57 - UNA CASCATA DI POLVERE (1)
Monica e Camilla sbucarono nella radura paonazze in viso, col fiato grosso e completamente madide di sudore.
La ragazza si lasciò cadere sull'erba, supina, ansimante; la sua compagna di viaggio, invece, era piegata sulle ginocchia. Non aveva voluto fare soste per arrivare ad adempiere al proprio compito prima possibile; ma, soprattutto, perché le pareva irrispettoso nei confronti del suo capo, mentore, amico, riposarsi, mentre lui, o quello che restava di lui, giaceva dentro a un'urna. Nell'ultimo tratto però, tutto in salita, i chili di troppo che si ritrovava addosso, si erano fatti sentire senza pietà.
La resistenza di Camilla aveva ceduto molto prima, ma il desiderio di non rallentare l'eccezionale persona che aveva scoperto in quell'enorme donna, le aveva dato la forza di tenere duro, e resistere fino all'obiettivo. L'erba, sulla quale era ora sdraiata, non le era mai sembrata tanto soffice e fresca.
«Se veramente sei incinta...» ansimò Monica, sbuffando mentre si sfilava lo zaino. «Non so se... fare questi sforzi... ti faccia bene...»
Camilla guardava il cielo e, a poco a poco, riprendeva fiato. Un sorriso increspò le sue labbra, come un leggero refolo di vento fa ondeggiare i petali di una rosa.
«Ormai l'ho fatto!» rispose. «A parte il fiatone, comunque, mi sento bene. Molto bene.»
Si sollevò e si mise a sedere.
«Grazie a te, Monica. Quello che mi hai detto prima mi ha rincuorato, mi ha dato fiducia. Mi sentivo sola... Ora non più.»
Monica sentì un rimescolamento agitarle lo stomaco, e un groppo formarsi in gola. Era commossa.
Aprì la bocca per risponderle, per regalare a quella triste ragazza altre dolci parole di conforto, parole che le nascevano dal cuore, addolorato per la perdita del suo caro Franco.
Ma, qualcun altro parlò per lei.
«Bene, bene! Mi pareva d'aver riconosciuto la voce...»
Le due donne si voltarono di scatto.
Masi troneggiava, nudo, in piedi a fianco l'entrata della grotta.
Camilla lo vedeva per la prima volta e, senza volerlo, si ritrovò gli occhi fissi sull'enorme membro che gli statueggiava tra le gambe.
Il primo impulso che percepì fu un'eccitazione latente formicolarle tra le cosce, gradevolmente allibita dalle dimensioni fuori misura di cui quell'uomo disponeva. Ma quando il raziocinio riuscì a prevalere sull'istinto e impose a Camilla di alzare lo sguardo, quello che scorse sul volto, distorse del tutto ogni possibile accezione positiva la prima impressione aveva provato a impiantarle. Quell'individuo aveva gli occhi intrisi di una cattiveria profonda, una malvagità solida, ben radicata e, ancora peggio, morbosamente desiderata. Persino la voce, cavernosa all'inverosimile, richiamava antri scuri, reconditi recessi di posti infernali che non avevano mai visto il minimo spiraglio di luce.
Camilla rabbrividì all'istante di terrore; i suoi occhi, ora ben consapevoli di cosa avevano davanti, disgustavano le sproporzioni esagerate del mostro, a partire dall'altezza fino alla lunghezza dei piedi. Ciò che di primo acchito era sembrato eccitante, adesso appariva deforme e orripilante.
Monica invece non ebbe dubbi fin da subito.
Conosceva fin troppo bene Masi, quello che era, quello che aveva fatto e quello di cui era capace. Nemmeno se l'avesse visto morto, freddo e stecchito dentro a una bara, si sarebbe fidato di lui.
Capì subito che si trovavano in un mare di guai, e il senso d'impotenza la colpì come un fulmine improvviso si schianta sulla cima di un albero. Erano esposte; lei, ma soprattutto Camilla, a cui aveva appena promesso e offerto aiuto e protezione. Si sentiva addosso la sgradevole sensazione che fossero loro due a essere del tutto nude.
«Pietro Masi!» disse, cercando di depurare il tono di voce da tutto quello che poteva assomigliare alla paura. «Deduco dal tuo abbigliamento che ti senti piuttosto accaldato!»
Cominciò, intanto, a pensare freneticamente a una qualsiasi soluzione che potesse salvarle.
