Capitolo 1

Adrien Agreste osservò i bambini che si divertivano nel grande parco della villa dei Bourgeois: il padre di Chloé aveva superato se stesso nell'organizzare il decimo compleanno della figlia, realizzando ogni suo sogno.
La piscina con le palline a forma di castello di Aurora? Fatto.
Dei tizi mascherati da personaggi Disney? Fatto.
La giostra con i pony? Fatto anche quello.
Il bambino sbuffò, voltandosi indietro e osservando la sua coetanea rintanata in un angolo, con le ginocchia strette al petto e il volto nascosto fra queste.
Prendere in giro Marinette Dupain-Cheng e umiliarla davanti a tutti? Chloé aveva avuto anche quello per il suo compleanno.
Sospirando il piccolo si avvicinò all'amica, sedendole accanto e aspettando che desse segno di aver notato la sua presenza ma ciò non avvenne: Marinette continuava ostinatamente a tenere il viso nascosto, piangendo in silenzio.
Perché mai e poi mai avrebbe mostrato le sue lacrime, ostinata e orgogliosa com'era.
E lui lo sapeva bene, dato che si conoscevano praticamente da sempre: i genitori di Marinette possedevano la miglior pasticceria di Parigi e Adrien era stato un cliente affezionato fin da...
Beh, fin da quando aveva potuto mangiare dolci.
Ricordava perfettamente il primo giorno che era entrato nel negozio gestito dai Dupain-Cheng, osservando incantato quelle piccole opere d'arte; una signora dai tratti orientali si era avvicinata a lui, seguita a ruota da una bambina con due buffe codine nere e gli occhi dello stesso colore del cielo.
Quel giorno Adrien Agreste aveva deciso che Marinette sarebbe stata la sua moglie.
E anche che sarebbe diventato un pasticciere.
Con uno sbuffo il bambino tornò alla realtà, osservando l'amica e rendendosi conto che avrebbe dovuto consolarla: era questo che facevano i futuri mariti, no? «Sai, secondo me non dovresti darle vinta così facilmente.» dichiarò dall'alto dei suoi dieci anni, osservando Marinette alzare la testa e fissarlo: gli occhi azzurri erano umidi di lacrime e il respiro ansante, come se stesse trattenendo a freno la rabbia che provava.
«Chloé mi aveva detto che era una festa a tema.» dichiarò la ragazzina, balzando in piedi e mostrandogli il vestito rosa, indicando poi il resto dei bambini: «Sono l'unica vestita come...come...»
«Una principessa.» sentenziò Adrien, guardandola con aria sognante: «Una bellissima principessa, che aspetta il suo cavaliere dall'armatura splendente: cioè me.» dichiarò spavaldo, alzandosi in piede e fissandola dal basso verso l'alto: odiava, odiava, odiava con tutto il cuore essere più basso di lei.
Marinette sbuffò, scuotendo il capo: «Di solito le principesse sposano i principi, sai? Ed io non intendo sposare qualcuno più basso di me.» dichiarò sicura di sé, incrociando le braccia al petto e fissandolo divertita.
«Quindi se divento più alto di te...» mormorò Adrien, avvicinandosi e alzando un braccio verso l'alto, posando la mano pochi centimetri sopra la testa di Marinette: «...tipo così, mi sposerai, vero?»
La bambina ridacchiò, scuotendo il capo e facendo ondeggiare le corte ciocche nere: «Che ne dici di vedere se quel momento arriverà realmente, tappetto?» domandò divertita, ma ringraziando dentro di sé l'amico per quel suo gesto che la stava distraendo da Chloé e l'umiliazione appena subita.
Adrien sorrise raggiante, posando le mani sui fianchi e annuendo: «Vedrai quel momento. Fidati.»



«Marinette! La sveglia sta suonando da dieci minuti!» l'urlo della madre, proveniente dalla cucina, svegliò la ragazza: lentamente aprì le palpebre, osservando la sua camera e, con calma, si issò a sedere, zittendo la sveglia del cellulare e sbadigliando.
Che strano...
Era una vita ormai che non sognava Adrien, il suo migliore amico delle elementari.
Sospirando, si alzò, scendendo le scalette del soppalco, ove era posizionato il suo letto, e iniziò a prepararsi per un'altra giornata di scuola, ma la sua mente andava nuovamente al sogno: ricordava perfettamente quel compleanno di Chloé Bourgeois – fra l'altro l'ultimo a cui era andata, nonostante la ragazza continuasse a invitarla ogni anno come attrazione – ed era stata una delle ultime volte in cui era stata con Adrien.
Il bambino, infatti, poco tempo dopo aveva dovuto seguire il padre all'estero – America, se non ricordava male – e non era più tornato: era stata male all'inizio, tantissimo, anche perché Adrien era stato il suo primo amore; poi la quotidianità aveva relegato il ragazzino dai capelli biondi e gli occhi verdi in un angolo della sua mente e del suo cuore: un ricordo dolce e doloroso allo stesso tempo.
Un piccolo amore mai coltivato.
Chissà cosa sarebbe successo se fosse rimasto e fossero cresciuti assieme?
Sarebbero stati ancora uniti oppure ognuno avrebbe preso la sua strada?
Erano domande che ogni tanto si faceva ancora, nonostante fossero passati quasi sette anni, da quel tempo.
«Marinette! Farai tardi!»
«Sì, mamma.»
La ragazza scosse il capo, riprendendo a prepararsi e relegando nuovamente Adrien nel posto che gli spettava di diritto: fra i ricordi.




Parigi non era cambiata poi tanto.
Osservò la capitale francese da dietro il finestrino della macchina, mentre l'autista – un uomo gigantesco, dalla faccia e dal comportamento gorillesco – lo stava conducendo verso quella che era stata, un tempo, casa sua: sorrise, quando vide la recinzione alta della villa e, appena la macchina accostò, scese velocemente: «Sono tornato.» mormorò, osservando l'enorme cancello di ferro e poi alzando la testa verso il cielo: «Sono di nuovo a Parigi.»

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