Capitolo 1: Non sei portata

Stanotte non ho chiuso occhio per tutta la notte. Mi rigiravo nel letto, cercando di trovare una posizione giusta, ma qualsiasi cosa che facevo era inutile con l'insonnia. Non lo sono mai stata, ma oggi è una giornata molto importante per me e triste allo stesso tempo.

Mi guardo allo specchio, facendo una smorfia di disgusto.

Ho pianto abbastanza, occhi gonfi e rossi.

Ho una brutta cera. Capelli all'aria che solo la piastra può sistemarmeli: oggi sono più gonfi del solito.

Labbro carnoso che trema da solo. Quella allo specchio non sono io. È solo la mia gemella, un'ombra di me stessa, quella del passato non esiste più, anzi, è nascosta dentro di me.

Io non ero così prima di quattro anni fa. Ero una ragazzina come tante, spensierata che amava la vita, un padre che le voleva bene e avevo un ragazzo, ma tutto venne sgretolato in un colpo solo.

Scuoto le idee.

Non devo essere triste, ma è sempre per colpa sua se mi ritrovo in questo modo. Non doveva dirmi quella frase, specialmente non oggi: 1° settembre. Prendo la matita marrone per le sopracciglia. Cerco di designarmele, essere più carina, più donna, ma non riesco a fare un bel niente. La guardo diverse volte, tra le mie mani. Alzo il braccio e la lancio verso lo specchio.

Non ho voglia di truccarmi, non me la sento. Ma non posso rompere tutto, questo lo so. Ho una rabbia che sta per esplodere, letteralmente.

Bussano la porta. So già chi è: siamo solo noi in casa.

«Mamma, smettila. Non ti voglio più sentire. Mi hai già fatto arrabbiare. Non entrare.»

Lei entra lo stesso. Mi siedo sul letto, con le gambe incrociate e una mano nella mia chioma nera e lei resta sulla porta.

Sono io a parlare per prima. «Conosci la parola: "non entrare?"»

Non mi ascolta e inizia a toccarsi i capelli neri, guardandomi con i suoi occhi viola. «Penny, noi ci assomigliamo abbastanza, ma tu non puoi ritornare a Boniso. Lo studio che hai scelto non è adatto a te e specialmente: non sei portata per fare la psicologa. Te l'avevo già detto.»

Ecco la frase che mi ha fatto arrabbiare. La mia cara e dolce mammina che mi ama con tutta sé stessa e che mi protegge, sempre. Sì, sono sarcastica. Tutte le madri approvano gli studi che scelgono i propri figli, ma la mia no. Che cosa le avrò mai fatto di male?

Tu non sei portata. Tu non sei portata. Fa male tutto questo, ma lei non se ne rende nemmeno conto.

La guardo, furiosa. «Sì, me l'avevi già detto e non faccio quello che tu mi dici.»

Si mette le mani sui fianchi. «Quando sei in questa casa, farai quello che dico io...sei come tuo padre. Hai il suo stesso carattere. Se lui fosse qui...»

«Sarebbe felice per me. E per tua informazione, da oggi, non sarò più a casa tua», sbuffo. «Ritorno a Boniso, se non l'avessi ancora capito, ma senza di te. Almeno non ci sei a dirmi sempre che non sono portata a non fare niente. Non sono mica una fallita.»

Il suo sguardo diventa ghiacciale, freddo e orrendo. «Sei diventata troppo insolente. Da quattro anni che sei cambiata. Oggi è il tuo compleanno e compi diciannove anni. Devi essere felice e invece sei sempre triste. Datti una regolata e specialmente non puoi sempre stare male per quella faccenda.»

Vorrei piangere. La odio. «Tu non stai male per quella faccenda, mamma? Non dirmi che tu hai già dimenticato, ma io no!»

«No», dice, sbattendo le ciglia lunghe «Tuo padre è andato via quando hai compiuto quindici anni, ma io ci convivo. Devi farlo anche tu!»

Certo e io ci credo alle sue parole. Quanto ipocrita è.

Si gira, apre la porta e va via.

Ci convive, ma chi vuole prendere in giro. Lei ama solo sé stessa e basta. Perché non mi capisce? Voglio aiutare le persone a superare i loro problemi. La mia coscienza annuisce, battendo le mani.

Oggi è il mio compleanno, è vero, ma per me questa giornata è orrenda, troppo. Ho dei brutti ricordi.

Prendo il cellulare e mando un messaggio alla mia migliore amica.

Martha, tra poco parto per ritornare a casa. Mia madre è stata molto crudele. Non vuole che io diventi una psicologa.

Lei risponde dopo cinque minuti.

Pel, tua madre non è cattiva. Mettiti nei suoi panni. Quattro anni fa lui se n'è andato e voi avete sofferto. Credo che quel lavoro le ricorda lui. Non è cattiva, almeno credo.

Non è cattiva, certo come no...ma lei è una megera, con il naso lungo, anzi, è una befana da quattro soldi.

Mia madre è una menefreghista del cavolo. Martha non può pensare veramente che mia madre sia buona come il pane. Mamma è stata crudele con me quattro anni fa e la mia migliore amica se lo deve ricordare.

Sono felice di ritornare a Boniso, un paese di Venezia, con duemila abitanti.

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L'aeroporto di Milano, alle sette di mattina, è abbastanza tranquillo, almeno credo. Sono seduta a leggere un libro di psicologia e non mi accorgo delle persone intorno a me. Di solito leggo i libri romantici, di psicologia e misteriosi.

