56 - L'ULTIMO SCRIGNO (2)
Da quando aveva annientato Ismel, non era passato nemmeno un secondo in cui Masi non si fosse beato della sua forza, del suo aspetto, della meravigliosa sensazione di onnipotenza che si sentiva scorrere in ogni fibra. E più le sue convinzioni aumentavano, più sentiva salire la cattiveria, ormai senza alcun controllo dentro di lui. La rabbia gli bruciava in ogni centimetro di pelle, rabbia che lo faceva sentire bene, euforico, e molto impaziente. Aveva la smania di terminare l'opera di distruzione iniziata dal suo predecessore, ripulire tutto il mondo da quegli insulsi parassiti e ricominciare. Da lui. E per fare questo, aveva bisogno della ragazzina, del suo potere, del suo ventre.
Si era pentito d'aver concesso al vecchio cinque giorni proprio nell'esatto momento in cui glielo comunicava e, il non rispettare i patti stabiliti, lo rendeva (ai suoi occhi) ancora più imprevedibile, più malvagio, quindi più spaventoso. Doveva solo fare in maniera che abbassassero quel cazzo di scudo, ed era fatta.
Aveva creduto d'esserci molto vicino, appena aveva visto l'espressione disperata dipinta sulla faccia di quell'uomo presente mentre consegnava il carico di romani. Sarebbe corso in casa e avrebbe supplicato il vecchio di obbedire.
Invece no. Aveva visto i suoi occhi caricarsi d'odio nei suoi confronti, e poi esplodere in un boato di luce intensa che aveva riempito del tutto l'enorme bolla dentro cui si proteggevano.
Ma, era sul serio così? Quello scudo proteggeva loro da lui?
L'esplosione di energia, capace di imprimergli sul volto lo stupore più profondo, gli aveva suggerito il contrario. In quella frazione di tempo, prima di fuggire, aveva avuto la certezza assoluta che, senza quella patina arancione, sarebbe morto, polverizzato, annientato. Il grande e invincibile Masi!
Se l'era quindi data a gambe levate, con le certezze incrinate e un timido, ma tenace germoglio di paura che si era impiantato nel cuore.
"Com'è possibile?" pensava. "Veramente ognuno di loro possiede una tale potenza di fuoco? E quell'uomo... Chi cazzo era?"
Per la prima volta, Pietro Masi non si sentiva più tanto sicuro di poter prevalere così facilmente e, per uno come lui, ciò non era tollerabile.
Doveva riflettere e calmarsi. Pensare bene a come agire; rallentare l'impazienza, capace solo di fargli compiere mosse sbagliate.
Stava sorvolando un fitto bosco ed era deciso a scendere per ripararsi tra gli alberi alti, quando notò una piccola radura, proprio a ridosso di un grosso crostone di montagna. Al di là, si estendeva una vasta e verdeggiante vallata.
Atterrò e, non appena posò i piedi sull'erba, vide davanti a lui l'entrata di una grotta che pareva invitarlo a entrare.
"Là dentro potrò starmene in pace per un po', e riflettere!" pensò, mentre a grandi falcate, raggiungeva l'ingresso.
«Tu che ci fai in piedi?» fu la prima cosa che disse Alessandro, non appena scorse Andrea alzato, appoggiato alle stampelle, con un radioso sorriso rivolto verso di loro.
«Non ti avevo detto che...»
La parola gli si smorzò in gola appena sbucò davanti alla porta della camera di Francesca, vedendola sorridente e con una confortante vitalità che le guizzava negli occhi, se pur legata, come l'aveva lasciata. La prima impressione fu che fosse "guarita", se di malattia si poteva parlare nel suo caso; ma l'entusiasmo iniziale fu subito frenato dalla razionalità che, appena dopo lo stupore improvviso, riprese le redini.
"Ha tentato di uccidere Andrea, e persino il suo uomo. Non dimenticarlo. Potrebbe fingere..."
«Si è ripresa sul serio?»