«Il sarcasmo non vi salverà, donna. Lo sai, vero?»
La paura si stava avvolgendo attorno a Monica come uno stretto mantello. Scandagliò in fretta la radura con gli occhi, sapendo già che non offriva vie di fuga sicure. La vallata, davanti a loro, era troppo esposta; la grotta era piantonata da Masi (e poi, al suo interno, dove sarebbero potute andare?). Restavano gli alberi alla loro sinistra, o rituffarsi nel sentiero appena percorso e immergersi nel bosco da lì. Ma in tutti i casi, il loro nemico le avrebbe acchiappate in men che non si dica. Erano, senza dubbio, spacciate.
"Cosa mi è saltato in mente?" cominciò a pensare la donna, disperata, maledicendo Franco e la volontà di riposare proprio in quella radura, pentendosi subito dell'ingrata ispirazione. La sua scorza dura, ancora una volta, l'aiutò a dissimulare lo stato d'animo.
«Che ci fate fuori dalla baita, da sole? Non sapete che c'è gente pericolosa, in giro?» continuò Masi, esibendo un sorriso maligno.
Le due donne erano del tutto alla sua mercé e questo lo eccitava in maniera smodata. Il senso di onnipotenza stava salendo dentro di lui come il livello di un fiume ingrossato da una piena.
«Avevamo voglia di prendere una boccata d'aria!» rispose Camilla, faticando a nascondere quanto fosse terrorizzata.
«Oh!» Masi fece tre poderosi passi in avanti, facendo sussultare all'unisono le donne. «E tu chi saresti, bellezza?»
Si fermò proprio davanti alla ragazza, e allungò una mano per accarezzarle il viso.
«Non la toccare, mostro!»
Masi girò la testa verso Monica, divertito e sorpreso dalla sua intraprendenza.
«Altrimenti?» chiese.
Vedendo che il donnone non rispondeva e scorgendo sulla sua faccia una vena di paura mal dissimulata, abbassò la mano che stava allungando su Camilla e si spostò davanti all'altra.
«Quindi?» alitò Masi, chinandosi su di lei e piantandole il viso a pochi centimetri. «Cosa mi succede, se la tocco?»
Il terrore, in Monica, aveva raggiunto un livello talmente alto da stordirla, come se si fosse appena risvegliata da una nottataccia insonne e tormentata. La figura di Pietro aleggiava davanti ai suoi occhi e, per un attimo, le parve fosse tutto un incubo; l'immagine dell'uomo, solo una proiezione incorporea che veniva da chissà dove.
Stava per cedere, stava per lasciarsi andare "dall'altra parte". Sarebbe svenuta e Masi avrebbe potuto fare quello che voleva; o forse sarebbe semplicemente morta senza soffrire. Non poteva permettere nessuna delle due opzioni; non poteva e non voleva lasciare Camilla sola con quel malefico individuo.
Strinse gli occhi e si cercò dentro gli ultimi residui di coraggio.
Ma il fiato umido e asfissiante che Masi respirava su di lei, insieme delle commistioni più putrescenti che si possa immaginare, la resero ancora più impotente. Cominciò a piangere, senza che potesse evitarlo.
«Che tenera che sei!» ridacchiò Pietro. «Visto allora che la minaccia non c'è, se permetti, mi prendo qualche libertà con la tua amica.»
Prima che Monica potesse rendersi conto di quello che aveva detto, Masi stese le braccia verso Camilla. Un tenue raggio rosso l'avvolse, chiudendosi intorno a lei in quella che pareva una bolla di sapone ancorata all'erba.
La ragazza fu dapprima stupita; poi, con le mani, prese a spingere sulla parete ballonzolante, come se pensasse che quella sorta di vescica scoppiasse al primo impatto. E quando realizzò di essere intrappolata, cominciò a piangere, terrorizzata.
«No!» gridò Monica. «Lasciala libera, pezzo di merda!»
Masi si voltò e la colpì con il dorso della mano, senza imprimere alcuna forza. La donna cadde a sedere sul prato, a fianco dello zaino. Pietro le si accovacciò davanti, assaporando con soddisfazione il dolcissimo gusto che gli dava l'assoluto potere di vita o di morte che aveva su quelle due femmine.
«Credo proprio che non la lascerò libera, invece» tuonò, con il tono di voce che gli usciva ancora più rimbombante dal torace compresso.