Il divanetto che ho scelto è molto scomodo, di un blu cobalto, ma penso che anche altri divanetti sarebbero orrendi lo stesso.

«Scusami, è libero questo posto?»

Alzo lo sguardo e vengo intrappolata da due occhi verdi. Bocca fine, naso a patata e un neo sul labbro inferiore. Vestito con una tuta nera e scarpe da ginnastica. Capelli ricci e castani. È abbastanza affascinante.

Mi sposto a sinistra e lui si siede alla mia destra.

«Grazie», dice dolcemente. Ha una voce bella e sensuale.

Capisco che sia alto, ma penso che sia un metro e ottanta o giù di lì: da seduta gli arrivo più giù delle spalle.

Continuo a leggere per dieci minuti e sento una voce stridula: «Fai quello che vuoi, Harvey.»

Con la coda dell'occhio vedo quel ragazzo che parla con una donna, bassa come me, occhi grigi, capelli mossi e neri.

Lui mi sembra che sia stufo di stare con lei, almeno credo: sta sempre sbuffando. La ragazza mi nota che li sto guardando con la coda dell'occhio e mi fulmina con lo sguardo. Ritorno a leggere e poi lei si mette di fronte a me.

«Carina, alza lo sguardo.»

Obbedisco e lei mi guarda in viso, cominciando a ridermi in faccia. «Strega, cosa stai guardando? Ma non ti vergogni a farti vedere in giro con quei occhi viola? E soprattutto, ti piace il mio ragazzo?»

Vorrei sprofondare. Li stavo guardando solo esclusivamente perché erano ridicoli. Litigare davanti a degli sconosciuti, non è proprio il massimo. Credo chi porta i pantaloni sia proprio la vipera che ho davanti.

«Sono una strega!», esclamo «Adesso faccio apparire la mia scopa e volo lontano da te o ti faccio diventare meno acida. A te la scelta, mia cara», rispondo sarcastica.

Ecco a cosa si riferiva mia madre. Prima non avrei risposto in questo modo a nessuno, ma da quattro anni sono diventata sarcastica, grazie a Nicholas e sono contenta di essere così. Almeno mi faccio un po' rispettare, anche se posso apparire una vera stronza, ma non sono così, ma devo difendermi e il sarcasmo è la mia arma migliore.

Le persone appena mi vedono per la prima volta dicono che sono una strega. Ma non è colpa mia se ho degli occhi particolari, ma per loro questi sono occhi diabolici che, non esistono in nessun essere umano, evidentemente non hanno mai conosciuto l'attrice.

Chiudo il libro, lasciandolo sul divanetto e mi alzo in piedi. Siamo alte uguali, più o meno. Io un metro e cinquanta e forse lei cinque centimetri più di me.

«Allora...intanto non mi conosci e non puoi giudicarmi. Per tua informazione: ho una base di melanina di una persona con gli occhi azzurri, ma con una base decolorata di un blu e grigio», le sorrido sarcasticamente. «Conosci l'attrice Elizabeth Taylor

Scuote la testa.

Ora mi diverto con lei. «Immaginavo che non fossi intelligente. Cerca su Intenet, la troverai e scoprirai che anche lei aveva questi particolari occhi.»

Il ragazzo ride sotto i baffi.

Lei vestita con una gonna nera che mostra le sue gambe lisce e vellutate. Camicia bianca. Capelli neri, mossi e occhi grigi.

Mi dice di stare lontana dal suo ragazzo e dopo si allontana.

Mi risiedo.

«Scusami per la mia ex ragazza. Ci siamo mollati da poco e sta cercando di ritornare con me.»

Non serviva che mi dicesse questo. Non m'interessa sapere che quella donna sta cercando di ritornare con il suo ex ragazzo. Per me è solo una patetica e psicopatica.

«Patricia non è cattiva e solo gelosa e apprensiva.»

«E ti sembra un comportamento corretto? Comunque lei può fare quello che vuole e soprattutto: vi siete resi ridicoli. La prossima volta se volete fare una scenata del genere, andate in un altro posto e non con persone appena conosciute, anzi, con nessuno.»

Fa una faccia strana e sorridente. «Comunque hai un bel caratterino, sei una che si fa rispettare. Comunque mi chiamo Harvey.»

Tende la mano verso di me. La prendo, stringendola fortemente, da fargli un po' male. Anche la sua presa è bella forte. Mi guarda negli occhi. Sento un brivido che mi percorre per tutto il corpo. Non capisco cosa sia.

«La mia ex odia tutti, specialmente quando qualche ragazza è vicino a me, ma ti ripeto che non è cattiva. Non essere triste per questo, ma comunque non sei una strega. Mi piacciono i tuoi occhi. Sono rari e unici e comunque conosco l'attrice, è quella che aveva fatto: la gatta sul tetto che scotta!»

Annuisco. Finalmente, qualcuno conosce questa attrice dai capelli neri e occhi come i miei.

«Non solo, ma anche Piccole donne quando era una ragazzina. Comunque mi chiamo Penelope.»

Continuammo a parlare, ma poi raggiunge il suo gruppo. Sono in quattro: un uomo sulla cinquantina, vestito con un smoking nero. Una bionda, di spalle, vestita con dei fiori, la sua ex e lui. Quel Harvey mi sembra malinconico e quella sua ex non fa altro che guardarmi, come un falco: è inutile che mi osservi sempre, tanto non ci vedremo mai più.

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