faccia a faccia!"
"Ohh, proprio non riesci a capire che non ti ho ancora aperto la porta perché non voglio avere nulla a che fare con nessuno, te compresa? Voglio stare tranquilla! E se non l'avessi ancora capito, sono abbastanza risentita nei tuoi confronti, perché mentre ero in ospedale ti sei permessa di chiamare quel bastardo e di raccontargli tutto quanto! E sai lui che cosa ha fatto? Ha avuto la faccia tosta di presentarsi con un mazzo di fiori, come se tra noi due non fosse accaduto nulla!".
Andy tenta per l'ennesima volta di parlare, forse per spiegarmi per quale motivo ha chiamato ed informato George senza il mio permesso, ma anche questa volta la riduco al silenzio, ripetendole di nuovo che non voglio avere contatti con nessuno e che voglio essere lasciata in pace; finalmente lei capisce e se ne va dopo aver detto qualche parola a mo di saluto a cui non rispondo.
Ascolto in modo distratto i suoi passi che si allontanano per le scale, e non tiro alcun sospiro di sollievo, perché dentro di me so già che questo non è stato altro che un primo tentativo a cui, di sicuro, ne seguiranno altri.
Il mio sospetto si rivela fondato, perché due giorni dopo la visita di Andy, il campanello del mio appartamento riprende a squillare con insistenza; in un primo momento provo perfino ad ignorarlo, ma quando la persona dall'altra parte della porta lascia intendere che non è intenzionata ad arrendersi così facilmente, mi ritrovo costretta a far sentire di nuovo la mia voce.
"Andy, ti ho già detto che non voglio avere contatti con nessuno, cosa pensi che sia cambiato dopo due giorni?"
"E cambierebbe qualcosa, invece, se ti dicessi che non sono Andy?".
Non appena sento una voce maschile rispondere alle mie parole, spalanco immediatamente gli occhi dallo stupore, mi alzo dal divano e mi avvicino alla porta per controllare attraverso lo spioncino, anche se so già perfettamente chi c'è sul pianerottolo; ed anche se non vedo la persona in questione da più di quattro settimane, la mia accoglienza è tutt'altro che calorosa, e rispecchia quella che ha ricevuto in ospedale.
"Non cambierebbe assolutamente nulla, perché anche nel tuo caso credevo di essere stata abbastanza chiara quando ti ho detto di lasciarmi in pace e di non farti vedere mai più" dico infine; allontano l'occhio destro dallo spioncino, ma resto nei pressi della porta "perché sei qui? Che cosa sei venuto a fare?"
"Sono qui perché la tua amica è preoccupata per te, e dopo quello che mi ha raccontato non è l'unica ad esserlo. Anche io sono preoccupato per te. Molto preoccupato, aggiungerei"
"Beh, entrambi vi state preoccupando per una sciocchezza. L'ho già detto ad Andy, anche se sembra proprio che quella ragazza non sia intenzionata ad ascoltare le mie parole: sto bene. Sto benissimo. Ho solo bisogno di un po' di tempo per me stessa per riprendermi, per stare tranquilla e per schiarirmi le idee perché, permettimi di dirlo, sto attraversando un periodo abbastanza di merda. E sono certa che se tutti voi rispettaste la mia volontà di essere lasciata in pace, tra non molto riprenderò ad uscire di casa insieme alla mia vita di tutti i giorni"
"Dubito seriamente che una persona che stia veramente bene si chiuda in casa per settimane intere e non risponda a nessuna chiamata... La tua amica mi ha perfino detto che hai smesso di andare a lavoro"
"Ohh, e visto che c'era ti ha anche detto perché ho smesso di andare al lavoro? Mi è stato tolto il caso più importante della mia vita, la mia carriera di avvocato è colata a picco come il Titanic e quindi non vedo alcuna necessità di recarmi a lavoro. Te l'ho detto che sto passando un periodo abbastanza di merda"
"Ed allora, visto che sei scesa da sola a questa conclusione, non pensi anche che l'aiuto di qualcuno potrebbe permetterti ad uscire più velocemente da questo momento no?"