La voce di Silvia sbucò tra i suoi pensieri come un faro nella nebbia. Si voltò e vide il viso di sua moglie perplesso, un sopracciglio alzato, sintomo che quel repentino cambiamento non aveva attecchito come in lui, anche se solo per qualche secondo.
«Andy!»
Roberto fu il più stupito di tutti nel vedere il figlio in piedi e col volto disteso. «Non dovevi alzarti, ancora...»
«Mi sento bene, papà. Molto bene.»
Qualsiasi altra argomentazione Roberto volesse esternare fu però subito bloccata dal verso di sorpresa, mista a paura ed eccitazione insieme, emesso da Alberto, che fu l'ultimo a rientrare nella baita e l'ultimo a riuscire a vedere cosa destasse tanta curiosità nel crocicchio che si era creato in corridoio.
Non gli ci volle nemmeno la più microscopica frazione di un millesimo di secondo per comprendere che lo sguardo, ora adagiato sul volto della sua ragazza, era quello di cui si era innamorato, quello che lei aveva tante volte posato, dolce, su di lui, e non il ghigno deformato intriso di inspiegabile livore o l'apatia, muta e assente, che le aveva visto da quando era arrivato.
Quando Francesca lo vide comparire sulla porta, lo sbalordimento, causato dai tanti visi sconosciuti che la fissavano, si sciolse in gioia e il sollievo più puro, più intenso, accelerò il battito del suo cuore, mentre calde lacrime di felicità le rigavano le guance.
«Amore mio!» disse, tentando di protendere le braccia bloccate verso di lui.
La gola di Alberto era secca, la testa del tutto vuota da qualsiasi pensiero. Non riuscì a dire nulla e si ritrovò ad avanzare verso di lei come una marionetta manovrata da un burattinaio maldestro, percependo appena il brusio delle voci alle sue spalle che gli intimavano prudenza. Era l'istinto che comandava, dopo aver compreso come quello fosse il reale momento in cui i due innamorati si stavano per ricongiungere.
Riacquistò pieno controllo di sé solo quando si ritrovò tra le braccia tanto amate della sua donna, immerso nell'odore che conosceva a memoria, ora imprigionato in quello più pungente della degenza, ma subito ritrovato nelle sue narici da segugio innamorato. Si strinsero forte e, alle lacrime di lei, s'aggiunsero quelle di lui, inghiottite subito dalle loro bocche, dalle loro lingue intente ad accarezzarsi, prima con dolcezza, poi con passione sempre più travolgente.
Gli ammonimenti del gruppo si spensero, i visi preoccupati si tramutarono in sguardi commossi e sognanti. Perché il vero amore è un balsamo, tanto per chi lo vive, quanto per chi l'osserva.
Franco e Beatrix si presero per mano, scambiandosi reciproci sorrisi.
Alessandro abbracciò la moglie che già cingeva Antonio a sé con le mani incrociate sul suo petto.
Cata, osservata la scena, si voltò verso il marito, incredula di vedere una nuova luce brillare nei suoi occhi, ma felice, più che curiosa, di scoprire cosa fosse successo; lo baciò sulle labbra e si appoggiò a lui, sentendosi serena forse per la prima volta da quando era cominciato il pandemonio.
Veronica si era affiancata ad Andrea con il pensiero inconscio e automatico di accodare alle altre, anche la sua protesta di vederlo in piedi prima del previsto, per poi desistere vedendo scomparse dal suo viso le sofferenze, fisiche e psicologiche, dell'aver perso una gamba; i suoi occhi trasmettevano una ritrovata fiducia e un entusiasmo che pareva traboccargli dentro come fosse un boccale di birra riempito da troppa schiuma.
La ragazzina non disse nulla, gli accarezzò con dolcezza una guancia e posò la testa sulla sua spalla, sotto lo sguardo soddisfatto di Roberto, felice nel vedere come i due ragazzi paressero volersi bene sul serio, nonostante l'ancor giovane età.