«Mi divertirò con lei, torturandola lentamente, prima di ucciderla. Voglio che tu non ti perda lo spettacolo. Poi toccherà a te, e mentre ti spellerò viva, ti racconterò cosa farò al tuo vecchio de Simone, quando avrà il fegato di abbassare quello scudo del cazzo! Ti piace come programma, Monica?»
Sentire il proprio nome uscire da quelle labbra, pronunciato da quella voce, con quella intonazione definitiva, fece rabbrividire la donna più che l'accurata descrizione di ciò che l'aspettava. Masi incombeva su di lei, enorme nonostante fosse chinato, pronto a scattare da un momento all'altro, come un serpente velenoso che punta il topo imprudente.
Ma, nell'oscurità in cui il suo cuore era piombato, Monica intravide una minuscola luce tremolante. Un'idea, un'intuizione accesasi all'improvviso, forse una piccola speranza, senza certezze, senza rassicurazioni, era nata spontaneamente, e lei vi s'aggrappò con disperazione.
«Anzi! Vi torturerò ma non vi ucciderò subito» continuò Masi. «Vi userò come pedina di scambio. Dimmi? Il tuo capo è disposto a sacrificare tutto per te?»
La mente di Monica era ormai del tutto stravolta e comandata dal puro istinto. La razionalità stava annegando nella disperazione, senza speranza di riuscire a tirarla fuori.
«Perché, Pietro? Perché sempre tutta questa cattiveria?» provò a dire per prendere tempo, mentre buttava lo sguardo sul prato, a fianco della sua gamba sinistra.
«Perché no?»
Il terrificante sorriso di Masi si allargò e lo sguardo si perse a contemplare immagini di grandezza, che solo lui poteva vedere.
«È appagante poter decidere se un individuo può vivere o deve morire. Non puoi capire che senso di potere ti dà! E gli occhi, Monica! Quel lampo di consapevolezza che passa fulmineo nelle pupille di chi comprende che sta per morire... Dio mio! È come una droga!»
«Tu sei del tutto pazzo! Lo sai, vero?»
Gli occhi di Pietro tornarono su di lei. «Sei un pazzo solo quando non assecondi la tua natura, donna!»
Monica rimase per un attimo basita da quella risposta. Poi, riprese a macinare il suo piano.
«E dopo? Non provi mai nemmeno il più piccolo rimorso?»
Allungò la mano e afferrò lo zaino, dissimulando i suoi gesti.
«Rimorso? Per chi? Per voi, patetici esserucoli umani? Deboli, inutili... Cosa stai facendo?»
Monica si era posata lo zaino sulle gambe e si accingeva ad aprirlo.
«Ho sete. Mi concedi almeno di bere, prima di morire?»
Il ghigno di Masi vibrò in una beffarda risatina.
«Fa pure» disse.
«E comunque, puoi essere un duro fin che ti pare, ma l'assassinio di tua sorella non ti ha lasciato del tutto indifferente. Non è vero?»
La bocca dell'uomo si raddrizzò all'istante e gli occhi si scurirono come quelli di uno squalo. «Che cazzo hai detto?»
Monica capì d'aver imboccato la strada giusta.
«Sabrina! Quella povera piccina a cui hai fracassato il cranio. Io ero lì, te lo ricordi? Ho capito subito che eri stato tu. Potevi ingannare gli altri, non me.»
Aveva estratto l'urna viola dallo zaino e cominciato, lentamente, a svitare il tappo.
Il volto di Masi si stava trasformando in una maschera furiosa, fisso sullo sguardo di sfida di Monica. Aveva smesso di prestare attenzione ai movimenti delle sue mani.
«Attenta a quello che dici, donna!»
«Quante volte è venuta a trovarti di notte, la tua sorellina? Quante volte ti sei svegliato sudato nel cuore della notte? Magari urlando come una femminuccia?»
Il tappo cedette la presa; lo rimosse, sempre con estrema calma.
Non staccava gli occhi dal suo nemico, pronta a ogni possibile mossa.
«Brutta troia obesa! Quella cagna di mia sorella meritava quello che ha avuto, così come quei due porci dei miei genitori! Che cazzo ne vuoi sapere, tu?»
A Monica parve di vedere tremolare un luccichio negli occhi di Masi, e prese ancora più coraggio. Afferrò la pancia del vaso con entrambe le mani, sicura che l'uomo, la cui rabbia stava montando ai livelli massimi, non notasse cosa stesse facendo.