"L'aiuto di chi? Il tuo, magari? Dovrei accettare l'aiuto di uno dei responsabili che mi hanno trascinata a picco? Dovrei aprirti la porta?"
"A mio parere, sì. Se lo facessi, non solo potremo avere una conversazione più comoda e sensata, ma potresti prendertela direttamente con quello che ritieni essere uno dei diretti responsabili, non credi?" domanda George, ed a questo punto della discussione tra noi due cala il silenzio più assoluto, perché non so in quale modo rispondere: non voglio farlo entrare nell'appartamento, perché è una delle ultime persone che desidero vedere sulla faccia della Terra, ma la tentazione di potergli restituire una piccola parte del dolore che mi ha inferto, sottoforma di schiaffi, è così forte che quasi...
"Vera? Vera, sei ancora lì? Se sei intenzionata a non farmi entrare, sappi che non sono una persona che si arrende così facilmente: sono pronto a rimanere qui fuori anche tutta la notte, se fosse necessario. Non mi muoverò fino a quando non mi avrai aperto la porta. Non sei l'unica ad essere un osso duro"
"Spero vivamente che tu non abbia portato nessun mazzo di fiori, altrimenti questa volta non mi farò alcuna remore ad usarlo per picchiarti, perché finalmente posso muovere le braccia liberamente!" alla fine decido di aprirgli la porta, ma non lo faccio perché le sue parole hanno smosso qualcosa in me: non deve vederla come una flebile fiammella di speranza, perché non è assolutamente questo il caso; lo faccio entrare solo perché così ho la possibilità di sputargli in faccia tutto il disprezzo che provo per lui.
Quando ci troviamo faccia a faccia, vedo apparire sul suo volto un'espressione sconcertata, ma ha ben poco a che fare con la minaccia che gli ho rivolto: nelle ultime quattro settimane non ho prestato particolare attenzione né al mio aspetto esteriore né alla pulizia dell'appartamento; in realtà, non ho fatto altro che trascorrere le mie giornate passando dal letto al divano, occupandole con programmi televisivi e gelato.
Credo di avere mangiato più gelato nell'ultimo mese che in trent'anni di vita.
Mi allontano dalla porta, in modo da non lasciare al mio ex compagno il tempo di guardarmi con più attenzione, e mi lascio cadere sul divano.
"Avanti!" esclamo subito dopo, esortandolo a parlare "volevi entrare per avere una conversazione da persone adulte, ed io ti ho concesso questa possibilità, perché adesso non parli? Hai perso improvvisamente la lingua?"
"No" risponde lui, richiudendo la porta alle proprie spalle "sono solo un po' sorpreso, perché non mi aspettavo di trovarti in queste condizioni... E vuoi ancora dire di stare bene?"
"Ti aspetti che stia ventiquattro ore su ventiquattro con addosso i tacchi ed un vestitino striminzito? Tutte le persone normali quando stanno a casa indossano un pigiama od una tuta da ginnastica. Tu indossi sempre dei completi eleganti, per caso?"
"No, hai ragione, ma nessuna persona normale tiene casa propria in queste condizioni, ed il tuo appartamento non è mai stato così trascurato fino a quando non hai deciso di chiuderti qui dentro e di non rispondere a nessuna chiamata" ribatte prontamente George, guardandosi attorno "che altro devo dirti per convincerti che hai un problema e che devi fare qualcosa prima che la situazione si aggravi ulteriormente?"