Non si accorse subito che Angelica, in silenzio, l'aveva preso per mano, e quando si voltò verso di lei, lesse chiaramente il suo sguardo e tutto quello che conteneva. Il cuore si fece sentire, ma non comprese se fosse un'emozione dettata da un sentimento acerbo che cercava di farsi strada o solo paura di tradire la freschissima memoria della sua amata moglie. La stretta di lei era forte e delicata; comunicava un concreto bisogno di attenzione, ma anche un interesse che prevaricava il fatto che si conoscessero da poco, pochissimo tempo. E quando le lunghe dita affusolate di Angelica si intrecciarono con le sue, Roberto capì che quella donna non nutriva solo un velato interesse. Lo stupore lo lasciò inebetito, incapace di dire, fare, pensare qualsiasi cosa, nel terrore improvviso che Andrea potesse notare quell'audace contatto e prenderla male.
Gli venne in aiuto Alberto, indirettamente.
Roberto lo vide staccarsi da Francesca, recuperare la piccola chiavetta lasciata sul comodino e avvicinarla alla manetta che bloccava il polso sinistro della donna. Stava avvenendo tutto al rallentatore, almeno per i suoi occhi fissi sulla scena, ma del tutto concentrati sulla sensazione che il tocco della mano di Angelica gli stava procurando.
Ma quando la chiave s'infilò nella piccola serratura, di colpo realizzò.
Sciolse la presa con la donna, forse più rudemente di quello che avrebbe voluto, e si diresse deciso verso l'amico, inseguito dalla protesta di Franco che, per primo, aveva intuito le intenzioni di Alberto.
«Cosa fai, Alby?»
«Libero la mia ragazza.»
Roberto gli bloccò la mano, un attimo prima che il minuscolo meccanismo scattasse.
«Non credi se ne debba parlare, prima?»
«Parlare di che?» s'intromise Francesca, con gli occhi impauriti. «Perché sono ammanettata? Chi è quest'uomo, Alby?»
«Sono il padre del ragazzo che hai tentato di strangolare...» sentenziò Roberto con tono deciso, pur sapendo che la donna non aveva agito di sua totale volontà.
«Roby...»
Alberto si era lasciato bloccare dall'amico e, intuendo cosa stesse per dire, tentò di fare la stessa cosa a parole, sebbene senza la stessa veemenza.
«... poco prima che tentassi di uccidere anche il tuo ragazzo!» concluse Roberto.
Francesca rimase a fissarlo per qualche secondo, poi girò lo sguardo su Alberto, zitto e fermo a testa bassa, dolorosa conferma che le parole di Roberto non erano mendaci.
«Non è stata colpa sua, papà!»
Andrea entrò nella stanza, stampellando con agilità e con sorprendente energia. «È quello che ha dentro...»
«Andrea! No!» provò a intervenire Alberto, avendo subito capito cosa stesse per uscire dalla bocca del ragazzo. Ma ormai la frittata era fatta.
Vide Francesca scurirsi in volto, gli occhi riempirsi di terrore, le labbra assumere un piccolo tremito incontrollabile. Lo fissava, cercando ancora di più con lo sguardo delle risposte a domande sempre più brutte e dolorose.
Alberto non riusciva più a guardarla, spaventata e legata a quel modo e, per un momento, un moto di rabbia lo avvolse. Scansò Roberto e infilò la chiave nella serratura.
«Non tengo la mia fidanzata legata a questo letto un secondo di più, che vi piaccia o no!»
Le liberò la caviglia sinistra e quella destra. Infine aprì la manetta che bloccava il polso destro, gettò la chiave per terra e aiutò Francesca ad alzarsi, abbracciandola stretta, mentre fissava Roberto con uno sguardo quasi di sfida.
L'amico aveva assistito a tutta la scena immobile, in silenzio e, quando guardò in viso il compagno di avventure, non poté non essere comunque contento per lui.