Camilla era spaventata oltre ogni misura, ma un pizzico di curiosità era riuscita a farsi strada in lei, osservando lo strano comportamento della sua compagna di viaggio. Senza volerlo appoggiò le mani alla parete della bolla; la superficie pareva essersi molto assottigliata, le braccia affondarono in avanti e Camilla perse quasi l'equilibrio.
«Nessuno è mai venuto nei miei sogni!» continuò intanto Masi. «Gli uomini come me non hanno incubi!»
«Scommetto che ti sei pisciato sotto dalla paura, più di una volta!»
«ORA BASTA!»
Se c'era una cosa che Monica aveva imparato dal suo Franco, era quella di dare sempre ascolto alle proprie sensazioni, soprattutto quando si aveva l'assoluta certezza fossero buone. L'idea improvvisa avuta scintillava nella sua testa come una vena d'oro, e lei aveva capito subito che era la cosa giusta da fare, pur non conoscendone, né capendone i motivi.
Vide Masi infuriato digrignare i denti, stringere i pugni e compiere l'atto di alzarsi, senza dubbio per sfogare la sua rabbia su di lei o, ancora peggio, su Camilla. Monica non esitò.
Ancorata forte l'urna tra le grosse mani, spinse con violenza le braccia in avanti, scagliando il vaso dritto sulla faccia dell'uomo, ancora alla sua altezza.
Il recipiente si frantumò all'istante in mille pezzi e le ceneri di Franco de Simone si rovesciarono sulla testa di Masi, avvolgendolo in una densa nuvola di fumo grigio.
Pietro s'alzò di scatto, indietreggiando troppo velocemente. Inciampò sui suoi stessi piedi e cadde nell'erba di schiena, mentre la polvere che Monica gli aveva lanciato addosso, cominciava ad appiccicarsi alla pelle, sfrigolando come brace ardente.
Le urla dell'uomo riempirono ogni anfratto della vallata, rimbombando, echeggiando nell'aria, cupe, profonde, terrificanti, come rombi di tuono impetuosi e continui. Masi si dibatteva sull'erba, graffiandosi la faccia con le unghie per togliersi di dosso la cenere incandescente che penetrava sempre più nella sua carne, bruciandosi le dita e i dorsi delle mani, mentre alcune scaglie vi scivolavano sopra.
All'apice del dolore, sentì il disperato bisogno d'immergersi nell'acqua e, senza aspettare oltre, si alzò goffamente in volo, dirigendosi verso l'unica fonte che conosceva, nelle vicinanze.
Monica, nel frattempo, non era rimasta a guardare.
Appena vide Masi alzarsi e ricadere sulla schiena, urlante, dolorante, si levò in piedi e, fatto un cenno a Camilla che si spostasse, si gettò sulla bolla con tutta la sua forza.
La parete si piegò all'interno, fin quasi a toccare l'estremità opposta, e la donna, urtando di striscio la ragazza adagiata su un lato, vi scivolò sopra, rotolando dall'altra parte e ripiombando sull'erba, come si fosse appena lanciata su un grosso gonfiabile per bambini.
Si rigirò subito, e osservò la bolla ancora tremolante per l'urto, ma del tutto integra.
«Tesoro, devo andare a cercare aiuto» le disse, poggiando la mano nel punto in cui Camilla aveva la sua.
«Non lasciarmi qui sola!» La ragazza era di nuovo in lacrime.
«Non posso tirarti fuori. Abbiamo bisogno della squadra!»
«Se torna? Non voglio star sola con quel mostro!»
«Cercherò di fare prima possibile! Masi ha preso una bella batosta, te l'assicuro. Non si farà vedere per un po'...»
«Come fai a dirlo?» Camilla era vicino a diventare isterica.
«Devi fidarti di me. E stare tranquilla. Correrò più veloce che posso. Lascio qui pure lo zaino, così da essere più leggera. Torneremo presto, e ti tireremo fuori. Ti ho promesso che non ti lascerò sola, e io le promesse le mantengo!»
Camilla, nonostante ancora singhiozzasse, pareva sulla via di calmarsi.
«Ti fidi di me?» le chiese Monica.
La ragazza annuì appena, con gli occhi gonfi e rossi.
«Torno presto!»
E cercando di farle il sorriso più convincente che poteva, si girò e partì di gran carriera, per quello che la sua mole le consentiva.