"Ed io che altro devo dire per farti capire che non voglio l'aiuto di nessuno, e di sicuro non necessito del tuo, perché sei uno dei responsabili di tutto questo? Anzi, sei tu il principale responsabile! Perché è successo solo per colpa tua! Non sarei mai stata aggredita se ti fossi presentato al ristorante, ma tu non sei venuto perché non t'importava nulla, perché mi avevi già scaricata ancora quando ci siamo separati in Italia! Mi avevi già scaricata a quel tempo, ma non hai mai avuto il coraggio di dirmelo, anche se le occasioni non ti sono mancate, ed allora perché ti sei presentato in ospedale? Perché adesso sei venuto qui? Che cosa vuoi da me? Che cosa t'importa di me in questo momento, e che cosa è cambiato dalla sera dell'appuntamento?" ormai sono un fiume in piena, le parole mi escono dalla bocca senza che possa fare nulla per fermarle, e non gli lascio il tempo di controbattere "stai facendo tutto questo perché ti senti in colpa per quello che mi è successo? Perché ti sei reso conto che se fossi stato presente, io non sarei stata aggredita?".
Dopo essermi sfogata, resto in silenzio per riprendere fiato e per vedere la reazione di George, e lui, senza dire una sola parola, si allontana dalla porta d'ingresso e si avvicina al divano; quando prende posto affianco a me, mi sposto in automatico verso sinistra, lasciando intendere che così come in ospedale non gradivo alcun contatto visivo con lui, ora non voglio averne alcuno fisico.
Tuttavia, continuo a restare in silenzio, perché sono curiosa di sentire la sua risposta; vedremo se questa volta avrà il coraggio di svuotare il sacco, e confessare la verità, oppure non farà altro che inventarsi una bugia convincente.
"Mi dispiace per..."
"No, non provare neppure ad iniziare un discorso con le parole mi dispiace, perché non le accetto. Le ho sentite pronunciare così tante volte che ormai per me hanno perso tutta la loro importanza"
"Ed allora cosa vuoi che ti dica?"
"La verità. Voglio che rispondi alle domande che ti ho rivolto"
"Ed io voglio che ti lasci aiutare, Vera. A quanto pare siamo ad un punto di stallo, dato che entrambi non vogliamo smuoverci dalla nostra posizione... Non pensi che a questo punto la cosa più sensata da fare sia trovare un compromesso?"
"Dubito che riusciremo mai a trovare un compromesso. Finora hai detto una sola cosa giusta, ovvero che non sono intenzionata a cedere"
"Se è per questo, fino a poco fa non eri neppure intenzionata a farmi entrare, eppure adesso siamo qui a parlare da persone adulte e non mi hai ancora dato un solo schiaffo. E se adesso siamo qui a parlare da persone adulte, sono altrettanto certo che possiamo riuscire a raggiungere un compromesso... Anzi, io ne avrei già uno da offrirtene" nonostante io mi sia intenzionalmente spostata verso sinistra perché non voglio avere alcun contatto con lui, non solo il mio ex compagno si avvicina di nuovo, ma si spinge perfino a sfiorarmi la mano destra con la sua sinistra "ricordi come sono riuscito a convincerti ad accettare il nostro primo appuntamento? Ti ho promesso che se fossi uscita a cena con me, avrei risposto a tutte le tue domande, e così ho fatto. Adesso ti sto chiedendo di fare lo stesso: accetta il mio aiuto e ti prometto che risponderò a tutte le tue domande"
"Certo, me lo ricordo molto bene anche se è passato un anno" commento, rispondendo con un sorriso ironico alla sua espressione supplicante; probabilmente, in circostanze differenti sarebbe bastata solo la sua espressione per farmi capitolare all'istante, ma adesso, con tutto quello che negli ultimi mesi è accaduto tra noi due, non sono intenzionata a cedere dinanzi ad essa od a un paio di belle parole e promesse "e se la memoria non m'inganna, sempre in quell'occasione non hai fatto altro che rispondere con una sfilza di bugie. Come posso essere certa che in questo caso non sia solo una tecnica per prendere del tempo necessario perché... Perché tu possa pensare ad altro di convincente da raccontarmi?"