Ando, con toni molto diversi da quelli che l'avevano sempre contraddistinto, ricordò a tutti che aveva una cosa da mostrare, e che era tempo di cominciare a prepararsi per affrontare il loro nemico. Ma, il risveglio di Francesca, pareva aver catalizzato l'attenzione di tutti.
Alberto le presentò tutto il gruppo, lodandola per il lavoro di ricerca che avevano fatto insieme e che aveva portato risultati eccellenti.
Dopodiché dovette cedere alle sue assillanti insistenze e raccontarle i sospetti che avevano su di lei e su ciò che temevano Masi potesse averle "regalato". Le rivelò anche di come Masi avesse distrutto Ismel, assumendone i poteri, diventando, a tutti gli effetti, il loro unico, vero nemico.
Alberto sapeva che doveva dirle anche di suo zio, ma l'angoscia che le vedeva in viso lo tratteneva; avrebbe aspettato fosse lei a rendersi conto della sua assenza, e apprezzò moltissimo la discrezione, volontaria o involontaria, degli altri.
«L'affronteremo insieme questa cosa» le disse, tenendole la mano.
«È sempre stato lui il mio nemico» sussurrò Francesca. «Fin dal giorno in cui l'ho conosciuto. Mi è sempre stato ostile. Non sono sorpresa di nulla, ora.»
Alberto la baciò e l'abbracciò, chiedendo con lo sguardo ad Alessandro di visitarla.
Il dottore acconsentì, anche se, per tutto il tempo, buttò occhiate sospettose sulla donna, temendo un qualche gesto inconsulto.
La trovò in perfetta forma fisica, e ne fu sorpreso.
«Sembra tu non abbia mai avuto nulla!» le disse. «Com'è possibile?»
«Non lo so. Mi sono come svegliata, legata in questo letto, avvolta da una luce caldissima. Avevo tutto il corpo come in fiamme ma, non so dirti perché, era una sensazione piacevole.»
«È la stessa luce che abbiamo visto io e Angelica. Veniva da fuori, subito dopo le teste...»
«Quali teste?» chiesero Franco e Roberto, allarmati in ugual misura.
«Quelle che vorrei mostrarvi» disse Ando, dissimulando in un mezzo sorriso, l'impazienza che sentiva dentro.
«È stato quando la luce si è spenta che mi sono sentito di nuovo in piena forma!» continuò Andrea, guardando ora suo padre, ora Veronica.
«Eri tu, vero?» chiese Angelica, staccando per la prima volta gli occhi da Roberto e posandoli su Ando.
Cata ebbe un fremito, nel timore che suo marito fosse di nuovo accusato di qualcosa, o che lui negasse una verità che qualcun altro credeva ovvia. Ma si tranquillizzò quando lo vide annuire e sorridere.
«È quello che vorrei spiegarvi...»
«Ma sono incinta?» s'intromise Francesca, la cui mente era del tutto concentrata sulla terribile possibilità di avere un figlio da Pietro Masi.
«Questo non lo posso sapere. È troppo presto ancora per capirlo.»
Alessandro ripose gli strumenti nella sua borsa e la posò su una sedia.
«Un'ecografia forse potrebbe sciogliere i dubbi. Ma Monica mi ha detto che non sa se ci sono le apparecchiature adatte, qui. Avrebbe dovuto chiederlo all'...»
Si accorse troppo tardi di quello che stava dicendo e non riuscì a bloccare la frase.
«...ingegnere.»
Francesca sgranò gli occhi e cominciò a guardarsi intorno.
«A proposito! Dove sono Monica e lo zio?»
L'atmosfera nella camera si fece d'improvviso fredda, nonostante il caldo che aleggiava all'esterno. Tutti s'irrigidirono, tutti abbassarono lo sguardo. Alberto non aveva detto a nessuno di loro di tacere la notizia, ma ognuna di quelle menti si era resa conto di come quella donna fosse già estremamente provata, per sopportare un'ulteriore, dolorosissima verità. Ma, a questo punto, non era più possibile nascondere l'accaduto.