Forse, per la prima volta, le persone ritrovatesi loro malgrado a vivere insieme in quella che era stata la gloriosa FDS, avevano compreso veramente cosa volesse dire "fare gruppo", "essere una squadra". La loro esultanza era stata vera, spontanea, carica della passione, della determinazione che necessitava per compiere ciò che veniva richiesto; proprio quello che Franco de Simone auspicava e che aveva cercato di far loro capire.
Alberto pensava proprio a lui mentre osservava i visi, le espressioni dei suoi compagni, e non poté non provare un certo senso di contentezza, forse di felicità, nel vederli tutti convinti, anche se la causa scatenante giaceva, macabra, intorno a loro, sotto forma di teste mozzate. Ma era anche stupito nel riconoscere che, colui a cui andava dato il merito di questo miracolo, era il meno pronosticabile di tutti: Ando.
Lo guardava, e stentava a riconoscere l'uomo arrogante, sospettoso, antipatico che aveva conosciuto. Si sarebbe quasi aspettato di vedere la sua vecchia testa ammonticchiata con le altre, fuori dallo scudo, tanto il volto che vedeva ora, era diverso da quello che gli si era stampato in mente.
Se veramente la vista di quell'osceno spettacolo era stata la causa del suo "risveglio", si poteva quasi supporre che Pietro Masi si fosse tirato la zappa sui piedi da solo, visto che Ando sembrava essere l'anello debole della squadra. Invece, di punto in bianco, se lo ritrovavano deciso, carico e galvanizzato a spronarli e incitarli, con un piglio quasi da leader, riuscendo, di fatto, a cementare un gruppo che faticava a farlo!
Alberto tastò con la mano la tasca dove c'era il bloc-notes di Franco; quel vecchio scienziato pazzo sembrava aver inquadrato Ando meglio di chiunque altri, e in una sola sera. Aveva creduto avesse lasciato il comando a lui, invece... forse aveva frainteso. de Simone voleva solo che lui facesse conoscere al gruppo i suoi ultimi pensieri, cosa che però, Alberto, ancora non aveva fatto.
"Perché indugi, Alby? Cosa stai aspettando? Cosa stiamo aspettando?"
Sapeva cosa lo tratteneva. Per quanto si sentisse pronto a fare ciò che andava fatto, per quanto il potere al suo interno lo avvisasse che il momento era giunto, le amate forme della sua ragazza spuntavano di continuo nella sua testa, la voglia di star con lei saliva vertiginosamente mentre l'intensità dell'energia calava, e lui si sentiva in colpa due volte.
Da un lato aveva la consapevolezza di non concentrare tutto sé stesso sul suo dovere; dall'altro era rattristato nel sapere Francesca da sola, con il dolore per suo zio come unico compagno.
"Potrei fare un salto veloce di sopra, e vedere come sta" pensò Alberto, sapendo benissimo di non avere solo voglia di vederla, dandosi dello stupido per il blando tentativo di provare a ingannare sé stesso.
Si accodò agli altri mentre rientravano verso la baita, dopo aver deciso di comune accordo di mangiare qualcosa, prima di iniziare sul serio e con convinto impegno a pensare su come poter affrontare Pietro Masi.
«Non possiamo lasciare qui questo orrore, gente!» disse Veronica. «È... È terribile...»
«Sono fuori dallo scudo le teste, Vero» fece notare Roberto.
Ando le accarezzò con dolcezza i capelli. «Hai ragione. Ma non possiamo rischiare di abbassarlo. Ci penseremo al momento opportuno, te lo prometto.»
Veronica lo fissò, indecisa se chiedergli se mai sarebbe arrivato quel momento. Ma tacque, abbassando lo sguardo sui suoi piedi che calpestavano l'erba.
«E comunque, il telecomando ce l'ha Monica» fece notare Alberto, intenerito dalla premura della ragazzina.
Franco e Beatrix, intanto, avevano notato Alessandro un po' defilato, rimasto indietro rispetto a sua moglie e suo figlio, e gli si avvicinarono, cercando di non farsi notare da Alberto.
«Dicci la verità...» esordì Trudi. «È stata una mossa furba liberare quella donna?»
«Se stesse fingendo?» aggiunse Beatrix. «È passata dalla follia alla normalità in un batter di ciglio...»
Alessandro li squadrò un secondo. «E perché lo chiedete a me?» disse, poi.
«Tu l'hai visitata e...»