"Quella volta non ti ho raccontato delle bugie, ma una serie di mezze verità, e comunque posso assicurarti che adesso sarà tutto differente: io non ti dirò una sola bugia, ma devi lasciarti aiutare da qualcuno, perché non puoi continuare così da sola"
"E come posso essere certa che questa volta sarà differente? Che garanzia mi puoi dare?" domando, allora, passandomi le braccia attorno ai fianchi; con queste parole non voglio lasciar intendere che per lui ci sia un piccolo spiraglio di speranza, si tratta solo di curiosità personale: voglio proprio vedere che cosa mi risponderà a questo punto.
In che modo può garantirmi che questa volta sarà diversa? Quante volte abbiamo già affrontato la medesima situazione e quante volte ci siamo ritrovati allo stesso punto di partenza?
Possibile che non si renda conto che è sempre il solito circolo vizioso?
"Vuoi una prova concreta? D'accordo, avrai la tua prova concreta, questa volta non sono arrivato impreparato: ho annullato le prossime tappe del tour per poterti essere d'aiuto"
"Davvero?" chiedo scettica, e George annuisce.
"Sì, puoi controllare tu stessa se non mi credi. Ho detto che voglio aiutarti e lo farò, tutto il resto può aspettare... Tour compreso. Come puoi vedere, io il primo passo l'ho fatto, adesso spetta solo a te fare il prossimo... Ma se ora mi dirai di andarmene, sappi che potresti non avere ancora un'occasione simile. Presto o tardi nessuno verrà più a chiederti di accettare il suo aiuto, il telefono smetterà di squillare e ti ritroverai completamente sola... Ed a quel punto cosa farai? La solitudine, quella vera, può essere molto spaventosa"
"Ohh, non pensare che io non sappia cosa sia la solitudine, quella vera" commento di nuovo con sarcasmo; mi alzo di scatto dal divano e mi sposto in cucina per riempire un bicchiere con del succo di frutta.
Non lo faccio perché sento la necessità di bere qualcosa, ma perché, piuttosto, sento l'improvviso bisogno di fare qualcosa, e così ben presto mi ritrovo con un bicchiere pieno di succo che continuo a rigirare da una mano all'altra, senza mai portarlo alle labbra.
George neppure immagina quanto io conosca bene la vera solitudine, e di certo non gli racconterò nulla di tutto ciò in un momento come questo, ma, come è stato sufficiente in altre occasioni, sono bastate le sue parole per riportarmi alla mente ricordi tutt'altro che piacevoli; e quando quei ricordi mi tornano in mente, poi è sempre difficile scacciarli via.
Ogni volta che accade, diventa sempre più complicato ed impiego sempre più tempo a rilegarli in un angolo della mente.
"E allora, se già conosci la vera solitudine, immagino che tu non sia affatto ansiosa di riprovarla di nuovo, giusto?" ribatte il mio ex compagno, raggiungendomi in cucina; in tutta risposta, lo guardo negli occhi in silenzio, stringendo sempre più forte il bicchiere che ho in mano, e scuoto lentamente la testa.
"No, decisamente no" mormoro, in tutta onestà, perché una volta è stato già più che sufficiente.
"E allora lasciati aiutare" dice a sua volta in un sussurro, avvicinandosi di più a me, ed io mi ritrovo con la schiena contro il frigorifero; mi sembra di rivivere in modo distorto il dopocena dopo il nostro primo appuntamento, ma questa volta non prova a baciarmi, evidentemente perché sa con certezza che non farei altro che respingerlo, e si limita a sistemarmi dietro l'orecchio sinistro una ciocca di capelli che è sfuggita dalla coda... E questa volta non lo allontano "che cosa ti costa?".
Mi mordo il labbro inferiore.
Che cosa mi costa? Molto di più di quello che lui immagina.
"E visto che, da come parli, hai già pensato a tutto... Hai pensato anche da dove iniziare per aiutarmi in modo concreto?" chiedo infine, permettendogli di accarezzarmi ancora i capelli senza allontanarlo bruscamente, e la risposta non tarda neppure un istante ad arrivare.
"Per prima cosa, credo che tu abbia bisogno di cambiare aria, Vera".
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