Toccava ad Alberto dirglielo. Tutti lo sapevano. Lui lo sapeva.
«Monica è andata alla radura, insieme a un'altra ragazza arrivata qui con loro» disse, prendendo ancora tempo per, nemmeno lui sapeva, cosa.
«Perché è andata alla radura? Non è pericoloso?»
«Doveva adempiere a una richiesta di tuo zio...»
Alberto sentì le lacrime salire verso gli occhi a una velocità impressionante. Riuscì, per il momento, a trattenerle.
Il viso di Francesca era una maschera di sofferenza. Tutti si chiesero se avesse già capito; tutti si risposero di sì.
«Che... richiesta?» balbettò.
«Francy, tuo zio è morto.»
Veronica corse all'istante da lei e l'abbracciò, incurante del fatto che non si conoscessero. Angelica s'avvicinò timidamente e le prese una mano.
Francesca non ebbe modo di stupirsi per le gentilezze che stava ricevendo da quelle due sconosciute. La notizia le rintronò le orecchie, distorcendo tutta la realtà che aveva intorno, sperando stesse vivendo solo un brutto e intenso incubo.
Scostò con educazione la ragazzina, sfilò la mano da quella dell'altra e si alzò in piedi.
«Vorrei restare da sola, per favore» disse, a bassa voce.
«Francy, io non...»
«Ti prego, Alberto. Ho bisogno di farmi una doccia e restarmene per conto mio per un po'. Voi... fate le vostre cose.»
Roberto mise una mano sulla spalla dell'amico, annuendo con la testa come a dire di accontentarla.
Alberto la contemplò ancora per qualche secondo, poi si voltò verso Ando.
«Tocca a te, dunque.»
Gli animi di tutti erano già parecchio provati. Ciò che videro appena uscirono fuori dalla baita non fece altro che appesantire una situazione già di per sé difficile da sostenere.
Lo spettacolo macabro e terribile che si presentò ai loro occhi ebbe lo stesso effetto di un'ondata carica di fango e rifiuti che si abbatteva per l'ennesima volta sulla spiaggia, dove aveva già depositato altra sporcizia.
«Sono tutti di Roma» disse Ando. «Così almeno ha detto Masi.»
Chi si metteva la mano sulla bocca, chi ripeteva "Dio mio!", chi, come Franco, non riuscì a trattenere una turpe bestemmia.
«Aveva detto cinque giorni...» riuscì a dire Alberto, faticando a concentrarsi su Masi, sapendo il dolore che la sua ragazza stava sopportando in quel momento, da sola.
«Già! Ma è Masi, no?»
Roberto stringeva i pugni, furioso allo stesso modo in cui si sentiva angosciato. «Non mi pare il tipico individuo che rispetta la parola data!»
«Camilla! E Monica... Sono là fuori...»
Andrea, tenendosi eretto su una stampella, stava indicando le vette intorno, con l'altra.
«Monica sa badare a sé stessa, ve lo assicuro!» disse Alberto, cercando di guardare il meno possibile le tristi scene davanti a loro, accorgendosi di come fosse impossibile. «E baderà anche a Camilla.»
«Non possiamo fare niente per loro al momento, almeno finché non impariamo tutti a usare i nostri poteri» parlò Ando, dando le spalle a tutti, con lo sguardo fisso verso la rimessa del treno.
Alberto lo affiancò. «Cos'è che ti ha fatto cambiare idea così velocemente?»
«Loro!» rispose, indicando con la mano la moltitudine di parti di cadaveri che circondava lo scudo. «E le risate di scherno di quel mostro, mentre ce le faceva cadere addosso.»
Girò la testa verso il punto in cui giaceva la testa del bambino, con i suoi occhi impauriti e quell'espressione di estrema ricerca della sua mamma. Sentì di nuovo il corpo scaldarsi e l'energia pronta a esplodere di nuovo. Aveva imparato a controllarla, ora; e la sensazione che provava era meravigliosa.