«E ho sostenuto d'averla trovata in perfetta forma fisica. Quindi mi state accusando d'aver mentito? O state asserendo che non l'abbia visitata nel modo giusto? È questo che intendete?»
I due coniugi non si aspettavano una risposta così piccata, e si lanciarono una veloce e imbarazzata occhiata.
«No, Alessandro...» si scusò subito Beatrix. «Non intendevamo questo.»
«Non abbiamo dubbi che a livello fisico stia bene, e che tu l'abbia visitata nella maniera più corretta...»
«È a livello mentale che ci preoccupa. Se finge, tu non potresti accorgertene. Nessuno potrebbe.»
Alessandro abbozzò un sorriso. «Ho capito cosa intendete. E suppongo i vostri dubbi siano leciti. Ma qui abbiamo un uomo innamorato di quella donna. Molto innamorato, a quanto ho capito. E lui non ha esitato un attimo a fidarsi. L'ha guardata negli occhi e probabilmente ha ritrovato la donna che ama. Credo succeda anche a voi, in quanto coppia; a me e a mia moglie basta uno sguardo per capire se c'è qualcosa che va o che non va.»
I due coniugi rimasero un attimo basiti, poi sorrisero, si guardarono e si presero per mano.
«La fiducia di un uomo innamorato per me vale più di mille esami, più di mille dubbi e supposizioni. Per questo sono tranquillo.»
E, fatto loro l'occhiolino, si avviò deciso verso la baita.
Monica aveva lasciato delle cibarie pronte nel frigorifero, solo da scaldare.
Angelica, aiutata da Silvia, si stava adoperando per mettere tutti a tavola, con la speranza nel cuore che Roberto la stesse osservando mentre trafficava ai fornelli. Aveva deciso di non voltarsi verso la sala, per tenersi intatta l'illusione degli occhi dell'uomo per cui aveva perso la testa in quattro e quattr'otto, fissi su di lei, magari non sempre, ma abbastanza da poter certificare un interesse importante.
Si chiedeva se non fosse un comportamento da ragazzina, lei che ragazzina ormai non lo era più da tempo, ma doveva ammettere che si sentiva bene ed era a suo agio nel portare avanti quella specie di flirt che aveva intrapreso, più con sé stessa che con lui. Al momento era riuscita solo a prendergli la mano, anzi, intrecciare le dita alle sue, e le era parso che lui avesse accettato il gesto. Ma sapeva che non poteva bastare. Dovevano parlarsi.
Aveva deciso che, dopo pranzo, prima che gli altri scrigni se lo portassero via a fare ciò che dovevano, l'avrebbe preso da parte e gli avrebbe confessato il suo amore. Magari senza parlare troppo... Un buon bacio, valeva sempre più di tante chiacchiere.
Suo malgrado, però, fu costretta a voltarsi.
Francesca era comparsa in cima alla rampa di scale che portava al piano di sopra, scalza, avvolta in un asciugamano che la copriva dal seno fino a metà coscia, coi capelli sciolti e bagnati che le ricadevano sulle spalle nude. Gli occhi erano tristi e portavano i segni di un pianto recente; la punta del naso era appena sfumata di rosso; le labbra erano semiaperte, e i quattro incisivi superiori, un po' più grandi del normale, sbucavano un poco, conferendole un'aria da ragazza timida e impacciata che, nell'insieme, dipingeva un quadro di intensa dolcezza.
Tutti si erano voltati vedendola comparire, e il leggero brusio si era abbassato di colpo.
«Amore!» disse subito Alberto, andandole incontro. «Tutto bene?»
«Ho bisogno di te.»
Gli occhi presero a tremolarle. Avvicinò la bocca all'orecchio del suo uomo. «Vieni un po' su con me?»
Il cuore di Alberto ebbe un forte sussulto; gli parve di sentire il fiotto di sangue, pompato con forza verso il basso, arrivare fino alle sue parti basse che, senza esitazione, si gonfiarono come un palloncino. La desiderava da impazzire e dovette trattenersi per non strapparle via l'asciugamano e possederla lì, davanti a tutti.
Lanciò un fugace sguardo agli altri, poi tornò su Francesca; aveva incrociato le braccia al petto, chinato la testa, mentre con l'alluce sinistro si lisciava il piede destro.
"Mezz'ora posso concedermela, direi" pensò.
La prese per mano e aprì la bocca per dirle di avviarsi.
Fu in quel momento che giunsero le grida.
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