«Sono stato io a produrre quella luce. Mi è esplosa dentro ed è uscita all'improvviso. È stato il momento più bello della mia vita!»
Si girò e fissò la moglie.
«Insieme al giorno in cui ti ho conosciuta.»
Poi, si rivolse a tutti.
«Mi ha fatto riflettere sentire che sia Andrea, sia Francesca, siano guariti dai loro... problemi, grazie alla mia luce; ho pensato a ieri sera, quando avete tutti raccontato gli episodi in cui l'energia si è mostrata. Vi ricordate cosa ha detto Franco? Il potere si palesa in modo diverso, in base al corpo in cui si trova.»
Sorrise e sospirò.
«Cata ha avuto un'esperienza extra-sensoriale...»
La fissò, chiedendole scusa con lo sguardo per non averle creduto mai a fondo. Lei sembrò capire, totalmente rapita dall'uomo in cui si era trasformato suo marito, nel giro di pochissimo tempo.
«... come Antonio, a quanto ho capito. Roberto e Franco proteggono. Beatrix mi ha dato conforto. Alberto e Veronica distruggono. E sono sicuro che anche Enrico ci mostrerà presto qualcosa! Mi è venuto quindi il dubbio che forse, la mia energia, ha poteri curativi.»
«E anche di protezione, amore!» lo interruppe Cata.
«È vero! Visto come ci hai salvati dall'incidente» aggiunse Franco.
«Vabbè... A prescindere, quello che so per certo è che ho capito come controllare l'energia, e come scatenarla. E so che anche voi potete. E che possiamo distruggere quella merda d'uomo.»
«Ma dov'è, ora?»
«Non lo so. Quando la luce si è spenta, era sparito. Io... credo si sia spaventato.»
«E come lo sai?» chiese Enrico, sorprendendo tutti vista la poca attitudine dimostrata a partecipare alle discussioni.
«Non lo so. Ma ho avuto questa sensazione. Forse ci ha sottovalutati e, se così fosse, dobbiamo sfruttare la cosa, e non fare lo stesso.»
Alberto gli posò una mano sulla spalla. «È strabiliante vederti, ora. E sentirti parlare. Vedere il cambiamento che hai avuto in... quanto? Mezz'ora?»
«Non è nella nostra natura? Cambiare? È stata l'energia. Ma l'energia... siamo noi, giusto? Non è quello che ci ha detto il vecchio?»
Alberto annuì e gli sorrise.
Cata s'avvicinò e lo abbracciò in lacrime.
Il cuore di Ando traboccava di soddisfazione ed entusiasmo; si sentiva invincibile in quel momento, e quasi rimpianse non avere Masi davanti in quel momento, sicuro di poterlo configgere con facilità.
"Forse ci ha sottovalutati e, se così fosse, dobbiamo sfruttare la cosa, e non fare lo stesso."
Le sue stesse parole gli riecheggiarono nella mente, e gli imposero estrema prudenza. Ma l'eccitazione che sentiva scorrere addosso era difficile da frenare.
«Allora!» continuò. «Siete con me, VuEffe? Vi va di fare il culo a quell'individuo e salvare il mondo?»
Antonio cominciò a ridere freneticamente, battendo le mani felice. Silvia, che aveva il cuore pieno di angustia, non poté trattenere il sorriso che le affiorò sulle labbra, vedendo il figlio così contento.
Tutti si guardarono e, per la prima volta, ognuno, anche chi che non era scrigno, si sentì parte della squadra, parte di un'avventura che non avevano richiesto ma che, adesso come non mai, avevano accettato di concludere, in un modo o nell'altro.
Il grido di esultanza che si levò dal giardino dell'FDS riuscì a superare anche l'ovattato spessore dello scudo, e si librò nel cielo di fine giugno, mescolandosi all'aria calda di quell'estate insolita che il mondo si era ritrovato addosso, suo malgrado.
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